lunedì 30 dicembre 2019

“Dona un letto ai poveri”: l'appello di Fratel Biagio


L'appello del missionario Fratel Biagio Conte per donare un letto ai più poveri

Sento di farvi un appello per aprire i cuori, in questo Natale ognuno doni un letto: una rete, un materasso e un cuscino per i 1000 poveri della Missione Speranza e Carità. Aiutateci a migliorare il luogo dove dormono e vivono. Vi chiedo con tutto il cuore un aiuto, che può essere un segno per il 2020. Abbiamo verificato, in una fabbrica del settore, che una rete solida, con le tavole in legno costa 30 euro, un materasso in poliuretano con tessuto idrorepellente costa 32 euro, un cuscino 8 euro, per un totale di 70 euro. Vogliamo dare più dignità ai poveri, insieme possiamo farcela, mi rivolgo a tutti i palermitani, ai siciliani e a tutte le persone di buona volontà. Quanti vogliono contribuire possono venire a consegnare la donazione necessaria per prendere uno o più letti in fabbrica, in Missione Speranza e Carità in via Tiro a Segno dalle 9.00 del mattino, fino alle 20.00 di sera. Successivamente ogni letto sarà donato ad un povero che abita in Missione. Oppure si possono utilizzare i nostri conti corrente con la causale "Dona un letto":

BANCA UNICREDIT
IBAN: IT93D 02008 04694 000300338107

BANCA PROSSIMA
IBAN: IT15D 03359 01600 100000009424

CONTO CORRENTE POSTALE: 17378902


Pace e Speranza, Fratel Biagio, piccolo servo inutile


28 dicembre 2012

FONTE: Ragusa H 24

lunedì 23 dicembre 2019

Paola Senatore, una vita tormentata: dai film erotici al carcere fino alla conversione


Attrice popolarissima per tutti gli anni’70, musa di una generazione di italiani, finì in carcere nel 1985 per droga: da lì un lungo percorso di rinascita attraverso la Fede

Di film ambientati in un carcere femminile ne girò parecchi. Ma un giorno in cella ci si trovò per davvero. Era il 13 settembre 1985: una data spartiacque nella vita dell’ex attrice Paola Senatore, uno dei sogni erotici ventennali per migliaia di italiani (musa di Brass, D’Amato, Lenzi e fra le regine indiscusse della commedia di genere). Ma chi pensa che da lì sia iniziato il baratro, forse si sbaglia. È la stessa Paola a tirale le somme di un’esistenza piena che oggi, da quello sfregio d’immagine in pieni anni Ottanta, può definire “una vera vita”. Che piano piano, e soprattutto nel silenzio, in questi anni ha rimontato con Fede, ordine e riavvicinamento ai propri affetti.

Come si definisce, oggi, Paola Senatore?

«Felice, serena, gioiosa ma con la testa sul collo».

Che infanzia ha avuto?

«Difficile. Mia madre mi raccontava continuamente della sua vita e della sua influente famiglia. Ero una bambina ansiosa con tutti quei racconti che ascoltavo, anche se piccola! Lei doveva sposare un barone molto più grande di lei come deciso dalla famiglia. Erano tempi difficili. Anni difficili. La guerra finì nel 45: lei proprio sotto i bombardamenti conobbe un ragazzo e si innamorarono, fu un colpo di fulmine: la mia vita iniziò lì, concepita sotto quelle bombe. Ma in quel momento iniziarono anche le complicazioni: mia madre si era ribellata ai piani matrimoniali che i nonni avevano per lei. Si rifiutò di entrare in convento e di darmi in affido, come si conveniva».

Come andò a finire?

«Fu mandata da lontani parenti romani che in effetti si presero cura di lei. Ma volle staccarsi ad un certo punto. E per essere più libera mi mise in un collegio. Il distacco fu atroce».

Che ricordi ha di quegli anni?

«Parliamo di un collegio della Roma bene. Eppure i miei ricordi sono ombrosi: mi raccontavano di strani riti, di storie misteriose che accadevano lì dentro, mi sentivo impaurita. Stiamo comunque parlando di esperienze e suggestioni vissute con gli occhi dell’infanzia. Ricordo un bimbo di cinque anni, ma che si dimostrava già un ometto, che un giorno arrivò a dirmi: “Ti proteggerò io”. Stavamo sempre insieme, mi dava forza. Finalmente a sei anni uscii: ero felicissima, era la Pasqua del 1952. Conobbi finalmente zie e nonni e la mia vita prese una piega diversa, morbida e dolce».

Cosa sognava di fare da grande? È riuscita a realizzarsi, secondo lei?

«Si, ci sono riuscita. Io sognavo soprattutto di viaggiare ed ho realizzato il mio sogno. Il viaggio era dentro di me, mi apparteneva. Sarei diventata pilota se il brevetto fosse costato di meno. Volevo scalare monti, attraversare deserti, scandagliare mari, attraversare cieli, di tutto e di più. Ci riuscii. Volevo incontrare il sole questo desiderio mi spaccava in due. Mi mancava molto mio padre: mia madre mi diceva che era morto, ma sapevo che non era vero. Lo capivo dal tono che usava. I vicini di casa dicevano che somigliavo a lui ogni giorno di più: lì mi si bloccava il respiro dall’emozione. Purtroppo non riuscivo mai a chiedere nulla, ma sapere che gli somigliavo per me era qualcosa di stra-mega galattico. Ricominciavo a respirare dopo un quarto d’ora quando ci pensavo. Lo cercavo ovunque. Ecco, per questo amavo il viaggio».

Il suo primo provino?

«Lo ricordo benissimo, dovevo interpretare un film a Parigi, “L’amore quotidiano”, del 1973. Mi fecero fare delle foto da un bravo fotografo: piacquero tantissimo, e così andai in Francia, a Parigi. Avevo 21 anni, fu un’esperienza fantastica. Ricordo che rimasi davanti al quadro di Adamo ed Eva non so quanto. Tanto. Mi colpì, mi avvolse, e quel giorno finii lì il mio peregrinare nei musei. Stordita dalle bellezze che vedevo».

C’è un aneddoto divertente che si ricorda durante gli anni del cinema?

«Ce ne sono tanti, soprattutto legato ai cavalli. Allora: li amavo tanto da adolescente, una mia cugina mi insegnò a cavalcare a 16 anni. Ero affascinata dal galoppo, come dalle corse in auto, faceva parte sempre della mia “inclinazione al viaggio”. A 18 anni andai a Indianapolis, in Florida, per vedere la Formula Uno con degli amici. Fantastico. Ho ancora nelle orecchie il grido dei motori».

Nel 1975 fu diretta da Tinto Brass: lo ha più sentito?

«No. Lavorai un po’ con Tinto, con “Salon Kitty” e “Action”. Poi smisi perché il mio compagno era molto geloso. Ricordo che non sapevo l’inglese, doveva doppiarmi sempre. Mi dispiace che Tinto ora non stia molto bene, non ero aggiornata su questo. Un messaggio per lui? Caro Tinto, posso dirti che pregherò per te per una pronta guarigione e una ripresa. Tu e la tua famiglia siete stati tutti affettuosi con me. Grazie ancora per quello che hai fatto per me, ti voglio bene».

Con che colleghi strinse amicizia in quegli anni?

«Helmut Berger: bellissimo ragazzo, con una grande sensibilità, tenerezza, un bel cuore. Capiva il mio imbarazzo in certe scene. Si era creato un bel rapporto sul set. E anch’io capivo lui, sentivo dei vuoti e alcune sofferenze che mi trasmetteva. Anche se tutti si fermavano sulla nostra bellezza esteriore».

Ha mai subito molestie sul set?

«No, mai subito molestie o subito maltrattamenti. Ero chiara e trasparente. Il marito me lo sceglievo io. Non amavo richieste di matrimonio né tantomeno altri escamotage per arrivare a me. Dicevo: “tu mi paghi, e io ti dò la mia immagine e il mio lavoro, ok. Poi se mi innamoro ti telefono io”. A quel punto qualcuno si infuriava. E il ricatto era sempre lo stesso: ti taglio il ruolo. A me non importava nulla, se accadeva. E poi a volte facevo finta di non capire: mi riusciva bene la parte della ritardata».

Arriviamo al giorno dell’arresto: 13 settembre 1985

«Ricordo dolente. Ero appena tornata da Riccione, mio figlio aveva 11 mesi. Avevamo trascorso una vacanza serena. Ero finalmente una mamma felice. Alle 21 qualcuno suonò il campanello di casa con tale veemenza che non ci volle molto per capire chi fosse. Il mio compagno era uscito verso le 16 e non vedendolo arrivare pensai a un incidente automobilistico. Invece fu trovato qualcosa in auto: pochi grammi di stupefacenti. L’auto era intestata a me e vennero a cercare me. Mi portarono in caserma: per interrogarmi, dicevano. Invece mi ingannarono e iniziarono già tutte le pratiche per l’arresto. Fortuna che prima di andare con loro passai da mia madre e le lasciai in custodia mio figlio: di questo la ringrazierò per sempre».

La sua carriera, poi, subì un tracollo: di lei non si seppe più nulla. L’impressione è che sparì di proposito, anche dopo essere rilasciata e dopo aver scontato i domiciliari. È così?

«Il mio lavoro e il successo diventarono l’ultimo pensiero per me. Mio figlio era al primo posto, solo lui, era molto più importante di ogni cosa per me. Anche se sulla sottoscritta leggevo e sentivo cose pazzesche».

Cosa la ferì, di più, di quello che si diceva di lei in quel periodo?

«Che ero una spacciatrice internazionale, che facevo servizi osè per pagarmi la droga: per due, tre grammi di stupefacente trovati in auto, messi non so da chi ancora. Comunque, decisi di troncare io la carriera. anche se mi offrirono cifre da capogiro, negli anni successivi alla mia disavventura. Dissi sempre no. Sempre e solo no».

