Visualizzazione post con etichetta Malati. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Malati. Mostra tutti i post

lunedì 18 dicembre 2023

La mia bellissima guerriera Indi Gregory


Dean, il padre di Indi Gregory, ha reso un commovente tributo a sua figlia durante il suo funerale nella Cattedrale di Nottingham, celebrato il 1° dicembre 2023.

“ Onestamente, sento, nel profondo del mio cuore, che Indi non era solo bella, forte e unica. Sapevo fin dall'inizio che era molto speciale.

Tuttavia, non avrei mai potuto immaginare il tipo di viaggio che noi e Indi avremmo dovuto affrontare per lottare per la sua vita. Non ha dovuto solo combattere contro i suoi problemi di salute, ma anche contro un sistema che rende quasi impossibile vincere. Eppure, era il suo punto più debole, i problemi di salute, che hanno distinto Indi come una vera guerriera.

[…] Dio ha messo Indi su questa terra con la missione di smascherare il male nel mondo. L'ha scelta perché era forte, bella e speciale. Ma ora questo capitolo del destino di Indi è finito. La sua eredità, tuttavia, è appena iniziata. Volevo assicurarmi che Indi fosse ricordata per sempre e vivrà nei nostri cuori e attraverso le nostre voci.

Ma, il mio più grande conforto in questo momento difficile è sapere dove sia Indi e con chi sia ora. Ho fatto battezzare Indi per proteggerla e affinché andasse in Paradiso. Mi dà pace sapere che è in Paradiso e Dio si prende cura di lei.

Ti amerò sempre, Indi.

Da Papà ”.


venerdì 22 luglio 2022

La coraggiosa storia di Giorgio: quando l'Amore salva la vita!


Mi chiamo Giorgio, sono nato a Castel San Pietro Terme l'8 aprile del 1946. Mia madre bolognese e mio padre abruzzese. Ero un bambino timido e solitario. Ho subito bullismo da bambino perché ero figlio di un meridionale. Vivevo con mia madre, mio nonno e mio zio. Mio padre andò via. Avevo 13 anni.
Decisi di allargare le braccia per difendermi da chi praticava bullismo. Inizio a farmi rispettare.
È il 1974 e mi sposo. Nasce Leandro nel 1974, poi Michele nel 1983. Lavoravo come imbianchino. Ero un gran lavoratore. Nel 1985 sono fondatore del club Bologna calcio.

Nel 2000 entro al bar con un amico e conosco Serena. La frequento. La aiuto. Veniva da una situazione difficile. Le ho dato tutto il mio sostegno sia psicologico che morale. L'ho salvata. La invito a vivere con me. Lei accetta. Era l'ottobre del 2013.

Di notte mi alzo per andare in bagno e provo un gran giramento di testa. Crollo per terra. Avevo la bava alla bocca. Non parlavo. Non camminavo.
Serena allerta immediatamente il 118. A sirene spietate mi portano d'urgenza in ospedale. Un ictus cardioembolico mi aveva messo KO!

Serena lascia il lavoro per starmi vicino giorno e notte in ospedale. Alla notte dorme in poltrona. I medici per farmi mangiare mi mettono il sondino. Per parlare scrivevo. Mi sentivo una nullità! Non valevo più nulla. Feci i 4 mesi più brutti della mia vita in ospedale. I medici dissero che non sarei più migliorato. Mi levarono il sondino. Poi la scelta. I miei figli, ovvero la moglie di mio figlio Leandro e la mia ex moglie mi costrinsero ad andare in una casa di riposo. Io non volevo. Sapevo che stando vicino alla mia compagna sarei migliorato. Feci mesi d'inferno. Non era il mio posto. Volevo andare via. Serena dopo lotte su lotte si fece dare una appartamento protetto.

Finalmente avevo una mia casa. La nostra casa. Se non ci fosse stata lei sarei morto!

Eccomi. Sono qui. Di progressi ne ho fatti tanti e ne farò ancora. Non mollo.
L'amore ci salva. Lei mi ha salvato. Io ho salvato lei. Non mollate mai!
Le situazioni potranno essere difficili, ognuno di noi deve avere il coraggio di rimboccarsi le maniche e realizzare i suoi sogni. Qualunque sia l'ostacolo non mollate mai!
Ho un grande sogno: aprire un associazione per aiutare tutti i disabili di tutta Italia!!!


Giorgio Pallozzi

giovedì 25 novembre 2021

"Vorrei guarire dall'MCS per tutto l'Amore che mi ha dato mia madre, ma ho bisogno di aiuto!"

Vivo le pene dell'inferno, una vita di vessazioni. Ho una patologia gravissima che ancora la scienza tende a scansare, benché vi sia a disposizione moltissima letteratura specifica. Si tratta in apparenza di una di quelle situazioni apparentemente invisibili, resa possibile anche da una discreta presenza, che tende a mitigare la mia prigionia. L'acronimo è MCS, Multiple Chemical Sensitivity. Una sindrome mitocondriale, che giorno dopo giorno distrugge tutti gli organi e anche lo spirito, per chi come me ha ancora la forza di sorridere alla vita, nonostante tutto! Sono completamente abbandonata dalle istituzioni, ignorata per tantissime ragioni, soprattutto perché del mio caso in pochissime persone sono a conoscenza. La classica eminenza grigia che vive nell'ombra di se stessa, dietro un anfratto che mi sta uccidendo e nel modo più subdolo, cioè lentamente!
In un solo anno ho aumentato a dismisura l'intensità della mia sofferenza e del corteo di tutti i sintomi con i quali convivo. Non fosse altro che se disponessi di cure e di una casa bonificata, potrei recuperare un minimo del poco che resta di me stessa. Cosa resta?? Tanta dignità prima di tutto, non ho mai chiesto aiuti a nessuno, ho sempre evitato pensando di poter lavorare e sostenermi da sola. Non ho le forze per proseguire in questo modo, la sindrome si è portata via quasi tutto del mio mondo, ed io ero una ragazza piena di talento, voglia di fare, sogni da realizzare soprattutto, tanti!

Ma io sono anche una persona sola nella vita di ogni giorno, ignorata da mia sorella che non ha mai creduto alla mia sindrome, l'ha sempre contestata, umiliandomi talvolta e facendomi vergognare di esistere. Anche adesso che mi racconto penso che se dovessi chiudere gli occhi, smetterei di soffrire per sempre! Sì perché fa anche tanto freddo dove mi trovo e non posso permettermi neppure il riscaldamento, oltre al fatto che non tollero i caloriferi elettrici Soffro da troppo tempo per non aver considerato di raccontare un minimo la mia situazione. Con il Covid nessuna persona accetta di prendermi un poco a casa sua al caldo, ogni giorno prego Dio che questo succeda, ma anche quando sembra che io stia arrivando alla vetta di questo "sogno", ritorno bruscamente alla durissima realtà e resto qui al freddo e tra poco anche al gelo! Ho tante patologie insieme alla MCS, di cui la Rendu-Osler, motivo per la quale non posso andare a certe altezze collinari e montane. Causa di questo sono anche molto anemica e non posso permettermi alimenti di sostentamento che contrastino questa ennesima piaga. Ho problemi molto gravi coi denti ma non tollero anestesie! Ho la muffa in casa, non posso rimuoverla perché ne morirei. Intorno a me è tutto un cantiere.

Ogni stagione convivo con la passerella dei turisti sotto la finestra di casa mia, ogni secondo passa una persona, vi lascio immaginare, odori di ogni genere, profumi, ammorbidenti, tutto quello che passa mi entra in casa perché il mio piccolissimo buco esistenziale, è un pied a terre. Di fatto avrei anche una bella vista,  che detta così parrebbe il sogno di chiunque! Le poche volte che mi sono azzardata a fare una passeggiata, sono dovuta rientrare piena di odori addosso, che poi mi restano nella così definita memoria epiteliale; odori che si mischiano al gusto e all'olfatto, mangio qualcosa e sento quegli odori che si sono trasferiti sul mangiare. Tutto impossibile da sopportare, inenarrabile! Mio padre è anziano ed è seguito da un badante, non posso stargli accanto, malgrado gli voglia un bene infinito, ma lui è malato e ha bisogno di essere seguito giorno e notte, io sono malata e non riesco ad aiutarlo.

