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mercoledì 31 marzo 2021

Dalla Polizia di Stato al Sacerdozio – La storia di Don Ernesto Piraino

Questa è la storia di un giovane di 37 anni che per 18 lunghi anni era un poliziotto della polizia di Stato, aveva una ragazza e tanti sogni nel cassetto. Poi Gesù eucarestia gli rapisce il cuore e l’11 febbraio scorso, è stato ordinato sacerdote.

Cosa ti ricordi della tua vita da poliziotto?

E’ stata un esperienza meravigliosa in cui il Signore ha fatto passare tanta grazia. Fare il poliziotto non è un mestiere facile ed io l’ho svolto, in territori segnati da fenomeni criminosi importanti come in Sicilia e Reggio Calabria. Tutti questi anni in polizia mi hanno permesso di accumulare un bagaglio esperenziale, ed oggi, grazie a Dio riesco ad utilizzare in un altro settore diverso anche se l’umanità non è cambiata; quella rimane uguale con le sue fragilità e i suoi limiti ma anche con le sue bellezze e i suoi pregi.
Aver conosciuto l’umanità dal punto di vista della giustizia umana, oggi è un punto a mio favore.

Perché avevi scelto di fare il poliziotto?

Perché amavo l’idea di poter servire la mia patria di poter servire la gente che mi circondava indossando una divisa, e pensavo di poterlo fare nel migliore dei modi. Così feci un paio di concorsi nella polizia di stato e nei vigili del fuoco e li vinsi entrambi, ma avendo fatto per prima il concorso in polizia, ebbe la meglio sull’altro.
Il desiderio che si nascondeva dietro questa scelta era di poter essere utile all’altro.
Dobbiamo non sottovalutare anche il fatto che in quegli anni, non era semplice trovare un posto di lavoro che potesse diventare a tempo indeterminato, per cui vincere un concorso per un ragazzo di 19 anni, era un grande traguardo.

Tu eri anche fidanzato, quindi sognavi una famiglia e ti sentivi chiamato al matrimonio?

Assolutamente si, non solo sognavo il matrimonio ma l’avevamo addirittura progettato. Avevo acquistato casa e avevamo già programmato qualcosina per la cerimonia ma evidentemente, avevo fatto i conti senza l’oste.

Quando ti accorgesti che il Signore ti stava chiamando a lasciare tutto e a seguirlo?

Era il 2006 e nella parrocchia dove prestavo servizio di educatore dei giovani nell’azione cattolica, nacque l’Adorazione Eucaristica perpetua. Era la prima Adorazione Eucaristica perpetua della Calabria. Proprio in quell’occasione iniziai a trascorrere del tempo davanti a Gesù, prima iniziai con mezz’ora, poi un’ora e poi diventarono due… insomma era diventata una calamita, dalla quale mi restava difficile staccarmi. L’attrazione era tanta che a volte facevo compagnia a Gesù per tutta la notte. Pian piano Gesù, mi ha fatto comprendere che l’amore che percepivo e sperimentavo con Lui ed insieme a Lui, non era minimamente paragonabile da quello che vivevo dal punto di vista degli affetti umani e delle soddisfazioni professionali. Così ho iniziato a chiedermi se era il caso di iniziare un percorso di discernimento più profondo. E così nel 2011 entro in seminario.

La tua famiglia e la tua ragazza avevano già capito che c’era qualcosa di diverso in te?

La mia famiglia aveva cominciato a sospettare qualcosa, nel momento in cui la mia frequentazione in chiesa era diventata un momento molto importante mentre la mia ragazza dopo due anni di fidanzamento faceva qualche battuta del tipo “Se vuoi farti prete dimmelo chiaro” ma allora, in me non c’era nessuna intenzione di discernimento per diventare sacerdote.

E poi come hanno reagito alla tua decisione vocazionale?

Intorno a me c’è stata un’accoglienza abbastanza serena nell’accettare la mia decisione di entrare in seminario. Non ho avuto ostacoli o impedimenti ma molto affetto e molta preghiera. La mia ragazza ovviamente quando ha compreso che la lasciavo per il Signore, ha gioito perché ha capito che il rivale non era un’altra persona.

Invece i tuoi colleghi che ti hanno detto?

All’inizio hanno fatto qualche battuta affettuosa, però l’accoglienza del dono nel giorno dell’ordinazione sacerdotale, è stata straordinaria. Mi hanno dimostrato un tale affetto e una tale amicizia da lasciarmi veramente stupito. La Polizia di Stato insieme alla mia famiglia di origine mi hanno accompagnato a ricevere il dono sacerdotale.

Immagino che anche da poliziotto avevi una sensibilità molto sviluppata nei confronti di coloro che avevano intrapreso strade sbagliate come ad esempio uno spacciatore, un tossicodipendente. Se ti capitava di arrestarli, qual era la tua reazione nei loro confronti?

I primi anni di servizio vivevo molto di più la dimensione legata al senso della giustizia umana, mentre negli ultimi anni quando avevo in me chiara l’idea di diventare sacerdote, cercavo di unire il senso della giustizia umana con l’occhio misericordioso di Dio.
Vi racconto un aneddoto: molti anni fa mi ritrovai a fare ordine pubblico, durante una partita di calcio e ad un certo punto dovemmo alleggerire la folla perché i tifosi cominciarono a lanciarci pietre. Oggi uno di quelli che mi tirava le pietre è diventato frate, ed io che ero poliziotto dall’altra parte della barricata, sono diventato sacerdote.

Secondo te cosa si potrebbe fare per migliorare la società e dare un futuro ai giovani?

Potrebbe sembrare banale ma credo che bisognerebbe riscoprire l’amore di Dio che ci ama in una maniera unica. Tutti siamo figli di Dio. Questa scoperta potrebbe dare una svolta decisiva all’andazzo di questa nostra società. E’ una società dove l’amore sta scomparendo sempre più e viene relegato ad un posto minore di quello che dovrebbe realmente ricoprire. Lentamente l’uomo si va raffreddando e sta perdendo i valori realmente importanti della vita. Secondo me comprendere che Lassù c’è un Padre che ci ama, potrebbe contribuire alla felicità di ciascuno anche paradossalmente a quella stabilità, data da un posto di lavoro o dalla famiglia ma se manca l’amore nulla ci può rendere realmente felici.

Cosa vuol dire oggi per te, essere sacerdote?

E’ una gioia difficilmente descrivibile a parole. E’ una sensazione totale di pienezza ed è difficile renderla con un concetto che possa essere comprensibile però, se dovessi riassumerla a parole direi che diventare prete è veramente bello, poter servire il Signore soprattutto e le sue creature. Ogni giorno mi rendo conto di quanto questo dono sacerdotale, sia ben più grande perché l’amore del Signore ci supera abbondantemente.

Che messaggio vuoi dare ai giovani che sono in crisi vocazionale e non sanno quale sia la vocazione che Dio ha scelto per loro?

Direi di lasciare la porta del cuore spalancata, senza avere nessuna paura perché il Signore vuole soltanto la nostra felicità per mezzo della vocazione personale. L’importante è diventare Santi. Si può essere santi sacerdoti e santi genitori ma l’importante è vivere il nostro battesimo e camminare verso la santità, senza paura. Permettiamo a Gesù di entrare e portare il suo annuncio di pace e di salvezza ed una volta fatto questo non si ci volterà più indietro, una volta messi le mani all’aratro si andrà sempre avanti.


di Rita Sberna

12 gennaio 2021

FONTE: Cristiani Today

sabato 13 febbraio 2021

Riccardo e Barbara, coppia di sposi missionari che vive insieme ai più fragili

Riccardo Rossi e Barbara Occhipinti hanno scelto di impegnarsi per le oltre 1.100 persone accolte nella Missione Speranza e Carità fondata da Biagio Conte a Palermo, con un'attenzione particolare alla cura della comunicazione sociale. Con il progetto "Ponti di bene" aiutano i poveri a trovare occupazione

PALERMO - Sono impegnati e sensibili verso i bisogni delle oltre 1.100 persone accolte nella Missione Speranza e Carità fondata da Biagio Conte a Palermo e con un'attenzione particolare alla cura della comunicazione sociale. Sono Riccardo Rossi e Barbara Occhipinti, la prima coppia di sposi che ha scelto di vivere in spirito missionario lasciando alle spalle la vita precedente. Da poco sono tornati da un viaggio nel nord Italia per portare avanti il progetto "Ponti di bene", pensato per favorire lo scambio e il trasferimento delle persone con fragilità da Sud a Nord in altri luoghi di accoglienza per poter trovare anche una occupazione lavorativa.
"Siamo appena tornati dal viaggio 'Ponti di bene' che ci ha permesso di conoscere parecchie realtà dove i nostri fratelli in povertà potrebbero trovare per un determinato periodo accoglienza e lavoro - spiega Riccardo -. L'obiettivo è quello di favorire scambi di bene e nello stesso tempo di creare una rete di servizi nazionale tra le realtà missionarie. Grazie ai primi contatti è già partito dalla missione il nostro primo fratello per un centro della Toscana".
"Io e Barbara siamo la prima coppia, la prima famiglia missionaria che ha deciso di fare questo cammino terziario che è previsto dallo statuto della Missione - dice ancora Riccardo -. In Missione siamo continuamente a servizio per tutti. In particolare, organizziamo e stampiamo il periodico La Speranza, seguiamo anche una piccola squadra di calcio di giovani immigrati e poi siamo impegnati a promuovere tutte le iniziative sociali e di solidarietà che ci sono".

"Come coppia, per noi è importante lavorare insieme - aggiunge Barbara -. Siamo continuamente immersi nelle fragilità di ogni tipo dove muoversi non è facile perché ci sono persone che hanno vissuto drammi e sofferenze diverse. La prima cosa da fare è cercare di trasmettere quella fiducia e quella motivazione necessaria che porta la persona, in forte stato di fragilità, a rinascere a poco a poco. La fatica è tanta ma la possibilità di ridare loro la dignità che meritano ci dà tanta gioia, energia e coraggio di andare avanti. Con 'Ponti di bene', in particolare dopo un viaggio di 15 giorni, ci stiamo impegnando molto per riuscire a creare una rete che favorisca la mobilità dei poveri e lo scambio di esperienze di servizio e di lavoro da Sud a Nord".
Riccardo Rossi è di Napoli ha 50 anni e per 10 anni ha lavorato come giornalista per diverse realtà ambientaliste e politiche. Un mondo da cui a poco a poco si è allontanato. "Dopo una conversione ai Valori Cristiani non mi sono più riconosciuto in quello che facevo - racconta -. Sono entrato, infatti, in una crisi depressiva allontanandomi da un mondo che mi appariva troppo superficiale e non ancorato alla verità". "Purtroppo ho avuto problemi familiari molto seri legati soprattutto alla grande sofferenza di avere un fratello tossicodipendente. Dopo quindi un periodo di ricerca interiore, grazie ad alcune persone che mi hanno preso per mano, ho deciso di vivere da missionario nella casa famiglia 'Oasi la divina provvidenza' per disabili mentali e fisici di Pedara (Ct) dove sono stato 15 anni, di cui gli ultimi due anni con Barbara. Per lungo tempo sono stato le braccia e le gambe di tante persone sofferenti alcune delle quali con malattie terminali che ho accompagnato anche alla morte".