Finì anche in cella di isolamento, giusto?

«Sì. Quando mi arrestarono soffrii molto. Pensavo a mio figlio e all’assurdità della situazione che stavo vivendo. Era tutto così insensato. Non sapevo come fosse un carcere, né come funzionava, come comunicare, come chiamare il personale in caso di bisogno, se poteva venire mia madre a trovarmi, se potevo vedere la famiglia. Avevo un groviglio nella testa, un cuore lacerato. Non potevo continuare senza sapere niente. Appena arrivata mi affacciai dallo spioncino blindato per chiedere se ci fosse qualcuno. Silenzio. Non sapevo cosa pensare, cosa fare. Ebbi subito una crisi di nervi. Cominciai ad urlare a piangere, ma non vidi comunque nessuno. Passai attimi che non auguro a nessuno».

Poi cosa successe?

«Dopo aver pianto, mi girai. Vidi un volto amico nella cella. Subito pensai: “Sarà entrato mentre urlavo”. Lui mi guardava e non parlava, pensai che gli facevo pena. Non mi ricordavo dove l’avevo conosciuto. Aveva capelli lunghi, barba, baffi, una tunica bianca con un mantello rosso. Allora per non fare una brutta figura cominciai a riflettere su dove l’avessi mai visto. Pensai “è venuto dall’India” basandomi sul suo l’abbigliamento. O forse dall’Inghilterra. Non riuscii a ricordarlo. Ad un certo punto sentii una voce potente che diceva questo: “Non tutto il male viene per nuocere. Di lì a poco sentii tremare tutto, poi un gran senso di pace».

Un “tipo” che poi ha rivisto spesso

«Una settimana dopo l’interrogatorio col giudice, lasciai la cella d’isolamento per andare al terzo piano con tutte le altre detenute. Appesa sul muro scorsi l’immagine di quel tipo che era venuto a trovarmi. Allora chiesi chi fosse. “E’ Gesù”, mi fu risposto in coro. Scusate, dissi io, ma “Gesù non era un bimbo piccolo in braccio alla Madonna?”. “Sì, certo ma poi è cresciuto” mi risposero le detenute, mettendosi tutte e ridere. Lì mi prese uno sgomento. Volli andare dalla psichiatra per chiederle se fossi impazzita, magari con il trauma dell’arresto. Parlammo tre ore, mi fece sentire normale. E mi diede delle pillole».

Fu quello l’inizio della sua conversione?

«Ripensando intensamente all’incontro fatto in cella d’isolamento, capii che quel tipo era davvero Gesù. E a volte quella che può sembrare una disgrazia è una salvezza. Da quel giorno mi trovai sempre al posto giusto, con la persona giusta. E alla fine pensai che l’arresto era stata, la fortuna più grande che mi era mai capitata perché da lì iniziò la mia vita. Quella vita finalmente dal senso profondo. Lasciai definitivamente lo spettacolo e iniziai il mio cammino spirituale. Dissi addio a tutto: ricchezze, gioielli, firme, feste, festini, saloni di bellezza, vita sregolata, follie, false luci, discoteche, palestre e un miliardo di altre cose per incontrare spiritualmente colui che mi aveva consolato quando ne ebbi bisogno. Oggi sono 35 anni che lo seguo. Insomma, sì, la mia Fede è iniziata in un carcere femminile e in un momento inaspettato e atroce della mia vita. Dal 1985 sono cattolica praticante».

Che progetti ha, oggi, Paola Senatore?

«Vorrei tradurre la mia esperienza in qualcosa da far vedere agli altri. Vorrei dargli voce attraverso un film, curandone la regia. Una storia di vita dentro un piano celeste. Le testimonianze arricchiscono ogni persona e quando c’è una vera conversione vuoi solo raccontarla a tutti perché vuoi che tutti siano felici. Vorrei che altri si confrontassero con quello che ho vissuto io. E sa perché? Perché il mio vissuto, la mia conversione, possono essere di tutti».



di Silvia Maria Dubois

5 novembre 2019

FONTE: Corriere della Sera


E' sempre bello raccontare storie di Conversione, e questa mi è capitata sotto lo sguardo quasi per caso.
E' bello constatare come Gesù possa divenire il "centro" della nostra vita da un momento all'altro, anche se fino ad allora si era vissuta una vita lontano da Lui. E' quello che è successo a Paola Senatore, ed è quello che succede a una moltitudine di persone in ogni momento ed in ogni parte del mondo. Perchè, come la stessa Paola dice: "La conversione, può essere di tutti".
E con questa bella storia di Conversione, auguro a tutti un sereno e felice S. Natale con Gesù Cristo al centro del proprio cuore.

Marco

martedì 17 dicembre 2019

Sorbolo Mezzani Coenzo, nasce il rifugio per le mamme sole di Parma e Reggio


Ha aperto a Coenzo di Sorbolo Mezzani il “Rifugio Maria Consolatrice”, un luogo che potrà accogliere madri sole con figli che si trovano a dover affrontare un momento di difficoltà in un'area di riferimento che è quella delle province di Parma e Reggio. La struttura – realizzata dalla cooperativa Co' d'Enza onlus, recuperando un edificio che ospitava il vecchio asilo della frazione – potrà ospitare quattro nuclei familiari madre-figli. L'inaugurazione è avvenuta alla presenza delle suore della Congregazione di Maria Consolatrice, che per cinquant'anni hanno gestito casa di riposo ed asilo, e rappresentanti dalle istituzioni e dei servizi sociali, realtà con cui il Rifugio sarà in stretto contatto. «Chi affronta un momento di difficoltà qui troverà accoglienza – hanno dichiarato le suore della Congregazione – come sempre è stato in una comunità attenta come quella coenzese». Aspetto sottolineato anche dal sindaco di Sorbolo Mezzani Nicola Cesari: «Coenzo stupisce sempre per voglia di fare ed impegno». Presente anche il consigliere regionale Massimo Iotti: «La regione è vicina a chi realizza progetti come questi». L'assessore ai Servizi sociali Sandra Boriani ha sottolineato «la passione ed il cuore con il quale Co' d'Enza opera sul territorio». Infine il presidente della cooperativa Boris Donelli: «Ci impegniamo per garantire il necessario aiuto alle persone in difficoltà».

c. cal

FONTE: Gazzetta di Parma

lunedì 16 dicembre 2019

È nata ufficialmente la fondazione in memoria di Nadia Toffa


In memoria di Nadia Toffa, la presentatrice scomparsa quest’anno per un tumore, nasce una fondazione che si occuperà proprio di salute, ambiente e sociale.

A Brescia è stata ufficialmente presentata la fondazione in ricordo di Nadia Toffa che si occuperà di salute, ambiente e servizi sociali, come avrebbe voluto la donna, sempre impegnata per il bene degli altri e la ricerca della giustizia. A parlarne è stata la mamma dell’ex presentatrice de Le Iene, scomparsa quest’anno nel mese di agosto dopo una lunga lotta contro un tumore che lei raccontava sui social senza alcun tabù. La signora Margherita Rebuffoni ha così voluto illustrare, insieme al marito e alle altre due figlie, le finalità benefiche dell’associazione, alla presenza anche del sindaco bresciano Emilio Del Bono.

Salute, ambiente e sociale: su questi tre temi si concentrerà la Fondazione Nadia Toffa e sono già stati individuati i primi destinatari delle future attività. Il primo sarà infatti l’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, dove Nadia è stata anche in cura, e a seguire saranno svolte delle attività nel reparto di oncoematologia pediatrica dell’ospedale Annunziata di Taranto e collaborazioni con alcune associazioni che operano nel territorio della Terra dei fuochi. “Nadia nella sua vita si è sempre battuta per far sentire la voce di chi non viene ascoltato - ha detto la mamma Margherita durante la presentazione a Palazzo Loggia - per portare alla luce questioni lasciate ai margini e per dare un aiuto concreto. Con questi stessi valori diamo vita alla fondazione”.

Il prossimo evento benefico si terrà il 15 giugno al museo Santa Giulia di Brescia e tutti i fondi raccolti saranno devoluti interamente a favore dei ricercatori che s’impegnano ogni giorno per trovare nuove cure possibili contro il cancro.
Ringraziando tutti gli intervenuti, la mamma di Nadia Toffa ha salutato dicendo:
Mai mi sarei aspettata così tanto sostegno dopo la morte di Nadia.

FONTE: R 101

martedì 10 dicembre 2019

Il nonno anziano è a letto e ammalato.... il piccolo nipote si prende cura di lui


Due piccoli, semplici fotogrammi... ma che toccano veramente il cuore!
Il nonno anziano è a letto ed è ammalato.... e il suo nipotino, un bambino di pochi anni dalle immagini che si vedono, si prende cura di lui, dandogli da mangiare, imboccandolo con amorevole cura e pazienza.
Chi sia il nonno e chi sia il bambino non è dato di saperlo.... quello che è certo però, è che l'immagine è veramente bella, delicata, piena di significati.... e ci dice, semmai ce ne fosse ancora bisogno, del grande cuore che hanno i bambini! Veramente, non è mai troppo presto ne mai troppo tardi per Amare veramente!

Marco

 9 giugno 2019

FONTE: Retenews 24

lunedì 9 dicembre 2019

Roma, a 90 anni cucina per 250 senzatetto al giorno: ecco chi è lo "Chef dei poveri"


L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), nello State of Food and Agriculture 2019, pubblicato il 14 ottobre 2019 – denuncia che il 14% del cibo presente nel mondo viene scartato e diviene immangiabile, ancora prima di arrivare nei negozi e nei supermercati. Ma molte altre sono le tematiche nella Giornata Mondiale dell’Alimentazione (World Food Day) come la fame nel mondo e la sicurezza alimentare, nel senso di nutrirsi in modo sano e ecosostenibile.

Fra i piccoli grandi attori che da anni combattono lo spreco del cibo e la fame dei più poveri c’è il 90enne Dino soprannominato "lo Chef dei Poveri". Da più di 10 anni sfama più di 250 senzatetto e poveri presso le stazioni ferroviarie di Roma.


