domenica 19 febbraio 2017

Da tossicodipendente a frate francescano


Prima di sentire la chiamata di Dio e di entrare nell'Ordine dei Frati Minori, la sua vita è stata caratterizzata dal dolore

Daniele Maria Piras è un giovane francescano in formazione. Ha 32 anni ed è originario di Carbonia, in Sardegna. Prima di sentire la chiamata di Dio e di entrare nell’Ordine dei Frati Minori, la sua vita è stata caratterizzata dal dolore, da una profonda sofferenza e dalla mancanza di senso.

Fin da quando ero piccolo la mia famiglia, soprattutto per problemi economici, viveva grosse difficoltà relazionali, anzi tutto tra mamma e papà. Conclusa la scuola media, incominciai a lavorare con mio padre nella sua impresa edile; in quegli anni, per fuggire dalle fatiche familiari, iniziai a frequentare "cattive compagnie": per stare al passo con loro, iniziai a bere, a fare uso di droghe leggere e poi pesanti, anche per anestetizzare il dolore che portavo nel mio cuore”, ha raccontato Daniele in un’intervista alla rivista dei francescani "Porziuncola".

Il suo abuso di droga era tale che ad appena 16 anni era già tossicodipendente.

Per 7 anni non riuscii ad uscire da quella schiavitù: sapevo benissimo di sbagliare, però ero entrato in un circolo vizioso, non potevo più farne a meno; ero troppo debole e, anche se desideravo uscirne, mi ero reso conto che era troppo tardi e la mia volontà era debolissima. Andai al Sert, feci colloqui con psicologi e provai ad assumere farmaci per l’astinenza; ma i risultati furono scarsi”.

All’inizio Daniele nascose alla famiglia la sua situazione, ma quando questa peggiorò i suoi genitori si resero conto di quello che stava vivendo. Mia madre mi incoraggiò, mi stette vicino e mi amò così come ero.

Fu proprio attraverso la madre che la pace tornò in Daniele. “Lei, da giovane, dopo aver ricevuto i Sacramenti, si era allontanata dalla Chiesa, ma ora da diversi anni si era riavvicinata, proprio a causa della dolorosa relazione che stava vivendo con mio papà. Questa relazione era la sua croce: quella croce aveva un nome e un volto, mio papà Carlo, che si trovava in una situazione molto difficile dopo la perdita del lavoro”.

Il giovane francescano racconta che la madre ha trovato consolazione in un gruppo di amiche che recitavano il Rosario: “Maria la ricondusse al Figlio suo: nella preghiera, nella Parola e nei sacramenti mamma attinse la forza per stare in quella situazione di dolore, e decise di stare accanto a mio papà ed amarlo così come era (…) Questo permise a Colui che ha vinto la morte di portare la sua Salvezza nella nostra famiglia e fare nuove tutte le cose”.

Questa testimonianza di fede molto presto è servita da esempio alla sorella di Daniele, Chiara Redenta, che ha sentito la chiamata di Gesù ed è entrata nel monastero delle Clarisse nel 2005. “A quel punto, la mia esperienza di morte, ma soprattutto le testimonianze di mia mamma e mia sorella mi portarono a rientrare in me stesso e chiedere aiuto: incominciai ad invocare il Nome del Signore Gesù”, ha riferito il giovane.

La sua conversione è arrivata nel novembre 2006, quando la madre lo ha invitato a partecipare a un congresso in occasione della solennità di Cristo Re dell’Universo. “La Parola guida del convegno era un versetto del salmo 107,14: Li fece uscire dalle tenebre e dall’ombra di morte e spezzò le loro catene. Mi colpì la catechesi di un padre francescano, sembrava che io gli avessi raccontato la mia storia… rileggeva il mio vissuto… spiegava come il male, attraverso le attrattive del mondo, che presentano una felicità apparente, mira a distruggere il nostro corpo che è il tempio dello Spirito Santo, luogo abitato da Dio, luogo in cui noi possiamo fare esperienza di Lui”.

Daniele ha deciso di parlare con il sacerdote francescano. “Gli dissi: "Sono un tossicodipendente e ho toccato il fondo, non so più come uscirne, preghi Gesù per me". Il frate mi invitò a chiedere a Gesù di intervenire, mi benedisse e io tornai al mio posto. Quindi un sacerdote passò con Gesù Eucarestia in mezzo alla folla di 600 persone… Gesù mi passò accanto, poi tornò verso l’altare e io sentii dentro di me il desiderio di andare a toccarlo: andai (non avevo niente da perdere…), lo toccai e tornai al mio posto”.