"Dopo 5 anni che vivevo nella comunità di Pedara ho conosciuto a Palermo Biagio Conte con cui è nata subito una grande sintonia di fede, di pensiero e di azione - racconta ancora -. Essendo un giornalista mi ha proposto di coordinare all'inizio a distanza il periodico della Missione 'La speranza'. In Missione ho conosciuto Barbara con cui è nata a poco a poco un'intesa di progetto di vita molto forte che oggi ci impegna insieme - tanto che le ho chiesto di sposarmi e di vivere insieme nella comunità di Pedara (Ct) con oltre 100 persone". "Poi, un anno fa, quando Biagio ha protestato digiunando e dormendo sotto i portici della Posta centrale di Palermo, ho deciso di stargli a fianco dormendo anch'io in strada per 10 giorni con lui. Dopo questa esperienza straordinaria confrontandomi con Barbara è nato il desidero di fare insieme il grande salto di andare a vivere in Missione. Oggi siamo riusciti ad avere una stanza presso la Casa del Vangelo a Chiavelli fondata padre Palcido Rivilli molto vicino al beato Pino Puglisi".

Barbara Occhipinti, 48 anni, originaria di Ragusa, ha vissuto, invece, per molti anni da sola a Palermo dove ha studiato architettura e lavorato come arredatrice. "Nella mia vita ho sempre sentito il bisogno forte di mettermi a servizio di chi era più fragile - racconta -. Dopo la morte prematura del mio caro amico Toti che è andato via senza avere vicino i suoi amici più cari, ho riflettuto molto sul senso pieno e più profondo che dovevamo dare alla nostra vita che non poteva essere soddisfatta soltanto dal lavoro e dai piaceri personali". Anche a lei la conoscenza del missionario Biagio Conte ha cambiato completamente la vita. "Dopo avere conosciuto Biagio, a poco a poco è cresciuto sempre di più il desiderio di spendermi come volontaria per i tanti bisogni della Missione. Per lungo tempo ho partecipato all'unità di strada notturna per l'assistenza di chi vive in strada, toccando con mano la fragilità e povertà più disperata".

"La conoscenza poi di Riccardo mi ha fatto capire che proprio la Missione sarebbe stata l'anello di congiunzione della nostra vita insieme. Così con fede e con coraggio, dopo avere perso il lavoro, non ne ho cercato un altro ma mi sono lanciata nella scelta di camminare insieme a Riccardo dedicandomi alla casa dei più fragili dove già viveva. In questo nostra scelta di vivere insieme a Pedara Biagio ci ha benedetto e sempre sostenuto. Ci siamo sposati il 12 febbraio di tre anni fa per il compleanno proprio del mio amico Toti. Quasi un anno fa, poi, dopo l'ultima protesta in strada di fratello Biagio, che abbiamo sostenuto in vario modo con tutte le nostre forze umane e spirituali, abbiamo deciso di trasferirci a Palermo per vivere a servizio dei poveri della Missione". (set)


20 febbraio 2019

FONTE: La difesa del popolo

venerdì 28 febbraio 2020

Manager di una multinazionale lascia la carriera e diventa monaca a Orta San Giulio


Girava il mondo, ma adesso ha preferito la clausura nel convento sull’isola cusiana

Dai business plan e dagli impegni frenetici in una multinazionale alle ore canoniche, scandite dalla regola di San Benedetto. Non ha avuto esitazioni, Nicoletta Falzoni: era manager della Camel (brand mondiale del tabacco) ed è diventata suora di clausura. Adesso fa parte delle ottanta monache dell’abbazia «Mater Ecclesiae» all’Isola di San Giulio.

Suor Maria Fides è di Vazzola, vicino a Vittorio Veneto, e per molti anni è stata una manager di successo. «Aveva una professione molto gratificante - racconta la madre di suor Maria. - Era stimata e girava il mondo. Abitava a Milano. Io non ho mai avuto la percezione di quello che stava maturando». La svolta risale all’agosto 2011. «Era andata in pellegrinaggio a Medjugorje - dice il suo parroco, don Massimo Bazzichetto - e ha sentito la chiamata del Signore. A Milano, in Duomo, un confessore le ha consigliato di rivolgersi a madre Canopi, all’Isola». Il colloquio tra la giovane manager e la badessa è stato decisivo. A tutti, suor Maria Fides ha spiegato: «Sono arrivata a riconoscere questo: il fatto che io avessi trovato l’Isola non era casuale. Il mondo ci offre tantissimo e tutto molto attraente. La chiamata di Dio va nella direzione opposta».

La professione religiosa è stata celebrata dal vescovo Brambilla: «Come può succedere che una ragazza giovane, di belle speranze, che probabilmente faceva girare la testa anche a qualche ragazzo, si innamori di una vita come questa?». Si può rispondere in modo facile, dice il vescovo: «Nicoletta è diventata suor Maria Fides e ha cercato le cose di Lassù. Noi purtroppo siamo rimasti quaggiù. Faremo pregare suor Maria Fides per noi. A noi non resta che la durezza delle cose del mondo».

di Marcello Giordani

20 giugno 2019

FONTE: La Stampa

lunedì 23 dicembre 2019

Paola Senatore, una vita tormentata: dai film erotici al carcere fino alla conversione


Attrice popolarissima per tutti gli anni’70, musa di una generazione di italiani, finì in carcere nel 1985 per droga: da lì un lungo percorso di rinascita attraverso la Fede

Di film ambientati in un carcere femminile ne girò parecchi. Ma un giorno in cella ci si trovò per davvero. Era il 13 settembre 1985: una data spartiacque nella vita dell’ex attrice Paola Senatore, uno dei sogni erotici ventennali per migliaia di italiani (musa di Brass, D’Amato, Lenzi e fra le regine indiscusse della commedia di genere). Ma chi pensa che da lì sia iniziato il baratro, forse si sbaglia. È la stessa Paola a tirale le somme di un’esistenza piena che oggi, da quello sfregio d’immagine in pieni anni Ottanta, può definire “una vera vita”. Che piano piano, e soprattutto nel silenzio, in questi anni ha rimontato con Fede, ordine e riavvicinamento ai propri affetti.

Come si definisce, oggi, Paola Senatore?

«Felice, serena, gioiosa ma con la testa sul collo».

Che infanzia ha avuto?

«Difficile. Mia madre mi raccontava continuamente della sua vita e della sua influente famiglia. Ero una bambina ansiosa con tutti quei racconti che ascoltavo, anche se piccola! Lei doveva sposare un barone molto più grande di lei come deciso dalla famiglia. Erano tempi difficili. Anni difficili. La guerra finì nel 45: lei proprio sotto i bombardamenti conobbe un ragazzo e si innamorarono, fu un colpo di fulmine: la mia vita iniziò lì, concepita sotto quelle bombe. Ma in quel momento iniziarono anche le complicazioni: mia madre si era ribellata ai piani matrimoniali che i nonni avevano per lei. Si rifiutò di entrare in convento e di darmi in affido, come si conveniva».

Come andò a finire?

«Fu mandata da lontani parenti romani che in effetti si presero cura di lei. Ma volle staccarsi ad un certo punto. E per essere più libera mi mise in un collegio. Il distacco fu atroce».

Che ricordi ha di quegli anni?

«Parliamo di un collegio della Roma bene. Eppure i miei ricordi sono ombrosi: mi raccontavano di strani riti, di storie misteriose che accadevano lì dentro, mi sentivo impaurita. Stiamo comunque parlando di esperienze e suggestioni vissute con gli occhi dell’infanzia. Ricordo un bimbo di cinque anni, ma che si dimostrava già un ometto, che un giorno arrivò a dirmi: “Ti proteggerò io”. Stavamo sempre insieme, mi dava forza. Finalmente a sei anni uscii: ero felicissima, era la Pasqua del 1952. Conobbi finalmente zie e nonni e la mia vita prese una piega diversa, morbida e dolce».

Cosa sognava di fare da grande? È riuscita a realizzarsi, secondo lei?

«Si, ci sono riuscita. Io sognavo soprattutto di viaggiare ed ho realizzato il mio sogno. Il viaggio era dentro di me, mi apparteneva. Sarei diventata pilota se il brevetto fosse costato di meno. Volevo scalare monti, attraversare deserti, scandagliare mari, attraversare cieli, di tutto e di più. Ci riuscii. Volevo incontrare il sole questo desiderio mi spaccava in due. Mi mancava molto mio padre: mia madre mi diceva che era morto, ma sapevo che non era vero. Lo capivo dal tono che usava. I vicini di casa dicevano che somigliavo a lui ogni giorno di più: lì mi si bloccava il respiro dall’emozione. Purtroppo non riuscivo mai a chiedere nulla, ma sapere che gli somigliavo per me era qualcosa di stra-mega galattico. Ricominciavo a respirare dopo un quarto d’ora quando ci pensavo. Lo cercavo ovunque. Ecco, per questo amavo il viaggio».

Il suo primo provino?

«Lo ricordo benissimo, dovevo interpretare un film a Parigi, “L’amore quotidiano”, del 1973. Mi fecero fare delle foto da un bravo fotografo: piacquero tantissimo, e così andai in Francia, a Parigi. Avevo 21 anni, fu un’esperienza fantastica. Ricordo che rimasi davanti al quadro di Adamo ed Eva non so quanto. Tanto. Mi colpì, mi avvolse, e quel giorno finii lì il mio peregrinare nei musei. Stordita dalle bellezze che vedevo».

C’è un aneddoto divertente che si ricorda durante gli anni del cinema?

«Ce ne sono tanti, soprattutto legato ai cavalli. Allora: li amavo tanto da adolescente, una mia cugina mi insegnò a cavalcare a 16 anni. Ero affascinata dal galoppo, come dalle corse in auto, faceva parte sempre della mia “inclinazione al viaggio”. A 18 anni andai a Indianapolis, in Florida, per vedere la Formula Uno con degli amici. Fantastico. Ho ancora nelle orecchie il grido dei motori».

Nel 1975 fu diretta da Tinto Brass: lo ha più sentito?

«No. Lavorai un po’ con Tinto, con “Salon Kitty” e “Action”. Poi smisi perché il mio compagno era molto geloso. Ricordo che non sapevo l’inglese, doveva doppiarmi sempre. Mi dispiace che Tinto ora non stia molto bene, non ero aggiornata su questo. Un messaggio per lui? Caro Tinto, posso dirti che pregherò per te per una pronta guarigione e una ripresa. Tu e la tua famiglia siete stati tutti affettuosi con me. Grazie ancora per quello che hai fatto per me, ti voglio bene».

Con che colleghi strinse amicizia in quegli anni?