Vi prego di aiutarmi, chi potrà farlo leggendo questo scritto, si metta in contatto con me e mi dia un'opportunità di vita vera, non so cosa sia vivere in un vero appartamento. Non cerco cose sontuose, vorrei solo offrire a me stessa, per quel piccolo lasso di tempo che Dio mi concederà ancora in questo mondo, di provare l'emozione del vivere una casa "normale", lontana da qualsiasi fonte chimica. L'inverno sta bussando, non posso morire qui al gelo, sono sicura che da qualche parte del mondo qualcuno vorrà prendersi a cuore il mio caso. Sono una persona serissima e saprò disporre dell'autenticità di queste mie parole. Grazie a chiunque mi verrà in soccorso.

Qualcuno diceva che "Ci sono rimaste tre cose in paradiso: le stelle della notte, i fiori del giorno e gli occhi dei bambini" (Dante Alighieri)...... i miei occhi sono uguali a quelli di quei bambini, ho ancora desideri puri nel cuore, vorrei riscattarmi anche dal lutto di mia madre, facendole sapere che la mia vita è migliorata, glielo devo, mi ha dato tutto, mi ha insegnato a vivere.

Manuela


Per contattare Manuela allo scopo di poterla aiutare, scrivere a
marcolavocedellaverita@virgilio.it

Grazie di vero cuore a chi vorrà e potrà farlo!

lunedì 25 ottobre 2021

Simone, disabile grave, ha realizzato il desiderio di ricevere la S. Cresima nel suo giardino

Simone ha una gravissima disabilità, non può parlare e non può muoversi, ma questa domenica ha realizzato il suo grande desiderio di ricevere la S. Cresima nel giardino della sua casa, trasformata in una piccola chiesa, dalle mani del Vescovo e del diacono che lo conoscono bene.

ROMASimone è un ragazzo gravemente disabile a causa di una forte afasia complicata da diversi altri gravi problemi, non può né parlare e né muoversi dal suo letto, ma ciò nonostante non ha mai perduto la voglia di vivere né di comunicare con le persone che gli sono intorno. E ha sempre manifestato una forte Spiritualità, tanto da voler ardentemente ricevere i Sacramenti, prima la S. Comunione e ora, da questa domenica, la S. Cresima. Per fare ciò, la sua casa, in cui vive assieme a sua mamma Sara, nel quartiere Tiburtino di Roma, si è trasformata in una piccola chiesa all'aperto, con la presenza di tanti amici, del diacono e del Vescovo.
Simone, munito di un particolare “tubetto”, uno strumento che gli permette di comunicare attraverso leggere pressioni con le dita, ha fatto chiaramente capire che era suo desiderio ricevere questo importante Sacramento, e tutto questo si è realizzato nel giardino della sua nuova casa, ottenuta quest'ultima a costo di lunghe e faticose battaglie dalla sua instancabile madre Sara.

La grande Fede di Simone

E' da diversi anni che Simone ha manifestato un sempre più grande desiderio di Spiritualità, nato probabilmente negli anni della scuola. Da anni Simone ascolta devotamente la S. Messa e i vari riti Cattolici delle più importanti Festività, quindi più recentemente ha scoperto anche il S. Rosario. Tutto questo ha coinciso, qualche anno fa, con l'intenzione di Simone di fare la prima Comunione, cosa non semplice da attuare a causa della sua gravissima disabilità, ma che alla fine è avvenuta. In questo modo Simone è entrato, di fatto, nella Comunità del suo quartiere, nonostante la sua impossibilità di muoversi dalle mura della sua casa. In tutto questo ha pesato molto la devozione e compostezza che Simone ha sempre manifestato tutte le volte che ha seguito la S. Messa, fatto questo che ha convinto tutti e tolto ogni dubbio sulla profondità e radicalità delle sue intenzioni.
Simone ha manifestato spesso anche l'intenzione di pregare insieme alle altre persone, spesso quando si manifestavano dei problemi legati alla sua salute, a problemi nati con la Asl o per altre ragioni ancora.

Il desiderio realizzato della Cresima nel suo giardino

Non c'è stata una presenza di persone molto numerosa alla Cresima di Simone, a causa della pandemia, ma tutte le persone a lui più care erano presenti, e tra queste il diacono Roberto Proietti, due responsabili della Caritas, un medico molto amico della famiglia e diverse altre persone ancora, tutte care amiche di Simone e di sua mamma Sara. Ed era presente anche il Vescovo, mons. Paolo Ricciardi, che ha avuto modo di conoscere il piccolo ma bel “mondo” che ruota attorno a Simone. Soprattutto ha conosciuto lui, con il suo “tubetto” comunicatore che gli permette di interagire con le altre persone.
Al termine della cerimonia c'è stato anche un piccolo ma gradevole rinfresco, e Simone, che è stato per tutto il tempo della Festa senza respiratore, era visibilmente felice, immerso totalmente in questo clima gioioso, di vero e profondo affetto.


Marco

23 ottobre 2021

sabato 9 ottobre 2021

Premana. Al via un progetto di ricerca sulla malattia di Gloria e Samuel

Primo passo per lo studio dell’Atassia da mutazione della neurofascina.
A raccogliere la sfida l’equipe del professor Comi del Centro Dino Ferrari di Milano

PREMANALa malattia rara dei fratelli premanesi Gloria e Samuel adesso non soltanto ha un nome, ma anche una sperimentazione dedicata. Grazie alla raccolta fondi, i ricercatori del Centro Dino Ferrari di Milano la potranno riprodurre in laboratorio utilizzando organoidi cerebrali per studiarne fisiologia e patogenesi.

Un viaggio che ha inizio il 23 febbraio 2019: con un concerto del Coro Nives si dà il via alla raccolta fondi per Gloria e Samuel, i fratelli premanesi affetti da una patologia unica al mondo, una neuropatia demielinizzante che porta alla progressiva perdita della coordinazione muscolare. L’11 luglio dello stesso anno si ripete con l’iniziativa Corriamo con Gloria e Samuel, in cui un nutrito gruppo di atleti di altissimo livello si sfida in una spettacolare corsa a eliminazione per le vie di Premana. Per l’occasione, diversi campioni delle più svariate discipline sportive donano cimeli personali per un’asta benefica. Il tesoretto derivato fa scattare la molla per la creazione di un Comitato di cittadini a favore della ricerca sulla malattia, presieduto da mamma Maria Carla e papà Giordano.

Il primo passo del Comitato è la raccolta delle idee e dei proventi, che raggiungono l’interessante cifra di 70 mila euro. Si decide, quindi, di appoggiarsi alla Fondazione Comunitaria del Lecchese Onlus e si cerca di capire come muoversi per far sì che questi soldi vengano investiti in ricerca. A raccogliere la sfida è l’equipe del Professor Comi del Centro Dino Ferrari dell’Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Policlinico Ospedale Maggiore, guidata dal Dottor Alessio di Fonzo, già coinvolta nella diagnosi. Partendo dalle cellule della pelle di Gloria e Samuel, opportunamente riprogrammate e differenziate, i ricercatori svilupperanno degli organoidi cerebrali, strutture che ricapitolano dei piccoli cervelli in vitro. L’obiettivo è quello di comprendere i meccanismi biologici alla base della malattia, al fine di sviluppare una terapia mirata.

