sabato 25 gennaio 2020

Bambino di 6 anni vende i suoi koala d'argilla per salvare gli animali vittima degli incendi


New York - La sensibilità dei bambini spesso ci sorprende e diviene un vero e proprio “insegnamento” per le persone adulte che, sovente, dinanzi alle brutte notizie di cui è pieno il mondo, non sono più capaci di meravigliarsi e “reagire” di conseguenza.
E' quello che è successo al piccolo Owen Colley, un bambino statunitense del Massachusetts che, appreso dalla televisione degli orribili e devastanti incendi avvenuti in Australia, con grandissime perdite di vite animali, ne è rimasto profondamente turbato. La sua sensibilità ferita lo ha portato a rifugiarsi nel disegno, disegnando un canguro, un koala e un dingo, animali tipici australiani, sotto un copioso acquazzone. Perché disegnare questi animali sotto un temporale? Il bambino ha rivelato a sua madre Caitlin Colley, che quel disegno rappresentava il suo desiderio di vedere quella copiosa pioggia spegnere tutti gli incendi e salvare gli animali!
La madre è rimasta molto meravigliata dalla sensibilità del figlio, il quale gli ha anche confidato che vorrebbe tanto andare in quella terra lontana, l'Australia, luogo tra l'altro natio del padre, per poter fare qualcosa per salvare gli animali. La cosa purtroppo non era fattibile, per via dei tanti, devastanti e pericolosi incendi.... ciò nondimeno è sorta nel bambino la domanda di cosa si potesse fare per aiutare tutti quegli animali in pericolo di vita. Ed ecco che a Owen, a suo padre e a sua madre, è venuta l'idea di creare dei koala d'argilla e darli in cambio di una donazione in denaro ad amici e parenti.

Quella che sembrava essere inizialmente una cosa limitata a poche persone, in breve tempo è diventata un idea che ha riscosso tantissimo successo, tanto che la famiglia ha deciso di vendere i koala d'argilla anche on-line attraverso una campagna sul sito di raccolta fondi Gofundme, con una promozione molto semplice anche per i più piccoli: una donazione di 25 dollari sarebbe servita per nutrire un giovane canguro per un mese. Il successo della campagna, aiutata anche da un articolo uscito sulla Cnn, è stato strepitoso, e in breve tempo le donazioni hanno raggiunto i 250 mila dollari australiani (150 mila euro), girati subito alla Wildlife Rescue South Coast.

Ecco cosa può fare la sensibilità di un bambino, unito all'intraprendenza e alle possibilità degli adulti: creare qualcosa di veramente bello a beneficio, in questo caso, della fauna di quell'immenso e bellissimo paese che è l'Australia!


Marco

gennaio 2020

lunedì 20 gennaio 2020

Morire con un sorriso, seminando Santità anche in ospedale


Padre affettivo di giovani disabili, instancabile promotore delle cappelle dell’adorazione perpetua nella sua città, ha lasciato un segno incancellabile nelle persone che lo hanno conosciuto e ha gettato semi di Conversione fino all’ultimo respiro

Leandro Loredo è morto com’è vissuto: avvicinando le anime a Dio. 45 anni, professore di Biologia in varie scuole e promotore dell’Hogar Granja Esperanza, che nella città argentina di La Plata offre rifugio a giovani e adulti con disabilità mentali che non hanno possibilità di sostentamento, era anche un attivo promotore dell’adorazione perpetua nella sua città.

Malato di leucemia, è entrato nell’Hospital Interzonal General José de San Martín il 5 novembre scorso. In 44 giorni il suo corpo ha perso quello che guadagnava il suo spirito, e nonostante la debolezza ha saputo avvicinare molte anime a Dio.

Per accompagnarlo e pregare per lui, le comunità parrocchiali in cui promuoveva l’adorazione eucaristica perpetua hanno iniziato ad assistere alla Messa nella cappella dell’ospedale alle 6.00. Da anni alla Messa non partecipava nessuno. La cappella ha preso vita mentre Leandro si spegneva. Ma non è tutto.