«Helmut Berger: bellissimo ragazzo, con una grande sensibilità, tenerezza, un bel cuore. Capiva il mio imbarazzo in certe scene. Si era creato un bel rapporto sul set. E anch’io capivo lui, sentivo dei vuoti e alcune sofferenze che mi trasmetteva. Anche se tutti si fermavano sulla nostra bellezza esteriore».

Ha mai subito molestie sul set?

«No, mai subito molestie o subito maltrattamenti. Ero chiara e trasparente. Il marito me lo sceglievo io. Non amavo richieste di matrimonio né tantomeno altri escamotage per arrivare a me. Dicevo: “tu mi paghi, e io ti dò la mia immagine e il mio lavoro, ok. Poi se mi innamoro ti telefono io”. A quel punto qualcuno si infuriava. E il ricatto era sempre lo stesso: ti taglio il ruolo. A me non importava nulla, se accadeva. E poi a volte facevo finta di non capire: mi riusciva bene la parte della ritardata».

Arriviamo al giorno dell’arresto: 13 settembre 1985

«Ricordo dolente. Ero appena tornata da Riccione, mio figlio aveva 11 mesi. Avevamo trascorso una vacanza serena. Ero finalmente una mamma felice. Alle 21 qualcuno suonò il campanello di casa con tale veemenza che non ci volle molto per capire chi fosse. Il mio compagno era uscito verso le 16 e non vedendolo arrivare pensai a un incidente automobilistico. Invece fu trovato qualcosa in auto: pochi grammi di stupefacenti. L’auto era intestata a me e vennero a cercare me. Mi portarono in caserma: per interrogarmi, dicevano. Invece mi ingannarono e iniziarono già tutte le pratiche per l’arresto. Fortuna che prima di andare con loro passai da mia madre e le lasciai in custodia mio figlio: di questo la ringrazierò per sempre».

La sua carriera, poi, subì un tracollo: di lei non si seppe più nulla. L’impressione è che sparì di proposito, anche dopo essere rilasciata e dopo aver scontato i domiciliari. È così?

«Il mio lavoro e il successo diventarono l’ultimo pensiero per me. Mio figlio era al primo posto, solo lui, era molto più importante di ogni cosa per me. Anche se sulla sottoscritta leggevo e sentivo cose pazzesche».

Cosa la ferì, di più, di quello che si diceva di lei in quel periodo?

«Che ero una spacciatrice internazionale, che facevo servizi osè per pagarmi la droga: per due, tre grammi di stupefacente trovati in auto, messi non so da chi ancora. Comunque, decisi di troncare io la carriera. anche se mi offrirono cifre da capogiro, negli anni successivi alla mia disavventura. Dissi sempre no. Sempre e solo no».

Finì anche in cella di isolamento, giusto?

«Sì. Quando mi arrestarono soffrii molto. Pensavo a mio figlio e all’assurdità della situazione che stavo vivendo. Era tutto così insensato. Non sapevo come fosse un carcere, né come funzionava, come comunicare, come chiamare il personale in caso di bisogno, se poteva venire mia madre a trovarmi, se potevo vedere la famiglia. Avevo un groviglio nella testa, un cuore lacerato. Non potevo continuare senza sapere niente. Appena arrivata mi affacciai dallo spioncino blindato per chiedere se ci fosse qualcuno. Silenzio. Non sapevo cosa pensare, cosa fare. Ebbi subito una crisi di nervi. Cominciai ad urlare a piangere, ma non vidi comunque nessuno. Passai attimi che non auguro a nessuno».

Poi cosa successe?

«Dopo aver pianto, mi girai. Vidi un volto amico nella cella. Subito pensai: “Sarà entrato mentre urlavo”. Lui mi guardava e non parlava, pensai che gli facevo pena. Non mi ricordavo dove l’avevo conosciuto. Aveva capelli lunghi, barba, baffi, una tunica bianca con un mantello rosso. Allora per non fare una brutta figura cominciai a riflettere su dove l’avessi mai visto. Pensai “è venuto dall’India” basandomi sul suo l’abbigliamento. O forse dall’Inghilterra. Non riuscii a ricordarlo. Ad un certo punto sentii una voce potente che diceva questo: “Non tutto il male viene per nuocere. Di lì a poco sentii tremare tutto, poi un gran senso di pace».

Un “tipo” che poi ha rivisto spesso

«Una settimana dopo l’interrogatorio col giudice, lasciai la cella d’isolamento per andare al terzo piano con tutte le altre detenute. Appesa sul muro scorsi l’immagine di quel tipo che era venuto a trovarmi. Allora chiesi chi fosse. “E’ Gesù”, mi fu risposto in coro. Scusate, dissi io, ma “Gesù non era un bimbo piccolo in braccio alla Madonna?”. “Sì, certo ma poi è cresciuto” mi risposero le detenute, mettendosi tutte e ridere. Lì mi prese uno sgomento. Volli andare dalla psichiatra per chiederle se fossi impazzita, magari con il trauma dell’arresto. Parlammo tre ore, mi fece sentire normale. E mi diede delle pillole».

Fu quello l’inizio della sua conversione?

«Ripensando intensamente all’incontro fatto in cella d’isolamento, capii che quel tipo era davvero Gesù. E a volte quella che può sembrare una disgrazia è una salvezza. Da quel giorno mi trovai sempre al posto giusto, con la persona giusta. E alla fine pensai che l’arresto era stata, la fortuna più grande che mi era mai capitata perché da lì iniziò la mia vita. Quella vita finalmente dal senso profondo. Lasciai definitivamente lo spettacolo e iniziai il mio cammino spirituale. Dissi addio a tutto: ricchezze, gioielli, firme, feste, festini, saloni di bellezza, vita sregolata, follie, false luci, discoteche, palestre e un miliardo di altre cose per incontrare spiritualmente colui che mi aveva consolato quando ne ebbi bisogno. Oggi sono 35 anni che lo seguo. Insomma, sì, la mia Fede è iniziata in un carcere femminile e in un momento inaspettato e atroce della mia vita. Dal 1985 sono cattolica praticante».

Che progetti ha, oggi, Paola Senatore?

«Vorrei tradurre la mia esperienza in qualcosa da far vedere agli altri. Vorrei dargli voce attraverso un film, curandone la regia. Una storia di vita dentro un piano celeste. Le testimonianze arricchiscono ogni persona e quando c’è una vera conversione vuoi solo raccontarla a tutti perché vuoi che tutti siano felici. Vorrei che altri si confrontassero con quello che ho vissuto io. E sa perché? Perché il mio vissuto, la mia conversione, possono essere di tutti».



di Silvia Maria Dubois

5 novembre 2019

FONTE: Corriere della Sera


E' sempre bello raccontare storie di Conversione, e questa mi è capitata sotto lo sguardo quasi per caso.
E' bello constatare come Gesù possa divenire il "centro" della nostra vita da un momento all'altro, anche se fino ad allora si era vissuta una vita lontano da Lui. E' quello che è successo a Paola Senatore, ed è quello che succede a una moltitudine di persone in ogni momento ed in ogni parte del mondo. Perchè, come la stessa Paola dice: "La conversione, può essere di tutti".
E con questa bella storia di Conversione, auguro a tutti un sereno e felice S. Natale con Gesù Cristo al centro del proprio cuore.

Marco

venerdì 29 giugno 2018

Un pomeriggio a tu per tu con Rita Coruzzi


All’età di trent'anni aver scritto tredici libri, non è cosa da tutti. Ma lei è una scrittrice speciale, anzi è una persona speciale. Si chiama Rita Coruzzi, emiliana di Reggio Emilia, classe 1986.
Rita è nata alla trentaquattresima settimana di gestazione ed ha avuto da subito gravi problemi di salute: le manca l’acetabolo, un osso che consente all’anca di rimanere al suo posto. Una operazione chirurgica che doveva risolvere la sua situazione invece, gliel'ha complicata definitivamente. Rita ora è tetraplegica e vive su una sedia a rotelle.
Ho letto la sua ultima fatica letteraria “L’eretica di Dio”, edito da Piemme, un libro che racconta la storia di Giovanna d’Arco. Non sono affatto amante di libri storici, ma il volume di Rita mi ha affascinato. Rita è una persona affabile, colta, di grande umanità, ma soprattutto “convincente”. Quando ha saputo che ero di passaggio a Reggio Emilia, mi ha fatto promettere di andarla a trovare, cosa che ho fatto. Un pomeriggio a parlare dei suoi libri, della sua Fede, della sua vita, delle sue aspettative e delle sue sofferenze, da quell’incontro è nata questa intervista.

Rita racconta la tua storia. La tua adolescenza è piena di episodi dolorosi, che ti hanno segnato profondamente. Sofferenze e delusioni però, che ti hanno portata ad amare la vita, in maniera ancora più profonda.

Non è facile raccontare in poche parole, chi sono. Lo hai visto, mi piace parlare, rischierei di non finire più! Vedrò di sintetizzare. Potrei iniziare narrando le gioie, i dolori, i desideri realizzati, i rimpianti, i sogni. Potrei dire che sono una ragazza come tante altre della mia età, ma non è così. Racconterò la mia storia dall’inizio. Era una giornata piovosa, quella del 2 giugno del 1986, quando volli nascere a tutti i costi, anche se era ancora troppo presto per farlo. Mia madre era ricoverata da tre giorni in ospedale, dove i medici cercavano di fermare le contrazioni. Già ti ho detto, che io ho sempre fretta a fare le cose, anche per nascere ho avuto fretta, cosi alla trentaquattresima settimana, ho deciso di venire al mondo. Io ho sempre fretta di fare tutto e subito, è la mia caratteristica.

La nascita prematura è stata la causa di molti tuoi problemi di salute. Un calvario lento e inesorabile che ti ha portato a dover vivere su una sedia a rotella.

Appena nata ho avuto subito diversi problemi, accresciuti in seguito alla lussazione all’anca, dovuta a mancanza dell’acetabolo. Non riuscivo a camminare come tutti gli altri bambini, non riuscivo a stare in piedi. Le mie gambe non ne volevano sapere di sostenermi, il mio corpo era debole e fragile. La mia mamma non si è mai arresa e ha insegnato anche a me, a non arrendermi mai. Ho fatto per anni fisioterapia, con sforzi e sacrifici enormi, per una bambina di quell’età. Il dolore e la stanchezza, per i lunghi esercizi fisici, mi portavano spesso a piangere. Però continuavo a lottare, non mi davo per vinta. Questo ha fortificato il mio carattere, anche se mi ha tolto forse, parte della mia infanzia. Mi ha tolto l’infanzia con le sue spensieratezze. Nel tempo ho subito alcuni interventi chirurgici, ma il primo è stato fallimentare ed ha aggravato definitivamente la mia situazione già precaria. Da allora sono costretta ad usare la sedia a rotelle.

L’insuccesso dell’intervento chirurgico, non solo ti ha portato a grosse delusioni, anche la tua Fede ne ha risentito profondamente. Il tuo rapporto con Dio si era deteriorato, puoi raccontarci qualcosa in merito.