Meno di due mesi dopo questa esperienza, il 29 settembre 2008, e dopo aver vissuto due convivenze con i Francescani ad Assisi, il giovane Daniele è entrato nel postulantato dei Frati Minori.

La sofferenza nella nostra famiglia si è rivelata pedagogica: accolta nella fede, ha preparato i nostri cuori ad accogliere il Mistero. (…) Solo Lui vi dice: Sono venuto perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza…”.


Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti

20 ottobre 2015

FONTE: Aleteia.org  




Capita molto spesso che le grandi conversioni avvengano dopo periodi di forte dolore, di sofferenza e di "vuoto" interiore. Ho appreso moltissime testimonianze in questo senso. La vita sembra non avere più alcun valore, non dona gusto, sembra essere senza senso...... e in questo stato si può facilmente cadere vittima dell'alcool, della droga o divenire frequentatori di cattive compagnie e di brutti "giri". Quando si vedono persone in questo stato, spesso si è tentati di starne alla larga perchè si pensa erroneamente che tali persone costituiscano la "feccia" della società e che possano portare solamente a tanti problemi. E invece, spesso, sono proprio queste persone che posseggono il "terreno migliore".... e nel "vuoto interiore" che essi provano (e che non di rado, sul momento, li può portare su cattivi sentieri) il Signore si fa sentire più potentemente che mai, proprio perchè trova un "terreno fertile", libero da quegli attaccamenti terreni e mondani che invece posseggono la maggior parte delle persone. E allora in queste persone, come nel caso di Daniele in questa bellissima storia, è come se entrasse un "uragano", è la scoperta di un qualcosa di nuovo che ti stravolge completamente la vita e ti fa riniziare tutto daccapo. Ed è l'inizio di una nuova vita, fondata questa volta sull'Amore e sulla Fede in Dio.
Tutto questo ci tengo bene a sottolinearlo perchè, come detto sopra, quando si vedono persone sbandate, sopratutto giovani, essere vittime di queste brutte cose, si viene tentati di starne alla larga..... ed invece bisognerebbe avvicinarli, abbracciarli e cercare di parlare loro di Dio, con semplicità e Amore, perchè il Signore può essere quella Luce che rischiara il loro cuore da ogni tenebra, perchè il Signore può rappresentare quella "Pienezza" che essi inconsciamente cercano (e sovente la cercano nei cosiddetti "paradisi artificiali") e a cui il loro cuore anela, ma che ancora non hanno conosciuto e trovato. Eh, quante, quante volte ciò che apparentemente sembra peggiore in realtà è migliore!!! Per questo Gesù ci ha insegnato a non giudicare mai (il giudizio dell'uomo può anche uccidere!), ma ad accogliere tutti con benevolenza e Amore. Poi il resto lo fa Lui, il nostro buon Gesù. E può essere veramente una nuova Rinascita!

Marco

giovedì 16 febbraio 2017

La storia del piccolo Hope, bimbo africano abbandonato da tutti perché ritenuto uno "stregone", ma salvato da una donna danese!

L'hanno chiamato Hope, speranza, e la sua è arrivata grazie a una volontaria danese, Anja Ringgren Loven, che da alcuni anni lavora con il marito in Nigeria per una ong che si occupa di sviluppo ed educazione e che intende denunciare la piaga dei bambini "stregoni". In molti Paesi africani, infatti, le famiglie abbandonano, torturano o addirittura uccidono i bambini ritenendoli responsabili di stregonerie e disgrazie. Hope che ha due anni vagava solo da otto mesi, nutrendosi di rifiuti, prima di essere stato trovato e salvato da Anja.

L'hanno ribattezzato Hope, la speranza in cui tutti abbiamo il diritto di credere. Hope è un bimbo nigeriano di due anni, che è stato abbandonato dalla sua famiglia perché ritenuto uno stregone.

In Africa, da Kinshasa capitale del Congo alla Nigeria, quello dei bambini stregoni è un autentico dramma. In questi Paesi è infatti molto diffusa la credenza degli enfants sorciers: cioè molti ritengono che alcuni bambini possano essere veri e propri “stregoni”, capaci di avere un influsso malefico su parenti o vicini e ai quali viene attribuita la responsabilità di disgrazie che possono accadere a famiglie o comunità.
Un’inchiesta abbastanza recente dell’emittente britannica Channel 4 aveva già fatto emergere come solo in due stati della federazione della Nigeria ci siano almeno 15.000 bambini accusati di stregoneria.