Molti messaggi audio circolano tra i suoi amici su Whatsapp e riflettono la serenità con cui ha affrontato i suoi ultimi giorni e la forza che trovava nella preghiera. “Sono protetto dalla medaglietta di Maria, che mi accompagna sempre. La Fede muove le montagne. Noi abbiamo la medicina migliore. Si compia la Sua Divina Volontà”, ha detto a una sua amica che ha condiviso il messaggio con Aleteia.

Leandro ha trascorso il suo ricovero pregando e meditando sul “cammino di preparazione per terminare nelle mani di Dio, ora o più avanti, o quando sia”. “È un cammino di preparazione. L’ho sempre chiesto al Signore”, diceva. La preghiera gli dava forza e coraggio, perché “Dio sa, Dio sa tutto”. “L’importante è essere all’altezza delle circostanze e abbandonarmi al Suo Amore, su questo non ho dubbi. E se Lui mi chiama, correre tra le Sue braccia”, ha riferito a un’altra amica.

Profondamente mariano, intonava canti che gli ricordavano il suo pellegrinaggio alla Virgen del Cerro a Salta, devozione che ha caratterizzato la sua vita. Allegro e trasparente, si mostrava felice con i suoi amici, godendosi ogni cosa, ogni giorno, e offrendo la sua sofferenza senza lamentarsi.

Anche questo ha grande valore. Per le anime, per la conversione. In pace, che è ciò che conta. Si compia la Volontà di Dio, che è la cosa migliore che mi può accadere. Magari tutti lo capissero, perché a volte la gente non lo comprende (…), ma voi e io sappiamo che il Paradiso esiste, e prima o poi ci incontreremo lì. Non c’è altra opzione. Bisogna perseverare fino alla fine”, diceva a un’amica.

Scuoteva la testa di fronte a tante persone che vivono alla leggera il fatto di essere cattoliche, ha riferito un’altra persona a lui vicina. “Noi cattolici spesso non viviamo Dio; separiamo le cose, andare a Messa, agire, vivere in comunità come pensava lui. Tendiamo molto a separare le varie cose. Non abbiamo la presenza continua di Dio nella nostra vita. Leandro ce l’aveva. Per questo era tanto amato in tante comunità”. E non apparteneva a nessuna comunità in particolare, perché “vedeva ogni persona come una comunità, e dovevano essere uniti”. La fraternità, il fatto di vivere come una famiglia, come fratelli, al di là del legame di sangue, era uno dei temi che sottolineava maggiormente negli ultimi giorni.


di Esteban Pittaro

8 gennaio 2020

FONTE: Aleteia

venerdì 17 gennaio 2020

Spiderman incontra oltre 10 mila bambini molto malati e li fa sognare


Spiderman insieme ai bambini malati terminali

Ho fatto molto nei miei 35 anni, ho praticato tanti sport, ho lavorato duro, ho scritto musica e mi sono anche esibito, infine sono diventato Spider Man per i bambini che stanno combattendo tutte le probabilità negative nel mondo”.

Si potrebbe dire che tutto ha avuto inizio per Ricky nel 2014 in un momento in cui era finanziariamente a terra ed è stato aiutato dai suoi amici. Mentre cercava di sbarcare il lunario come personal trainer in una palestra ha fatto un sogno.

Una notte dei primi di giugno ho fatto un sogno che mi avrebbe cambiato la vita. Mentre scivolavo nella terra del sogni, sono stato accolto da mia nonna (che era morta solo pochi mesi prima). Lei mi ha messo un braccio sulla spalla e mi ha detto che aveva qualcosa da mostrarmi. Mi ha portato verso una vecchia scuola dove c’era una proiettore con le bobine e l’ha acceso. C’era un enorme film dove camminava verso dei bambini con le divise da ospedale nel cielo. Ha attraversato le doppie porte e dietro ha trovato centinaia di bambini a letto, attaccati a tubi da ospedale, pali da IV e altro. Lui ha iniziato ad oscillare intorno portando loro gioia attraverso giochi, giocattoli, scattando foto. Le facce dei bambini si illuminavano. Confuso ho guardato mia nonna e le ho chiesto cosa avesse a che fare tutto questo con me. Mi ha guardato seriamente e mi ha detto: questo sei tu e quando ti sveglierai questo è ciò che farai”.

