L'ITALIA CHE NON STA A GUARDARE: I “MIRACOLI” DI UN GIOVANE CREMONESE
Dopo la maturità Nicolò ha aiutato i poveri in India. Ora in Grecia ha costruito aule per i piccoli profughi: «anche loro hanno lavorato con me»
«Quando sono arrivato a Samo mi sono ripromesso che avrei cambiato le cose. Le ultime le ho cambiate ieri, con calce, mattoni e camion colmi di banchi e sedie».
Venticinque anni, originario di Cremona, aveva da poco finito il liceo quando è nata in lui la voglia di regalare sorrisi. Dopo la maturità la scelta di cambiare vita. Adesso l'ultimo dei tanti sogni umanitari di Nicolò Govoni si avvera. Sull'isola greca di Samo, in un campo profughi in cui la notte si confonde con il giorno e la felicità sembra spesso negata, adulti e bambini si trovano a vivere in tende in uno spazio che dovrebbe ospitare settecento persone, ma ne accoglie quasi tremila. Lì, però, il sogno di Nicolò ha portato un po' di allegria: una scuola costruita mattone dopo mattone grazie alle donazioni provenienti dall'Italia.
Ha aperto le porte a metà agosto, dopo mesi di intenso lavoro. Lì, ora, il diritto allo studio non è più un miraggio. «Mi sono posto l'obiettivo di costruire una scuola, sembrava una missione impossibile. Mi sono dato trenta giorni di tempo, ho raccolto fondi a sufficienza per affittare un edificio e iniziare a ristrutturarlo. Sono arrivati tanti fondi dal nostro Paese, da chi leggeva i miei racconti su Facebook e decideva di darci una mano, ma non erano sufficienti. Poi, quando stavamo per mollare, la svolta: un anonimo lettore di Bianco come Dio (il secondo libro di Govoni, uscito come e-book, prossimamente edito per Rizzoli, ndr) ha deciso di sponsorizzare la scuola per un anno intero». I lavori serratissimi, mentre i profughi sbarcavano e la necessità del diritto allo studio si faceva sempre più urgente. «In un mese», racconta Nicolò, «abbiamo costruito i muri, rifatto l'impianto elettrico, comprato banchi e sedie ad Atene, installato i condizionatori e procurato tutta la cancelleria di cui avevamo bisogno. In quattro parole, abbiamo costruito una scuola, insegnanti e bambini insieme. Ogni giorno prendevamo misure, pulivamo le stanze, facevamo gli imbianchini per dimenticare gli abusi del campo profughi e i maltrattamenti che vediamo intorno a noi».
La scelta di partire, per Nicolò, è arrivata dopo il liceo linguistico a Cremona. Prima il periodo in India come volontario in un orfanotrofio, poi il trasferimento sull'isola greca. «Sono arrivato qui a settembre, ho cominciato a occuparmi dei bambini rifugiati che provenivano da Siria, Afghanistan, Iraq, Palestina, Kurdistan, Iran, Algeria e Congo. Questa missione mi riempie di gioia, è il lavoro più importante della mia vita».
Un mondo difficile, quello di Samo. «Ho visto rifugiati dormire in mezzo ai topi, nello sporco e nel degrado. Mi sono detto che sarei rimasto lì fino a quando la situazione non fosse cambiata. A dicembre, poi, ho scoperto che uno dei miei bambini, un orfano arrivato a Samo con alcuni parenti, viveva una situazione di abuso domestico. Ho fatto di tutto per aiutarlo, mi sono appellato al sistema di protezione dell'infanzia, agli assistenti sociali, al governo, alle Nazioni Unite. Le ho provate tutte, mi sono persino offerto come padre in affido di questo bimbo. La mia denuncia e i miei tentativi di dare al ragazzo la felicità che merita sono stati ignorati. Quel giorno ho perso la prima vera battaglia della mia vita, e ancora mi si spezza il cuore».
In quel momento, però, alla porta di Nicolò ha bussato un'altra occasione. «La State University di New York mi ha offerto una borsa di studio per un prestigioso master. Quello da sempre è stato il sogno della mia vita, ma in quel contesto mi è parso quasi di secondo piano. I miei studenti sono fuggiti dalla guerra e hanno perso tutto, ma ora hanno qualcosa di prezioso, un mentore, e i loro occhi brillano di gratitudine ogni giorno. E poi c'era quel bambino vittima di abusi, se me ne fossi andato sarebbe rimasto solo. Ho rinunciato, sono rimasto con i miei ragazzi». E i risultati sono arrivati. La scuola è il primo passo in avanti per cambiare le cose. «Oggi, un mese dopo, quasi cento bambini e adolescenti hanno la scuola che meritano, la scuola che era stata loro negata, quella per cui sono sopravvissuti a una guerra, la vera alternativa alla prigione in cui vivono». Un progetto portato avanti tutti insieme.
Mentre lo racconta, a Nicolò si illuminano gli occhi. «Perché», spiega, «questo è il bello della mia missione: che insieme si può fare la differenza». Ha un nome la scuola, si chiama Mazi, è il primo istituto per bambini rifugiati a Samo. Rimpianti? «No», risponde convinto Nicolò. «Anzi, sono felice di essere qui e di imparare ogni giorno dai ragazzi. Un anno fa mi dicevano di tornare a casa, di riprendere in mano la mia vita. Lo ammetto, ci ho pensato. Ma poi sono rimasto, e non avrei potuto fare scelta migliore».
A Nicolò squilla il telefono, dall'altro capo dell'Europa è sua nonna Mariuccia. Vuole sapere come sta, da qualche giorno è in pensiero per lui. Nicolò la rassicura. «Sto bene», le dice. Entrambi avranno gli occhi lucidi a fine chiamata. «E' la nonna che mi ha cresciuto, che mi ha insegnato la compassione e l'importanza di aiutare il prossimo», spiega Nicolò, che nonostante tutto si commuove a sentire le voci della vita che ha abbandonato per rincorrere la sua lunga, vorticosa, missione per la felicità.
Di Enrico Galletti
FONTE: Gente N. 35
1-9-2018
Ecco una di quelle storie di Amore e Solidarietà che riporto sempre con molto piacere sul mio blog.
Per chi volesse conoscere la vicenda umana di Nicolò e seguire e sostenere l'evoluzione dei progetti da lui intrapresi, lo può fare attraverso la sua pagina Facebook.
E da parte mia posso solamente dire: “Grazie di tutto Nicolò!”.
Marco
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