Ma la storia di Hope, come dicevamo, è una storia di speranza e ha un lieto fine.
Le immagini del piccolo hanno fatto il giro di tutti i social network. In particolare, la sua foto è sul profilo di Anja Ringgren Loven, 31 anni, volontaria danese dell'African Children’s Aid Education and Development Foundation, che l'ha trovato che girovagava scalzo, nudo e affamato. Da otto mesi vagava da solo nutrendosi di avanzi e spazzatura. L’immagine di quell’esserino magrissimo, che beve dalla bottiglietta d'acqua della volontaria ha intenerito tutti.

E sul suo post su Facebook Anja ha scritto: «Questa serie di immagini mostrano il motivo per cui mi batto. Perché ho ​​venduto tutto quello che possiedo. Perché mi sto muovendo su un territorio inesplorato». Lei stessa ha fondato tre anni fa con il marito l’ong indipendente African Children’s Aid Education and Development Foundation, con l'obiettivo di costruire un orfanotrofio e aiutare i bambini che subiscono inimmaginabili e inaudite violenze dopo essere stati etichettati come strega o stregone. I più piccoli sono trascurati o perfino uccisi dagli stessi membri della comunità.


Hope girovagava nudo da otto mesi per il villaggio di Uyo, nel sud della Nigeria, e ha vissuto rovistando tra gli scarti gettati per strada dai passanti, sin quando ha incrociato Anja l'ha preso in braccio, coperto, gli ha fatto un bagnetto e lo ha portato all'ospedale più vicino. «Ora le sue condizioni sono stabili e continuano a migliorare, infatti, ha ripreso a mangiare e la cura sta avendo i risultati sperati. Oggi è un bambino forte e ci sorride. Non so proprio come descriverlo a parole. Questo è ciò che rende la vita così bella e preziosa, e quindi lascerò che le immagini parlino da sole», ha detto ancora Anja.

La cooperante ha raccontato ancora sui social: «Vediamo bambini come Hope torturati, minacciati o uccisi solo perché qualcuno decide che sono maledetti».

Una catena di solidarietà si è presto mossa e soldi per aiutare Hope sono arrivati da tutto il mondo. «Con questo denaro possiamo dare un futuro a Hope e riservargli le migliori cure. Ma anche costruire una clinica e salvare tanti innocenti dalle torture».

Ora Hope, come mostrano anche le altre immagini postate in rete, sta meglio e gioca con il bambino di Anja. «È forte», spiega la sua nuova mamma. «Le trasfusioni di sangue cui si è dovuto sottoporre e i vermi che gli infestavano la pancia ora sono un brutto ricordo. Hope ora è stabile. Mangia da solo e risponde bene alle medicine. Oggi ha provato a sedersi e a sorridere».

Nello stato di Akwa Ibom, dove si trova Hope, indicare un bimbo come stregone è ritenuto un crimine, ma purtroppo questa pratica viene perpetrata. Anja, come racconta nella sua pagina, ha appena finito di girare un documentario per denunciare questo fenomeno, che si intitolerà Anja Afrika e che verrà diffuso in primavera.

18 febbraio 2016

di Giusy Galimberti

FONTE: Famiglia Cristiana


Nigeria, Hope ora va a scuola: volontaria ricrea lo scatto di quando salvò il bambino


Esattamente un anno fa il web faceva la conoscenza di Hope, il bambino nigeriano salvato dalla volontaria danese Anja Ringgren Loven.
Il piccolo era stato abbandonato dalla sua famiglia perché creduto uno stregone e aveva vagato per otto mesi fino a che non era stato trovato da Anja e dai suoi collaboratori. Oggi Hope - "Speranza" in inglese - sta molto meglio, vive presso la "African Children’s Aid Education and Development Foundation", un orfanotrofio nel sud est della Nigeria diretto da Anja e suo marito, David Emmanuel Umem, che accoglie i bambini abbandonati dalle famiglie a causa della superstizione.

Per festeggiare la prima settimana di scuola di Hope, Anja ha deciso di ricreare lo scatto attraverso il quale la rete aveva conosciuto la storia del bambino e che la ritraeva mentre cercava di convincerlo a bere dell'acqua da una bottiglietta. Un modo per festeggiare la nuova vita del piccolo, resa possibile anche dalle molte donazioni che hanno permesso alla Ong svedese di accogliere, istruire e curare molti altri bambini abbandonati come Hope