Desidero esprimere a voi e a tutta la comunità premanese che si è stretta intorno ai vostri figli Gloria e Samuel, i più sentiti ringraziamenti per la disponibilità a contribuire al progetto di ricerca ‘Studio della neurofascina negli organoidi cerebrali. Dalla fisiologia del neurosviluppo alla patogenesi della nodopatia ereditaria da mutazione della neurofascina’. Sarà ovviamente nostra cura produrre una rendicontazione scientifica ed economica dell’impiego dei fondi devoluti”, queste le parole della Dottoressa Marialuisa Gavazzeni Trussardi, presidente dell’Associazione Dino Ferrari di Milano. Il cammino sarà lungo e costoso, ma la speranza di raggiungere dei risultati per Gloria, Samuel e gli altri bambini nati con questa malattia rara sarà il motore per tutti, scienziati e finanziatori.

Per eventuali prossime donazioni il versamento potrà essere effettuato sul conto corrente:

Banca della Valsassina Credito cooperativo Filiale di Lecco
IBAN: IT87B0851522900 000000501306
Causale del bonifico: Ricerca per Gloria e Samuel


Le informazioni finora disponibili sono reperibili sul sito dell’associazione.


28 settembre 2021

venerdì 1 ottobre 2021

Un aiuto per Alessandro Di Mauro, paraplegico, ma con tanta voglia di vivere!

Alessandro Di Mauro è nato ad Augusta 27 anni fa e, nel luglio del 2008, in un momento di allegria e spensieratezza, compie un tuffo nel mare di Brucoli durante la festa di San Nicola che ha però, purtroppo, un esito terribile: un impatto “sbagliato” con l'acqua lo lascia infatti gravemente invalido. Da ora in avanti per Alessandro nulla è più come prima, inizia una seconda vita fatta di dolore fisico, di privazioni, di numerosi interventi chirurgici (ad oggi, ne ha subiti ben 38), ma anche ricolma di speranza e di voglia di vivere perché Alessandro non si è mai arreso, aiutato e supportato dalla sua meravigliosa famiglia e da tanti splendidi amici.

Dal giorno di questo tragico incidente iniziano anni molto difficili per Alessandro e la sua famiglia, tanto che sono costretti a vendere la propria casa di Augusta per far fronte alle tante spese mediche di questo periodo. Il primo immediato ricovero Alessandro lo ha avuto a Siracusa, seguito da un trasferimento al centro riabilitativo di Montecatone per un totale di due anni. Le complicanze purtroppo non sono mai mancate, compresa un’emorragia interna che lo ha fatto finire in sala operatoria all’ospedale di Bologna, una ferita al torace che si porta dietro da quando aveva 14 anni e che non si è mai rimarginata come si deve, il femore fuori posto e problemi alla vescica. Nel 2016 ha subito anche un operazione d'urgenza al Niguarda di Milano a causa di un rene che non funzionava più.... poi, grazie al Cielo, il rene riprende a funzionare correttamente anche se solo all'80%.
Sono tanti i problemi che deve affrontare Alessandro in questi anni, i dolori sono continui, si divide costantemente tra il letto e la carrozzina e ha bisogno di assistenza 24 ore su 24.

Alessandro e famiglia si sono trasferiti al Nord per poter affrontare la loro difficile situazione, al sud ci sono le strutture ma non c'è abbastanza personale. Essere al nord però comporta maggiori spese perché la vita è più cara ed inoltre, il padre, è dovuto rimanere “fermo”, senza lavoro, per parecchio tempo.
Ecco che allora, alcuni carissimi amici di Alessandro, hanno avuto l'idea di aprire una raccolta fondi a suo favore, per permettere a lui e alla sua famiglia di far fronte alle tante spese mediche che devono affrontare, oltre a tutto il resto, come la benzina per i viaggi, le bollette, la spesa di ogni giorno e ogni altra cosa. L'intento di questa raccolta fondi è anche quella di poter acquistare un computer capace di supportare i programmi di cui necessita Alessandro, che gli possano permettere una maggiore autonomia e indipendenza, e magari poter avere una maggior privacy con i suoi amici.

La raccolta fondi si trova sulla piattaforma gofundme all'indirizzo:
https://www.gofundme.com/f/help-alessandro-pay-for-the-costs-of-his-operation

Ma si può aiutare Alessandro anche attraverso un bonifico bancario da versare a queste coordinate:

BANCA UNICREDIT
INTESTATO A: ALESSANDRO DI MAURO
IBAN: IT 95A 02008 21001 000104588783

Alessandro Di Mauro è diventato un punto di riferimento per i suoi amici e per tutti quelli che lo conoscono: nonostante le sue difficilissime condizioni di salute, ha un grandissimo Amore per la vita ed è un vero esempio per tutti!
Alessandro ci insegna a non dare mai nulla per scontato, ma che ogni situazione nella vita non è altro che un ostacolo da affrontare per migliorare sé stessi, per essere più completi e per essere felici, sempre!
Una piccola donazione per Alessandro non è una rinuncia, ma un atto d'Amore nei suoi confronti. E così come ogni goccia forma l'oceano, ciascuno di noi può essere quella “goccia d'Amore” che può aiutare concretamente Alessandro e la sua splendida famiglia ad avere un futuro migliore.


Marco

venerdì 18 giugno 2021

Padova, l'appello dei genitori di un bimbo di 5 anni che lotta contro la leucemia: "Serve un donatore, il trapianto è l'ultima speranza"

"Serve un donatore di midollo osseo, di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Aiutiamo Fabiano", sottolinea il sindaco di Pozzonovo, il comune dove vive il bambino

"Il trapianto di midollo è l'ultima speranza per salvare Fabiano". Questo l'appello dei genitori di un bambino di quasi 5 anni di Pozzonovo, nel Padovano, che dal 2019 soffre di leucemia. La mamma e il papà di Fabiano, supportati dalla sindaca Arianna Lazzarini, chiedono quindi ai giovani tra i 18 e i 35 anni di mettersi a disposizione per donare. Un appello ripreso anche dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia.

L'inizio del calvario - "Era il gennaio 2019 e Fabiano ci sembrava particolarmente pallido e stanco - hanno raccontato i genitori al Gazzettino -. All'inizio non gli abbiamo dato un gran peso ma poi ci sono stati due episodi che ci hanno spinti a rivolgerci ai medici: camminando cadeva a terra senza motivo e salendo le scale si lamentava per il dolore". All'ospedale di Schiavonia è dunque arrivata la diagnosi, poi confermata all'ospedale di Padova: leucemia.

Dopo due anni di ricoveri, chemioterapie e cortisone, nel gennaio scorso sembrava che Fabiano stesse meglio. "Ci siamo illusi - hanno spiegato i genitori -. Abbiamo notato un ingrossamento dei testicoli. Due ecografie fatte nell'arco di 15 giorni non hanno rilevato nulla, ma la biopsia ha evidenziato che purtroppo la malattia era sempre presente e che, anzi, si era fatta più aggressiva".

Dunque, nel giro di una settimana, il bambino è stato sottoposto a due interventi molto invasivi. Ma poi è arrivata la brutta notizia: solo il trapianto può salvarlo. "E' stato avviato quindi il secondo protocollo che prevede tre mesi di preparazione. Siamo alla fine del secondo, Fabiano purtroppo risponde male alle cure. Venerdì scorso abbiamo firmato per acconsentire la ricerca di un donatore compatibile nella banca dati, ma ci hanno detto che lo è solo uno su centomila". Ecco quindi il perché dell'appello.

