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sabato 16 gennaio 2021

Lino Banfi: “Prego la Madonna di poter morire insieme a mia moglie”

Una vita intera vissuta assieme e, ora che la malattia ha colpito uno dei due, c’è il desiderio di andare in Cielo insieme. La preghiera di Lino Banfi.
“Prego la Madonna di poter morire insieme a mia moglie”. Una frase che fa commuovere, ma che allo stesso tempo, racconta il calvario di Lino Banfi.


Lino Banfi: “La mia devozione a Maria”

Più di 50 anni di vita passati insieme, mai un tradimento, mai una discussione. Ma ora la malattia c’ha messo il suo zampino. Lino Banfi si racconta e, in particolare, sceglie di spiegare perché la sua devozione alla Madonna è così forte e radicata.

Appena ti svegli, prima di tutto devi pregare e ringraziare la Madonna. Perché parlare proprio con la Madonna? Perché lei parla col Padreterno” – spiega l’attore. La sua fede particolare inizia all’età di 5 anni, quando suo nonno Giuseppe comincia a parlargli di Gesù e di Maria. Il pregare prima di andare a scuola ma, soprattutto, pregare come prima cosa da fare ogni giorno. Lei mi ha guarito quando avevo il tifo”.

Ma c’è stato un episodio particolare grazie al quale Lino Banfi ha capito che Maria aveva steso la mano sulla sua testa: “A dieci anni stavo morendo, avevo il tifo e la malaria […] Il medico veniva a visitarmi tutti i giorni e mi faceva delle iniezioni. Non mangiavo più, ero magrissimo, pieno di croste. Quando la malattia si aggravò, giacevo nel letto e non riuscivo più a parlare. All’improvviso, una mattina mi svegliai e chiesi a mia madre la gazzosa. Nella notte, le croste erano cadute”.

Un miracolo? Assolutamente sì: “Mia madre mi raccontò che quella notte avevo sognato una donna con un bambino in braccio ed ero guarito […] Penso fosse la Madonna di Canosa” – continua.

Lino Banfi: “Il mio incontro con Papa Francesco”

La fede, la preghiera, il suo sentirsi "il nonno d’Italia", ma anche un attaccamento particolare a Papa Francesco: “Quando ho incontrato Papa Francesco, gli ho fatto notare che abbiamo la stessa età. E, presentandomi come il nonno d’Italia, lui candidamente, in spagnolo, mi ha risposto: “Lei è il nonno del mondo” – ha raccontato, con gioia, l’attore pugliese. “Oggi prego Maria per mia moglie. Le chiedo di farci morire insieme

Oggi, la preghiera a Maria di Lino Banfi è per sua moglie, malata di Alzheimer: “In questo periodo le chiedo di aiutarmi con mia moglie Lucia […] Nessuno ti dice quello che devi fare con le persone care che non stanno bene. Alla Vergine imploro: “Se tu e Gesù mi amate, fatemelo sentire” […]
Ditemi la verità: quanti anni di vita mi date ancora? Se possibile, cercate di far morire insieme mia moglie e me perché l’uno senza l’altro non riusciremmo a stare” – conclude.

Un amore indissolubile, quasi come se fossero nati per stare sempre l’uno accanto all’altro. Ed ora, davanti alla sofferenza, Lino prega sì, ma chiede soprattutto di non staccarsi mai da sua moglie, neanche in punto di morte.


di Rosalia Gigliano

8 gennaio 2012

FONTE: la luce di Maria

lunedì 8 ottobre 2018

«I miei 20 anni accanto a Padre Pio»


«Ho assistito a molti eventi inspiegabili, dalla sua stessa guarigione, grazie alla Madonna, a quella del mio papà. Ma il più grande è stato il suo Amore per Gesù»

Padre Marciano Morra ha un'aria severa che incute un po' di timore. Minuto ma affilato, ha l'espressione di un esigente professore di Latino. Ma è la sua corazza da timido. Quando entra un po' in confidenza e si lascia andare ha un sorriso dolcissimo. Nessuno meglio di lui può parlare di san Pio da Pietrelcina, padre Pio come tutti continuano a chiamarlo, del quale ricorrono in questi giorni due importanti ricorrenze che lo riguardano: i cento anni dall'impressione delle stimmate, avvenuta il 20 settembre 1918, e la sua morte, il 23 settembre 1968.