Avere dieci anni ed essere costretta su una sedia a rotelle, ti porta a farti delle domande serie e ad avere scatti di rabbia, anche con Dio. La prima operazione non solo non è servita a nulla, ma ha addirittura peggiorato la mia già precaria situazione. All’inizio credevo fosse solo una situazione temporanea, almeno lo speravo, invece sono stata costretta a vivere sulla sedia a rotelle. Anni e anni di fisioterapia sono stati vanificati da una semplice operazione. Il risultato è stato quello di provocare una mia ribellione. Ero arrabbiata con tutti: con gli uomini e con Dio. Io mi ero sempre fidata di Dio e non riuscivo ad accettare questa situazione. Allora gli ho detto: “Ma come hai potuto permettere tutto questo!”


Eri in profonda crisi, delusa dagli uomini e soprattutto da Dio. Ma la tua caparbietà e quel “non arrendersi mai”, che ti aveva insegnato la tua mamma, ti hanno aiutato a continuare e finire gli studi.

Mi sono iscritta al liceo classico, una scuola certo non facile, che impegna molto. In molti credevano che una persona con disabilità non potesse farcela. Sono stata la prima ragazza disabile, in tutta la regione Emilia Romagna, a ottenere la maturità classica. La scuola ha fatto in modo di agevolare la mia condizione di disabilità, cercando di abbattere tutte le barriere architettoniche. Ho incontrato dei professori bravi, veramente preparati nelle loro materie. Ho scelto il liceo classico, perché mi piacevano le lingue antiche, il latino e il greco. E poi desideravo fare la stessa scuola di mia madre. Successivamente mi sono iscritta all’università di Parma, dove ho conseguito prima, la laurea triennale in lettere e poi mi sono specializzata in giornalismo.

La tua profonda crisi di Fede, che ti aveva allontanata da Dio, poi è stata superata grazie a delle persone che hai incontrato sulla tua strada. Persone che ti hanno aiutato a prendere in mano la tua vita spirituale. Raccontaci cosa è accaduto.

Avevo smesso di pregare, di andare a Messa e di accostarmi ai Sacramenti. Continuavo però a frequentare l’ora di religione a scuola. Sono sprofondata in quella che definisco “la non-vita”. Non avevo più voglia di alzarmi al mattino. Prima dell’operazione, uno scopo ce l’aveva l’alzarsi dal letto, era quello di imparare a camminare, ora invece non ne avevo più alcun motivo. Il continuare a frequentare l’ora di religione è stata la mia salvezza, perché mi ha permesso di incontrare un sacerdote speciale. Le sue domande, i suoi stimoli a farmi reagire mi hanno dato nuovamente la speranza. Spesso mi diceva:
Da quand’è Rita, che non guardi in faccia una persona?” per stimolarmi a relazionarmi con gli altri. Poi decisiva è stata la sua proposta di andare a Lourdes.

Lourdes ha avuto ruolo chiave nella tua conversione. Non solo sei andata quella volta prima volta, su invito del professore di religione, poi sei diventata anche un’attiva collaboratrice dell’UNITALSI.

Il mio primo pellegrinaggio a Lourdes mi ha guarita non fisicamente ma spiritualmente. Ed è stata la cosa più importante, perché se non hai la pace dentro di te, se non accetti la tua condizione, non potrai mai essere felice. La prima volta in verità cercavo e chiedevo la guarigione fisica, anche se, avevo messo in conto l’eventualità che poteva non avvenire, come infatti è stato. Alla grotta di Massabielle ho detto alla Madonna: “Ora, io sono qui da te. Mi spieghi perché tutto questo? Tu che sei Madre, non puoi non rispondere ad una tua figlia che ti pone domande, che t’invoca. Aiutami. Quali sono i piani che Gesù ha per me?”. La sua risposta l’ho percepita nel mio cuore, non l’ho udita con le mie orecchie, non sono una veggente! Mi ha detto: “Ne hai fatto passare di tempo prima di venire qui da me! Ora però, sei da me. Hai chiesto delle risposte che ora ti consegno. Testimonia e converti. Testimonia quanto è bella la vita, anche nella sofferenza, se vissuta accanto a Cristo». Io avevo dei dubbi e le chiedevo cosa dovevo testimoniare, anche perché a convertire sono chiamati i preti. Ho sentito la sua risposta nel mio cuore:
Io non ti sto chiedendo di convertire alla fede, ma all’accettazione della sofferenza quotidiana”.

Mi sembra che ha dato pieno ascolto alla Madonna! Hai scritto dei libri bellissimi, che raccontano la tua storia, inoltre vai in giro per l’Italia a portare la tua testimonianza di Fede. Stai facendo quello che ti aveva chiesto Maria. Parlaci dei tuoi libri.

Il libro:
Camminare o vivere” è uscito nel 2011. È una sorta di diario, in realtà è la mia autobiografia. L’ho scritto per portare la mia testimonianza di Fede. Parlo del cammino che ho fatto, per riuscire a superare i momenti più difficili, anche grazie al Signore. Poi il libro “Il miracolo quotidiano”, dove cerco di spiegare ciò che accade ogni giorno a Lourdes. Davanti alla grotta gli uomini sono tutti uguali, malati o sani che siano. Sono figli, riuniti davanti alla Madonna, figli dello stesso Dio padre. Lourdes é un vero angolo di paradiso, dove il miracolo non equivale necessariamente alla guarigione fisica, ma molto spesso prende il nome di conversione del cuore.

Non solo gli unici libri che hai scritto. Mi piace ricordare “Un volo di farfalla”, che è il secondo volume che ha la prefazione del card. Ruini, dove racconti la tua storia. Dove scrivi che Dio ha dei progetti su di te, sulla carrozzina. Dove racconti come hai ritrovato la vita, ma soprattutto come hai ritrovato la Fede. E questi non sono i soli libri che hai scritto, parlaci degli altri.

Ho anche scritto: “Il mio amico Karol” dove racconto dell'incontro con San Giovanni Paolo II. Lui era già molto malato e io sulla sedia a rotelle. È stato un abbraccio tra persone nella sofferenza fisica. Con Giovanni Paolo II ho avuto un intenso scambio epistolare e da queste lettere che è scaturito il libro su di lui. Ho avuto la fortuna di aver conosciuto ben tre papi. A Papa Francesco ho regalato il libro “Un volo di farfalla”. Ho parlato di sofferenze, anche nel libro che ho scritto con Magdi Cristiano Allam: “Grazie alla vita”. Un volume dove raccontiamo storie di sofferenze e di coraggio, di quel coraggio per continuare a vivere, nonostante tutto. Raccontiamo di Debora, che decide di ritardare le terapie, che potrebbero uccidere la vita che porta in grembo. Di Tatiana, che è in piedi su un ponte, decisa a farla finita e viene trattenuta da una forza misteriosa che le ridona la voglia di vivere. Tante storie di persone comuni.


Quelli citati sono tutti libri che parlano di sofferenze ed anche di speranze. Però voglio ricordare anche un libro molto particolare:
Distanze ravvicinate”. Un testo scritto con Enrico Saletnich, un quarantenne professionista romano. Dove parlate di tutto: dalla politica alla religione, dall’economia, alla musica e al costume. Due diverse generazioni che si incontrano e si confrontano. Sei una scrittrice poliedrica, tredici libri scritti per importanti case editrici, come la Piemme, la San Paolo. Ora pero raccontaci del tuo ultimo libro e della passione per i libri storici.

Con Piemme ho pubblicato due romanzi storici. Il primo è stato “Matilde” nel quale parlo di Matilde di Canossa, con il quale ho vinto il Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti, il Premio Internazionale Stefano Zangheri e il premio della critica al concorso Internazionale Città di Cattolica. Il romanzo narra della vita e le vicende della contessa Matilde di Canossa, vissuta nell’epoca turbolenta delle lotte per l’investitura. Matilde spese tutta la sua vita e le sue energie nell’opera di mediatrice tra papato e impero. Una tenace opera di mediazione che portò al famoso incontro dei due contendenti a Canossa nel gennaio 1077, quando Enrico IV offrì il pentimento al Papa e Gregorio VII lo perdonò. Fu una donna molto sensibile e nello stesso tempo forte e coraggiosa, fu una grande protagonista del suo tempo e un grande esempio di fede. Bisogna ricordare che è l’unica donna sepolta nella Basilica di S. Pietro a Roma. Il secondo è “L’eretica di Dio”, la storia di Giovanna d’Arco. La Pulzella di Orleans è una donna che mi ha sempre affascinata. Giovanna d’Arco, è guerriera, eretica e Santa. Da giovanissima ha delle visioni, comincia a sentire la voce di Dio, che la spinge alla preghiera, alla devozione, al sacrificio del corpo. Poi la voce la spinge a un’impresa impossibile, salvare il regno di Francia, afflitto da decenni di guerra contro gli inglesi. Alla fine è condannata come eretica, il suo corpo dato alle fiamme, i suoi resti gettati nella Senna. La Chiesa solo dopo secoli, la proclamerà Santa. È una grande eroina della fede cristiana, che in diciannove anni ha cambiato la storia di Francia e non solo. È un romanzo storico, fedele alla realtà, però mi sono presa delle libertà. Ho voluto rendere la figura di Giovanna più umana. Per questo motivo le ho fatto provare dei sentimenti per il duca di Alencon, da lui ricambiati. Una libera scelta, che non è storicamente provata ma, ho voluto dare una pennellata poetica alla sua storia.


Non ti ho ancora chiesto come sei arrivata a scrivere libri. Come mai ti sei avvicinata alla professione di scrittrice, in particolare di libri storici?

La passione di scrivere l’ho avuta fin da bambina, dettavo a mia nonna delle storie. Poi con il tempo, ho scoperto che scrivere per me era terapeutico. Quando scrivo, mi dimentico di essere su una carrozzina. Ora per me scrivere è un mestiere a tutti gli effetti. Mi piace scrivere storie di amore, di fede e di speranza. Soprattutto mi piace scrivere di donne. Di donne che sono state esempio di fede, di coraggio, donne determinate a portare avanti le loro idee. Ho già in mente la prossima figura femminile, della quale scriverò la vita. Ma è un segreto e non posso rivelarlo!


So che la figura di tua madre è stata fondamentale nella tua vita. È stata la persona che ti ha spinto ad andare avanti, ad affrontare con forza ogni difficoltà. È lei che scrive materialmente le tue storie, tu le detti e lei le scrive. Lei è la tua “amanuense” personale. Hai una gran fortuna ad avere una mamma così. Sei una scrittrice di talento, credo che se è difficile scrivere libri, ancora di più è farlo dettando le storie. Un’ultima domanda. Mi hai detto che arrivata a questo punto della tua vita non desideri più guarire. Perché?

Io sono seduta sulle ginocchia di Gesù e da li non voglio scendere. Ho capito che dalla carrozzina debbo compiere la mia missione. Preferisco stare in braccio a Gesù, compiendo la Sua volontà. Preferisco vivere che camminare! Dove c’è Gesù c’è la croce è vero, ma c’è anche amore, speranza e Vita Eterna.

