venerdì 28 settembre 2018

Mega-donazione per il centro alzheimer. Il benefattore è Cassio Morosetti


Il celebre fumettista italiano, fra gli jesini più illustri, ha deciso di donare 800 mila euro per realizzare in via Finlandia la struttura a servizio degli anziani affetti da demenza degenerativa

JESIÈ Cassio Morosetti il benefattore che ha donato 800 mila euro alla sua città natale per realizzare il centro Alzheimer. Proprio oggi (7 settembre 2018), il sindaco Massimo Bacci, accompagnato dall’assessore ai servizi sociali, Marialuisa Quaglieri, è in trasferta a Milano, dove il celebre fumettista vive da tempo, per siglare l’accordo e accettare ufficialmente l’enorme donazione, che consentirà appunto di edificare una struttura a disposizione degli anziani affetti da demenza degenerativa in via Finlandia, completa di arredi e attrezzature.

Trattandosi infatti di una somma non di modico valore, e tenuto anche conto della destinazione vincolata, è obbligatorio un atto formale di accettazione da parte del Municipio.

«Un grande atto di mecenatismo – commenta il sindaco Bacci – con il quale Morosetti vuole farsi ricordare dalla sua città natale che, come mi ha avuto modo di confidare, non è stata riconoscente con lui. Desidero ringraziare Jesi e la sua Valle che ha facilitato il nostro incontro e ha permesso a questo artista di poter esprimerci la propria volontà. Ho avuto modo di parlare con Cassio Morosetti, ho conosciuto una persona brillante, estremamente lucida, molto più giovanile dei suoi 96 anni, che mi ha raccontato di aver lasciato Jesi ed essersi arruolato volontario nel 1940 perché estremamente povero, di essere rimasto in un campo di concentramento per lunghi anni e per tornarvi poi con promesse non mantenute».

Morosetti se ne è andato quasi subito da Jesi, per poi compiere un percorso professionale straordinario grazie alla sua caparbietà e alle sue grandi doti naturali. Ha iniziato con la celebre Settimana Enigmistica, avviando subito dopo un crescendo di collaborazioni con migliaia di vignette su quotidiani, riviste, house organ, inserti pubblicitari in Italia e non solo.

«Oggi – ha aggiunto Bacci – ha quasi preso una rivincita con la sua città che negli anni ‘40 lo aveva a suo modo messo in disparte. Da personalità di grande spessore qual è ha voluto quasi testimoniarci che quel trattamento non se lo meritava. Sarà per questa Amministrazione un onore trovare il modo di rendere duraturo il senso di riconoscenza per questa donazione. Il nuovo centro per l’Alzheimer è un preciso obiettivo del nostro programma di mandato che completa il centro demenze aperto provvisoriamente in via San Giuseppe, rendendo tale servizio ancor più strutturato e con una maggiore possibilità di accogliere ospiti. Ci metteremo subito al lavoro per realizzarlo quanto prima in un’area all’interno della città, ma dotata di ampio verde».

Nato a Jesi nel 1922, Morosetti partecipò alla guerra in Libia e, dopo tre anni di prigionia, si stabilì a Milano dove iniziò a pubblicare alcune vignette su la Settimana Enigmistica. Negli anni ’50 crea il suo personaggio più famoso, lo sceriffo Botticella, divenuto noto grazie al Corriere dei Piccoli. Si deve a Morosetti la nascita della Disegnatori riuniti, un’agenzia che ha rappresentato gli umoristi italiani per oltre quarant’anni. Nel 2010 è uscita la sua autobiografia, intitolata In divisa nell’orto dietro casa. Nel 2013, a seguito di una mostra delle sue opere organizzata a Jesi dal 15 al 26 settembre, è uscito il libro-catalogo intitolato Cassio Morosetti (una vita da umorista).

di Matteo Tarabelli

7 settembre 2018

FONTE: Centro Pagina

giovedì 20 settembre 2018

“Anche il carcere è meglio dell'Africa!”. Parola di Marie Anne Molo, Missionaria del Vangelo


In Africa in tante zone rurali non esistono servizi di base, come l’acqua potabile e l’illuminazione. Non esiste uno stato sociale

In Africa in tante zone rurali non esistono servizi di base, come l’acqua potabile e l’illuminazione. Non esiste uno stato sociale, i cittadini non hanno diritto ad alcun servizio da parte dello stato, tutto è a pagamento: l’istruzione, la copertura sanitaria. Il lavoro manca e si vive disussistenza e di vendita di prodotti agricoli. Chi non ha la casa, vive dove capita. La libertà di stampa non esiste, in molti Stati scrivere un articolo di politica significa essere uccisi, in Camerun si finisce a volte in prigione. I servizi per i disabili non ci sono, una pensione sociale non esiste”.