4 febbraio 2017

FONTE: Repubblica.it


Nei giorni scorsi i media hanno parlato diffusamente della storia del piccolo Hope, ed io pure ho voluto dedicare un post a questo piccolo bambino africano sulle pagine di questo blog.
La prima cosa che mi viene da pensare (e certamente sarà il pensiero di molti) è come sia veramente incredibile che possano esistere ancora oggi situazioni come queste: bambini abbandonati a loro stessi (e quindi a morte sicura!) perché ritenuti "stregoni", avere influssi malefici o cose del genere! Dall'altra parte però c'è anche l'Amore di persone come Anja, che si è presa cura immediatamente di questo bimbo abbandonato da tutti e che ha fondato, assieme al marito, una Ong che si occupa proprio di salvare bambini come lui. Con tutto questo non voglio dire che il popolo Africano sia un popolo senza cuore, mentre l'Europa sia tutto il contrario..... assolutamente no! Però è certo che l'ignoranza uccide ancora molte, molte persone su questa terra, e certamente dev'essere impegno di tutti cercare di cancellare certe assurde credenze che portano solamente a tanta inutile sofferenza. Per il resto questa vicenda dimostra, come sempre, che nel mondo vi è sempre una parte di Bene e una parte di male, e come dev'essere impegno costante di tutti cercare di fare emergere il Bene sul male, l'Amore sull'odio, la Sapienza sull'ignoranza. Proprio quello che ha fatto la splendida Anja, proprio quello che fanno tantissime persone di buona volontà in tutto il mondo, proprio quello che ciascuno di noi, nella situazione in cui siamo e con i talenti che possediamo, è chiamato a fare nella vita di tutti i giorni.

Marco

venerdì 3 febbraio 2017

Asciano adotta una famiglia di Amatrice: “Ricostruiremo la loro casa”


Solidarietà per Amatrice. Asciano ‘adotta’ una famiglia terremotata per aiutarla nella ricostruzione della casa. E ricominciare a vivere

Salvare tutti sarà impossibile. Ci piacerebbe, ma è quello che vorrebbe tutta l’Italia. Nel nostro piccolo però, abbiamo scelto una famiglia di Amatrice, con la speranza di aiutarli a costruire la loro nuova casa”.
Si muovono da mesi ormai le associazioni della provincia per aiutare le zone colpite dal forte sisma che ha messo in ginocchia una nazione. Tra le tante iniziative, vogliamo raccontare quella del gruppo Asciano La voce del Garbo: un piccolo paese unito nella raccolta fondi per la famiglia Cesarei. Soldi che serviranno a mamma Paola, insieme al marito e ai tre figli, per ricostruire la loro casa proprio nel punto in cui il terremoto ha spazzato via i loro affetti, la loro vita. “Ma ricominciare si può – ci racconta Lorenzo Collini, uno degli amministratori del gruppo – se tutti diamo una mano. E noi vogliamo essere vicini a questa famiglia più che possiamo”.

Come mai la scelta di aiutare una sola famiglia e non più di una?

È chiaro che sarebbe fantastico poter ricostruire le abitazioni di tutti. Ne abbiamo scelta una perché c’è dietro una bellissima storia. La proposta è partita da Paola Pacca, la mamma di Daniela Cerrachio. Daniela aveva poco più di vent’anni quando una malattia rarissima l’ha portata via. L’iniziativa è nata dopo che la donna si è recata ad Amatrice per donare libri per l’infanzia nelle scuole, in ricordo della figlia. Lì ha conosciuto la famiglia Cesarei: mamma Paola e i suoi tre bambini. C’è stata subito una grande sintonia e la voglia di aiutarsi. Così Paola Pacca ha contattato un’amica ascianese, Simona Agresti, che si è subito mossa per portare avanti questa iniziativa. La famiglia Cesarei ha perso tutto dopo le terribili scosse di agosto: la loro casa e la loro attività, un negozio ben avviato. Il terremoto ha portato via anche la bottega del marito, falegname. Da un giorno all’altro si sono ritrovati senza casa, lavoro e automobile. E con tre figli da mantenere. Si sono sistemati come potevano, hanno dormito in un camper, poi è arrivato il container. Con le temperature gelide dei giorni scorsi, mamma Paola ha dovuto fare i conti con le deboli condizioni di salute dei figli. Raffreddori, febbre, un giorno su due erano malati. Il nostro gruppo Facebook ha promosso l’iniziativa di fare una raccolta fondi e aprire un conto che possa raccogliere quanti più soldi possibili per permettergli di ricostruire una vera e propria abitazione”.

E con Facebook avete messo in moto tutto questo?