Chi è lo “Chef dei poveri”

L’89enne Dino Impagliazzo casualmente, da un caffè donato ad un senzatetto, da più di dieci anni sfama più di 250 senzatetto al giorno, trascinando nel suo progetto senza fine di lucro, 350 volontari e 27.000 pasti serviti ogni anno. Dino è conosciuto a Roma come "lo chef dei poveri". Confida Impagliazzo: “Ho anche avuto l’occasione di incontrare Papa Bergoglio, di salutarlo da parte di tutti i barboni di Roma e di invitarlo a servire la mensa dei poveri assieme a noi”.

Un povero, nei pressi di una stazione ferroviaria, chiede al signor Dino un caffè e Dino intuisce che questa persona, al di là del caffè, ha bisogno di mangiare e di una relazione. Nelle stesse parole di Dino: “Ho pensato che era il giorno del Signore, Domenica, come posso ignorare questa persona che poi in fondo è mio fratello?”.

Il Signor Impagliazzo viene a sapere che la mensa non porta da mangiare ogni giorno nella stazione ferroviaria. Così Dino chiama amici, vicini di casa, e il passaparola si allarga a conoscenti comuni che intendono dare una mano. La moglie Fernanda è il primo aiuto di Dino e poi si comincia a distribuire panini, quindi si passerà a offrire pasti caldi, rispettando le religioni e le preferenze di ognuno. La metà dei poveri sono italiani, l’altra metà è proveniente da altre nazioni. Gli italiani sono figli di storie sfortunate, ma anche tante persone che ieri avevano una vita normale e oggi si ritrova sulla strada per via di un divorzio o per la perdita del lavoro. L’altra metà arrivano in prevalenza dall’Europa dell’Est e dal Nord Africa.

Da pochi amici, si passa a centinaia. Racconta Dino Impagliazzo ancora emozionato: “Acquistavo allora molti panini per poterli farcire per questi nostri amici senzatetto e il commerciante, notando tale quantità di pane, mi chiede per chi fossero. Gli risposi che i panini erano per alcuni senzatetto che vivono nei pressi della Stazione Tuscolana e che noi sfamiamo. Il commerciante da quel momento ci offre gratuitamente il pane per i nostri poveri e da allora è un nostro stretto collaboratore”.

Associazione RomAmor Onlus

Oggi i volontari che aiutano Dino sono 350 persone, aiutano quotidianamente per la raccolta dei cibi presso i centri commerciali, la logistica, la preparazione e la consegna dei cibi. Dino è il presidente dell’Associazione RomAmor Onlus. Dino è un po’ il papà di tutti. Dino è riuscito inoltre a costruire una rete di assistenza per i poveri e senzatetto, un servizio medico, di istruzione e degli alloggi per ospitare le persone che momentaneamente non hanno una casa.

Dino Impagliazzo è stato recentemente insignito del Premio Cartagine 2.0, ha incontrato Papa Francesco invitandolo a servire la mensa dei barboni e il noto personaggio televisivo Chef Rubio ha visitato la mensa di Dino, cucinando con lui.


16 ottobre 2019

FONTE: Il Corriere della Città

venerdì 6 dicembre 2019

«E' Tua Madre che li fa entrare»

«Un giorno nostro Signore, facendo un giro in Paradiso, vide certe facce equivoche e ne chiese spiegazione a San Pietro: “Come mai sono riuscite a entrare qua dentro? Mi pare che tu non sorvegli bene la porta”. Pietro, tutto mortificato, rispose: “Signore, io non ci posso fare niente”. E Gesù: “Come non ci puoi fare niente? La chiave ce l'hai tu. Fa' il tuo dovere, sta' più attento”.»

«Dopo qualche giorno, il Signore fa un altro giro e vede altri individui dalla faccia poco raccomandabile. “Pietro, ho visto certe altre facce, si vede che tu non controlli bene l'entrata”. E Pietro: “Signore, io non ci posso fare niente e non ci puoi fare niente neanche Tu”. E il Signore: “Neanche Io? Oh, questa è grossa!”. “Sì, neanche Tu” ribatté Pietro: “Tua Madre ha un'altra chiave. E' Tua Madre che li fa entrare”.»




Questa storiella veniva raccontata spesso da Padre Pio, tanto che qualcuno la attribuisce proprio al Santo di Pietrelcina. Ma che sia sua o di qualcun altro ha poca importanza: è bella, semplice, e nella sua schiettezza popolare mette chiaramente in risalto la grande Misericordia della Santa Madre di Dio nei confronti di noi uomini, figli Suoi, compresi i “meno raccomandabili” e peccatori.
Questo è l'immenso Amore della Madonna verso tutti quanti noi!

Marco

mercoledì 27 novembre 2019

Un dono per Filippo


Il piccolo Filippo di 7 mesi non ha più un donatore. E aspetta un trapianto di midollo osseo

Il piccolo Filippo di 7 mesi che vive a Cusano Milanino, in provincia di Milano è affetto da una malattia rara la lifostiocitosi emofagocitica.

Questa malattia non è curabile con farmaci, ma solamente con un trapianto di midollo osseo, che avrebbe dovuto essere fatto, tra qualche giorno, ma purtroppo non sarà possibile farlo.

La donatrice che era stata precedentemente individuata, non è più disponibile, e come prevede la privacy non si può sapere il motivo, ma le motivazioni potrebbero essere molte.
A questo punto sarà necessario trovare un altro donatore perfettamente compatibile, anche se non sarà facile.

Solo nella regione della Lombardia si erano presentate mille persone per la donazione. Ora bisognerà iniziare di nuovo dall'inizio la ricerca. Il caso è seguito da ADMO Associazione Donatori di Midollo Osseo. E' possibile anche seguire la sua storia sulla pagina di Facebook: "Un dono per Filippo"

21 novembre 2019

FONTE: Amore di mamma

venerdì 22 novembre 2019

Gennaro, infermiere napoletano e tenore, che canta per i suoi pazienti anziani e malati


La storia di Gennaro, l’operatore sanitario, tenore, ha fatto il giro della rete arrivando fino in televisione, perchè Gennaro, appassionato di musica e tenore, allieta i suoi pazienti anziani anche a suon di musica

Gennaro Guerra è un operatore socio sanitario, un OSS che lavora presso l’Rsa Padre Annibale di Francia, a Napoli, oltre al suo lavoro, Gennaro ha un’altra grande passione, la musica, infatti è un tenore, e questa sua abilità la utilizza per allietare e alleviare le giornate degli anziani ricoverati presso la casa di riposo.

Così, è cosa normale e risaputa che quando si entra nell’ RSA si può sentire qualcuno che canta brani popolari e neomelodici di musica napoletana, ed è proprio Gennaro che girando per i corridoi e per le sale, si cimenta in qualche canzone per rallegrare e svagare le menti nostalgiche.

Magari si trova a cantare una canzone che ad una paziente ricorda il suo primo amore, o per un altro paziente quella che lo riporta indietro agli amici d’infanzia, e gli anziani lo seguono nella musica, cantando insieme, in allegria e godendosi qualche momento di spensieratezza.


Gennaro racconta:

La musica, oltre ad essere un antidolorifico è un buon antidoto contro la depressione e la solitudine a cui molto spesso vanno incontro gli anziani ricoverati nelle case di riposo, che si rallegrano e rianimano sulle note delle loro canzoni preferite”. Con "O surdato nnammurato", "Funiculì funicolà", "Reginella", appaiono sorrisi e voglia di cantare o godere della voce del tenore.

il suo obiettivo e la sua passione è poter dare sollievo attraverso la musica e la sua voce agli anziani ricoverati, perchè gli anziani sono una memoria storica, una fonte preziosa per la nostra cultura e sono anche i progenitori della nostra società e dei nostri diritti, per questo donare un sorriso, una risata e una canzone può essere un piccolo gesto di grande importanza.

Gennaro si impegna non solo prestando la sua voce, ma soprattutto entrando in relazione con gli anziani, apprezzandoli e rispetta la loro vita e la loro storia.

Ormai nell’ospedale lo apprezzano tutti ed è talmente amato dei pazienti che spesso medici ed infermieri quando si trovano a curare un paziente difficile, che sia un anziano o un bambino, chiamano lui, che arriva e per tranquillizzarli intona una canzone, appena inizia a cantare "il gioco è fatto" come racconta lo stesso Gennaro

Tutti i pazienti vogliono raccontare la loro esperienza con la musica di Gennaro, c’è chi racconta di essersi rianimato sentendolo cantare, chi dice che Ogni volta che viene, tiene allegro tutto il reparto, mentre una collega commenta il gesto di un‘anziana, che appena il tenore ha iniziato a cantare si è alzata dal letto per ballare:

Vedi la musica cosa fa? Fa alzare i pazienti dalle sedie”.

Gennaro è divenuto tanto popolare che proprio i suoi pazienti hanno voluto fargli una sorpresa, iscrivendolo lo scorso anno ad Italian’s Got Talent, un talent show di Sky in cui il tenore si è esibito incantando la platea, con indosso la divisa da lavoro, perchè la sua passione per il canto non può prescindere dalla voglia di aiutare e rallegrare i suoi anziani.

15 febbraio 2019

FONTE: Positizie.it

lunedì 18 novembre 2019

I genitori di Ginevra, la bimba di Melito operata in Germania: “Continuate ad aiutarci”


La piccola ha voglia di tornare presto a casa

HANNOVER – In queste ore sta facendo commuovere in tanti la foto della piccola Ginevra, postata dai genitori. La piccola nonostante, le normali, complicazioni post interventi accenna tutta la voglia di ristabilirsi per tornare a casa. Per far si che ciò avvenga i genitori hanno chiesto lanciato un nuovo appello d’aiuto, che siamo certi non resterà inascoltato.