Padre Marciano ha ottantanove anni e per quasi venti è stato un suo confratello nel convento di San Giovanni Rotondo, dove il santo visse dal 1916 fino alla sua scomparsa. E' quindi una miniera di ricordi, aneddoti, emozioni che racconta con la sua voce pacata. «Era bellissimo stargli accanto», dice. «Facevamo a gara per passare del tempo insieme a lui: era come stare vicino a un papà affettuoso. Ci illuminava con la santità. E ci deliziava perché era un uomo gioviale e divertente. Ma c'erano volte in cui ti guardava fisso. Quello era il momento in cui leggeva nella coscienza con uno sguardo magnetico che ti trapassava. Sapevi che stava scrutando nel tuo cuore. Leggeva nelle persone come fossero stati dei libri aperti».

Nella sagrestia della vecchia chiesa del convento di Santa Maria delle Grazie, padre Marciano ci parla delle stimmate, forse il mistero più eclatante di padre Pio. Ferite alle mani, ai piedi e al costato che rimandavano alla Passione di Cristo e che erano sempre aperte come piaghe vive. Padre Marciano le ha viste più volte da vicino. «Padre Pio teneva le mani sempre coperte da mezzi guanti anche perché un ordine del Sant'Uffizio gli proibiva di mostrare le ferite. Li toglieva solo quando celebrava la Messa e allora era possibile vedere le piaghe. Servirgli Messa perciò era un compito ambito perché si era vicini a un grande mistero. In più, tornato in sagrestia, il Padre faceva baciare le mani, sempre senza guanti, ai due che erano stati con lui sull'altare. In quel momento potevo vedere bene le ferite che aveva sul palmo. Posso testimoniare che erano veri e propri buchi che trapassavano le mani da parte a parte. Il vero miracolo delle stimmate però non sta tanto nella loro presenza e nel fatto che padre Pio le abbia portate per cinquant'anni ma nel fatto che poi sono scomparse. Per ordine del Vaticano, le piaghe erano state esaminate diverse volte da medici. Alcuni avevano dichiarato l'inspiegabilità della loro natura, altri invece le avevano giudicate un imbroglio affermando che padre Pio se le procurava da solo usando degli acidi. Con la loro scomparsa però, nessuno ha più potuto dire nulla. Come è possibile infatti che una piaga, a prescindere da come si sia formata, scompaia senza lasciare neppure una piccola cicatrice? Questo è il vero miracolo che testimonia la veridicità delle stimmate.»

«Qui in sagrestia ho veduto padre Pio compiere un prodigio, guarendo il mio papà che era molto malato», continua padre Marciano. «Aveva un tumore ai polmoni e i medici gli avevano dato poco da vivere. Padre Pio lo guardò fisso, poi lo prese per il bavero della giacca e con l'altra mano iniziò a tirargli dei pugni sul petto dicendo: “E chi te l'ha detto che tu stai malato? Tu stai bene! Stai bene!”. E subito dopo: “Ora ti saluto. Arrivederci!”. Disse proprio così: “Arrivederci!”. Non capii subito cosa voleva dire ma lo compresi in seguito. Il mio papà aveva i giorni contati e invece guarì e incontrò ancora padre Pio. Ci lasciò quindici anni dopo per un'altra malattia».