Esatto. La grande forza dei social che, se usati nel modo giusto, possono davvero essere di grande aiuto. Asciano si racconta e si aiuta attraverso questo gruppo. Siamo più di 1300, esiste da un anno ed è diventato quasi l’unico mezzo di comunicazione del paese. Ci aiutiamo scrivendoci sulle condizioni della strada, se viene smarrito un cane o un gatto, se viene fatto qualche evento importante. Un vero sostegno per tutti. Il paese si è messo subito in prima linea per poter aiutare Paola e il marito. Tra un post e un commento, abbiamo iniziato a discutere sul da farsi. È venuta fuori l’idea di una raccolta fondi, supportata dal Comune di Asciano. Il sindaco ci ha messo a disposizione l’assessore alla cultura Lucia Angelini, che ha fatto girare una email alle altre associazioni del paese. Una richiesta di aiuto che spingesse gli altri gruppi a fare da promotori e punto di raccolta”.

Perché ricostruire una casa proprio lì?

Quello che più manca a questa gente è la loro casa, quelle quattro mura dove ti sentivi al sicuro. Vivono l’incubo di non poter più essere al sicuro nemmeno nella terra in cui vivono. Così Paola e il marito hanno pensato di ricostruire la loro casa nello stesso punto della precedente, ma con una struttura in legno, antisismica. Si sono mossi per avere i permessi e li stanno ottenendo. Dovranno rispettare dei parametri, ma sarà possibile ricostruire. Quello che mancano sono i soldi, visto che hanno perso entrambi la loro attività. Noi vogliamo muoverci per questo, anche se non riusciremo a trovare i fondi necessari per ricostruire un’intera casa. Ma ce la metteremo tutta e consegneremo direttamente a loro la somma raccolta”.

Qual è stato il contributo delle altre associazioni?

Si sono mosse tutte, dopo la lettera dell’assessore e soprattutto dopo che abbiamo iniziato a far circolare la locandina dell’iniziativa su Facebook. Un riscontro davvero positivo, si vede che c’è tanta solidarietà nel nostro territorio. Le prime associazioni, come la Compagnia Teatrale La Scialenga, Noi ci siamo e il Coccio hanno dato la disponibilità per fare punto di raccolta. La compagnia teatrale farà uno spettacolo a Rapolano e i soldi saranno devoluti alla famiglia. Poi si sono mossi Arci, Donatori di Sangue, insieme a Rinascita e Corale. Il 17 marzo sarà organizzata una cena dove verrà a trovarci direttamente la famiglia Cesarei, a cui daremo direttamente i soldi raccolti durante tutto questo periodo”.

La vostra iniziativa ha avuto un seguito anche fuori dal territorio provinciale?

Si, e non ce lo aspettavamo! Questo ha portato anche a contatti con altre zone, ad esempio al nord dell’Italia stanno facendo la stessa cosa che facciamo noi. Lo stesso al sud, dalle parti di Napoli, dove ci hanno chiesto come attivarsi per adottare una famiglia. Speriamo sia stata una goccia che si possa espandere a macchia d’olio. Le donazioni arrivano da ogni parte, non solo dalla provincia. Varie associazioni si muovono internamente alla nostra per organizzare altri eventi e raccogliere fondi. Lunedì chiederemo al comune l’estratto conto e vedremo come va il bilancio. Il bello verrà per la cena e durante la lotteria”.

di Michela Piccini

1 febbraio 2017

FONTE: Sienanews.it


Per contribuire ad aiutare la famiglia Cesarei, queste sono le Coordinate del C/C messo a disposizione dall'Amministrazione Comunale dedicato alla Solidarietà:



IBAN IT15 Z088 8571 7600 0000 0005 700

Intestato a Gruppo Donatori Sangue Fratres di Asciano

Causale : UN AIUTO PER PAOLA DI AMATRICE E LA SUA FAMIGLIA. 




Condivido tramite le pagine di questo blog, questo appello rivolto ad aiutare la famiglia Cesarei di Amatrice, messa in ginocchio dal terribile terremoto del centro Italia di quest'ultimo periodo. L'iniziativa è nata dalle più sane e genuine intenzioni di voler fare del Bene reale a questa famiglia, e quindi invito tutti a dare il proprio contributo, il proprio "obolo" di Solidarietà attraverso una donazione, anche piccola, in denaro, oppure attraverso la partecipazione degli eventi benefici che si stanno organizzando a tale scopo, o per chi non avesse la possibilità di fare questo, anche attraverso una semplice condivisione, un passaparola o una preghiera.
Nessuno è incapace di fare del Bene e ciascuno può dare la propria piccola "goccia", per grande o piccola che sia, in questa direzione. E tante "gocce", tutte insieme, formano l'oceano.... quell'oceano di Amore e Solidarietà che contribuisce a rendere migliore il mondo in cui viviamo.
Grazie di vero cuore a chi vorrà contribuire per questa giusta e nobile causa.

Marco