I genitori hanno scritto:
Buongiorno a tutti: Ginevra sta bene… a parte complicazioni post operatorie già preventivate (vista la sede della lesione) che comunque sono sotto monitoraggio 24 ore su 24 dai meravigliosi medici della INI.
Purtroppo sono complicazioni di primaria importanza, a livello endocrinologico, ed i medici… stanno lavorando tanto, affinché la situazione divenga stabile, che di conseguenza possa portare alla tanto attesa dimissione dalla clinica.
Dopo le dimissioni a data ancora da destinarsi per le problematiche sopra citate, dovremo rimanere ancora qui ad Hannover per circa due settimane (su decisione dei medici che seguono Ginevra che trova tale decisione d’accordo anche noi genitori)… ed ovviamente le spese fino ad ora affrontate... subiranno un incremento (alloggio, mangiare, auto, vari controlli giornalieri da fare sempre alla INI, biglietti di ritorno, ecc…).
Quindi fino a che non si raggiungerà una stabilità endocrinologica sicura, dovremo restare qui, per il bene di Ginevra, e per una sua assoluta sicurezza!
La fattura finale da parte dell’amministrazione della clinica INI, sarà di conseguenza maggiorata, e la maggiorazione sarà abbastanza importante!
Vi chiediamo di non demordere dall’aiutarci ancora, e di primaria importanza….. continuate a PREGARE incessantemente!
Ringraziamo tutti di ❤️ come fatto fin ora, e confidiamo sempre nel buon Dio e nella vostra umana compiacenza!!!
Vi abbracciamo forte, ma soprattutto vi manda un 😘 enorme la nostra GUERRIERA Ginevra.
Con incondizionato affetto….
Fabio e Stefania…. genitori di Ginevra.


Se volete ancora aiutarci utilizzate la poste pay mia, papà di Ginevra:

FABIO MAZZEI
Codice iban: IT08J3608105138200773000781

Oppure ricarica Postepay N. 5333171095901605
Inestatato a FABIO MAZZEI
Codice.fisc. MZZFBA78A10F839R
Causale: DONAZIONE PER GINEVRA!!!”



di Giovanna Iazzetta

15 novembre 2019

FONTE: Il Meridiano news


Questo appello si collega direttamente con l'articolo postato qualche giorno fa sulle pagine di questo blog.
La piccola Ginevra ha appena subito un intervento delicatissimo per rimuovere un tumore al cervello, intervento che, grazie a Dio e alla preghiera di tante, tante persone, è andato bene. Ma la bambina ha ancora bisogno dell'aiuto di tutti quanti noi, di tanta preghiera e, se possibile, anche di un aiuto materiale. Chi volesse aiutare materialmente la bambina e la sua famiglia lo può fare donando il proprio contributo alle coordinate sopraindicate.
Come sempre, tante gocce formano l'oceano, e noi possiamo essere quell'oceano di Amore e Solidarietà che possono permettere il completo recupero di questa coraggiosa bambina, tanto desiderosa di poter tornare a casa e di vivere la sua vita.
Un sentito "grazie" di vero cuore a tutti coloro che vorranno aiutarla.

Marco

venerdì 15 novembre 2019

Ginevra, le prime parole dopo l’intervento: “Gesù mi ha detto di non avere paura”


Quando ero in sala operatoria mi teneva la mano Gesù, mi ha detto di non avere paura e che tutto andrà bene”. A raccontare la testimonianza di fede di Ginevra Mazzei, la bimba di Melito operata di tumore al cervello ad Hannover, in Germania è il papà, Fabio, attraverso un post apparso in queste ore su Facebook.

Ginevra dopo l’operazione: “Gesù mi teneva la mano”

Questa mattina ci ha detto una cosa che ci fa essere ancora ottimisti – ha spiegato il papà sul social. – Ha detto a mia moglie e a mia suocera che Gesù le teneva la mano. Voglio condividere con voi questo messaggio dell’Onnipotente, di Gesù nostro Signore”.

Le sue condizioni

Poi, ha aggiornato gli utenti della rete sulle condizioni della piccola: “Le sue condizioni, anche se lentamente migliorano. Ci vuole tempo ma noi aspettiamo con pazienza e abbiamo fede in Cristo. Non posso, come mio solito, ringraziare questi meravigliosi medici e infermieri – ha aggiunto il padre di Ginevra. – L’equipe sta lavorando incessantemente in questa struttura, dove svolgono il loro lavoro con competenza e professionalità. Ovviamente il prof, come sempre, monitora la piccola anche se non è presente e non mi stanco di ringraziarlo di cuore”, ha concluso Fabio, papà della piccola di Melito, su Facebook.

3 novembre 2019

FONTE: Teleclubitalia.it

lunedì 4 novembre 2019

La violoncellista che suona in ospedale per i malati terminali


La musica come cura di anima e corpo. Così Claire Oppert, una famosa violoncellista francese allieta i pazienti ricoverati in ospedale

La musicista Claire Oppert da anni fa visite settimanali all’ospedale Sainte-Perine di Parigi portando con sé il suo violoncello e regala un piccolo concerto ai malati, suona nella sala comune, oppure affianco al letto dei pazienti del reparto di oncologia e di cure palliative, ogni settimana nuovi grandi classici, per alleviare le sofferenze di chi è ricoverato.

I compositori preferiti di Claire sono Franz Schubert e Johann Sebastian Bach, ma ha inserito nel suo repertorio anche Mozart, Brahms, Maghreb e molti altri, a seconda di quello che il suo pubblico, quello dei pazienti, gli chiede di suonare.

Le persone per cui suona solo solitamente malati terminali o persone che stanno vivendo grandi sofferenze, fisiche e psicologiche, e la musica classica aiuta ad alleviare il dolore, trasporta per qualche ora in un’altro mondo, cullati dalle note dei grandi classici, si risolleva l’animo e lo spirito.

Nonostante sia una musicista professionista e stia girando il mondo con il suo strumento, la violoncellista ha un appuntamento fisso con il suo pubblico speciale, ogni venerdì, in ospedale, ormai sia per i pazienti che per il personale medico ed infermieristico, è diventato un appuntamento a cui non si può mancare.


Claire la considera una missione di vita, infatti quando era piccola voleva essere un "medico-musicista" e unire le sua grandi passioni, quella per la musica e quella per curare le persone e fare del bene. Così, pur avendo poi scelto una sola carriere tra la due, ovviamente quella di musicista, non ha mai perso la voglia di fare del bene agli altri attraverso la sua arte, la musica, ed attraverso il potere che questa può esercitare su chi la ascolta, rilassare, tranquillizzare, fare volare lontano con l’immaginazione.

Jean-Marie Gomas, coordinatore del Centro del dolore cronico e di cure palliative racconta:
Quando i pazienti la vedono entrare, si rilassano. Le domandano di suonare Schubert o Mozart e lei le esegue perfettamente. La sua musica, oramai, è un’arte con funzioni terapeutiche”.

E' stato proprio lui ad essere uno dei principali fautori di questa iniziativa che poi via via è stata seguita ed apprezzata da tutto lo staff medico, che aspetta il Venerdì pomeriggio per ascoltare nei corridoi, tra un paziente e l’altro, risuonare leggiadre le note del suo violoncello.

Una bellissima iniziativa, che unisce la passione per la musica all’amore per gli altri.
Complimenti a questa musicista dal cuore grande!

21 maggio 2019

FONTE: Positizie.it

venerdì 11 ottobre 2019

Padre Mychal Judge, un francescano tra le vittime dell'11 settembre


Tra i primi ad accorrere dopo il crollo delle Torri Gemelle anche padre Mychal Judge, cappellano dei pompieri di New York: dà l’estrema unzione a un pompiere gravemente ferito. Ed è proprio in quel momento che lui stesso trova la morte

Due torri che cadono, un mondo che crolla. Il segno profondo di un’epoca che cade su se stessa. La polvere che si alza – tutti l’abbiamo bene in mente – diventa, quell’11 settembre di 18 anni fa, metafora di un mondo che non vedremo più, sommerso da detriti e polvere. Roventi lamine di acciaio, confuse con dei corpi che, prima delle 8.50 del mattino, erano padri, madri, figli. Il primo aereo si schianta su una delle torri del World Trade Center. Padre Mychal Judge, frate francescano e cappellano dei pompieri di New York, si lancia a bordo dell'autobotte n. 1 sulla 31esima strada. Deve correre per dare l’estrema unzione a un pompiere gravemente ferito. Ed è proprio in quel momento che lui stesso trova la morte, diventando la vittima n. 0001 (tra i religiosi) della grande tragedia americana che segnerà, per sempre, la Storia mondiale.

Il frate francescano era sempre vicino agli ultimi, agli emarginati della Grande Mela. Si occupava molto dei giovani, dei dipendenti da alcool e droga. Era un servo di Dio che viveva il suo ministero per gli altri. L’11 settembre va ricordato. Sempre. E il comune più antico della Costiera Amalfitana, Scala, ricorda da sedici anni quel tragico evento in cui morirono 2.896 persone con la manifestazione «Scala incontra New York». Un evento commemorativo che sottolinea la sete di pace e armonia presente nel cuore di ogni uomo. L’uomo è stato creato non per la guerra, non per la morte, ma per la Vita, la Pace, e l’Amore. Il cuore dell’uomo è un abisso, uno scandaglio, in cui albeggia sempre – anche nelle notti più buie – il bene. E, continuare ad affermare questo, credo sia importante nei tempi oscuri che stiamo vivendo.