Padre Marciano ricorda un altro episodio importante: «Ero presente anche quando padre Pio fu miracolato dalla Madonna. Era il 1959. Quell'anno era stata portata in Italia la statua pellegrina della Madonna di Fatima che girava le diocesi delle più importanti città. Per interessamento del cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, amico di padre Pio, si fece in modo che la statua fosse portata per due giorni anche a San Giovanni Rotondo. Però padre Pio era a letto da quattro mesi. Aveva un tumore ai polmoni e si diceva che stesse per morire. Lo portammo di peso in chiesa, dove era stata sistemata la statua della Madonna. Lì si fermò in preghiera, baciò l'immagine della Vergine e le pose tra le mani una coroncina del Rosario. Poi si fece portare alla finestra per vedere l'elicottero che partiva con la statua. Era stato deciso, infatti, che l'elicottero sarebbe andato via dopo aver fatto tre giri sopra Casa Sollievo della Sofferenza, l'ospedale fondato da Padre Pio. Quando lui vide il velivolo che si allontanava, disse: “Madonnina, sei venuta in Italia e io ero ammalato. Ora te ne vai e mi lasci ancora ammalato”. Poi, improvvisamente fu come se fosse stato attraversato da una scossa. Ero a pochi metri da lui e lo vidi tremare. Si girò e gridò: “Ma io sto bene. Sto bene. Andiamo a confessare”. Ovviamente gli fu impedito di andare in confessionale e venne riportato della sua cella. Ma il giorno dopo riprese la vita di sempre. Era perfettamente guarito».

di Roberto Allegri

FONTE: Famiglia Cristiana N. 37
16 settembre 2018


Sono passati pochi giorni dalla ricorrenza dei 50 anni della "nascita al Cielo" di padre Pio da Pietrelcina e 100 anni dall'impressione delle sue sacre stimmate. Ho pensato quindi di postare sulle pagine di questo blog qualcosa che riguardasse questo meraviglioso Santo così amato dalla gente di tutto il mondo, e l'articolo "giusto" l'ho trovato su Famiglia Cristiana con questa bella testimonianza del bravissimo padre Marciano Morra, suo confratello a San Giovanni Rotondo per tanti anni.
Tante cose si sono dette e scritte su padre Pio in tanti, tanti anni.... ma l'Amore verso questo Santo non sembra risentire del passare del tempo e la devozione nei suoi confronti è sempre vivissima nel cuore delle persone. E di questo, personalmente, ne sono solo estremamente felice, perchè padre Pio è e rimarrà sempre un esempio luminosissimo per tutti di Santità e di Amore Vero per Gesù, la nostra Madre Celeste e il prossimo, per il quale si è completamente speso in tutto l'arco della propria vita.

Marco

lunedì 23 aprile 2018

L'arcangelo Gabriele mi ha salvato la vita


«Ho avuto un incidente d'auto spaventoso e, se sono ancora vivo, lo devo al mio angelo custode», dice l'attore ora a "Ballando con le Stelle"

ROMA – Massimiliano Morra fatica a tenere l'occhio sinistro aperto, ha il corpo ricoperto di lividi e ferite, sente dolore ogni volta che compie il più piccolo movimento e la testa gli fa ancora molto male. «Ho avuto davvero tanta paura, non mi vergogno ad ammetterlo, e penso, anzi, sono sicuro che è grazie a un miracolo se adesso posso raccontarle ciò che mi è accaduto in quel maledetto incidente», mi dice il popolare attore che ora vediamo sia a Ballando con le Stelle su Raiuno, dove danza in coppia con Sara di Vaira, sia nella fiction Furore – Capitolo secondo di Canale 5.

Incontro Massimiliano Morra all'indomani del drammatico incidente di cui è stato protagonista la notte tra sabato 17 e domenica 18 marzo sul Grande Raccordo Anulare di Roma, all'altezza di Tor di Quinto, la stessa notte in cui, poche ore prima, aveva trionfato a Ballando con le Stelle. «Erano circa le tre e io stavo tornando alla mia casa a Zagarolo, a sud di Roma», racconta Morra. «Dopo aver preso parte alla seconda puntata di Ballando con le Stelle, ero andato a mangiare al ristorante con Sara di Vaira, la mia maestra, e con gli altri protagonisti della trasmissione. Era stata una serata divertente, allegra. Però, alle tre ero stanco. Tra l'altro, per tornare a Zagarolo, dagli studi di Ballando con le Stelle, che sono nella zona nord di Roma, mi aspettava un bel viaggio, di almeno tre quarti d'ora. Così ho salutato Sara e gli altri e sono salito sulla mia Cinquecento».