L'appello del sindaco - "Il piccolo Fabiano - residente a Pozzonovo, Padova - deve sottoporsi urgentemente a un trapianto di midollo osseo. Ha quasi 5 anni. Da due anni e mezzo sta combattendo contro la leucemia, con cicli di chemio che non hanno fatto sparire il male, divenuto ancora più aggressivo. Serve un donatore di midollo osseo, di età compresa tra i 18 e i 35 anni - è l'appello condiviso su Facebook dal sindaco di Pozzonovo Lazzarini e condiviso da Zaia - Chi può, contatti per favore ADMO - Associazione Donatori Midollo Osseo al numero 800890800 o si iscriva alla piattaforma presso il seguente indirizzo: http://admoveneto.it/iscriviti. Vi ringrazio di cuore per l'attenzione e la sensibilità con cui potrete contribuire al futuro del nostro piccolo Fabiano e di tanti altri malati che stanno attendendo la compatibilità di midollo osseo".


16 giugno 2021

FONTE: Tg com 24

venerdì 14 maggio 2021

Suor Fausta Cogo, l'“angelo” in bicicletta

La religiosa vicentina è infermiera porta a porta a Strongoli centro, paesino di 2000 anime in Calabria. «Qui una suora in scarpe da ginnastica non si era mai vista, figuriamoci su due ruote»

Scarpe da ginnastica, valigetta nel cestino, veste bianca svolazzante e via. A Strongoli è l'
angelo in bicicletta”. Da 11 anni gli abitanti di questo piccolo borgo di 2.000 anime in un promontorio in Calabria, scrigno di cultura e tradizioni antiche, ricevono le sue cure arrivando a considerarla una di loro. Suor Fausta Cogo, 73 anni, infermiera dorotea di Germano dei Berici (Vi), porta conforto e cure mediche porta a porta. Per molti anni l’ha fatto in sella alla sua bicicletta elettrica. «Prima del lockdown giravo famiglia per famiglia, su e giù per le stradine – racconta -. Ho una mappa dove sono indicate le persone sole, i malati, le vedove, chi ha appena avuto un bimbo per portare l’attenzione e la parola giusta. Poi è arrivata la pandemia e, soprattutto, sono caduta in casa (in casa!) rompendomi tibia e perone. Sono ancora convalescente. La mia bicicletta ora è al sicuro in uno stanzetta, coperta da un telo. Per il momento mi vengono a prendere in automobile». Per suor Fausta la bicicletta elettrica è «il secondo angelo custode. Il primo spero di vederlo quando sarà il momento» sorride . «È il Signore che apre le strade – dice -. Qui una suora in scarpe da ginnastica non si era mai vista, figuriamoci in bicicletta».

La religiosa aveva già lavorato come infermiera nel Sud Italia fino al 2002, poi per anni nel reparto di cardiologia ad Arzignano. Arrivata la pensione ha chiesto all’allora Madre generale di poter tornare al Sud. «Ecco che mi hanno proposto Strongoli – racconta -, dove la mia Congregazione ha una comunità di quattro suore che lo scorso anno ha festeggiato 100 anni di vita. Non sapevo neanche dove si trovasse! – scherza -. “Ma lì c’è un ospedale?” chiesi». «Fu così che scoprii che si trattava di un servizio diverso, legato al Gruppo di Misericordia».

Gli abitanti, soprattutto anziani, del paesino calabrese hanno accolto la religiosa a braccia aperte. Suor Fausta chiede permesso, entra, saluta, vista, medica, fa iniezioni, porta e riceve conforto. «Piano piano, negli anni, mi conoscono tutti, mi aspettano, vedermi è un’esigenza, la mia visita per loro è un onore e un’occasione per aprirsi, chiedermi qualcosa, raccontarsi». Suor Fausta non ha la patente: «Appena arrivata – spiega – mi accompagnavano in automobile i ministri straordinari dell’Eucaristia, ho fatto anche un periodo a piedi. Qui nessuno usa la bicicletta, le strade salgono e scendono. Le utilizzano solo i bambini per giocare e d’estate si comincia a vedere qualche sportivo. La soluzione è arrivata pensando al motore.
Serve una bicicletta motorizzata!” ci siamo detti». «Mi sono sempre posta con genuinità, spontaneità senza pensare ai commenti e pregiudizi – confida -. Sicuramente ho portato novità e forse un po’ di trasgressione. Ricordo ancora le facce dei vecchietti seduti in panchina che mi vedevano sfrecciare, quelli che osservano chiunque passi, chissà che cosa pensavano».

Suor Fausta torna con la mente ai tanti anni di lavoro con i malati e si commuove: «Lavorare come infermiera, in particolare entrando nelle case della gente, è una scuola di vita. Ogni giorno scopro quanta sofferenza nascosta, silenziosa e discreta ci sia. Ho partecipato anche a compleanni, nascite, feste di matrimoni, ma è il dolore condiviso che fa crescere. È una palestra di vita, insegna a non lamentarsi per le stupidaggini». Suor Fausta è stata 40 anni caposala, in reparto: «Difficile paragonare le due esperienze, totalmente diverse. Al nord avevo le briglie, condividevo gioie e sofferenze dei pazienti per due settimane, un mese, poi li “perdevo”. Qui sono libera di vivere rapporti duraturi. Adesso mi sento davvero suora, non che prima non lo fossi, ma mi sentito vincolata dalla responsabilità». A Strongoli si vive della Provvidenza. «Se c’è bisogno di qualcosa, non si sa come ma arriva. C'è sempre qualcuno che si prodiga: non le dico la frutta, le verdure che ci ritroviamo sopra il tavolo. Gesti e solidarietà straordinari che poi noi ricambiamo distribuendo a chi ne ha bisogno».


di Marta Randon

10 maggio 2021

FONTE: La Voce dei Berici

lunedì 10 maggio 2021

Vicinanza del Papa alle persone affette da fibromialgia

L’appello del Papa al Regina Coeli anticipa la Giornata Mondiale della Fibromialgia, che cade il prossimo 12 maggio. Si tratta di una forma comune di dolore muscoloscheletrico diffuso e di affaticamento che in Italia colpisce oltre 2 milioni di persone. La testimonianza di Edith Aldama, infermiera e referente delle malattie reumatiche per la Pastorale della Salute della Diocesi di Roma

Città del Vaticano - Le parole del Papa al Regina Coeli sulla fibromialgia pongono l’attenzione su una patologia sottovalutata e poco conosciuta.
Saluto - ha detto Francesco - le persone affette da fibromialgia. Esprimo la mia vicinanza a auspico che cresca l’attenzione a questa patologia a volte trascurata. Il 12 maggio le piazze e i monumenti italiani si coloreranno di viola per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni del paziente fibromialgico, sofferente di una patologia che la pandemia ha contribuito ad aggravare ulteriormente. È l’iniziativa "Illuminiamo la Fibromialgia" voluta dall’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica, in occasione della giornata mondiale dedicata a questa invalidante e dolorosa malattia.

Una sofferenza spesso taciuta

Chi si trova a vivere questa malattia spesso, prima di riuscire ad avere la giusta diagnosi, deve attraversare un calvario fatto di molte visite specialistiche, tanti esami clinici, numerosi medici che troppe volte non riescono a capire che cosa succede nella persona. E questa situazione troppo spesso si dilunga anche per vari anni. “La fibromialgia in Italia colpisce due milioni e mezzo di persone
, racconta Edith Aldama, infermiera e referente per le malattie reumatiche della Pastorale della Salute della Diocesi di Roma. La caratteristica fondamentale di questa sindrome, è il dolore muscolo scheletrico diffuso. Un dolore continuo e intenso, che ci accompagna giorno e notte. Specifico, ‘ci accompagna’, perché anch'io sono una malata fibromialgica. Questa malattia è caratterizzata anche da altri disturbi, come la stanchezza cronica ed altri problemi. Sono proprio queste caratteristiche che la portano ad essere un’affezione molto invalidante”.