Una distesa di umanità, vittima di una sola parola: «odio», di un «io» che continuamente fugge dalla lotta con sé stesso, incapace di accettare e vincere quell’aura oscura, che è l’unica strada possibile per giungere alla personale consapevolezza. È il male del nostro secolo, ed è per questo motivo che è importante ricordare quella data. «Scala incontra New York» – unico evento italiano, a distanza di anni, a ricordare l’immane tragedia – ha voluto ribadire che è possibile un Mondo diverso. Il Paradiso è possibile costruirlo qui, su questa terra. Se tutti lo vogliamo. L’11 settembre è stato il primo grande tragico evento «in diretta» a cui abbiamo assistito. Fino ad allora, un numero di morti così grande, lo avevamo studiato solo sui libri di scuola. Quel giorno, invece, lo abbiamo vissuto dal vivo, con le telecamere di tutto il mondo, puntate su torri gemelle.

Oggi, siamo spettatori, di un’altra tragedia. E anche questa, ci viene proposta giornalmente da tutti i mass media. Altri numeri. Non c’è nessun aereo, nessun grattacielo, nessuna polvere. Ma solo acqua. E l’acqua non fa rumore. Inghiotte in silenzio. Anno 2014, gli arrivi degli immigrati, sulle nostre coste, sfiorarono quota 300 mila e i morti furono 3538 (dati Unhcr). Anno 2015, i morti, furono 3.771. Il 2016, l’anno più buio, 5.096 furono i morti e poco meno di 400 i cadaveri recuperati. Il 2017 ha visto 3139 dispersi in mare, e i corpi che ci furono restituiti furono solo 210. Ultimo dato, quello del 2018: i morti sono stati 2023. Numeri, anche questi. Tragici, disumani, che lasciano l’amaro in bocca. E lasciano tanto silenzio, tanto sconforto davanti alla disumanità. Proprio come quell’11 settembre di 18 anni fa. Quel giorno si disse: «Siamo tutti americani». Oggi, possiamo e dobbiamo dire: «Siamo tutti uomini sulla stessa barca».

di Padre Enzo Fortunato

11 settembre 2019

FONTE: Corriere.it


Esattamente un mese fa, come ogni 11 settembre di ogni anno, non sono mancate ricorrenze e manifestazioni in ogni parte del globo volte a ricordare quel tragico giorno di 18 anni fa, in cui tutto il mondo ha assistito attonito al più grande atto di terrorismo mai perpetrato prima d'ora. Ed è giusto e sacrosanto che sia così, perchè certe cose devono rimanere vive nella memoria dell'uomo affinchè non abbiano mai più a ripetersi!
Con questo post ho voluto ricordare la meravigliosa figura del frate francescano padre Mychal Judge, cappellano dei pompieri, che perse la vita quello stesso giorno mentre stava compiendo la sua missione di uomo di Dio. Ma volevo ricordare anche tutto l'operato dell'intero corpo dei pompieri dove, in quel tragico giorno, in molti persero la vita nel cercare di salvare quante più vite umane fosse possibile. E non solo in quel giorno ma anche nei giorni, settimane, mesi e anni successivi, a causa dell'inalazione massiccia e tossica delle polveri rilasciate dal tragico crollo dei due grattacieli.
Noi si potrà mai ricordare abbastanza questi uomini coraggiosi così dediti al proprio lavoro, che è una vera e propria missione, non solo in quel giorno, ma sempre, in ogni luogo e in ogni situazione. Onore e merito ad ogni uomo che sceglie nella propria vita di diventare un pompiere, lavoro nobilissimo e rischioso, al servizio del prossimo per il bene di tutta la società. A voi tutti va il mio "Grazie" più sentito e riconoscente.

Marco

martedì 20 agosto 2019

Le suore che salvano gemelli e disabili dalla morte


Nell’ex colonia portoghese con capitale Bissau c’è la diffusa consuetudine, dettata dalla superstizione, di abbandonare il primo nato di due gemelli e anche i bimbi disabili, spesso lasciati morire nella foresta. È in tale contesto che agiscono le Suore Benedettine della Divina Provvidenza e le Missionarie dell’Immacolata, la cui opera è fondamentale per custodire queste vite indifese.

Se venire al mondo in Guinea-Bissau non è facile, lo è anche di meno per i nati da parto gemellare. Nell’ex colonia portoghese, infatti, continua a essere presente la consuetudine di abbandonare il primo nato di due gemelli, spesso lasciandolo morire nelle aree paludose della foresta o sulle rive del fiume.

Non a caso, da una ricerca realizzata dall’Odense University Hospital sull’andamento demografico nella capitale del Paese africano nel periodo tra il 2009 e il 2011, è emerso come i gemelli avessero una mortalità perinatale molto elevata, tre volte superiore a quella dei singoli. Una situazione legata alla sopravvivenza di credenze ancestrali che identificano questa categoria come portatrice di pericoli e sventure. Alla luce di queste rappresentazioni culturali dure a scomparire, queste esistenze vengono lette come un’incognita nel rapporto tra l’umano e il divino, da "risolvere" con l’alienazione o l’eliminazione fisica.

L’usanza continua a essere praticata nelle società Balanta e Mansoanca, dove questi bambini vengono spesso considerati posseduti da spiriti maligni, gli “iran”. La stessa sorte è riservata ai nati con disabilità, anch’essi ritenuti posseduti e per questo abbandonati nella foresta, dove vanno incontro a morti orribili; o sbranati dagli animali o uccisi nel corso di cerimonie rituali. In questi casi, le madri, per l’ostracismo della comunità in cui vivono, sono condotte a consegnare i propri figli nelle mani degli stregoni del villaggio.

Ci sono storie, però, di donne più forti delle superstizioni che, con coraggio, sono riuscite a salvare i loro pargoli da questa fine atroce: è il caso di Nita che riuscì, attraversando un fiume in canoa da sola, a portare in salvo la sua bambina nata senza una gamba e con una mano malformata, affidandola alle cure di una suora in missione. Oggi la piccola, arrivata in Sicilia con l’aiuto dell’associazione “Amici della Missione” di Acireale, ha 11 anni e grazie alle cure del Centro ortopedico Ro.Ga. di Enna ha imparato a camminare e persino a ballare.

Vicende come quest’ultima aiutano a comprendere l’importanza dell’azione missionaria della Chiesa, impegnata a difendere, per citare le parole che san Giovanni Paolo II ebbe a pronunciare nel 1990 proprio a Bissau, “l’inviolabile dignità della persona umana, in modo che tutti siano portati a riscoprirla alla luce del Vangelo”. È quello che fanno le Suore Benedettine della Divina Provvidenza che, nella città di Catió, si occupano di accudire nel Centro nutrizionale della missione i piccoli abbandonati, perché gemelli o disabili, o aiutano nell’allattamento e nell’istruzione quelle madri che hanno scelto, invece, di tenerli e crescerli nonostante i pregiudizi. Quest’attività viene affiancata da corsi di formazione rivolti alle donne dei villaggi vicini, con lezioni anche sulla disabilità e sulla gemellarità per sfatare le credenze popolari che sono all’origine della pratica degli infanticidi.

Un’altra realtà importante che agisce a difesa della vita in un Paese dove ignoranza diffusa, estrema povertà e instabilità politica rendono non poco complicata quest’opera, è rappresentata da Casa Bambaran a Bissau. Si tratta di una struttura gestita dalle Missionarie dell’Immacolata dove trovano accoglienza quei bambini strappati a una morte sicura perché disabili o gemelli nati per primi. Il centro, situato nella periferia della capitale, prende il nome dal tessuto che le donne africane utilizzano tradizionalmente per avvolgere i neonati. Qui i bambini abbandonati nelle strade e nelle foreste hanno la possibilità di iniziare un percorso scolastico e vengono aiutati, grazie a una sviluppata rete di contatti con le parrocchie, a trovare famiglie disposte a prenderli in affido.

La presenza della Chiesa cattolica costituisce in molti casi, come abbiamo visto per la storia di Nita e della sua piccola nata con una malformazione, l’unica opportunità di sopravvivenza per questi piccoli non accettati dalle comunità d’appartenenza per la loro "diversità".

Un argine contro quella cultura dello scarto che in questo caso specifico continua a fare vittime a causa della persistenza di credenze ancestrali, ma che negli ultimi decenni si vorrebbe ulteriormente rivitalizzare in Africa attraverso quella che Francesco chiama “colonizzazione ideologica” e che passa mediante la promozione di pratiche contro la vita come, ad esempio, l’aborto selettivo.

di Nico Spuntoni

4 agosto 2019

FONTE: La nuova Bussola Quotidiana


E' tristissimo vedere come, ancora nel 21° Secolo, debbano esistere in certe parti del mondo culture e credenze così macabre che portano alla morte un gran numero di piccole creature innocenti. Ma, grazie al Cielo, esistono i missionari, queste anime "belle" che si occupano di salvare questi bambini da questi assurdi infanticidi, causa di una mentalità retrograda e nefasta.
Non si potrà mai ringraziare abbastanza l'opera dei missionari nel mondo, uomini e donne che dedicano tutta la loro vita a favore dei più poveri, degli indifesi, degli anziani, dei malati, dei bambini.... per Amore loro e a Gloria di Dio. Da parte mia, posso solamente dire, con tanta gratitudine e riconoscenza, il mio più sentito "Grazie".

Marco

giovedì 15 agosto 2019

Ferie donate per la piccola Elisa


Alcuni dipendenti dell'ospedale di Pordenone hanno scelto di convertire i giorni accumulati e aiutare la famiglia della piccola. La bimba malata di leucemia ha appena compiuto 5 anni. Il grazie della mamma: “Un gesto che riempie i nostri cuori”

AZZANO

Anche l'ospedale Santa Maria degli Angeli di Pordenone aiuta la piccola Elisa grazie alle ferie solidali. Si tratta di giorni di ferie donati a titolo gratuito e volontario dai dipendenti.