Lo racconta Marie Anne Molo una donna consacrata Missionaria del Vangelo del Camerun di 52 anni che vive a Palermo che afferma:
In molti Paesi africani c’è la dittatura, in altri la guerra, in altri il terrorismo, in tanti altri la povertà estrema e si muore di fame”.

È meglio per un africano vivere in un carcere italiano che vivere in Africa. Nelle galere italiane si vive bene: c’è un tetto, c’è la luce, c’è l’acqua potabile, c’è da mangiare, c’è la sicurezza, ci sono cure mediche, non c’è la guerra e né tanto meno la tortura”.
Marie Anne è venuta in Italia diversi anni fa con l’obbiettivo di studiare e acquisire competenze per poi tornare in Camerun per impegnarsi nella promozione dello sviluppo dell’area rurale da dove proviene. Già da alcuni anni Marie Anne, con il supporto delle Missionarie del Vangelo, realizza diversi microprogetti (frantoi, mulini, pollai, coltivazioni, un pozzo per l’acqua potabile) per aiutare in Camerun il suo popolo.

Io sogno di cambiare la vita della mia gente e di sfruttare bene le nostre risorse: legname, minerali, petrolio. Sin da bambina desideravo consacrarmi al Signore per dedicare tutta la mia vita ad aiutare la mia gente. Tant’è che mi sono sempre prodigata nell’aiutare chi era nel bisogno.

Da grande allora ho deciso di venire in Italia per cominciare sia la mia formazione religiosa e per consacrarmi al Signore, sia per studiareeconomia dello sviluppo alla Pontificia Università Gregoriana, per lo sviluppo umano integrale.

Noi siamo tutti vittima di un sistema che sfrutta le risorse e le persone sia in Italia, sia in Africa. Invito tutti i cittadini a fare una rivoluzione culturale per cambiare questo sistema che non pensa alle persone, ma ai soldi. Noi del Cristianesimo ci riempiamo la bocca, ma facciamo poco di quello che c’è scritto nel Vangelo. L’Italia è il mio Paese – dice Marie Anne - occorre uno sforzo per capire le altre culture, noi in Camerun abbiamo la cultura dell’accoglienza, ascoltiamo l’altro.

Nella mia famiglia, quando vivevo in Camerun, diverse volte non si mangiava, ma ogni giorno pregavamo: la mattina presto e la sera. Abbiamo ancora le lampade a petrolio e nelle strade non c’è illuminazione pubblica, beviamo spesso acqua sporca. Un pozzo realizzato dalla cooperazione internazionale è a vari chilometri. La pioggia per noi è una benedizione con la quale ci facciamo una doccia naturale
”.

Questo è il contenuto del primo appuntamentoche si è svolto nella "Cittadella del Povero e della Speranza" nella chiesa "Casa di preghiera per tutti i Popoli" nel mese di agosto, in attesa dell'incontro con Papa Francesco che verrà prossimamente in missione per condividere il pranzo con i fratelli ultimi.

di Antonio Lufrano

8 agosto 2018

FONTE: Quotidiano Sociale

giovedì 6 settembre 2018

La storia di suor Jacinta, in Italia per aiutare chi è in difficoltà


Sono venuta in Italia solo per seguire Gesù Cristo. Il buon Dio ha voluto che venissi a Palermo, nel quartiere Brancaccio, per mettermi al servizio del Centro Padre Nostro per aiutare chi è in difficoltà”. A parlare è suor Jacinta delle Maestre Pie Venerini, originaria dell'Uganda ma da tanti anni in Italia. Nella Cittadella del povero e della speranza in via Decollati, a Palermo, ha raccontato perché ha deciso di arrivare in Italia e cosa l'ha spinta a dedicarsi a chi ha bisogno in uno dei quartiere più difficili della città. “Vengo da una famiglia unita, con genitori santi, che mi hanno trasmesso grandi valori - dice -. E’ importante avere una famiglia che ti formi con amore, ci sono tanti figli che hanno avuto solo schiaffi e mai una carezza. Quando avevo 15 anni ho detto a mio padre che volevo diventare suora, che mi ha risposto dicendomi di finire gli studi e se dopo avessi avuto ancora quel desiderio potevo seguirlo”.