Una malattia difficilmente diagnosticabile

Questa patologia colpisce maggiormente le donne, ma anche gli uomini non ne sono indenni, indistintamente dall’età. Si va dall’adolescenza fino alla terza età. “Purtroppo non c'è un protocollo diagnostico terapeutico – continua a spiegare Edith Aldama – e i pazienti si trovano tante volte a non avere un ciclo unico di cure. Le cause non si conoscono ancora: si parla di un'alterazione della soglia del dolore, quindi le cure sono mirate a cercare in qualche modo di alleviare questa sofferenza. Perciò si utilizzano farmaci antidolorifici, ma anche antidepressivi, non perché possa esserci per forza nel paziente una forma di depressione, ma poiché aiutano ad alzare la soglia di sopportazione del dolore. Anche per la stanchezza cronica si utilizzano tanti integratori, però non c'è un vero e proprio protocollo di cure previsto”.

Vivere il dolore in solitudine

Troppo spesso chi soffre di fibromialgia si ritrova solo ad affrontare una malattia ancora troppo poco conosciuta, dove la ricerca medica è ferma e non ci sono cure valide per ottenere dei miglioramenti concreti. “Fondamentalmente siamo invisibili, perché non è una malattia riconosciuta dallo Stato Italiano - sottolinea l’infermiera - anche se c'è comunque una proposta di legge in Parlamento per il riconoscimento di questa patologia come malattia cronica invalidante. La ricerca è ferma. E’ dunque fondamentale sensibilizzare sull'esistenza della patologia e favorire anche la formazione del personale sanitario, per far conoscere questa affezione ed arrivare a un unico protocollo diagnostico terapeutico. Purtroppo il fatto di non essere ancora riconosciuta comporta per i pazienti un mancato accesso alle cure attraverso il sistema sanitario nazionale. Per questo ci capita di incontrare persone diventate invisibili, che vivono la loro esistenza nella sofferenza e nel buio più totale”.


di Marina Tomarro

9 maggio 2021

FONTE: Vatican News

domenica 2 maggio 2021

Oncologo cancella i debiti sanitari dei suoi pazienti per più di 650 mila dollari

Un oncologo dell’Arkansas, il dottor Omar T. Atiq, cancella 650 mila dollari di debiti per spese mediche da pagare dei suoi pazienti

Un atto di gentilezza e generosità che sta aiutando i pazienti e gli ex pazienti del dottore ad affrontare il nuovo anno in maniera più serena e con meno debiti da saldare.

E’ noto che negli Stati Uniti l’accesso alle cure mediche sia sostanzialmente ad appannaggio di chi ha assicurazioni sanitarie costose che coprono parte dei costi degli interventi, e che per chi non può permettersi una assicurazione le spese sanitarie siano altissime e spesso chi si ammala, come in questo caso, pazienti che lottano contro il cancro, si ritrova poi, una volta guarito a pagare per anni, debiti di migliaia di euro, rispetto alle cure a cui ha dovuto sottoporsi,

Così il dottor Atiq ha deciso di annullare i debiti dei suoi pazienti per le cure sanitarie e ad ognuno di loro ha inviato un biglietto con un saluto personale dal loro ex medico. La nota ringraziava ogni paziente per aver dato fiducia al dottor Atiq e per essersi affidati a lui per le cure, e poi annunciava la generosa sorpresa.

l’oncologo racconta alla CNN di essere sempre stato dubbioso e di non essere mai stato d’accordo con le modalità della sanità statunitense che lascia i cittadini economicamente più bisognosi, pieni di ulteriori debiti da saldare una volta che finiscono delle cure per una malattia, però purtroppo è così che funziona il sistema americano e non c’è nulla che si possa fare, eccetto prendere una iniziativa personale.

Così lo stesso medico ha pensato di agire lui stesso concretamente per chi non si può permettere una assicurazione sanitaria, cancellando tutti i debiti dei suoi pazienti, da quelli di centinaia di dollari a quelli di decine di migliaia di dollari, per un totale di più di 650 mila dollari, che il dottor Atiq non ha incassato per sé, ma con cui ha aiutato molte famiglie in difficoltà finanziaria, soprattutto in questo periodo di crisi sanitaria che ha lasciato molte famiglie bisognose, ancora più in difficoltà.

Quasi 30 anni fa, il Dr. Atiq ha fondato l’Arkansas Cancer Clinic per rendere disponibili cure oncologiche anche a persone economicamente svantaggiate. E’ chiaro che per questo oncologo dal cuore d’oro i bisogni dei pazienti sono sempre stati più importanti che la loro possibilità di pagare.

Il dottor Atiq conosce fin troppo bene l’enorme pressione finanziaria che spesso devono affrontare i pazienti e dall’altro lato, come oncologo, ammette che la cura del cancro spesso comporta spese particolarmente schiaccianti. Sebbene desideri che tutti i suoi pazienti si concentrino semplicemente sulla guarigione, molti semplicemente non sono in grado di farlo e la maggior parte dei suoi pazienti deve lavorare durante il trattamento. Alcuni dei suoi pazienti, comprese le signore anziane, stavano già facendo due lavori prima di ammalarsi.

l’oncologo racconta alla CNN: “Sono fortunato che io e la mia famiglia non abbiamo bisogno di soldi e riusciamo a vivere bene, così abbiamo pensato di fare qualcosa per gli altri rinunciano ai debiti dei miei pazienti. Se questo mio gesto ha dato un po’ di sollievo ed aiuto a chi è in difficoltà, allora sono grato di avere avuto l’opportunità di farlo”.

Non ho mai rifiutato nessun paziente per nessun motivo. Un principio che ho sempre seguito è che sono qui per salvare delle vite. Sentire che i pazienti si fidano di me e ripongono nelle mie mani la fiducia per la propria vita è il più alto privilegio e onore che posso ottenere”.

Ritengo quello che ho fatto un piccolo gesto rispetto a tutto quelli che i miei pazienti mi hanno dato ed insegnato in questi anni: Il coraggio, la resilienza e la dignità che ho imparato dai miei pazienti, questi sono inestimabili”.

23 aprile 2021

FONTE: Positizie.it

sabato 27 marzo 2021

Silvio Irilli, coloro gli ospedali per aiutare a vincere la paura

Stanze grigie e anonime possono trasformarsi in una cascata di colori ed emozioni capaci di far tornare il sorriso ai bambini che devono effettuare il prelievo o una radioterapia. La sua professione la vive un po' come una missione Silvio Irilli, artista che dipinge gli ospedali per aiutare a vincere la paura.

Dal Fazzi di Lecce e il Monaldi di Napoli all'Istituto Nazionale Tumori di Milano, 15 ospedali diversi, per un totale di 3000 metri quadri sono stati dipinti in 9 anni da nord a sud Italia. “Con i colori, le emozioni e la fantasia, riporto l'umanità in ospedale”, racconta all'ANSA.
Originario di Chieri, in provincia di Torino, Silvio dipinge da trent'anni. “Ho iniziato da bambino a disegnare, a 21 anni ho iniziato a lavorare come illustratore nel settore dell'editoria, nel 2008 fui chiamato a dipingere 350 metri quadri del soffitto dell'ingesso dell'aquario di Atlanta, negli Stati Uniti, visitato da 3 milioni di persone ogni anno”. E' nato così il tema marino che lo ha fatto conoscere nel mondo, ma la svolta professionale è stata nel 2011, quando è stato chiamato dal Policlinico Gemelli per dipingere un corridoio di radioterapia oncologica.I medici - ricorda Silvio - mi chiesero di provare a dare un'accoglienza diversa ai piccoli malati oncologici. L'obiettivo era creare interazione tra ambiente e paziente, in un luogo normalmente associato a ansia o tristezza”. Di qui è iniziato un lavoro per dipingere 300 metri quadri di soffitto e pareti con onde, stelle marine, delfini e tartarughe sorridenti. E i risultati sono stati incredibili. “I bambini si trovano in un ambiente a loro misura e quando tornano a casa dicono ai genitori che non vedono l'ora di tornare nel sottomarino del Gemelli”.
Questo è diventato un supporto anche per i medici. “I dottori mi hanno spiegato di esser risusciti ad acquisire la fiducia dei pazienti, in alcuni casi non è stato necessario addormentare i bimbi per effettuare la radioterapia, andando oltre ogni aspettativa”.