Una gran bella testimonianza la tua Rita! Auguri per la tua carriera di scrittrice. Sicuramente farai molta strada.

di Roberto Lauri

7 settembre 2017

FONTE: Lacrocequotidiano.it


Ho sempre apprezzato molto Rita Coruzzi, questa ragazza disabile ricolma di Fede, di coraggio e di voglia di vivere, che ho avuto modo di conoscere attraverso alcune sue testimonianze in programmi televisivi. Volevo quindi postare qualcosa su di lei tra le pagine di questo blog, e questa bella intervista mi è sembrata perfetta allo scopo. Del resto la sua storia è veramente bella, ricolma di significati, e la sua testimonianza meravigliosa sotto tanti aspetti, sopratutto per la sua Fede in Dio e per l'accettazione della propria disabilità e sofferenza quotidiana, proprio come la Madonna le aveva chiesto.
Grazie cara Rita per il tuo esempio, per la tua testimonianza, per tutto! Tanta strada l'hai già percorsa, e molto proficuamente anche, ma molta altra, a Dio piacendo, ne avrai ancora da fare. E sono sicuro che, come hai fatto fino ad ora, continuerai a percorrerla con la verve, la tenacia, la simpatia, la Fede e l'Amore che da sempre ti contraddistinguono.

Marco

domenica 11 febbraio 2018

«Ero ateo, mi è apparso in sogno san Francesco»


La storia di Jeff Gardner, giornalista statunitense, nato mormone, cresciuto non credente, convertito dallo sguardo del santo di Assisi

Jeff Gardner è oggi un giornalista e fotografo statunitense, da anni si occupa di documentare la vita delle comunità cristiane in Africa e in Medio Oriente, nel 2013 ha fondato a tale scopo il sito The Picture Christians Project. Ha raccontato la sua sofferta e affascinante parabola personale nel corso del programma The Journey Home – il viaggio verso casa, sul network televisivo cattolico EWTN – programma storico curato da Marcus Grodi, ex pastore presbiteriano approdato al cattolicesimo.

Gardner nasce a Salt Lake City, nello Utah, in una famiglia mormone povera con quattro figli. La sua è un’infanzia tranquilla fino all’età di 9 anni, quando il nucleo familiare si spezza: la madre allontana di casa il marito con problemi di alcolismo e inizia una relazione con un altro uomo, da cui ha una figlia. Il padre di Jeff lascia ogni pratica religiosa e finisce per diventare un attivista del Partito Comunista Americano. «Anch’io, che vedevo mio padre come un modello – spiega Gardner – decisi di essere ateo». E di esserlo con la radicalità della fede che aveva respirato da bambino: «Ero un ateo militante, il volto del nuovo ateismo, un ateo aggressivo», «non dicevo semplicemente “non credo”, dicevo: “non devono esserci espressioni di credenze religiose nelle università, nei media, nella scuola». Un atteggiamento esibito anche negli incontri quotidiani con cristiani di diversa estrazione, ma un’aggressività che poggiava su due basi: una ferita emotiva e una grande ignoranza del cristianesimo.

«Chi può amare così?»

Finita la High School, la scuola superiore, Gardner si iscrive all’università del Kansas, dove non mancano i professori in sintonia con le sue idee. La svolta inizia con gli studi di storia medievale e un viaggio di alcuni mesi ad Avignone, in Francia, per approfondire la vicenda della peste che decimò la popolazione nel 1347. Lì fa una prima constatazione: in quella tragedia, stando alle cronache, chiunque aveva i mezzi per farlo lasciava la città, perché restare voleva dire il contagio e la morte. Tutti tranne i francescani, che si fermavano a curare gli infermi e a seppellire i morti. «Io leggevo – racconta Gardner – e mi chiedevo: ma chi può amare tanto degli sconosciuti da dare la vita per loro? La risposta ovvia sarebbe dovuta essere Gesù Cristo. Però i mormoni non ponevano enfasi sulla figura di Cristo e come ateo era completamente fuori dalla mia prospettiva».

Gardner prosegue con il dottorato in medievistica e trova come mentore un professore di storia cattolico, e con un figlio sacerdote, capace di leggere la storia dell’Occidente intrecciata a quella della Chiesa. La conoscenza dei Vangeli diventa per lui una necessità, per affrontare lo sviluppo della civiltà europea tra il primo e il secondo millennio. Gardner frequenta poi per motivi accademici altri studenti, ma credenti. Più tardi avrebbe scoperto che alcuni di loro avevano iniziato a pregare per la sua conversione. Una ragazza, in particolare, pregava per lui il rosario – quello che aveva ricevuto in dono per la Cresima e che un giorno gli avrebbe regalato.

Passano alcuni anni, Gardner da ricercatore si reca a Parigi, Firenze, visita Assisi, continua a occuparsi dei francescani, insegna all’università. Un giorno a Parigi, quasi 10 anni dopo il suo primo viaggio ad Avignone e quella domanda che lo aveva inquietato, si appisola per la stanchezza poco prima di fare lezione. «Ebbi Un sogno» racconta, «mi piacerebbe dire una visione, perché era molto chiaro ed è rimasto con me per anni e anni. Rivivevo una scena a me familiare: camminavo lungo la metropolitana di Parigi…». Gardner percepisce anche gli odori del luogo in cui si trova, il rumore dei suoi passi. Sta andando di fretta alla Biblioteca nazionale. Ad un tratto vede un uomo, come un mendicante, che cade al suolo. «Mi colpì il fatto che era scalzo, con i piedi neri per il vagabondare». Ma lui passa oltre, ha in mente solo l’appuntamento in Biblioteca. Improvvisamente però gli appare san Francesco: «Non era come negli affreschi di Assisi: era sporco, insanguinato, era come Cristo crocifisso. Mi trasmise senza dire parole un messaggio potente, personale, difficile da spiegare: “ricorda che Dio ha creato il mondo per proteggere i semplici e confondere gli arroganti”. In quel momento capii chi dei due ero io e chi era quell’uomo a terra. Provai una vergogna tremenda perché non mi ero fermato ad aiutarlo. Quando ero passato oltre era stato per andare alla Biblioteca nazionale, un pessimo motivo. Alla fine ricordai di colpo tutto quello che era successo negli ultimi anni: Avignone, i francescani, i miei amici, i Vangeli… e mi alzai dicendomi: beh mi battezzino, sono pronto».

«Non troverai la Chiesa che ti aspetti»

Da quel giorno per Gardner inizia una vita nuova. Non era digiuno dei fondamenti della fede, per via dei suoi studi, ma, dice oggi, «tra conoscere e vivere la fede c’è la differenza che passa tra il conoscere un manuale di istruzioni per il volo e guidare un aereo». Si avvicina a un sacerdote, gli racconta la sua storia e il desiderio di essere battezzato e ne riceve una risposta che gli suona strana: «Non pensare di trovare la Chiesa che ti aspetti…». Difatti le sue prime esperienze lo lasciano spiazzato. Al gruppo dei catecumeni in cui viene inserito, i catechisti, ben poco formati, lo invitano fare la Comunione prima di essere battezzato, cosa che lo lascia interdetto.

Trova alla fine una guida sicura in un sacerdote americano della Fraternità Sacerdotale San Pietro, che in dieci mesi lo prepara alla rinascita nella Chiesa cattolica. Contemporaneamente anche sua moglie, nata in una famiglia cattolica ma scivolata nell’indifferentismo religioso, inizia un cammino di conversione. I coniugi Gardner scoprono il magistero della Chiesa sulla famiglia, la Humanae Vitae – «quando l’ho letta sono caduto dalla sedia», dice Jeff, «tutti dovrebbero leggerla, credenti e no» – e dopo «una relazione contraccettiva», otto anni senza figli, si aprono alla vita. Oggi hanno quattro figli.

Gardner, lasciato l’insegnamento, si è dedicato al giornalismo e a progetti di sostegno per i cristiani, specialmente in contesti di persecuzione. Nel 2007 ha fondato Catholic Radio International, produttrice di contenuti per le radio cattoliche statunitensi. Nel 2013 l’inizio di un nuovo capitolo professionale con The Picture Christians Project.

di Andrea Galli

24 gennaio 2018

FONTE: Avvenire


E' sempre bello raccontare storie di Conversioni. Ed è bello constatare come, a distanza di secoli, un Santo come San Francesco sa ancora colpire, affascinare e operare miracoli di Conversione dei cuori e della vita come questa accaduta a Jeff!
Possono passare gli anni, i decenni, i secoli.... ma certe cose non cambiano mai!

Marco

martedì 8 agosto 2017

Ania, dall’inferno alla castità


A Medjugorje fonda “Cuori Puri” per promuovere il rispetto del corpo tra i giovani

Una vita di errori e difficoltà, poi il cambiamento radicale a Medjugorje e la fondazione di un'iniziativa per promuovere la castità prematrimoniale tra i giovani. Questo il percorso di Ania Golędzinowska, nata a Varsavia (Polonia). “La mia non è stata una giovinezza normale. Ho scoperto troppo presto il sesso, la droga e il lato oscuro delle cose. Ho scoperto troppo presto quanto sia dura la vita”, racconta nel suo libro "Salvata dall'inferno" (Sugarco).

Una famiglia instabile, furti, droga… Quando si presenta l'opportunità di andare in Italia, Ania la coglie al volo. Poi torna a casa, ma dopo un po' riparte di nuovo. Le hanno prospettato un lavoro nel campo della moda, ma finisce in un giro di night club a Torino. Ha 17 anni, e viene violentata da un cliente che le era sembrato ineccepibile.

Nel 2011, dopo anni di sofferenze, il primo viaggio a Medjugorje è uno splendido shock.Ormai per me una sola cosa contava veramente: nei miei occhi era rinato uno sguardo che credevo perduto per sempre. Uno sguardo che aveva voglia di continuare a specchiarsi nella realtà, alla ricerca della semplicità, dell’amore, della solidarietà con chi divide con noi il cammino della vita. Uno sguardo sul mondo, con occhi di bambina”.

Torna in Italia, ma poi sente che il suo posto è Medjugorje. Vive lì due anni in una comunità mariana retta dalle suore. In seguito, insieme a padre Renzo Gobbi, dà vita all’iniziativa Cuori Puri (www.cuoripuri.it), che promuove la castità prematrimoniale tra i giovani, che lei stessa ha iniziato a vivere dal 2010 in attesa di incontrare il vero amore per tutta la vita. “Perché la trasgressione più grande oggi è quella di andare controcorrente”, afferma.

A marzo di quest'anno, Ania ha sposato Michele, un ragazzo conosciuto a Medjugorje e aderente all’iniziativa “Cuori Puri”.

Nel libro Dalle tenebre alla luce (Sugarco), Ania racconta la storia e il significato dell'iniziativa che ha fondato, “un’esperienza in cui sperimento quotidianamente l’abbraccio di Gesù. Un’esperienza di amore autentico. Un’esperienza radicale, tanto quanto 'naturale' e ricca di gioia”.

