martedì 27 novembre 2018

La danza del bambino

C'è un episodio, nella vita di madre Teresa, che sconvolge molte convinzioni e lascia pensosi, forse uno degli episodi chiave per capire questa figura. Lo raccontò lei stessa.

«Durante una notte passata nella stazione di Howrah, a Calcutta, verso mezzanotte quando i treni sono tutti fermi per qualche ora, arrivò una poverissima famiglia che veniva di solito a dormire alla stazione. Erano una madre e quattro figli, dai cinque agli undici anni. La madre era una buffà, piccola cosa avvolta in un sari bianco di cotone, sottile per quella notte di novembre, con i capelli rasi a zero, stranamente per una donna. Aveva con sé dei recipienti di latta, qualche straccetto e dei pezzi di pane, tutto quanto possedeva per sé e per i suoi figli. Erano mendicanti. La stazione era la loro casa.
I bambini, tre ragazze e un bimbo che era il più piccolo, erano come la madre pieni di vivacità. A quell'ora, in piena notte, sedettero tutti su un marciapiede della stazione presso le rotaie, vicino ad altre innumerevoli famiglie e mendicanti solitari che già dormivano tutt'intorno, e fecero il loro pasto serale di pane secco, probabilmente quanto era avanzato a un rivenditore che verso sera lo aveva ceduto a un prezzo bassissimo. Ma non fu un pasto triste. Essi parlavano, ridevano e scherzavano. Sarebbe difficile trovare una riunione di famiglia più felice di quella.
Quando il breve pasto fu finito, andarono tutti a una pompa con grande allegria, si lavarono, bevettero e lavarono i loro recipienti di latta. Poi stesero con cura i loro stracci per dormire vicini, e un pezzo di lenzuolo per coprirsi tutti. E fu allora che il ragazzino fece qualcosa di assolutamente meraviglioso: si mise a danzare. Saltava e rideva fra i binari, rideva e cantava sommesso con incontenibile gioia. Una simile danza, in una simile ora, in così assoluta miseria!
».
Madre Teresa affermò tante volte che per noi occidentali, tristi nella nostra ricchezza, rintanati nelle nostre lussuose caverne, il povero è un "profeta". Pur nella miseria dove la nostra economia scaltra l'ha esiliato, egli ci insegna dei valori grandi che noi abbiamo dimenticato: l'amore per gli altri, la gioia che nasce dal gustare le piccole cose, l'amicizia, la capacità di entusiasmarsi per qualche cosa.
«Noi lo aiutiamo ad uscire dalla miseria. Ma lui ci regala qualcosa di più: ci insegna una maniera diversa di vivere: servirsi delle cose, ma non diventare prigionieri delle cose, credere che ci sono valori assai più importanti del denaro: l'amore, il calore della famiglia, il sorriso dei bambini, l'amicizia, la gioia...».


FONTE: dalla biografia di madre Teresa di Calcutta

martedì 13 novembre 2018

A questi bambini ho donato una scuola


L'ITALIA CHE NON STA A GUARDARE: I “MIRACOLI” DI UN GIOVANE CREMONESE

Dopo la maturità Nicolò ha aiutato i poveri in India. Ora in Grecia ha costruito aule per i piccoli profughi: «anche loro hanno lavorato con me»

«Quando sono arrivato a Samo mi sono ripromesso che avrei cambiato le cose. Le ultime le ho cambiate ieri, con calce, mattoni e camion colmi di banchi e sedie».
Venticinque anni, originario di Cremona, aveva da poco finito il liceo quando è nata in lui la voglia di regalare sorrisi. Dopo la maturità la scelta di cambiare vita. Adesso l'ultimo dei tanti sogni umanitari di Nicolò Govoni si avvera. Sull'isola greca di Samo, in un campo profughi in cui la notte si confonde con il giorno e la felicità sembra spesso negata, adulti e bambini si trovano a vivere in tende in uno spazio che dovrebbe ospitare settecento persone, ma ne accoglie quasi tremila. Lì, però, il sogno di Nicolò ha portato un po' di allegria: una scuola costruita mattone dopo mattone grazie alle donazioni provenienti dall'Italia.
Ha aperto le porte a metà agosto, dopo mesi di intenso lavoro. Lì, ora, il diritto allo studio non è più un miraggio. «Mi sono posto l'obiettivo di costruire una scuola, sembrava una missione impossibile. Mi sono dato trenta giorni di tempo, ho raccolto fondi a sufficienza per affittare un edificio e iniziare a ristrutturarlo. Sono arrivati tanti fondi dal nostro Paese, da chi leggeva i miei racconti su Facebook e decideva di darci una mano, ma non erano sufficienti. Poi, quando stavamo per mollare, la svolta: un anonimo lettore di Bianco come Dio (il secondo libro di Govoni, uscito come e-book, prossimamente edito per Rizzoli, ndr) ha deciso di sponsorizzare la scuola per un anno intero». I lavori serratissimi, mentre i profughi sbarcavano e la necessità del diritto allo studio si faceva sempre più urgente. «In un mese», racconta Nicolò, «abbiamo costruito i muri, rifatto l'impianto elettrico, comprato banchi e sedie ad Atene, installato i condizionatori e procurato tutta la cancelleria di cui avevamo bisogno. In quattro parole, abbiamo costruito una scuola, insegnanti e bambini insieme. Ogni giorno prendevamo misure, pulivamo le stanze, facevamo gli imbianchini per dimenticare gli abusi del campo profughi e i maltrattamenti che vediamo intorno a noi».