Da qui, nel 2012, è nato il progetto "Ospedali dipinti", che in questi anni ha permesso di trasformare in un bosco incantato il corridoio dell'Ospedale Regina Margherita di Torino o ambientare in un acquario il pronto Soccorso di Novara, ancora, portare Villa Adriana dentro la sala bunker di radioterapia del Gemelli.
I temi da rappresentare nelle creazioni nascono da un colloquio realizzato con dottori e associazioni che prendono in carico il progetto. Le immagini vengono dipinte in studio e stampate su carta da parati o pellicola adesiva lavabile e certificata per l'uso ospedaliero. “Questo - spiega - consente una grande velocità nel trasformare i reparti, cosa impossibile se fosse tutto dipinto in loco, perché il reparto diventerebbe un cantiere per settimane. Invece nel giro di un weekend riusciamo magicamente a rivoluzionare un ambiente. Poi i dipinti vengono rifiniti a mano”.

A rendere possibile tutto questo è l'aiuto di onlus, fondazioni e privati che vogliono donare reparti dipinti a strutture ospedaliere. In questo modo, sottolinea, “le strutture pubbliche non debbono spendere soldi per la decorazione dei reparti”. E i progetti non mancano. A febbraio Irilli sarà all'Ospedale di Messina per realizzare l'Isola del Sorriso nel reparto di Neuropsichiatria, in collaborazione con l'associazione ABC Amici dei Bimbi in Corsia e con il contributo di Msd Italia. Quindi a Taranto, per terminare le stanze di degenza del reparto di Oncoematologia, che sarà intitolato a Nadia Toffa. “Il mio obiettivo - conclude - è aiutare più bambini possibili a vincere le paure e farli continuare a sognare anche in ospedale. Magari, in futuro, rendendo le mie opere anche interattive”.

10 dicembre 2019

FONTE: Ansa Salute&Benessere

domenica 21 febbraio 2021

Sacerdoti in corsia nei reparti Covid. Il conforto dei Sacramenti e una parola di speranza

I racconti dei sacerdoti impegnati in servizio nei reparti ospedalieri Covid raccolti dal giornale diocesano "La Libertà" di Reggio Emilia-Guastalla. Sono una ventina in tutto i preti che hanno chiesto e ottenuto di entrare nei reparti Covid per portare il conforto dei sacramenti e una parola di speranza negli ospedali di Reggio Emilia, Guastalla e Scandiano. Un segno di consolazione divenuto concreto grazie a una convenzione firmata dal direttore generale dell’Ausl-Irccs di Reggio Emilia Cristina Marchesi e dal pastore della Chiesa reggiano-guastallese Massimo Camisasca

A volte basta poco per cambiare l’umore di qualcuno. Più volte colgo in me il forte desiderio di poter fare tutto il possibile per rendere gli altri contenti; anche aiutando a vedere la stessa realtà ma con l’ottimismo di chi il bicchiere lo vede mezzo pieno, anziché mezzo vuoto. È prevalso il tempo trascorso nelle camere fra un malato e l’altro, soprattutto per ascoltare i loro racconti; sedersi accanto (nella distanza di sicurezza concessa) per immergersi nei loro ricordi e passioni, essere coinvolti dai loro sogni, desideri e progetti, ma anche condividere e giustificare le loro paure e fatiche. In quei momenti mi è stato concesso di essere una presenza importante mandata dalla Provvidenza; un vero e proprio strumento del Signore inviato lì per infondere calore e per garantire a quel malato il sostegno donato da una presenza umana e divina insieme”. Con queste parole don Giuliano commenta sul giornale diocesano di Reggio Emilia-Guastalla, “La Libertà ”, il suo servizio in un reparto ospedaliero Covid.

Nulla di speciale, in fondo: prendersi cura di un bisognoso ci permette di sperimentare quanto nel Vangelo ci viene raccontato del buon samaritano: modello di vita da fare nostro sempre, al di là di ogni nostra specifica vocazione”, aggiunge il sacerdote, che è collaboratore nell’unità pastorale "Regina della Pace" di Casalgrande e Salvaterra (Reggio Emilia). E come don Giuliano ci sono altri presbiteri, una ventina in tutto, che hanno chiesto e ottenuto di entrare nei reparti Covid per portare il conforto dei sacramenti e una parola di speranza negli ospedali di Reggio Emilia, Guastalla e Scandiano:

6 giorni su 7, con turni dalle 13 alle 20, nella più rigorosa osservanza dei controlli a cui essi per primi si sottopongono e nel rispetto della libertà di coscienza dei cittadini. Un segno di consolazione divenuto concreto grazie a una convenzione firmata dal direttore generale dell’Ausl-Irccs di Reggio Emilia Cristina Marchesi e dal pastore della Chiesa reggiano-guastallese Massimo Camisasca.

È stata ed è per me una priorità in questo tempo di Coronavirus, sia durante la prima che la seconda ondata della pandemia, assicurare la presenza di sacerdoti all’interno degli ospedali”, afferma mons. Camisasca. E aggiunge:

Garantire la vicinanza di un prete a chi è gravemente malato o sta morendo è la più alta forma di carità che la Chiesa possa esprimere. Accompagnare chi muore all’ultimo passo è il dono più importante che possiamo fare ai nostri fratelli. Non c’è infatti solitudine più grande di quella della morte. La presenza del sacerdote alimenta la speranza che l’incontro con Dio sia un incontro vitale, rappresenti l’inizio di una nuova vita”.

L’idea iniziale, maturata anche grazie alla testimonianza di don Alberto Debbi, pneumologo tuttora operante a chiamata presso l’Ospedale di Sassuolo, ha incontrato l’appoggio dei vertici dell’Ausl-Irccs. Sono seguite, da parte della Chiesa diocesana, le richieste di disponibilità ai sacerdoti, individuando come potenzialmente idonei quelli di età inferiore ai 60 anni. Quanti hanno risposto all’appello hanno subito intrapreso un cammino di formazione online; insieme ai preti disponibili, agli incontri preparatori partecipano sia funzionari dell’Azienda sanitaria, che ne curano l’addestramento, sia membri di un’équipe diocesana, che offre un percorso di sostegno.
Offrire un supporto psicologico e spirituale – sottolinea mons. Alberto Nicelli, vicario generale – può costituire un sollievo in primo luogo per i malati; la presenza dei sacerdoti dà poi sostegno alla loro comunicazione, attraverso telefoni e tablet, con i familiari lontani; rappresenta altresì un aiuto al personale medico-sanitario, affaticato e spesso provato in prima persona dal virus”.

Azienda sanitaria e diocesi hanno condiviso la consapevolezza che l’assistenza spirituale può essere in tantissimi casi un “quid” che si aggiunge alle competenze scientifiche e all’azione terapeutica.


di Edoardo Tincani

13 febbraio 2021

FONTE: La difesa del popolo

lunedì 8 febbraio 2021

In Langa il medico che combatte la paura da Coronavirus in sella alla sua Ambra

“I miei assistiti sono preoccupati per questa pandemia ma arrivando con la mia cavalla è come se facessi una mini pet therapy anti panico da Covid-19”

Tra i tanti effetti collaterali che ha questa terribile pandemia da Covid-19, c’è anche quello della paura, dell’incertezza su come comportarsi e anche la preoccupazione di non riconoscere in tempo i sintomi in noi stessi e nei nostri familiari. Per questo arrivare dai miei assistiti, spesso preoccupati, con la mia cavalla Ambra, è un modo per stemperare la tensione, rasserenare almeno per un attimo gli animi in questo brutto periodo. Del resto i cavalli sono stati tra i primi animali ad essere utilizzati con successo nella pet therapy, quasi come un calmante naturale”.