Ricky è rimasto incuriosito dal sogno fatto e così ha cercato su Google: costumi da Spider Man reali.


Successivamente ha trovato qualcuno che gliel’avrebbe creato per 1400 dollari. Ricky ha così venduto l’unico oggetto di valore che possedeva: una Chrysler 300 comprata prima del suo personale tracollo finanziario. Mentre attendeva l’arrivo del costume Ricky ha iniziato a inviare e-mail a tutti gli ospedali nella zona della baia della California.
Ogni singolo ospedale mi ha risposto no a causa della mia mancanza di esperienza coi bambini. Finalmente, nell’ottobre del 2014 Ricky ha ricevuto il suo costume.

L’ho provato e il mio amico Michael ha scattato delle immagini col suo telefono. Non riuscivamo a credere quanto somigliassi a Spider Man. Non ho annunciato cosa stavo facendo sui social media, ma una cliente del fitness mi ha indirizzato al nipote che era in ospedale perché molto malato
.


L‘ospedale mi ha detto che non potevo fargli visita, ma la mamma del bimbo mi ha chiesto: lavori per l’ospedale o per Dio? Questa domanda mi ha inchiodato dov’ero e ho risposto: per Dio! Questo mi ha permesso di far visita al mio primo bambino nascondendo il costume nello zainetto, cambiandomi nel bagno vicino alla stanza, e correndo al suo fianco.

Ho trascorso con lui un’ora prima che la sicurezza mi chiedesse di andarmene. Avevo compiuto la mia missione!! La nonna mi ha inviato delle foto della visita e io sono scoppiato a piangere vedendo il sorriso sul suo volto.

Era destino che facessi questo nella vita. Dopodiché ho iniziato a fare visita a bambini con bisogni speciali, bimbi autistici, senza tetto, in affido, disabili
”.

Infine Ricky ha deciso di pubblicizzare la sua attività sui social media e, successivamente, un ospedale gli ha chiesto di far visita mensilmente.

I genitori hanno iniziato a postare quanto le sue visite aiutassero i bambini e la cosa ha iniziato ad aumentare da lì”.


Ricky ha creato una pagina Go Fund me per comprare i regali ai bambini. Le domande per il servizio sono aumentate e preso Ricky ha fondato, insieme ai suoi amici, l’organizzazione Heart of a Hero (cuore di un eroe).

Una volta costruita la no profit sono diventato molto indaffarato e ho dovuto smettere di allenare le persone. Ho preso un lavoro come guardia notturna per arrivare alla fine del mese e coprire ciò per cui la compagnia non riusciva a pagare. Mentre continuavo a far visita ai bambini la gravità di ciò che combattevano continuava a peggiorare e prima di rendermene conto ho iniziato a far visita a bambini terminali. Il primo bambino terminale che ho incontrato si chiamava Charlie Derenge”.

Questo bimbo di 9 anni aveva un tumore al cervello.

Il suo funerale è stato il primo funerale di bambini a cui avessi partecipato. Mi ha fatto a pezzi ma mi ha riempito di senso del dovere e ho capito che dovevo continuare con bambini come lui”.

Una di questi era la piccola Zamora. “Sua mamma mi chiese di rimanere al fianco della bambina e io risposi di sì. Ho trascorso i 7 giorni successivi con Zamora, finché è morta tenendomi la mano”.

La morte di altri bambini nello stesso mese gli ha causato degli attacchi d’ansia. Dal 2014 aveva visitato oltre 10 mila bimbi.