Castità, riconosce Ania, “è una parola poco di moda, mai alla ribalta delle cronache, anzi viene spesso derisa. Sembra cosa antica, quasi dimenticata. Di certo non accattivante”. La castità, osserva, “certo è una sfida. Si tratta di un cammino che richiede sacrifici, ma è anche un’avventura straordinaria, ricca di frutti di cui tutti possiamo godere”.

Oggi "Cuori Puri" conta più di 9.000 ragazzi che hanno deciso di abbracciare la castità prematrimoniale o sono sulla strada per farlo. “Cuori Puri”, spiega Ania, “non è una comunità né un movimento, è un’iniziativa per i giovani e le coppie che decidono di rispettare Dio, scegliendo la castità, fino al matrimonio, per chi aspira a questo sacramento”.

L'obiettivo dell'iniziativa è dare voce al valore della castità e alla virtù della purezza. Ania è convinta che “la trasgressione più grande oggi sia quella di non concedersi”, perché “ormai il sesso è diventato un atto scontato”, mentre si tratta di “un atto bello e puro, quando è un atto d’amore”.

Promettere la castità, prosegue Ania, “non significa propriamente fare un voto, dato che fa parte già dei precetti della Chiesa. Insomma è 'compreso nel pacchetto' il fatto di non commettere atti impuri”. Allora perché promettere in modo pubblico? “Perché oggi – risponde – viviamo in un mondo che ogni giorno mina le nostre certezze e attacca la nostra fede. In un mondo in cui continuamente ci viene proposto uno stile di vita lontano dalla Chiesa. Una società in cui la maggior parte dei giovani cresce senza alcuna educazione cattolica e quando invece c’è, spesso non viene spiegata come una Grazia, come una cosa bella, come un dono, bensì è un’imposizione moralistica”.

In questo senso, essere un Cuore Puro “non significa soltanto astenersi dagli atti sessuali, bensì si tratta di un insieme di virtù, di doni e di impegni che ogni giorno mettiamo in atto per essere vicini a Dio”.

Nella presentazione di "Dalle Tenebre alla Luce", monsignor Giovanni d'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, ricorda che “se pur fra molto fango, la perla della purezza non è scomparsa in questa nostra epoca, ed anzi, in varie parti del mondo, sembra cominciare ad acquistare un non sperato successo per l’umile freschezza che l’accompagna. È come la riscoperta d’un prezioso tesoro”.

La purezza è l’indispensabile purificazione del cuore e della mente per vedere, conoscere e incontrare il volto di Dio.

di Roberta Sciamplicotti

30 settembre 2014

FONTE: Aleteia


Bellissima storia di Fede, di Conversione e di Amore, dopo il dramma della violenza, del sesso e della droga, circolo infernale nella quale Ania era finita ancora giovanissima. E dalle "ceneri" di questo passato turbolento, Ania ha saputo "rinascere" e valorizzare tutto il suo vissuto fondando questa bellissima iniziativa denominata "Cuori puri", nella quale Ania valorizza al massimo la meravigliosa Virtù della "castità", così bella eppure così poco considerata, per non dire bistrattata, nella società d'oggi.
Grazie Ania per ricordarci la bellezza di questa Virtù, così cara agli occhi di Dio, e grazie per il tuo esempio, per la tua testimonianza, per tutto quello che hai fatto di Bello finora e che certamente farai ancora in futuro. Grazie di tutto!

Marco 

domenica 19 febbraio 2017

Da tossicodipendente a frate francescano


Prima di sentire la chiamata di Dio e di entrare nell'Ordine dei Frati Minori, la sua vita è stata caratterizzata dal dolore

Daniele Maria Piras è un giovane francescano in formazione. Ha 32 anni ed è originario di Carbonia, in Sardegna. Prima di sentire la chiamata di Dio e di entrare nell’Ordine dei Frati Minori, la sua vita è stata caratterizzata dal dolore, da una profonda sofferenza e dalla mancanza di senso.

Fin da quando ero piccolo la mia famiglia, soprattutto per problemi economici, viveva grosse difficoltà relazionali, anzi tutto tra mamma e papà. Conclusa la scuola media, incominciai a lavorare con mio padre nella sua impresa edile; in quegli anni, per fuggire dalle fatiche familiari, iniziai a frequentare "cattive compagnie": per stare al passo con loro, iniziai a bere, a fare uso di droghe leggere e poi pesanti, anche per anestetizzare il dolore che portavo nel mio cuore”, ha raccontato Daniele in un’intervista alla rivista dei francescani "Porziuncola".

Il suo abuso di droga era tale che ad appena 16 anni era già tossicodipendente.

Per 7 anni non riuscii ad uscire da quella schiavitù: sapevo benissimo di sbagliare, però ero entrato in un circolo vizioso, non potevo più farne a meno; ero troppo debole e, anche se desideravo uscirne, mi ero reso conto che era troppo tardi e la mia volontà era debolissima. Andai al Sert, feci colloqui con psicologi e provai ad assumere farmaci per l’astinenza; ma i risultati furono scarsi”.

All’inizio Daniele nascose alla famiglia la sua situazione, ma quando questa peggiorò i suoi genitori si resero conto di quello che stava vivendo. Mia madre mi incoraggiò, mi stette vicino e mi amò così come ero.

Fu proprio attraverso la madre che la pace tornò in Daniele. “Lei, da giovane, dopo aver ricevuto i Sacramenti, si era allontanata dalla Chiesa, ma ora da diversi anni si era riavvicinata, proprio a causa della dolorosa relazione che stava vivendo con mio papà. Questa relazione era la sua croce: quella croce aveva un nome e un volto, mio papà Carlo, che si trovava in una situazione molto difficile dopo la perdita del lavoro”.

Il giovane francescano racconta che la madre ha trovato consolazione in un gruppo di amiche che recitavano il Rosario: “Maria la ricondusse al Figlio suo: nella preghiera, nella Parola e nei sacramenti mamma attinse la forza per stare in quella situazione di dolore, e decise di stare accanto a mio papà ed amarlo così come era (…) Questo permise a Colui che ha vinto la morte di portare la sua Salvezza nella nostra famiglia e fare nuove tutte le cose”.

Questa testimonianza di fede molto presto è servita da esempio alla sorella di Daniele, Chiara Redenta, che ha sentito la chiamata di Gesù ed è entrata nel monastero delle Clarisse nel 2005. “A quel punto, la mia esperienza di morte, ma soprattutto le testimonianze di mia mamma e mia sorella mi portarono a rientrare in me stesso e chiedere aiuto: incominciai ad invocare il Nome del Signore Gesù”, ha riferito il giovane.

La sua conversione è arrivata nel novembre 2006, quando la madre lo ha invitato a partecipare a un congresso in occasione della solennità di Cristo Re dell’Universo. “La Parola guida del convegno era un versetto del salmo 107,14: Li fece uscire dalle tenebre e dall’ombra di morte e spezzò le loro catene. Mi colpì la catechesi di un padre francescano, sembrava che io gli avessi raccontato la mia storia… rileggeva il mio vissuto… spiegava come il male, attraverso le attrattive del mondo, che presentano una felicità apparente, mira a distruggere il nostro corpo che è il tempio dello Spirito Santo, luogo abitato da Dio, luogo in cui noi possiamo fare esperienza di Lui”.

Daniele ha deciso di parlare con il sacerdote francescano. “Gli dissi: "Sono un tossicodipendente e ho toccato il fondo, non so più come uscirne, preghi Gesù per me". Il frate mi invitò a chiedere a Gesù di intervenire, mi benedisse e io tornai al mio posto. Quindi un sacerdote passò con Gesù Eucarestia in mezzo alla folla di 600 persone… Gesù mi passò accanto, poi tornò verso l’altare e io sentii dentro di me il desiderio di andare a toccarlo: andai (non avevo niente da perdere…), lo toccai e tornai al mio posto”.

Meno di due mesi dopo questa esperienza, il 29 settembre 2008, e dopo aver vissuto due convivenze con i Francescani ad Assisi, il giovane Daniele è entrato nel postulantato dei Frati Minori.

La sofferenza nella nostra famiglia si è rivelata pedagogica: accolta nella fede, ha preparato i nostri cuori ad accogliere il Mistero. (…) Solo Lui vi dice: Sono venuto perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza…”.


Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti

20 ottobre 2015

FONTE: Aleteia.org  




Capita molto spesso che le grandi conversioni avvengano dopo periodi di forte dolore, di sofferenza e di "vuoto" interiore. Ho appreso moltissime testimonianze in questo senso. La vita sembra non avere più alcun valore, non dona gusto, sembra essere senza senso...... e in questo stato si può facilmente cadere vittima dell'alcool, della droga o divenire frequentatori di cattive compagnie e di brutti "giri". Quando si vedono persone in questo stato, spesso si è tentati di starne alla larga perchè si pensa erroneamente che tali persone costituiscano la "feccia" della società e che possano portare solamente a tanti problemi. E invece, spesso, sono proprio queste persone che posseggono il "terreno migliore".... e nel "vuoto interiore" che essi provano (e che non di rado, sul momento, li può portare su cattivi sentieri) il Signore si fa sentire più potentemente che mai, proprio perchè trova un "terreno fertile", libero da quegli attaccamenti terreni e mondani che invece posseggono la maggior parte delle persone. E allora in queste persone, come nel caso di Daniele in questa bellissima storia, è come se entrasse un "uragano", è la scoperta di un qualcosa di nuovo che ti stravolge completamente la vita e ti fa riniziare tutto daccapo. Ed è l'inizio di una nuova vita, fondata questa volta sull'Amore e sulla Fede in Dio.
Tutto questo ci tengo bene a sottolinearlo perchè, come detto sopra, quando si vedono persone sbandate, sopratutto giovani, essere vittime di queste brutte cose, si viene tentati di starne alla larga..... ed invece bisognerebbe avvicinarli, abbracciarli e cercare di parlare loro di Dio, con semplicità e Amore, perchè il Signore può essere quella Luce che rischiara il loro cuore da ogni tenebra, perchè il Signore può rappresentare quella "Pienezza" che essi inconsciamente cercano (e sovente la cercano nei cosiddetti "paradisi artificiali") e a cui il loro cuore anela, ma che ancora non hanno conosciuto e trovato. Eh, quante, quante volte ciò che apparentemente sembra peggiore in realtà è migliore!!! Per questo Gesù ci ha insegnato a non giudicare mai (il giudizio dell'uomo può anche uccidere!), ma ad accogliere tutti con benevolenza e Amore. Poi il resto lo fa Lui, il nostro buon Gesù. E può essere veramente una nuova Rinascita!

Marco

giovedì 26 gennaio 2017

La forza rigenerante del perdono


Un matrimonio felice, poi l’abbandono improvviso del marito, l’attesa, il ritorno. Carla ha sperimentato “una resa incondizionata al Mistero che rifà nuove tutte le cose”

Dopo ventiquattro anni di matrimonio apparentemente sereno – racconta Carla Bonifati – l’unione con mio marito è arrivata a un drammatico capolinea. Dire di vederti il mondo crollarti addosso è poca cosa, quando il senso di appartenenza ti ha segnato in modo definitivo e pensi di aver dato tutto perché il tuo nucleo familiare fosse felice e quieto. E lentamente, nel dolore, cominci ad interrogarti: ma sei veramente tu che costruisci, sei veramente tu che custodisci?