A dirlo è il medico di base Roberto Anfosso, mille e 200 persone delle quali prendersi cura, la cui età media supera i settanta anni e spesso va oltre i cento. Da loro, tra La Morra e Verduno, il medico Anfosso si reca al galoppo, ossia in sella alla sua bella cavalla Ambra.

Ormai i miei pazienti sono abituati a vedermi arrivare a cavallo e soprattutto in questo periodo così difficile, dove a dominare è l’incertezza, noto che sono più sereni, perché identificano questo mio modo antico di muovermi con la volontà di voler dedicare loro più tempo e si sentono gratificati”.

Il Coronavirus è arrivato anche sulle belle colline di Langa?

Purtroppo sì. Ad ora ho avuto una paziente di novanta anni e un uomo sui sessanta deceduti per Covid-19, più altre persone in quarantena. Nonostante l’isolamento naturale di queste aree, la pandemia, anche se in maniera inferiore, ha bussato alla porta di queste cascine”.

Come è cambiato il suo lavoro?

Già prima facevo molte visite a domicilio, proprio per agevolare gli assistiti che hanno difficoltà a muoversi per venire in ambulatorio. Per questo ho tutti gli strumenti di cui ho bisogno nelle due bisacce portate da Ambra. In questo periodo, però ho un abbigliamento anti Covid19, ossia oltre a guanti e mascherina, utilizzo un camice monouso che dopo ogni visita butto via. Ma la diversità maggiore è ciò che succede prima delle visite a domicilio: ogni giorno ricevo dalle cinquanta alle settanta telefonate da parte di assistiti preoccupati ed impauriti per quello che sta accadendo, timorosi di essere stati contagiati e anche molto preoccupati per familiari ed amici infetti, per le loro condizioni di salute. Io tranquillizzo tutti, passo a domicilio anche se non richiesto e con la mia Ambra cerco di stemperare la tensione”.

Ambra è sempre contenta di farle da assistente?

“Assolutamente sì. Ormai conosce la strada e da chi visitiamo di più ci arriva senza le mie indicazioni. L’importante è iniziare bene la mattina
.

Cioè?

Per svegliarla devo arrivare da lei piano, accarezzarla per qualche minuto e darle il suo zuccherino. Solo dopo tutto questo nostro rito, Ambra mi fa un cenno di saluto con il muso e capisco che è pronta per le visite a domicilio dei nostri pazienti che ormai ci considerano una equipe che oltre ai farmaci porta anche sorrisi. E in questo periodo ne abbiamo tutti bisogno”.


30 aprile 2020

FONTE: La Voce di Alba

venerdì 22 gennaio 2021

Gregoire Ahongbonon, l'uomo che ridona libertà e dignità ai malati mentali


Oggi voglio parlare di una persona davvero speciale, uno di quegli uomini che rendono veramente migliore il mondo in cui viviamo: Gregoire Ahongbonon.
Ho conosciuto brevemente la sua storia da una delle trasmissioni televisive che preferisco, “Sulla Via di Damasco”, e allora ho deciso di fare delle ricerche e scrivere un post su di lui, su quest' Uomo che tanto, tanto Bene ha fatto e fa tuttora nella sua amata Africa.

Gregoire Ahongbonon è nato nel 1953 a Ketoukpe, un piccolo villaggio del Benin al confine con la Nigeria, poi nel 1971 si è trasferito a Bouakè, in Costa d'Avorio, dove inizia un attività come riparatore di pneumatici e successivamente apre un agenzia di tassì. Gregoire non ha avuto la possibilità di studiare, «non conoscevo niente» ha ripetuto più volte, tuttavia, a soli 23 anni, grazie al suo lavoro aveva già la sua auto personale e ben quattro tassì: era diventato ricco in Costa d'Avorio! In Benin aveva avuto un rapporto molto forte con Dio «non potevo fare nulla senza Dio, era il mio unico riferimento, ed ero molto legato alla Chiesa. Sono arrivato in Costa d’Avorio e di fronte alla ricchezza e al successo, ho abbandonato Dio e la Chiesa». Gli affari di Gregoire, però, iniziano ad andare male, deve affrontare grossi problemi economici e la sua attività va sempre peggio fino a finire sul lastrico. A causa di questo fallimento vive un periodo di profonda depressione e smarrimento, tanto da arrivare a tentare persino il suicidio. «Ho iniziato una vita miserabile: quando avevo i soldi avevo molti amici, quando ho perso tutto, tutti mi hanno abbandonato. Sono rimasto solo con mia moglie e i due figli che avevo all’epoca. È stato il momento peggiore che abbia mai vissuto». Questa grande sofferenza fa maturare in Gregoire il desiderio di riavvicinarsi a Dio e alla Chiesa, e in questa situazione incontra Joseph Pasquier, un prete missionario che lo accoglie con grande affetto come il figliol prodigo. Questo sacerdote organizza un pellegrinaggio a Gerusalemme e, naturalmente, invita anche Gregoire a parteciparvi, pagandogli il biglietto del viaggio.
«Chi avrebbe mai creduto di ritrovarmi lungo i passi del Vangelo, a Gerusalemme! Al termine di questo pellegrinaggio posso dire che Dio mi ha donato tanto, così tanto che non sapevo come ringraziarLo. In una delle Messe del pellegrinaggio, durante l’omelia, il prete dichiara che ogni cristiano deve partecipare alla costruzione della Chiesa ponendo una pietra». Questa frase lo tocca nel profondo: «Ho compreso che la Chiesa non è soltanto dei preti e dei religiosi. E ho capito che tutti i battezzati devono partecipare alla costruzione della Chiesa e iniziai a chiedermi quale fosse la pietra che io dovevo porre».

Il ritorno in Africa e la svolta

Dopo questo pellegrinaggio, ritornando in Africa, Gregoire si pone sempre più insistentemente la domanda di quale sia “questa pietra da porre” nella sua vita e all'interno della Chiesa. Assieme a sua moglie Leontine, ha l'idea di formare un gruppo di preghiera che si rechi in ospedale a visitare gli ammalati per pregare con loro. Fonda allora l'“Association Saint Camille de Lellis”, in onore al Santo protettore degli ammalati. Durante queste visite Gregoire scopre con grande amarezza che molti ammalati giacciono in grandi stanzoni dell'ospedale completamente abbandonati, e questo perchè in Africa non esiste alcuna previdenza sociale e se si è ammalati e non si dispone di soldi, non si ha diritto alle cure mediche. «Di fronte a questi ammalati abbiamo pensato che prima di iniziare a pregare con loro, occorreva manifestare loro la nostra amicizia e il nostro amore. Innanzitutto occorreva lavarli e provvedere per le medicine; a poco a poco questi malati riacquisiscono la loro salute e quelli che erano in procinto di morire almeno potevano morire con dignità, come uomini». Attraverso questa esperienza molto forte Gregoire inizia a comprendere perchè Gesù si è identificato nei poveri e nei malati, ed è stato proprio a partire da questo incontro che lui e il suo gruppo comprendono che dovevano trovare Gesù proprio in queste persone.