«Le posso chiedere se aveva brindato a cena con i suoi colleghi?».
«Io sono astemio. Ero lucido quando mi sono messo alla guida
».

«Ci può raccontare allora che cosa è capitato?», chiedo.
«Avevo imboccato il raccordo da poco e stavo sulla corsia di sorpasso, ma senza correre: non superavo i centodieci chilometri orari. La strada era praticamente deserta, c'erano solo poche macchine. Ma poi... tutto è accaduto in un attimo: all'improvviso, un'auto che era nella corsia centrale, alla mia destra, ha invaso la mia corsia, senza neanche mettere la freccia. In pratica, mi ha tagliato la strada di colpo. Io andavo più veloce di questa macchina e, quando me la sono ritrovata davanti, ho frenato bruscamente per cercare in tutti i modi di non travolgerla. Così facendo, però, ho perso il controllo della mia Cinquecento. Mi sono ritrovato in testacoda. Ho cercato di riprendere il controllo, ma non ci sono riuscito e la macchina è schizzata contro la barriera della carreggiata esterna, attraversando le tre corsie. L'impatto è stato violentissimo, al punto che la macchina si è cappottata e ha fatto una decina di "capriole". Così, almeno, mi hanno detto perchè io, dico la verità, non rammento nulla di quegli attimi. Ricordo distintamente il testacoda e la barriera che si avvicina... Ma l'impatto mi ha fatto perdere i sensi, perciò quello che è avvenuto subito dopo non lo rammento».

«Quando ha ripreso i sensi?».
«Ho riaperto gli occhi quando la polizia era già sul posto. Alcuni agenti stavano cercando di tirarmi fuori dalla macchina, che era un groviglio di lamiere. Io cercavo di slacciarmi la cintura, ma non ci riuscivo, anche perchè i miei movimenti erano rallentati dai due airbag che, per fortuna, si erano attivati al momento dell'impatto, proteggendomi. Ho ricordi confusi di quei momenti, non so bene come hanno fatto a tirarmi fuori dall'auto. Ricordo che ero sotto shock, questo sì. Non capivo bene che cosa stava succedendo, le persone mi parlavano, ma io non riuscivo a rispondere in modo coerente. Mi hanno invitato a salire sull'autoambulanza e, durante il tragitto per raggiungere l'ospedale, ho cominciato a realizzare che cosa mi stava capitando. Ho chiesto a uno dei paramedici di prendere il mio telefonino in tasca e di chiamare mia madre per avvisarla. Poi ho perso i sensi di nuovo. Quando mi sono riavuto, ero sulla barella, all'ingresso del pronto soccorso dell'ospedale Sandro Pertini, con i paramedici che continuavano a urlare: "Codice rosso!"».

«Il codice rosso indica che il paziente è in pericolo di vita. Che cosa pensava in quegli attimi?».
«Continuavo a chiedermi: "Ma sono ancora vivo?". Non so perché, ma avevo la sensazione di vedere tutto dall'alto...».

«Come se osservasse la scenza dal Cielo, intende?».
«Qualcosa del genere, ma non so spiegarlo. Non voglio esagerare, ma ho avuto la sensazione che qualcuno mi abbia protetto dall'alto. E credo di sapere chi è stato: l'arcangelo Gabriele».

«L'arcangelo Gabriele? L'angelo che ha annunciato alla Madonna che avrebbe concepito il figlio di Dio?».
«Sì, proprio lui. Mi rendo conto che può apparire pazzesco, ma io sono molto credente, e sono devoto a Dio e ai Santi. E deve sapere che il mio vero nome non è Massimiliano, ma Gabriele: l'ho cambiato quando ho iniziato a fare l'attore, seguendo il consiglio dei produttori».