Da diplomata in lingua inglese suor Jacinta va a insegnare subito, ma dopo un anno sente forte il desiderio di venire in Italia per diventare suora. “Amo moltissimo i miei genitori e loro amano me, amo l’Uganda e amo insegnare ai miei studenti, ma seguire Dio è un amore ancora più grande - spiega -. Ho detto che sarei partita per l’Italia solo per tre mesi per dare loro una speranza, in realtà sono rimasta 6 anni in Italia per prendere i voti e solo allora sono tornata in Africa”. E’ stata una grande festa quando suor Jacinta è tornata nella sua città Foct-Portal. Quando è rientrata a Roma il suo provinciale le ha chiesto di andare a Palermo e suor Jacinta ha subito accettato. “Ho messo tutto nelle mani del Signore - racconta -, io conoscevo la mafia, la storia di Palermo e per non fare preoccupare la mia famiglia non ho detto che sarei andata a Brancaccio”.


Tante suore mi hanno chiamata preoccupate per il mio trasferimento - dice ancora -. Circa un anno fa, il 17 settembre 2017, ho messo piede a Brancaccio, al servizio del Centro Padre Nostro voluto dal beato Padre Pino Puglisi. All’inizio gli abitanti del quartiere non mi davano confidenza, ora invece sono molto accoglienti, si confidano sui loro figli per avere un consiglio, un sostegno, sanno che possono contare su di me e io su di loro”. Suor Jacinta è sempre sorridente e presta il suo servizio alla casa per anziani del Centro Padre Nostro dove sono accolte 80 persone. Tante le attività insieme: gite, pranzi fuori porta, lavori in ceramica, danza, preghiere ed esperienze di condivisione.

Nel Centro si occupa anche di recupero scolastico per bimbi delle scuole elementari e per ragazzi delle scuole superiori. Li aiuta ad imparare l'inglese. Nella casa museo Padre Pino Puglisi accoglie tanti visitatori a cui racconta la vita del beato ed è anche una volontaria della parrocchia San Gaetano, dove insegna catechismo e canta nel coro. “La sera sono stanca perché ogni giorno mi muovo solo con la macchina di San Francesco (a piedi) - dice -. In Africa siamo liberi di lasciare le porte aperte delle nostre case e possiamo andare a trovare ogni persona senza preavviso. Tra gli africani c’è molta solidarietà, ci sentiamo tutti fratelli e qui in Europa tra di noi ci aiutiamo. Qui in Italia, invece, non potete lasciare la porta aperta e per andare a mangiare a casa di qualcuno avvisate con diverso anticipo, non esiste presentarci all’improvviso come facciamo noi in Africa” conclude.

L'incontro testimonianza è stato il terzo appuntamento nella Missione di Speranza e Carità di Biagio Conte in vista della visita pastorale di Papa Francesco che a metà settembre si recherà alla Cittadella del povero e della speranza per condividere il pranzo con immigrati e carcerati.

29 agosto 2018

FONTE: Adnkronos

domenica 2 settembre 2018

La parabola dei tre setacci

Nell’antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza.

Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse:
Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?

Un momento
, rispose Socrate, “Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci.
I tre setacci?

, continuò Socrate. “Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Io lo chiamo il test dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è VERO?
No… ne ho solo sentito parlare.

Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di BUONO?
Ah no, al contrario!

Dunque
, continuò Socrate, “vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell’utilità. È UTILE che io sappia cosa avrebbe fatto questo amico?
No, davvero.”

Allora
, concluse Socrate, “se ciò che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile, io preferisco non saperlo; e consiglio a te di dimenticarlo.”



FONTE: Libro "La via del guerriero di Pace" di Dan Millman





Penso che ciascuna persona, prima di parlare con il nostro prossimo, dovrebbe chiedersi se ciò che sta per dire è VERO, BUONO E UTILE, come insegna mirabilmente questa bella parabola. Se ciò non dovesse essere, allora è meglio non dire assolutamente nulla perchè, ricordiamocelo bene, una parola buona può anche guarire una persona... ma una parola cattiva può far più male di una spada!
Quante, quante cose brutte, quanti guai, quanto male non ci sarebbe se si evitasse di parlar male del nostro prossimo.... e quanto bene invece si farebbe, al contrario, avendo sempre sulla nostra bocca parole benevole e caritatevoli nei confronti di tutti! A questo proposito mi vengono in mente le sagge e Sante parole di quel grande Uomo che risponde al nome di San Giovanni Bosco, il quale soleva dire: “Quando parlate di qualcuno, evidenziate sempre gli aspetti buoni e positivi della sua persona. E se proprio, proprio, non vi viene in mente niente di buono da dire.... allora tacete!”.

Marco