L'INIZIATIVA

Il grazie di mamma Sabina e papà Fabio è enorme; nella speranza di non essere lasciati soli in questo lungo viaggio. Per chiedere le ferie solidali ci sia un iter burocratico da seguire, con relativa richiesta da presentare al datore di lavoro, ogni volta che vengono raggiunti i 30 giorni donati. A parlare è la mamma, Sabina Maria, che racconta di Elisa che ha appena compiuto 5 anni (il terzo compleanno di fila in ospedale) poiché colpita da una leucemia rarissima, la miclomonocitica infantile. “Volevo permettermi di ringraziare veramente con tutto il cuore i colleghi dell'ospedale Santa Maria degli Angeli di Pordenone e tutta l'Azienda 5 del Friuli Occidentale. Infatti ho saputo che mi stanno aiutando, donandomi le ferie solidali grazie a una nuova legge entrata in vigore lo scorso aprile – afferma Sabina -. Chi vorrà potrà donare da un minimo di un giorno al massimo di 8 giorni spalmandoli in vari mesi e la donazione sarà anonima. Ringrazio anche perché ho appena finito l'aspettativa di due anni. Un saluto e un caloroso abbraccio in particolare va alla signore Michela Casarsa che, oltre aver già donato di sua iniziativa, si è prodigata instancabilmente per propagare questo appello di grande solidarietà. Sono ormai da quasi due anni e mezzo chiusa in camera con la piccola Elisa e il mio compagno Fabio all'ospedale del Vaticano, il Bambino Gesù: non finiremo mai abbastanza di ringraziare per l'ospitalità, l'amore e la professionalità il professor Franco Locatelli, tutti i medici, l'ufficio infermieristico e i volontari; è il quarto ospedale che giriamo pur di riuscire a salvare la piccola dalla malattia. Purtroppo attualmente non esiste nessuna terapia che la possa salvare, solo il trapianto di midollo osseo. Un primo tentativo fatto il 19 gennaio 2018 non ha avuto purtroppo un buon esito forse a causa della malattia troppo aggressiva o forse per il fatto che il donatore non fosse perfettamente compatibile. Elisa è in attesa di fare un secondo trapianto e la speranza è quella di riuscire a trovare un donatore e di portare il midollo nel suo corpicino. Attualmente le condizioni di salute sono discrete nonostante purtroppo abbia avuto ultimamente un virus che l'ha debilitata molto. Ci si prospetta una degenza ancora lunga, piena di insidie. Sono vicino a Elisa giorno e notte pur di riuscire in questa impresa, che ormai mi pesa relativamente, vado avanti per inerzia. Vicino a noi c'è il mio compagno Fabio, che ha voluto chiudere la sua attività due anni e mezzo fa per andare a 600 chilometri da casa in uno dei centri all'avanguardia per questa terribile malattia. L'appello per trovare un donatore di midollo osseo è sempre attuale. Chiamate Admo oppure il centro trasfusionale dell'ospedale più vicino a voi”. Sulla pagina Facebook “Pardini Fabio per Elisa” maggiori informazioni anche su come tipizzarsi.

Di Elisa Marini

1 agosto 2019

FONTE: Gazzettino.it


Queste sono notizie che fa sempre un gran piacere riportare, anche se la situazione della piccola Elisa è tutt'altro che risolta! Ma confido sempre nella generosità del popolo italiano, che è da sempre un popolo dal grande Cuore.
Forza Elisa, ti siamo tutti vicini e facciamo tutti quanti il tifo per te! Ti vogliamo Bene!

Marco

sabato 3 agosto 2019

"Sono felice, ma ho bisogno di aiuto": il messaggio di Elisa nel giorno del suo compleanno


Elisa Pardini è una bambina colpita da una gravissima forma di leucemia. L'unico modo per salvarla è trovare un donatore pienamente compatibile. Oggi compie 5 anni: l'appello

"Oggi è il mio compleanno. E' il terzo che festeggio qui in cameretta al Bambino Gesù del Vaticano". La piccola Elisa Pardini, originaria di Pordenone, ha passato più di metà della sua vita in ospedale. Colpita da una gravissima forma di leucemia - la leucemia mielomonocitica infantile - cerca un nuovo donatore di midollo osseo dopo che un primo trapianto, compiuto nel dicembre 2018, non è andato a buon fine. "E' fallito forse perché la malattia era forte o perché la compatibilità del donatore individuato non era totale. A pochi mesi da quella operazione Elisa è tornata a stare molto male", racconta il suo papà Fabio, che non smette di combattere accanto alla figlioletta.

Si tratta di una forma di tumore del sangue chemio resistente, affrontabile solo con un trapianto di midollo osseo. La piccola si trova da tempo in cura presso il Bambino Gesù di Roma, insieme ai genitori che non la lasciano mai sola e per questo hanno dovuto abbandonare anche il loro lavoro. Una storia, la sua, che ricorda da vicino quella del piccolo Alex Montresor, che ha scatenato in Italia una vera e propria gara di solidarietà.

Questo il messaggio-appello comparso oggi su "Pardini Fabio per Elisa", la pagina Facebook gestita dal papà della bimba, sulla quale è attiva anche una raccolta fondi: "Mi chiamo Elisa e oggi è il mio compleanno... Compio 5 anni... E' il terzo che festeggio qui in cameretta al Bambino Gesù del Vaticano... Sono molto felice e fortunata perché da ormai quasi due anni e mezzo mamma e papà sono sempre vicino a me senza lasciarmi mai sola... Sono fortunata perché il Professore i Medici gli Infermieri e i Volontari stanno facendo l'impossibile (come del resto per tutti i bambini ammalati) per cercare di guarirmi e salvarmi la vita e di conseguenza anche quella di mamma e papà (sono affetta da Leucemia Mielomonocitica Infantile una leucemia rarissima che colpisce 1/2 bambini su un milione e non si può guarire con nessuna chemioterapia ma solo con il trapianto di midollo osseo, un primo effettuato il 18 dicembre 2018 ma purtroppo non riuscito e sono in aspettativa di trovare un donatore di midollo osseo più compatibile possibile per affrontare un secondo trapianto)".

"Sono fortunata perché tante associazioni e privati hanno aiutato la mia famiglia per andare avanti. Sono fortunata perché tantissime persone tramite il web e i mezzi d'informazione (giornali, tv, personaggi famosi dello spettacolo, dello sport e della politica) hanno conosciuto la mia drammatica vicenda e stanno spronando me e i miei genitori a non arrenderci e grazie anche a questo tantissime persone sono e stanno andando a tipizzarsi o alle ADMO www.admo.it oppure nei centri trasfusionali degli ospedali più vicini per donare il sangue per una eventuale donazione del midollo osseo... Ok adesso vi saluto e vi abbraccio e bacio tutti, vado a festeggiare... vi voglio tanto bene... e spero tanto di passare il prossimo compleanno a casa, con i miei genitori e tanti nuovi amici... P.S. I capelli non sono i miei...c'eravate cascati eh???...".

Come aiutare Elisa Pardini, la bambina affetta da una rara forma di leucemia

Per salvare la piccola Elisa non serve essere eroi. Basta un gesto di generosità, con un minimo sforzo. Prima di tutto occorre fare la "tipizzazione": basta un tampone salivare o un semplice prelievo del sangue che poi verrà inserito nella banca dati. Per verificare la propria compatibilità con la bambina, è sufficiente recarsi all'Admo (l’Associazione dei donatori di midollo osseo), oppure nel centro trasfusionale più vicino. Occorre avere dai 18 ai 36 anni non compiuti, pesare almeno 50 chili e non avere malattie trasmissibili. Dal sangue verranno prelevate, in modo altrettanto semplice, le cellule staminali su cui verrà verificata l'eventuale compatibilità con Elisa o con quella di uno dei tantissimi malati in attesa di trapianto. Una volta inseriti nel registro, si può essere contattati per donare il midollo fino a 55 anni.

Qui il sito dell'Admo, l'Associazione dei donatori di midollo osseo, per avere tutte le informazioni necessarie e verificare la propria compatibilità con la bambina.

Qui la pagina Fb "Pardini Fabio per Elisa", per seguire la lotta dei genitori per la loro bambina.

di Violetto Gorrasi

27 giugno 2019

FONTE: Today

domenica 28 luglio 2019

Mario Cerciello Rega: il carabiniere ucciso a Roma aveva un cuore d'oro!


"Un cuore d'oro" lo definiscono tutti. Una vita spesa a servizio degli altri, fra tutela dell'ordine, pasti caldi ai senza tetto, barelliere a Lourdes e opere quotidiane di bene. Il "ragazzone" di Somma vesuviana cui tutti erano affezionati.

«Un ragazzo d’oro, che ha frequentato la nostra chiesa dal battesimo fino al Matrimonio». Sono le parole con cui Fra Casimiro Sedzimir, parroco della chiesa Santa Croce in Santa Maria del Pozzo a Somma Vesuviana, ricorda il vice brigadiere Mario Cerciello Rega. Proprio in questa chiesa, dove era stato celebrato anche il matrimonio, 43 giorni prima dell’assassinio, sarà dato anche l’ultimo saluto, lunedì, al carabiniere ucciso a Roma.
«Il giorno del matrimonio
», ricorda il frate, «Mario e Rosa Maria erano emozionatissimi, una bellissima giornata per loro. Avevano coronato il sogno d'amore. Mario, ogni volta che tornava da Roma frequentava la parrocchia». A Roma, invece, il carabiniere, 35 anni, faceva volontariato ed era amato da tutti, soprattutto nel quartiere di campo dei Fiori dove viveva.
Occhi azzurrissimi e buoni, appena tornato dal viaggio di nozze in Madagascar – non aveva ancora disfatto i bagagli, lascia la madre Silvia, un fratello di 31 anni e una sorella di 19 (il padre era morto 10 anni fa).
«Mario era un ragazzo d'oro, non si è mai risparmiato nel lavoro. Era un punto di riferimento per l'intero quartiere dove ha sempre aiutato tutti», ha dichiarato Sandro Ottaviani, il comandante della stazione di Piazza Farnese dove il vice brigadiere prestava servizio. Mario era anche barelliere per l'Ordine di Malta, avrebbe ricevuto la medaglia d’oro fra qualche mese, e accompagnava i malati a Lourdes. Il martedì sera, invece, distribuiva pasti ai senza dimora della Stazione Termini. Proprio a Lourdes, devoto della Madonna come sua moglie, aveva chiesto a Rosa Maria, nella grotta delle apparizioni, di sposarlo.
Tra i tanti ricordi della sua bontà anche quello di una notte di cinque anni fa quando una mamma, vedova, chiama la stazione dei carabinieri perché non sa come portare in ospedale la sua bambina. Mario la accompagna al Bambino Gesù e resta con lei fino alla mattina. Gesto che la donna racconta ai carabinieri e che vale, per Rega Cerciello, un encomio.