Bambino dai capelli rossi

La storia di Carla e suo marito Pio Barletta sembra trovare inizio nel tempo lontano dei primi ricordi d’infanzia. “E’ impressa dentro di me l’immagine di un bambino dai capelli rossi che all’asilo mi aveva protetta da altri bambini. Ricordo che quando, dopo tanti anni, ho rivisto Pio a Castrovillari durante le vacanze estive, il pensiero è tornato a quel bambino buono che mi aveva difesa”. Pio durante l’adolescenza si trasferisce a Milano, ma torna a Castrovillari per le vacanze. E’ in questi mesi spensierati che inizia a conoscere Carla e a condividere con lei incontri e caritative con il gruppo di Comunione e Liberazione.Ci siamo legati sempre di più e quando è stato il momento di scegliere cosa fare all’università abbiamo deciso di andare entrambi a Roma. Volevamo far crescere il nostro rapporto stando finalmente vicini”.

Richiamo della terra

Carla si iscrive a Psicologia, Pio a Scienze politiche. “Lui voleva laurearsi ma allo stesso tempo sentiva che ci stava stretto in un lavoro che ignorasse la sua creatività e manualità. Così se ne è letteralmente inventato uno. Io nel frattempo mi sono laureata. Dopo solo due settimane ci siamo sposati e trasferiti in Calabria da me”. Pio sente forte il richiamo delle sue radici, di quella terra lasciata troppo presto e che non ha vissuto in profondità. “In un certo senso lui ha sconvolto la sua vita trasferendosi da Milano a Castrovillari, ma lo stesso è successo per me che avevo rifiutato una proposta di dottorato per stare con lui. Ero certa che la mia strada fosse un’altra, e insieme a Pio”.

Senza alcun dubbio

Il matrimonio è cercato da Carla e Pio con convinzione: “Non ci interessava cosa pensassero gli altri, noi ne eravamo certi. L’abbiamo voluto fino in fondo questo matrimonio. Non ci importava dell’aspetto economico, non ci importava dei soldi che non c’erano. Abbiamo organizzato tutto con semplicità e ci siamo affidati tanto anche alla fantasia, all’aiuto degli amici. I primi anni di matrimonio sono stati senza figli. E’ stato un grande dolore, un problema mio. Solo dopo otto anni è arrivato finalmente Giulio”.

Una vita in frantumi

Passano gli anni, la vita di Carla e Pio si cristallizza nella routine quotidiana, fatta anche di silenzi, distanze, incomprensioni. “Ho iniziato a dare tutto per scontato, come se tutto fosse ormai così e non potesse più cambiare. Era la nostra vita, cosa poteva succedere? Avevamo una storia di fede condivisa, amici, nostro figlio. E invece…”. E invece per Pio le cose cambiano interiormente, si fanno confuse, contrastanti, poi sempre più chiare. Una sera le dice che lui ha un’altra donna. E’ un mondo che va in frantumi. L’imprevedibile si fa largo in una storia che sembrava già a lieto fine. Carla non sa cosa fare: “Mi ero fatta scudo della dottrina, ma ho finito con il considerare l’altro al pari di un soprammobile, la cui esistenza scontata non mi richiamava più realmente al destino di felicità al quale entrambi eravamo stati chiamati. Era venuto meno il donarci l’un l’altro, ogni giorno.

La libertà è di chi ama

Pio va via di casa, cerca una nuova felicità altrove. Carla lotta con sentimenti che non le appartengono. E’ ferita, arrabbiata, si ammala.In mezzo a tanto male ho cominciato a dirigere il mio sguardo al cuore di Gesù, a chiedergli di perdonare il male, che per il nostro egoismo finiva con il coinvolgere anche nostro figlio, e a confermargli la certezza che avevo che Lui era presente. Non nascondo i sentimenti di rabbia, di frustrazione, di rifiuto attraverso cui sono passata, ma ogni volta una voce più grande mi ripeteva di non avere paura della libertà, anche se questa implicava soffrire, capire, perderlo e lasciarlo andare. Perché al fondo di questa libertà che Pio stava cercando con tutto sé stesso, anche se del tutto mondana, c’era sicuramente Cristo ad attenderlo, fonte della vera vita e della vera gioia”.

Anime gemelle

Non ho mai pensato che quell’uomo non fosse più mio marito, che non fosse degno del mio amore gratuito. Mi tornavano spesso in mente le parole di una lettera di Tolkien al figlio Michael: "Quasi tutti i matrimoni, anche quelli felici, sono errori: nel senso che quasi certamente (in un mondo migliore, o anche in questo, pur se imperfetto, ma con un po’ più di attenzione) entrambi i partner avrebbero potuto trovare compagni molto più adatti. Ma la vera anima gemella è quella che hai sposato. Di solito tu scegli ben poco: lo fanno la vita e le circostanze (benché, se c’è un Dio, queste non siano che i Suoi strumenti o la Sua manifestazione)". La mia anima gemella era davvero quella che avevo sposato e in qualche modo, Lui, ci avrebbe fatto rincontrare con i suoi strumenti”.

La grazia del perdono

Per Carla, dopo la lunga notte, inizia l’alba dell’anima. L’Amore di Dio le avvolge il cuore, si scopre cambiata davanti a Lui.Mi sono ritrovata a pregare per la sua felicità, appassionata al suo destino come il giorno in cui gli avevo detto sì davanti a Dio. E io avrei atteso. Mi dicevo "Tu puoi andare dove vuoi e io non ti trattengo, ma se vuoi tornare io sono qui, perché un Altro mi consente di comprendere veramente cosa sia una casa, un luogo: non una costruzione delle nostre mani, ma l’avvenimento di una Grazia, di una scelta da parte sua, di un privilegio di sguardo". Mai mi sono sentita così amata. E miracolosamente è accaduto che anche Pio abbia avuto il cuore toccato da questo fiume di Grazia e abbia riconosciuto l’errore, trovando la forza di chiedermi perdono e di tornare là dove la sua esperienza di uomo era realmente riconosciuta e compiuta”.

Rigenerati in Cristo

Abbiamo fatto festa. Il mio rancore è misteriosamente scomparso, lasciando il posto a una nuova accoglienza e a una nuova pagina della nostra storia. Dove il vero punto non è moltiplicare parole, ma camminare alla sua presenza”. Carla e Pio hanno difeso la loro famiglia senza arrendersi, cadendo e poi rialzandosi. Oggi vivono una nuova vita insieme, rigenerata da quel perdono reciproco che rende nuove tutte le cose. (m.l.r.)


Il racconto del marito Pio

Riassumere il mio cammino è davvero arduo”, racconta Pio. “Sicuramente è stato un percorso di ricerca della mia felicità riposta più nella superficialità, fidandomi di falsi sorrisi e false promesse, piuttosto che nella realtà che mi stava davanti. Dopo diverse difficoltà lavorative e le incomprensioni sistematiche con Carla, ho creduto che la felicità stesse nel bruciare le situazioni quotidiane senza progetto e senza futuro. Mi sembrava così… ma non ero contento. Con questa nuova donna non mi sentivo veramente accolto, si parlavano lingue diverse (non solo culturalmente), avevamo età differenti. La costante e sempre rispettosa vicinanza di Carla, attenta ai miei tempi anche se rigorosamente distante, mi ha dato la scossa del risveglio e ha fatto scaturire in me l’umile richiesta di perdono, perché come il figliol prodigo ho capito finalmente che la felicità non dovevo cercarla altrove, era già dentro di me, bastava solo riconoscerla. Ed era nella misericordia, nella riconoscenza, in uno sguardo diverso che trafigge la nostra stupida corsa e la qualifica, la colora, la rende desiderabile, rispettosa dei propri tempi”.

FONTE: A Sua Immagine N. 128
20 giugno 2015



In un blog come questo, che parla di Amore (quello Vero, fatto di autentica, genuina donazione di sé stessi), ho pensato che prima o poi dovessi postare qualcosa incentrato sul Perdono, di questa Altissima forma di Amore, tra le più belle, meravigliose e sublimi che esistano. E lo spunto di fare ciò me lo ha dato quella magnifica rivista che è “A Sua Immagine” (rivista collegata direttamente all’altrettanto splendido programma di Rai 1 che va in onda tutti i sabati pomeriggio e che consiglio a tutti di vedere).
Questa storia è veramente bella anche perché si intreccia con quella della propria Conversione personale. Al centro di tutto infatti c’è Lui, Dio, al quale sia Carla che Pio si sono affidati durante il periodo della propria momentanea separazione. Questo tempo ha permesso loro di capire i propri sbagli, di rinnovarsi interiormente e di acquisire quella forza e quella volontà per riavvicinarsi nuovamente e ricominciare tutto daccapo. Ricominciare sì, ma questa volta in un unione che non avesse solamente loro due come soli ed unici protagonisti, ma con la presenza di una terza Persona, Gesù Cristo, nostro Signore e Redentore, vero e proprio “collante” di ogni unione matrimoniale che si vuole fondare sui più veri e autentici Valori Cristiani. E così la storia matrimoniale di Carla e Pio è ricominciata, ma stavolta con uno slancio, una gioia e un Amore del tutto diversi rispetto al passato, quell’Amore che può venire solamente da Dio.


Marco

giovedì 18 febbraio 2016

La scelta di vita di Riccardo e Barbara: nozze in povertà e vita insieme a disposizione del prossimo