Ero a Denny, a Sacramento in procinto di recarmi il giorno dopo in ospedale quando un volontario, Biance, mi ha chiesto: stai bene? Ho iniziato a piangere incontrollabilmente. Per la prima volta in 3 anni e mezzo ho ammesso di aver bisogno di una pausa
.

In ottobre Ricky è tornato all’opera con qualche cambiamento, prendendosi cioè periodi pausa e non lavorando tutti i giorni.

Far visita ai bambini è la mia passione e sono stato testato oltre misura nel farlo. Le non profit vanno su e giù e ho dovuto vendere l’auto per sostenermi e continuare ad essere Spider Man. Non mi arrenderò e sono determinato nel bisogno di condividere le storie di questi bambini. Tenere i bambini mentre esalano l’ultimo respiro. Non vi sentirete mai più vulnerabili di così. Sono stato in grado di togliermi di dosso ogni altra difficoltà nella vita. Ma questa è qualcosa di cui non ci si può liberare e ne sono venuto ai termini. La mia vita è loro e il viaggio continua”.


di Maria Sole Bosaia

26 dicembre 2019

FONTE: Universo Mamma


E' davvero sorprendente vedere in quanti modi diversi si può manifestare l'Amore!
Questa storia è veramente straordinaria, intensa, meravigliosa.... di quelle che fanno accaponare la pelle. E non si può non rimanere ammirati di fronte a quello che ha fatto e sta facendo questo giovane uomo, Ricky, per i bambini malati, spesso malati terminali. Ci vuole un cuore veramente immenso per fare tutto questo, e anche coraggio.... perchè per visitare e "tenere la mano" a dei bambini che stanno morendo, sì, occorre avere anche tanto, tanto coraggio! Onore e merito!
Grazie Ricky.... e grazie a tutti coloro che si spendono per il Bene del prossimo.

Marco

domenica 12 gennaio 2020

Trasforma vecchi pullman e container in case per i senzatetto: una missione d'Amore


Lontano dalle tavole imbandite, dai caminetti accesi, nelle nostre città si continua a morire dal gelo; ma un cittadino come tanti ha deciso di non restare a guardare e dalla sua umanità è nato un progetto che ha già salvato molte vite. Ha preso vecchi container e perfino un pullman in disuso e si è messo all’opera per trasformarli in abitazioni dotate di ogni comfort, offrendo ai senzatetto un motivo per ricominciare a sperare.
L’idea di Jasper Thompson è nata nel 2017 da un incontro che chiunque di noi potrebbe fare, con dei clochard che tremavano dal gelo sul ciglio della strada; Jasper, che al tempo gestiva un ristorante, ha offerto loro un pasto caldo, dei vestiti e mentre parlava con quelle persone, una frase che gli ha toccato il cuore: “Volevano un tetto sulla testa, questa era la loro priorità”. Così li ha prima ospitati in un caravan, per passare la notte al coperto e il mattino dopo ha fatto loro una promessa: “Trasformerò un container in un vero appartamento”.
Senza esitare un attimo Jasper si è messo al lavoro, seguito da sua moglie, da altri volontari, e dai clochard che nel frattempo sono diventati veri amici: “Insieme possiamo fare la differenza, questo è il mio motto”. Con i primi tre container rinnovati, Jasper ha fondato la sua associazione no profit, Help Bristol's Homeless: “Vestiti, cibo, aiutano i senzatetto a sopravvivere ma non offrono una via di uscita. A differenza di altre organizzazioni, la nostra filosofia è che l’alloggio deve venire prima di tutto”.
Quello che all’inizio era solo un cantiere, grazie alle donazione e al sostegno di tanti, oggi è diventato un piccolo villaggio che continua a crescere, dove chiunque è il benvenuto e può aiutare il prossimo: “Chi arriva qui può scegliere di aiutarci a trasformare altri container, in questo modo non solo si fa del bene ma si apprendono nuove abilità pratiche, che possono essere preziose per reinserirsi nel mondo del lavoro”.
La bontà di un solo uomo ha messo radici in ogni direzione, ricordando a tutti noi che, anche quando ci sembra di non avere niente da offrire, il regalo più prezioso che possiamo fare non costa nulla, ed è il nostro tempo.