Tantissimi i biglietti, i fiori e gli attestati di vicinanza all’arma. Gli stessi carabinieri rendono noto una letterina di una bimba lasciata davanti al Comando generale dell’Arma: «Carissimi Carabinieri», scrive la piccola, «vi vorrei ringraziare per tutto ciò che fate ogni giorno per il nostro Paese. Sin da piccola vi guardo come un bambino guarda il suo supereroe preferito. I miei supereroi siete voi, avete un cuore nobile e puro».

E anche noi di Famiglia cristiana ci uniamo al cordoglio che è di tutto il Paese ricordando il vice brigaderie con le parole che l’Arma ha diffuso via facebook appena saputo dell'assassinio:

"Nella sua nuda essenza anche la tragedia più grande è fatta di numeri: il Vice Brigadiere Mario Cerciello Rega aveva 35 anni, era sposato da 43 giorni e 13 ne erano passati dal suo ultimo compleanno.
È morto stanotte a Roma per 8 coltellate, inferte per i 100 euro che i 2 autori di 1 furto pretendevano in cambio della restituzione di 1 borsello rubato. In gergo si chiama “cavallo di ritorno”. Ma quei numeri non sono freddi: sono il conto di un’esistenza consacrata agli altri e al dovere, di una dedizione incondizionata e coraggiosa, di un amore pieno di speranze e di promesse. E la tragedia reca la cifra più alta: l’infinito. Il più vivo dolore per una mancanza che affligge 110 mila Carabinieri. Il più vivo cordoglio ai Suoi cari, che stringiamo in un immenso, unico abbraccio
".

di Annachiara Valle

27 luglio 2019

FONTE: Famiglia Cristiana


Con grande dolore posto, tra le pagine di questo blog, questo toccante articolo tratto da Famiglia cristiana, sulla morte di questo generosissimo carabiniere dal grande cuore che ha lasciato questa vita appena due giorni fa, mentre adempiva al suo dovere di tutore della Legge e dell'ordine.
Mi unisco sentitamente al cordoglio di tutti per la prematura scomparsa di questo grande Uomo, e come tutti mi sento di ringraziare con il cuore in mano l'Arma dei Carabinieri, così come tutti coloro che si dedicano con Passione e Professionalità alla tutela dell'ordine, per il Bene comune di tutti. Non si potrà veramente mai ringraziarvi abbastanza!
Infine mi sento di elevare sentitamente una preghiera al nostro buon Dio, perchè le due persone che hanno ucciso questo bravissimo Uomo si possano pentire del loro male agire, possano chiedere Perdono, convertirsi e cambiare vita. Queste due persone non vanno odiate, assolutamente NO, ma aiutate con la nostra preghiera a cambiare, a lasciare la malsana "via vecchia" per quella "nuova", quella del rispetto e dell'Amore, perchè anche essi, non dimentichiamocelo mai, sono figli di Dio.

Marco

mercoledì 24 luglio 2019

Natuzza Evolo, altro che pazza, mia sorella sarà presto santa


Parla il fratello della mistica

«Sono orgoglioso che Papa Francesco abbia deciso di aprire il processo di beatificazione per mia sorella», dice Antonio Evolo. «Fin da bambina lei aveva visioni mistiche». «A dieci anni le erano comparse le stimmate, ma padre Gemelli disse che era una nevrotica da manicomio»

Paravati (Vibo Valentia), marzo
«Sono orgoglioso che Papa Francesco abbia deciso di aprire il processo di beatificazione di mia sorella Natuzza. Questa notizia mi riempie il cuore di gioia. Ma per me e la nostra famiglia lei è sempre stata una Santa, sin da quando era bambina, anche quando dicevano che era una strega».
Chi parla è Antonio Evolo, ottantacinque anni, fratello dell'umile mamma calabrese famosa in tutta l'Italia per le sue virtù prodigiose, sopratutto per le sue doti di veggente, per le apparizioni mistiche e per le stimmate che segnavano il suo corpo. Il 6 aprile prossimo, a quasi dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta il primo novembre 2009, nella basilica-cattedrale di Mileto, in provincia di Vibo Valentia, si terrà la funzione religiosa con la quale la Congregazione delle cause dei Santi aprirà ufficialmente la causa di beatificazione di Fortunata Evolo, così fu battezzata quando nacque il 23 agosto 1924 a Paravati, frazione di Mileto, per essere subito soprannominata Natuzza.
Da quel momento Natuzza avrà il titolo di “serva di Dio”. Se la causa si concluderà in modo positivo, provando l'eroicità delle sue virtù cristiane, Natuzza sarà proclamata Venerabile, primo passo perché possa essere dichiarata, dopo ulteriori processi, Beata e, infine, Santa.
«Quando eravamo piccoli e giocavamo assieme», ricorda Antonio Evolo «all'improvviso lei aveva visioni mistiche meravigliose. “C'è un bambino bellissimo che sta giocando con te” mi diceva. “Ha i capelli lunghi e mossi: è Gesù”. Oppure affermava di vedere le persone defunte e, se capiva che avevo paura, mi abbracciava con grande affetto e tenerezza. Ricordo anche le stimmate, le ferite sanguinanti che le erano comparse quando aveva dieci anni e che la facevano soffrire proprio come Cristo».
Tutto quello che per la famiglia Evolo era la normalità cominciò a essere visto con sospetto dalla Chiesa quando le visioni mistiche di Natuzza divennero di dominio pubblico. Accadde nel 1938, quando Natuzza aveva quattordici anni e faceva la domestica. «La Madonna mi ha detto che il 26 luglio farò una morte apparente», disse alla signora presso cui lavorava. Accadde proprio così: quel giorno Natuzza cadde in un sonno inspiegabile, lungo sette ore, e al risveglio disse: «E' il giorno più bello della mia vita. Sono andata in Paradiso e Gesù mi ha chiesto di portargli le anime e di amare e di compatire. Sì, di amare e di soffrire».
«Nel 1940, mentre riceveva il sacramento della Cresima, mia sorella sentì un brivido dietro la schiena e sulla sua camicia si formò una croce di sangue. La Chiesa volle indagare questi strani fenomeni per capire se si trattasse di una Santa o di una mistificatrice», ricorda Antonio Evolo. Furono chiamati a consulto medici e alti prelati; il vescovo di Mileto, Paolo Albera, inviò una relazione all'autorevole padre Agostino Gemelli, medico, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze e rettore dell'Università Cattolica. «Natuzza Evolo è soltanto una nevrotica isterica. Va curata in manicomio», decretò. La ragazza, che aveva appena diciassette anni, nel 1941 fu convinta a curarsi e fu rinchiusa per due mesi nell'ospedale psichiatrico di Reggio Calabria.
«Quando uscì, cercò di ricominciare una vita normale. Si sposò con Pasquale Nicolace, ebbe cinque figli, ma lei continuò ad avere visioni mistiche, colloqui con i defunti e le stimmate», racconta Antonio Evolo. «Sopratutto nella Settimana Santa il suo misticismo raggiungeva il culmine. Nei giorni che precedevano la Pasqua, Natuzza riviveva sul proprio corpo la Passione del Signore. Cadeva in uno stato di estasi e, in quei giorni, inspiegabilmente, le stimmate si trasformavano a contatto con le bende in figure che potevano rappresentare ostie, corone di spine, cuori, ma anche scritte in inglese, latino o aramaico». Ben presto la sua casa si affollò di devoti che cercavano in “Mamma Natuzza”, così cominciarono a chiamarla, conforto alla loro disperazione, che volevano parlare con i loro cari defunti, che speravano di avere da lei diagnosi mediche favorevoli.
«Mia sorella riceveva anche ducento persone al giorno, ma sapeva conciliare le sue virtù di veggente con la famiglia», dice suo fratello Antonio. «Io andavo ad aiutarla per qualche piccola commissione e le coltivavo l'orto che aveva dietro casa. Ricordo che un giorno, tra le tante persone in attesa, c'era anche un bambino sordomuto accompagnato dalla sua mamma. Entrò da solo, mia sorella lo baciò e gli disse: “Quando esci da qui salutami tanto la tua mamma”. Il piccolo uscì e, tra lo stupore e la commozione di tutti i presenti, disse, come se avesse sempre parlato e ascoltato: “Mamma, ti saluta tanto la signora Natuzza”. Andai a domandarle spiegazioni di questa guarigione miracolosa ma mia sorella con grande umiltà mi disse: “Non sono stata io, è stato il mio angelo custode”. La risposta non mi stupì, perché diceva sempre che era il suo angelo custode a suggerirle le risposte anche in lingua straniera e con una terminologia medica e scientifica che una persona come lei, priva di istruzione e quasi analfabeta, non avrebbe saputo usare».
Ma, a un certo punto della sua vita, Natuzza Evolo capì che la sua casa non era più degna di ricevere non soltanto le migliaia di persone che affollavano il paese nella speranza di vederla e di affidarle sofferenze, speranze e turbamenti, ma anche la Madonna e i santi che diceva di incontrare nelle sue visioni. «Quando ho visto la Madonna, Gesù e san Giovanni tutti insieme, dissi loro: “Come posso ricevervi in questa brutta casa?”. La Madonna mi disse: “Non ti preoccupare, anche nella casa brutta possiamo venire. Ma ci sarà una nuova casa che si chiamerà Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime. Ci sarà anche una grande chiesa. Ti farò sapere quando sarà il momento”».
Il momento arrivò nel 1987 quando, con l'assenso della Chiesa, che aveva cominciato a rivalutare Natuzza Evolo, e con le offerte dei devoti, cominciò la costruzione della Fondazione Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime, con la chiesa, il centro anziani e la casa di cura.
Qui Natuzza Evolo mancò il primo novembre 2009, a ottantacinque anni, per un blocco renale. Trentamila persone vennero a salutarla per l'ultima volta durante il funerale, celebrato da cinque vescovi e centoventi sacerdoti. La sua scomparsa fu accompagnata dal suono a lutto delle campane del paese, le stesse che, all'annuncio dell'apertura del processo di beatificazione, pochi giorni fa, hanno suonato lungamente a festa e hanno accompagnato le parole del vescovo Luigi Renzo: «La fama di santità di Natuzza Evolo è viva e aumenta sempre più. Le sue virtù, il suo sconfinato amore per il Cuore di Gesù e di Maria, l'accettazione della sofferenza eroica sul modello del Crocifisso, la sua fede incrollabile e il profondo senso di obbedienza alla Chiesa ne sono la chiara testimonianza».