Al servizio dei malati mentali

Nel 1980 inizia per Gregoire una nuova storia: quella con i malati mentali. Qui è necessario dire che i malati mentali in Africa sono considerati meno di niente, i “dimenticati dei dimenticati” e questo a causa di assurde convinzioni che taccia queste persone come “possedute” da spiriti immondi e quindi additati come un'onta per la società e una vergogna per le proprie famiglie. Giacciono in uno stato di completo abbandono, spesso nell'immondizia, abbandonati da tutti come qualcosa di “immondo”. La gente passa loro accanto ma non li vede. «Anche io, come tutti, passavo accanto a loro senza vederli – racconta Gregoire -. Tutti hanno paura di loro, e anche io avevo paura di questi malati. Un giorno però, nel 1980, ho visto un ragazzo che rovistava nell’immondizia per cercare cibo, tutto nudo. Quel giorno, diversamente dalle altre volte in cui passavo avanti senza vederlo, improvvisamente mi sono fermato e ho iniziato a guardarlo e mentre lo guardavo mi sono detto: “Questo è Gesù che cerco nelle chiese, è Gesù che cerco nei gruppi di preghiera, è Cristo che incontro nei Sacramenti, è Gesù in persona che soffre attraverso questi ammalati! Sul momento ebbi paura ma una voce, dentro di me, mi rispose: “Se queste persone rappresentano per te il Cristo, perché aver paura di loro?”».

A partire da questo incontro Gregoire inizia a far visita la notte a questi ammalati per vedere dove dormono, e iniziando ad incontrarli e a conoscerli comprende che sono degli uomini, delle donne e dei bambini che desiderano soltanto essere amati. «Ne ho parlato con mia moglie, abbiamo comprato un frigorifero portatile dove mettevamo cibo e acqua fresca e passavamo di notte per le strade a scovare questi nostri amici. Subito si è creato un legame di amicizia. Ma un giorno mi sono chiesto a cosa servisse portare da mangiare per strada mentre io poi tornavo a casa, potevo lavarmi e dormire comodamente, a differenza di quell’ammalato, che rappresenta Gesù, che invece continua a vivere nell’indigenza». E' così che Gregoire decide di incontrare il direttore generale dell'ospedale dove aveva incominciato a visitare gli ammalati ed ottiene il permesso di utilizzare lo spazio della cappella per accogliere i primi ammalati ai quali elargisce cure mediche grazie alle quali molti di loro riniziano ad acquisire la salute.
Nel 1983 il direttore dell'ospedale riceve l'importante visita del Ministro della Salute, e tra le varie cose gli mostra anche l'esperienza di Gregoire all'interno della cappella ospedaliera. Il Ministro ne rimane entusiasta e augura a Gregoire che la sua opera si diffonda al più presto in tutti gli ospedali del Paese. Gregoire approfitta dell'incontro per chiedergli «se poteva donare il terreno adiacente all’ospedale per costruire un luogo che potesse accogliere gli ammalati» e poi, grazie alla Provvidenza, è sorto il primo centro. Dapprima il nuovo centro ha iniziato ad accogliere tutti gli ammalati psichici della città, poi però, a poco a poco, cominciano a chiedere aiuto anche le famiglie degli ammalati che vivevano nei villaggi.
I malati in catene

Nel 1984, alla vigilia della Domenica delle Palme, una donna chiede aiuto all'associazione di Gregoire per il fratello ammalato: «Siamo andati con questa signora nel villaggio e, una volta arrivati, quest’ultima chiama il padre che vuole mandarci via dicendo che il figlio è già in uno stato di putrefazione e che non sarebbe servito a nulla portarlo nel nostro centro. Io ho detto che desideravo comunque vederlo; tuttavia, il padre continuava a minacciarmi di chiamare la polizia e il capo villaggio, grazie alla cui mediazione si prende la decisione di aprire la porta del luogo in cui il malato si trovava». E qui che per la prima volta Gregoire scopre qualcosa di raccapricciante: c'è un giovane incatenato a un tronco come Gesù sulla croce, con i due piedi legati al legno e le due braccia anch'esse legate con il fil di ferro e con tutto il corpo in un tale stato di putrefazione da provare un senso di disgusto. «È stato difficilissimo togliere le catene, ma quando alla fine siamo riusciti a slegarlo e a lavarlo, una volta giunti al centro, il ragazzo risponde: “non so come dire, grazie a voi e a dire grazie a Dio, non so cosa ho fatto per meritare questa sorte da parte dei miei genitori”; e mi rivolge la domanda: “posso ancora vivere”? Era talmente putrefatto da morire subito dopo. “Per me è comunque morto in modo dignitoso come un uomo». Questo fatto indigna a tal punto Gregoire da spingerlo ad andare a ricercare i malati mentali nei villaggi, dove inizia a scoprire diversi metodi di incatenamento: al collo, talvolta con le due braccia legate, altre volte con le gambe incatenate. «Cose che non potevamo immaginare alla nostra epoca».

Gregoire non attribuisce la colpa di queste cose alle famiglie degli ammalati. «Le famiglie non sanno cosa fare, talvolta è con grande sofferenza che legano i loro figli, i loro parenti, perché i malati mentali rappresentano l’ultimo pensiero delle nostre istituzioni. La Costa d’Avorio, la cui superficie supera quella italiana, ha solo due ospedali psichiatrici in tutto il Paese; in Benin c’è un solo ospedale psichiatrico. In entrambi gli Stati, come per la stragrande maggioranza dei paesi africani, privi di welfare, se non si ha la possibilità economica non si può accedere alle cure». «Non è colpa delle famiglie: quello che è peggio di tutto sono le sette religiose che promettono miracoli alle famiglie. Siccome questi malati vengono considerati come posseduti dal demonio, le sette rassicurano i genitori affermando di avere il potere di scacciare il demonio e creano dei centri dove le famiglie portano i loro ammalati e pagano anche! Li incatenano agli alberi sostenendo che occorre far soffrire il corpo affinché il demonio possa fuoriuscire dal corpo, li privano di acqua e di cibo e li bastonano per scacciare il diavolo». «Abbiamo chiesto di parlare con i responsabili di questi centri, ma non abbiamo ottenuto nulla, siamo andati fino al tribunale per denunciare, abbiamo mandato la polizia che ha asserito che si tratta di folli e che non c’è nulla da fare».
Dal momento che le rimostranze di Gregoire e della sua associazione non sortiscono alcun effetto, si è arrivati alla conclusione che l'unica soluzione possibile per combattere questa orribile piaga sia quella di costruire altri centri. Grazie alla Provvidenza e alla buona volontà di tanti uomini, l'associazione Saint Camille de Lellis conta oggi (2020) in Costa d'Avorio quattro centri d'accoglienza e sei centri di lavoro, in Benin quattro centri di accoglienza e tre centri di lavoro, in Togo tre centri di accoglienza e un centro di lavoro e in Burkina Faso solo un centro. Fino ad oggi Gregoire e la sua associazione hanno accolto più di 60 mila persone con problemi psichici in 25 anni di aiuto e interventi, e 25 mila malati di mente sono attualmente ospitati nei Centri di cura. Ma la cosa sorprendente, da sottolineare grandemente, è che sono i malati stessi i responsabili di questi centri: infatti queste persone, una volta guarite, vengono inviate a scuola per diventare infermieri e ritornano nei centri per curare a propria volta altre persone.

Gregoire nel corso della sua vita ha ricevuto numerosi premi e onoreficenze. L'Italia non fa eccezione in questo, avendolo insignito nel 1998, del Premio Internazionale Franco Basaglia con la seguente motivazione: “per aver dimostrato con la sua pratica di liberazione dalla contenzione e di emancipazione dei pazienti psichiatrici quanto la dignità e il rispetto degli uomini e delle donne sia alla base di ogni intervento di salute mentale”.

La testimonianza di vita e di Fede di Gregoire, uomo sposato e con sei figli, è veramente meravigliosa. il Bene che quest'uomo ha fatto, e continua a fare, assieme alla sua associazione, nel recupero e nel reinserimento delle persone malate in Africa è straordinario. Lui però non si attribuisce alcun merito perchè, come lui stesso afferma «Quello che vivo non viene da me, è più forte di me. Dio è venuto a prendermi da un fosso».
Grazie di tutto Gregoire!

Marco


FONTI: Jobel Onlus, Camilliani.org, Genova.it