27 dicembre 2019

FONTE: Youmedia.fanpage.it

giovedì 9 gennaio 2020

Mariapia Ricotti: quell’amore che rende più leggera la fatica


L’incredibile forza di una donna rimasta vedova a 34 anni con due figli gravemente disabili, di cui uno poi deceduto, che riesce ad affidarsi a Dio: «chiedo al Signore di accettare, anzi, di amare la sua volontà»

Vedi alla voce “santi nascosti”. Lei riderebbe di questa definizione, ma è difficile trovarne una più azzeccata per descrivere il profilo umano e spirituale di Mariapia Ricotti: 75 anni, milanese trapiantata nell’hinterland di Legnano, è vedova da quando ne aveva 34, ha avuto due figli gravemente disabili (il maggiore dei quali è morto otto anni fa) e una forza interiore smisurata.

Facciamo un lungo passo indietro: siamo nel 1977 e il marito, Domenico, è un giovane e brillante consulente del lavoro con uno studio appena aperto tra mille sacrifici, a cui collabora anche Mariapia. Inseparabili da quando avevano 17 anni, custodiscono un dolore profondo: quello per i due figli affetti da una grave forma di tetraparesi spastica. Giorgio, nato nel 1966, nei primi anni cresce come tutti i bambini: c’è in effetti qualcosa di strano, ma parla, cammina, disegna, va in bicicletta. Poi il suo corpo inizia a “spegnersi”. Le conoscenze dell’epoca sulle malattie congenite sono scarse e nessun medico pensa di sconsigliare un secondo figlio; così, nel 1969, arriva Gianni.

Ben presto, Domenico e Mariapia intuiscono che il destino dei due figli sarà in tutto simile. Dall’età di 6-7 anni, di fatto, entrambi i fratelli vivono sdraiati o su una sedia a rotelle, e anche i movimenti delle mani e della bocca diventano via via più difficili, con frequenti crisi a carico dell’apparato respiratorio e della digestione. I genitori le provano tutte, chiedendo pareri a un’infinità di medici. Finché, come racconta Mariapia, è Giorgio stesso, un giorno, a costringerli ad aprire gli occhi: «Mamma, basta dottori…».

UN DOLORE TROPPO GRANDE


Poi, il 20 gennaio 1977, il cuore di Domenico si spezza: un infarto lo porta via in poche ore. La disperazione sarebbe dietro l’angolo, ma Mariapia sceglie una strada diversa. «Ero appena tornata dal funerale e c’era chi mi telefonava per chiedermi di rilevare lo studio. Dovetti decidere nel giro di poche ore. Io pensai che non poteva finire tutto così, dopo quello che entrambi avevamo fatto». Così Mariapia trova anche nel lavoro un’ancora di salvezza, ma non fa mai mancare amore e attenzione ai figli. «Ho capito che dovevo concentrare la loro attenzione su altre cose. Allora soprattutto il maggiore ha iniziato ad appassionarsi alla musica classica: aveva un’infinità di dischi, conosceva ogni autore e la sua storia. Quando li ascoltava andava in un altro mondo. Poi si è appassionato di poesia, narrativa, pittura... Per un certo periodo ha anche provato a dipingere grazie a un caschetto a cui avevamo applicato un pennello. E anche il fratello lo seguiva in queste cose».

Dove può trovare la forza una mamma in questa situazione? «La forza me l’hanno data anzitutto Giorgio e Gianni», spiega Mariapia. «Noi tre siamo cresciuti insieme, nella vita e nella fede. Mi hanno insegnato tutto: il valore della vita, la capacità di gioire per le piccole cose, l’importanza di dare il giusto peso ai problemi. Mi hanno insegnato soprattutto ad accettarsi e ad accettare. Questo ha prodotto in me una grande serenità. Vedo che spesso i figli o i nipoti delle mie amiche non sono mai contenti. Ai miei ragazzi è sempre bastato poco per esserlo: leggere un libro insieme, stare con loro, fare piccole cose».