Di Roberta Pasero

FONTE: Di Più N. 9
11 marzo 2019


Splendido articolo che sono felicissimo di aver inserito tra le pagine di questo blog, in quanto parla di una delle figure più belle del XX Secolo, la mistica calabrese Natuzza Evolo.
E' questa una figura che io amo moltissimo, per cui non posso essere altro che immensamente felice che la Chiesa ne abbia aperto il processo di Beatificazione. E se tutto andrà come credo, non passerà molto tempo che quest'anima luminosa verrà proclamata Beata, e poi, me lo auguro di cuore, anche Santa. Personalmente non nutro nessun dubbio sulla Santità di Natuzza Evolo, un anima che ha consacrato totalmente la sua vita a Cristo, al prossimo e alla propria famiglia, un anima ricolma di Doni e Carismi straordinari eppure incredibilmente umile, semplice, povera e obbediente. Se la si conosce a fondo, si può solamente voler bene a Natuzza Evolo, un esempio meraviglioso e luminosissimo per tutti!

Marco

lunedì 17 giugno 2019

E’ morto don Michał Łos: la sua storia aveva commosso il mondo


Questa mattina si è spento alle 11.53 a Varsavia, don Michał Łos, il sacerdote orionino di 31 anni che ha affrontato la propria malattia terminale testimoniando la sua Fede in Dio dal proprio letto di ospedale, nella capitale polacca. In 350mila sui social hanno visualizzato il video della sua prima Messa il mese scorso

Don Łos, aveva ricevuto lo scorso 22 maggio da Papa Francesco le dispense necessarie per la professione perpetua come Figlio della Divina Provvidenza e, il giorno dopo, era stato ordinato diacono e sacerdote nel reparto di oncologia dell’ospedale militare di Varsavia da mons. Marek Solarczyk, vescovo ausiliare di Varsavia-Praga.
Il suo gesto e la determinazione a celebrare la Messa “per essere ancora più unito a Cristo”, si sono trasformati in una testimonianza di Fede che ha raggiunto ogni parte del mondo, e che ha unito in preghiera migliaia di persone che hanno conosciuto la sua storia.

La notizia – dichiara Padre Tarcisio Vieira, direttore Generale dell’Opera Don Orione – sapevamo sarebbe arrivata, ma ci lascia ugualmente profondamente tristi. Sappiamo, però, che non è stata la morte a togliergli la vita, ma è stato lui che ha voluto donarla per amore a Cristo e ai poveri. Questo suo messaggio e la sua testimonianza hanno insegnato qualcosa a tutti noi e faremo in modo che non andranno perduti. Ringraziamo il Signore per avercelo donato come testimone di grande Fede e di Amore”.

17 giugno 2019

FONTE: Aleteia

giovedì 13 giugno 2019

La sorella di Chiara Corbella Petrillo: «Amava il Vangelo e non temeva la morte»


L’intenso racconto di Elisa, la sorella della Corbella. «Dopo aver perso i primi due figli ha rifiutato le cure per avere il terzo. Sono stata con lei sino alla fine, quando si è lanciata tra le braccia di chi, in Cielo, lei conosceva da anni. Ti ascoltava con una predisposizione che sembrava venire dallo Spirito Santo. Far conoscere il suo esempio è una grazia»

«In mia sorella Chiara ho visto vivere il Vangelo e oggi che lei non c’è più la risorsa più grande è vedere i frutti che hanno seguito la sua scelta». È animata da grande serenità Elisa Corbella, 37 anni, la sorella maggiore della giovane per cui è stato aperto il 21 settembre scorso a Roma il processo di beatificazione. Vissuta in Santità e mancata a 28 anni dopo aver rimandato le cure del cancro diagnosticato al quinto mese di gravidanza per proteggere il suo bambino, «Chiara» racconta Elisa, «è stata serena fino alla fine e questo ci ha permesso di specchiarci e nutrirci della sua tranquillità».

La incontriamo a Rho, vicino a Milano, dove vive con il marito Ivan Ruscio di 38 anni e i tre figli, Sara di 2 anni e Samuele e Chiara di 4. Un nome, quest’ultimo, che non è stato dato in “memoria di”: «Non volevo che portasse sin da piccola tutta questa responsabilità». Anche perché, nella realtà, Chiara vive e cammina sulle gambe dell’eccezionalità della sua esperienza. Sul sito on line che porta il suo nome si moltiplicano le richieste di conforto, preghiera e protezione, e non solo per le malattie, ma anche per i problemi di coppia. «Una vicinanza agli altri che scaturiva dalla sapienza; una sapienza dovuta alla sua vicinanza a Gesù, quella per cui riusciva a darti un incoraggiamento su qualunque cosa» ricorda Elisa. «Chiara che voleva farti sapere che c’era, che ti ascoltava e ti stava a fianco qualunque fosse il problema. Con la predisposizione di chi è ispirato dallo Spirito Santo».

Chiara che vive e cammina con le gambe della sorella che, mamma di professione, si fa voce della sua testimonianza con un tour fitto di date in giro per il Nord Italia. «Quando ho saputo che Chiara era terminale mi è crollato il mondo addosso. Proprio in quel momento io e Ivan, dopo un anno di fidanzamento, avevamo iniziato a progettare la nostra vita a due. Lei, con la sua solita generosità, mi disse di andare e seguire la mia vocazione. Fu così che per qualche mese feci avanti e indietro tra Milano e Roma finché le condizioni non si aggravarono. Decidemmo a quel punto di vivere tutti insieme gli ultimi tre mesi di Chiara. Per me oggi portare in giro la sua testimonianza è una Grazia perché mi aiuta a ricordare la bellezza di quei momenti».

Ivan, che nella vita fa il fotografo e nel tempo libero la sostiene e accompagna con tutta la famiglia: «Ho conosciuto Chiara ed Enrico ad Assisi a Capodanno del 2010 all’inizio del mio percorso di conversione. Testimoniavano la morte di Maria Grazia Letizia a cui avevano diagnosticato un’anencefalia. Ma loro avevano deciso di portare avanti la gravidanza lo stesso». Mezz’ora dopo il parto, infatti, la bambina salirà al cielo e il funerale verrà vissuto con la stessa pace che aveva accompagnato i mesi di attesa per la nascita.

In quel momento Chiara ed Enrico Petrillo aspettavano Davide Giovanni, a cui non sapevano che sarebbe poi stata diagnosticata una grave malformazione viscerale alle pelvi con assenza degli arti inferiori. Anche lui morirà poco dopo essere nato, il 24 giugno 2010. «Era così bella e piena di vita quella coppia», ricorda Ivan, «che ho pensato: “Anch’io voglio vivere di quell’amore lì”». L’incontro con Elisa avviene in Terrasanta: «Sostituiva Chiara che nel frattempo aveva scoperto di essere malata e non era potuta partire. Ci siamo fidanzati subito e al ritorno abbiamo reso Chiara ed Enrico subito partecipi della nostra unione. Oggi vivere gli incontri con i nostri figli è per noi come per la Messa della domenica. Se non fossimo tutti insieme perderebbero di significato». Per loro e per chi li ascolta, per cui la presenza della famiglia è una testimonianza nella testimonianza. Perché zia Chiara esiste nella vita di tutti e anche dei suoi nipotini: «Come una persona presente nella realtà di tutti i giorni» racconta Elisa. «E la ritrovano nelle immagini di lei che sono ovunque».

A partire dai muri di casa e in un angolo speciale in sala dove c’è il suo viso sorridente accanto al Vangelo, una comunione che ha vissuto fino alla fine: «Le ho visto fare un salto verso il Cielo come se si fosse lanciata nelle braccia di qualcuno che conosceva da anni» sorride Elisa.

«Con la stessa fiducia con cui ha lasciato che i primi due figli tornassero a Lui, la stessa che l’ha accompagnata anche quando è toccato a lei salutare il marito e il figlio Francesco. Chiara che per prima con la sua vita ci ha dato la certezza che c’è “un continuo”, che chi è nato non muore mai».

di Chiara Pelizzoni

13 giugno 2019

FONTE: Famiglia Cristiana 


A 7 anni dalla "Nascita al Cielo" di Chiara Corbella, avvenuta il 13 giugno 2012, ho pensato di pubblicare questa bellissima testimonianza della sorella Elisa e di suo marito Ivan. La splendida figura di Chiara Corbella Petrillo, del resto, è troppo bella per non essere conosciuta, e la sua breve ma intensissima vita ci parlano di una Fede e di un Amore davvero straordinari!
Carissima Chiara, il tuo esempio sia come un luminosissimo faro per tutti quanti noi.... e laddove ora tu sei, nell'Eterno Abbraccio dell'Amore di Dio, intercedi sempre per l'intera umanità!
Grazie Chiara, di tutto!

Marco