«Perché i produttori le hanno fatto cambiare nome? Volevano evitare che venisse confuso con Gabriel Garko, che fa parte della loro scuderia?».
«Non so, mi dissero che Gabriele Morra non suonava bene e mi consigliarono di usare il mio secondo nome, Massimiliano. Accettai, ma il mio vero nome, quallo usato dai miei genitori, resta Gabriele».

«Come mai i suoi genitori l'hanno chiamata Gabriele?».
«Era il nome del nonno paterno. E' grazie a lui se a casa mia siamo sempre stati particolarmente devoti all'arcangelo Gabriele. Tra l'altro, le posso dire una coincidenza incredibile? Da qualche anno, la Chiesa ha deciso che san Gabriele si festeggia il 29 settembre. In passato, però, san Gabriele era a marzo e, in particolare, mio nonno lo ha sempre festeggiato il 18 marzo, proprio il giorno in cui ho avuto l'incidente. E anch'io l'ho sempre festeggiato a marzo. Ecco perchè, essendo l'incidente avvenuto proprio all'alba del 18 marzo, mi sono convinto che è stato l'arcangelo Gabriele a salvarmi la vita. Ognuno è libero di non crederci, ma io sento di essere vivo per miracolo. Lei ha visto in che condizioni era la mia auto?».

«Ho visto la foto che pubblichiamo anche su Dipiù», dico.
«Bene, così si può verificare che l'auto era un ammasso di lamiere: per uscirne vivo ci voleva l'intervento di qualcuno Lassù, ne sono certo».

«Questa sensazione di essere protetto dall'arcangelo Gabriele le ha dato più tranquillità in quelle ore?».
«Sì, anche se, a un certo punto, ho avuto davvero tanta paura. E' capitato quando il medico mi ha detto che avevo riportato un trauma cranico e anche dei versamenti ematici nel cervello. A quelle parole, ho pensato di avere una emorragia cerebrale in corso. Ho davvero creduto di morire o, quantomeno, di riportare conseguenze gravi. Per fortuna, però, la situazione era meno grave di quanto temessi. In quelle ore, comunque, mi ha dato serenità anche la presenza della mia maestra di danza, Sara Di Vaira. E' stata la prima a scrivermi dopo l'incidente e si è tenuta in contatto costante con me. Mi ha fatto piacere sentirla vicino».

Di Mattia Pagnini

FONTE: Di Più N. 13
2 aprile 2018




Bella e intensissima testimonianza di Massimiliano Morra, dopo il terribile incidente che ha avuto nel mese di marzo a bordo della sua auto. Bella perchè, grazie a Dio, l'incidente che sembrava potesse avere conseguenze di ben altra portata, si è concluso bene, senza danni troppo rilevanti per la sua salute... intensissima perchè Massimiliano ritiene di essere stato salvato dall'arcangelo Gabriele di cui è sempre stato molto devoto e di cui porta anche il nome. La sua è quindi una testimonianza di grande, profonda Fede, di quelle che veramente non lasciano indifferenti, a prescindere da chi è credente o meno.
Personalmente credo in quanto afferma Massimiliano, perchè penso fermamente che "Lassù" noi abbiamo tanti "protettori" ed "intercessori" potenti presso il buon Dio, dalla Vergine SS., agli Angeli, ai Santi e ai nostri cari che non ci sono più. Ed è veramente bello che ci siano persone che rendano testimonianza di tutto questo.
Con l'augurio più sincero che Massimiliano si riprenda totalmente da questo incidente, certamente questo evento rimarrà per sempre scolpito nella sua memoria e, sono convinto, servirà a rendere ancora più forte e più sentita la sua Fede. E davvero, tanti, tanti cari Auguri per tutto!

Marco