Di Riccardo Rossi avevo già parlato sulle pagine di questo blog (vedi http://tuttopuolamore.blogspot.it/2014/09/riccardo-ho-trovato-la-mia-oasi.html). Ex giornalista affermato, aveva in gestione uffici stampa di politici, istituzioni e associazioni molto note, e faceva anche servizi per la Rai. Aveva quindi una carriera giornalistica già ben consolidata e con tante prospettive anche per il futuro. Ma tutto questo a Riccardo non bastava, stava stretto, sentiva come un "vuoto" dentro di sè..... poi un giorno udì le parole di Papa Giovanni Paolo II che richiamava i giornalisti a non essere complici della cattiva informazione.... e fu la svolta, l'inizio della sua Conversione. Una Conversione che lo portò a divenire da ateo che era a Cristiano, e attraverso un esperienza missionaria in Kosovo, un pellegrinaggio in Terra Santa, a nuove e illuminanti conoscenze (che non avvengono mai per caso), finì per approdare alla Casa Famiglia "Oasi della Divina Provvidenza" di Pedara (Catania) che accoglie tutt'oggi una settantina di persone con varie difficoltà, tra poveri, disabili fisicamente o psichicamente, disoccupati, profughi, ex detenuti o con altri problemi ancora. Ha trovato la sua strada Riccardo, il suo percorso, e come dice lui stesso:
«Ho capito l’importanza delle piccole cose, di come sia più importante donare una mano ad un persona in difficoltà che fare un’interrogazione parlamentare o rilasciare mille interviste. Ora posso dirlo: la Solidarietà, la Bellezza della vita mi hanno indicato la via».
Per Riccardo Rossi è iniziata quindi una nuova vita rispetto a quella vuota e insoddisfacente di prima, una vita fatta di Solidarietà, di Carità, di Donazione di sè.... pur tra le piccole e grandi difficoltà di ogni giorno. E in questa nuova vita è arrivato anche l'Amore, quello di una donna di nome Barbara, architetto di 45 anni di Ragusa, che ha deciso di condividere con lui questa scelta di vita.
E così Riccardo e Barbara, il 12 Febbraio di quest'anno sono convolati a felicissime nozze, anche se il loro è stato un matrimonio diverso da quelli che di solito si celebrano tradizionalmente, fondato sulla semplicità e la povertà, in linea con il loro rinnovato stile di vita.
«Un sogno quando è condiviso è già a metà dell’opera. Io e la mia sposa Barbara vogliamo aiutare chi nella nostra società è lasciato indietro. Lei ha mollato lavoro e casa per seguirmi nella comunità dove vivo e opero. Abbiamo scelto di celebrare un matrimonio in povertà e di regalare la lista nozze alla casa famiglia dove abbiamo scelto di vivere e assistere la gente accolta», riassume Riccardo.
In tutto questo i due novelli sposi non sono stati lasciati soli..... il voler celebrare un matrimonio nella più assoluta semplicità rinunciando a ogni sfarzo e fronzolo inutile, ha colpito il cuore di molte persone, suscitando una vera ondata di solidarietà, con donazioni che sono arrivate da ogni parte d'Italia e persino dagli Stati Uniti e dal Brasile.
«Moltissime persone colpite dalla nostra scelta ci hanno regalato tutto per il nostro matrimonio: dalle fedi al coro, dai fiori al ricevimento, dal fotografo al mio vestito da sposo e all’acconciatura ai capelli della mia sposa. Un noto pasticciere del catanese ci farà la torta nuziale e una signora ci regalerà i confetti. La parrocchia “Maria immacolata” di Pedara ci ha praticamente adottato e dato la possibilità di andare a Roma per incontrare il Santo Padre». Succederà il prossimo 24 febbraio e sarà il loro viaggio di nozze.



Succede sempre così..... l'Amore genera sempre altro Amore, come in vortice senza fine in cui, chi in un modo chi in un altro, si finisce per essere attratti, coinvolti, assorbiti. Perchè l'essere umano, per sua natura, per sua somiglianza a Dio, ha bisogno di amare e di essere amato.

Ma quali sono i progetti futuri di Barbara e Riccardo?
«Il nostro sogno è che tramite il nostro matrimonio possiamo collaborare nel sostenere alcuni progetti dell’Associazione “Insieme Onlus”, che gestisce la casa famiglia Oasi della Divina Provvidenza, rivolti a categorie svantaggiate e dimenticate, come la coltivazione di zafferano biologico eseguito da soggetti con ritardo psichico medio-grave, un impianto di lumache per la raccolta di bava biologica eseguita da persone con lesione midollare, la coltivazione di spirulina eseguita da soggetti svantaggiati con provvedimento di affido».

In una società dove spesso l’apparire conta più dell’essere, la storia d’Amore e la scelta di vita di Riccardo e Barbara ci invita a pensare, a riflettere su quelle che sono veramente le priorità della vita. E a ciò che veramente dona Pace e Gioia nel cuore.
Da parte mia posso solamente dire: Grazie Riccardo e Barbara, grazie per la vostra scelta di vita, grazie per l'esempio che date! E tanti auguri per una vita Felice e feconda di tante bellissime opere!

Marco

sabato 6 settembre 2014

Riccardo: “Ho trovato la mia oasi”

Lo chiamavano mastino napoletano, per alcune inchieste che aveva fatto. Era tosto e non mollava facilmente la preda. All’epoca viveva sempre con l’affanno alla ricerca di scoop, al servizio di chi poteva offrirgli una vita sfavillante, soldi e, soprattutto, potere. Una carriera in ascesa. Sì, ma in cambio di cosa? “Scrivevo – racconta – menzogne, solo quello che piaceva a loro, ai potenti”.

Riccardo Rossi, 44 anni, napoletano, era un giornalista affermato. A lungo ha gestito gli uffici stampa di politici, istituzioni, associazioni molto note.

Ho seguito – spiega – i Verdi, il presidente della commissione agricoltura alla Camera dei deputati, un Ministero, ho fatto basi giornalistiche per servizi alla vita in Diretta alla Rai. Insomma, ero un giornalista in carriera e non avevo nemmeno 30 anni. Ad un certo punto tutto mi è diventato stretto, soffocante. Un giorno ero davanti alla televisione e sentii le parole di Giovanni Paolo II, che esortava noi giornalisti a non essere complici della cattiva informazione. Io di quel meccanismo facevo parte. Ero responsabile. Tante volte andavo alla ricerca di notizie vuote, inutili, ma ad effetto. Altre volte, al contrario, non davo notizie. E solo per compiacere qualcuno. Era raro che raccontassi storie autentiche”.

Nel 1999 iniziò quello che Riccardo chiama percorso di conversione.Ero ateo, diventai cristiano. Tante cose in me cominciarono a cambiare. La svolta avvenne quando andai in missione all’estero in Kosovo, in Romania e in pellegrinaggio in Terra Santa. Fu nel viaggio in Romania che conobbi Giuseppe, un ragazzo missionario, che aveva una casa famiglia in Sicilia e che proprio in quei giorni salvò la vita ad un bimbo di strada romeno. Quel gesto mi scosse - ne fui testimone – e tornai in Italia. Decisi che avrei dato una svolta alla mia via e alla mia professione. Cominciarono i problemi. Fui messo da parte senza tanti complimenti e denigrato. Nel contempo ebbi anche un grande dolore familiare. Mio fratello, che aveva problemi di droga, scappò da una comunità terapeutica, senza lasciare traccia. Seguirono momenti di grande dolore. Io, che lo avevo sostenuto, mettendo anche da parte la mia carriera, non sapevo che fine avesse fatto. E’ stato il momento più buio della mia vita. Cacciato dai posti in cui avevo lavorato e senza sapere niente di mio fratello. Caddi in una profonda depressione. Mollai il mondo tante volte vuoto e ipocrita della stampa. Avevo perso quasi tutto. Un giorno mi accorsi, però, che una luce, seppure flebile di speranza, era ancora accesa dentro di me”.

Dopo un periodo travagliato, Riccardo decise di trasferirsi in Sicilia, nella casa famiglia “Oasi della Divina Provvidenza” del ragazzo missionario catanese, conosciuto in Romania. “Piano piano mi ripresi – racconta commosso – Dopo poco arrivò una ragazza che si drogava. Me ne presi cura ed era come se fossi accanto a mio fratello”.

E oggi? “Ora sono le braccia e le gambe di alcuni disabili – dice – sono io che li vesto, li lavo. Ho tante altre incombenze. Siamo più di quaranta nella casa famiglia e stiamo aumentando. Faccio le file negli uffici pubblici, mi occupo dell’accoglienza, di servire a tavola, di aiutare chi non ce la fa nei lavori pesanti. Per sei anni non ho scritto. Il giornalista era morto. Poi, un’ intuizione del mio amico missionario”.
Riccardo ha ripreso a scrivere, ma cose diverse, storie di speranza e coraggio e si è impegnato a far nascere percorsi solidali. Ora ha due giornali di buone notizie, uno a Palermo “La Speranza” - solo cartaceo – il notiziario della Missione Speranza e Carità, che è arrivato ad oltre 15 mila copie e “La Gioia”, che è anche nel web

Successivamente sono stato notato dal direttore di Golem Informazione - aggiunge – su cui ho una rubrica di buone notizie, scrivo recensioni e articoli. La cosa meravigliosa è che questa idea cresce ogni giorno. Tante persone danno il loro contributo di gioia, di belle notizie e nascono reti di solidarietà. Ogni giorno trovo nuova forza e rinasco. Ogni buona notizia, che trovo e divulgo, è rigenerante. I tempi bui sono ormai lontani. Ho trovato la mia strada. Le mie disavventure passate e le mie fragilità ora sono la mia forza. Quando intervisto e vengo a contatto con storie difficili ho la grande capacità di capire il dolore che mi viene raccontato e nel contempo di gioire per ogni piccola vittoria. Ho capito l’importanza delle piccole cose, di come sia più importante donare una mano ad un persona in difficoltà che fare un’interrogazione parlamentare o rilasciare mille interviste. Ora posso dirlo: la solidarietà, la bellezza della vita mi hanno indicato la via. Posso consigliare a chiunque abbia un momento no nella vita di non abbattersi e se occorre, di farsi aiutare. Lanciatevi nel servizio, cercate i veri valori e magari tornerete a fare quello che facevate prima, ma con prospettive totalmente diverse. Io ora mi occupo della vita vera, scrivo di chi lascia la droga e rinasce, di chi è nato disabile e ama la vita.

Ogni giorno aiuto disabili, cambiando loro il pannolino. So che le cose che faccio ora valgono molto di più di mille atti parlamentari. Scrivo di chi ha valori grandi e aiuto chi veramente ha bisogno e non ha nessuno nella vita. Sento di far parte di un progetto d’amore e che i miei sforzi vanno in una direzione importante. Come diceva San Paolo: "Sono forte nelle mie fragilità, la mia forza è questa". Non è stato un percorso semplice, ho sofferto molto, e ancora oggi capitano momenti difficili. Ma ho Aster (in foto), che soffre terribilmente, ma ha sempre una parola buona per tutti. E il sorriso di Nino (in foto), che imbocco e aiuto a vestirsi.

Anche i miei, che agli inizi non riuscivano a capire la mia scelta, ora sono dalla mia parte. E questo mi rende ancora più forte
”.

di Cinzia Ficco

3 maggio 2013

FONTE: http://www.magazine.tipitosti.it/articolo/la-storia-di-riccardo-rissi-giornalista/Giornalisti


Che storia meravigliosa questa di Riccardo Rossi, come meravigliosa è questa intervista che riporto integralmente sulle pagine di questo blog. Dicevo.... una storia meravigliosa, fatta di cambiamento, di conversione, di rinascita, fino a cambiare totalmente modo e stile di vita.
Riccardo con la sua storia ci insegna che anche in fondo al tunnel più buio c'è sempre una fiammella di speranza, ci insegna che non è mai troppo tardi per cambiare strada, per stravolgere anche completamente il proprio modo di pensare e di essere, ci insegna ancora che la vera Gioia è nel donarsi completamente agli altri e a Dio.  Certo, tutto questo non è facile, non accade dall'oggi al domani, bisogna superare ostacoli e difficoltà.... ma è possibile e la storia di Riccardo lo dimostra.
Riccardo è anche un valente giornalista, di buone notizie adesso, e credo che non mancherò di riportare qualche suo bell'articolo sulle pagine di questo blog..... per adesso però mi sento solamente di dire: Grazie Riccardo e auguri per tutto, per una vita sempre più gioiosa e ricolma di splendidi frutti !

Marco