Sbaglierebbe chi pensasse che questa serenità sia frutto di una mancanza di consapevolezza. «Giorgio, in particolare, ha sempre avuto ben chiara la sua situazione e non è che le cose fossero facili da accettare», spiega la madre. «Una volta confidò a una sua educatrice qual era l’unica cosa che davvero lo faceva soffrire: non potere avere figli. Insomma, capiva tutto».

LA CONDIVISIONE SALVA

«Non mi sono mai sentita sola», dice Mariapia, raccontando quanto preziosa sia stata anche la condivisione con altre persone nella sua situazione. Negli anni Settanta è stata infatti tra le prime animatrici dell’Associazione genitori della Fondazione Don Gnocchi (dove i figli hanno frequentato le scuole), diventandone presidente per 15 anni. Dopo il trasferimento fuori Milano, in una casa più adatta alle esigenze dei figli, Mariapia ha dato vita – insieme ad altre famiglie, al parroco e ai giovani volontari dell’oratorio – all’Associazione Pro disabili Arconate, che supporta una trentina di ragazzi e le loro famiglie nella gestione del tempo libero, nell’accompagnamento a scuola, nell’organizzazione di corsi di formazione, e che svolge anche un lavoro culturale sul territorio: «Ci sono famiglie che vivono queste problematiche in modo chiuso, timoroso. Ma isolarsi non è mai un bene».

E la fede, chiediamo, che ruolo ha avuto in tutto questo? «Per come la vedo io, avere fede significa vivere sapendo che Dio ci accompagna e ci ascolta. Il mio pensiero è sempre rivolto al Signore. Questa credo sia la mia fede: non è che Dio c’è solo se le cose vanno tutte bene. Io chiedo al Signore non solo di accettare la sua volontà, ma di amare la sua volontà. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per amore. E quando fai le cose per amore, la fatica si annulla. L’amore rende tutto più leggero».

Leggero e sorprendente, se è vero che oggi Mariapia e Gianni si trovano a vivere, di fatto, con un’altra famiglia: Sunali, una giovane dello Sri Lanka che nel 2009 − poco prima della morte di Giorgio − è stata assunta per aiutare Mariapia, è diventata così profondamente parte della famiglia da avere chiesto e ottenuto di continuare a vivere a casa Ricotti anche con il ragazzo che ha sposato pochi anni fa, e ora con Aneesh, nato nel 2017. «Così ora Gianni ha una “sorella”, Sunali, ed è diventato “zio”. Mentre io mi ritrovo a essere “nonna”. Chi l’avrebbe mai detto?».

LA PREGHIERA

Nel periodo in cui era presidente dell’Associazione genitori della Fondazione Don Gnocchi, Mariapia Ricotti ha composto una preghiera, da allora recitata da molti genitori di bambini e ragazzi disabili. La pubblichiamo qui sotto.

Signore, noi non sappiamo perché ci hai chiamato ad un compito così grande, ma sappiamo che con il tuo aiuto possiamo farcela. Per questo ti preghiamo e ti affidiamo il bene più grande, i nostri figli.

Donaci la capacità di dimostrare loro quanto sia grande il nostro amore.

Rendici capaci di cogliere tutti i loro bisogni, i loro desideri, il significato delle parole mai pronunciate, di tramutare i pianti in tenerezza e di gioire per i loro sorrisi così spontanei e sinceri.

Donaci forza, umiltà e pazienza nelle piccole e grandi cose di ogni giorno per essere loro sostegno morale e materiale.

Rendici capaci di cogliere come un tuo dono tutti i gesti di solidarietà che incontreremo nel nostro cammino e di fare nostra la tua volontà, anche quando il cuore e la ragione proveranno a ribellarsi. Amen.



di Stefano Femminis

8 febbraio 2018

FONTE: Credere