La scelta di partire, per Nicolò, è arrivata dopo il liceo linguistico a Cremona. Prima il periodo in India come volontario in un orfanotrofio, poi il trasferimento sull'isola greca. «Sono arrivato qui a settembre, ho cominciato a occuparmi dei bambini rifugiati che provenivano da Siria, Afghanistan, Iraq, Palestina, Kurdistan, Iran, Algeria e Congo. Questa missione mi riempie di gioia, è il lavoro più importante della mia vita».
Un mondo difficile, quello di Samo. «Ho visto rifugiati dormire in mezzo ai topi, nello sporco e nel degrado. Mi sono detto che sarei rimasto lì fino a quando la situazione non fosse cambiata. A dicembre, poi, ho scoperto che uno dei miei bambini, un orfano arrivato a Samo con alcuni parenti, viveva una situazione di abuso domestico. Ho fatto di tutto per aiutarlo, mi sono appellato al sistema di protezione dell'infanzia, agli assistenti sociali, al governo, alle Nazioni Unite. Le ho provate tutte, mi sono persino offerto come padre in affido di questo bimbo. La mia denuncia e i miei tentativi di dare al ragazzo la felicità che merita sono stati ignorati. Quel giorno ho perso la prima vera battaglia della mia vita, e ancora mi si spezza il cuore».
In quel momento, però, alla porta di Nicolò ha bussato un'altra occasione. «La State University di New York mi ha offerto una borsa di studio per un prestigioso master. Quello da sempre è stato il sogno della mia vita, ma in quel contesto mi è parso quasi di secondo piano. I miei studenti sono fuggiti dalla guerra e hanno perso tutto, ma ora hanno qualcosa di prezioso, un mentore, e i loro occhi brillano di gratitudine ogni giorno. E poi c'era quel bambino vittima di abusi, se me ne fossi andato sarebbe rimasto solo. Ho rinunciato, sono rimasto con i miei ragazzi». E i risultati sono arrivati. La scuola è il primo passo in avanti per cambiare le cose. «Oggi, un mese dopo, quasi cento bambini e adolescenti hanno la scuola che meritano, la scuola che era stata loro negata, quella per cui sono sopravvissuti a una guerra, la vera alternativa alla prigione in cui vivono». Un progetto portato avanti tutti insieme.
Mentre lo racconta, a Nicolò si illuminano gli occhi. «Perché», spiega, «questo è il bello della mia missione: che insieme si può fare la differenza». Ha un nome la scuola, si chiama Mazi, è il primo istituto per bambini rifugiati a Samo. Rimpianti? «No», risponde convinto Nicolò. «Anzi, sono felice di essere qui e di imparare ogni giorno dai ragazzi. Un anno fa mi dicevano di tornare a casa, di riprendere in mano la mia vita. Lo ammetto, ci ho pensato. Ma poi sono rimasto, e non avrei potuto fare scelta migliore».

A Nicolò squilla il telefono, dall'altro capo dell'Europa è sua nonna Mariuccia. Vuole sapere come sta, da qualche giorno è in pensiero per lui. Nicolò la rassicura. «Sto bene», le dice. Entrambi avranno gli occhi lucidi a fine chiamata. «E' la nonna che mi ha cresciuto, che mi ha insegnato la compassione e l'importanza di aiutare il prossimo», spiega Nicolò, che nonostante tutto si commuove a sentire le voci della vita che ha abbandonato per rincorrere la sua lunga, vorticosa, missione per la felicità.

Di Enrico Galletti

FONTE: Gente N. 35
1-9-2018


Ecco una di quelle storie di Amore e Solidarietà che riporto sempre con molto piacere sul mio blog.
Per chi volesse conoscere la vicenda umana di Nicolò e seguire e sostenere l'evoluzione dei progetti da lui intrapresi, lo può fare attraverso la sua pagina Facebook.
E da parte mia posso solamente dire: “Grazie di tutto Nicolò!”.

Marco