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martedì 26 settembre 2023

Fratel Biagio e Padre Pio


Fratel Biagio Conte ci racconta qual'è il suo rapporto con Padre Pio e come lo ha conosciuto.

Fratel Biagio: “ Il momento in cui ho conosciuto Padre Pio, ve lo devo dire, non l'ho conosciuto direttamente, ma in cammino.
Quando me ne andai via di casa, che ho lasciato tutto, nel 1990 a 26 anni.... Palermo al mare davanti e dietro le montagne. Da quelle montagne ho vissuto un periodo di eremitaggio all'interno della Sicilia, quasi un anno isolato da questo mondo che mi aveva ferito, deluso, la società, egoistica e indifferente.
A piedi poi... il buon Dio mi accompagna fino ad Assisi da San Francesco. Perché prima inseguivo le cose del mondo... ero fan dei giocatori, cantanti, attori... ero nella moda. Ma da quel momento la mia vita ha un cambiamento... seguo invece... divento fan di Gesù, di Maria, di San Giuseppe, di tutti i Santi e le Sante di Dio.
Padre Pio lo incontro grazie a un frate cappuccino nella zona della Campania. Mentre mi avviavo per Assisi a piedi, incontro un frate che veniva dall'Africa, da una missione dell'Africa. Lui mi parla di Padre Pio e mi da un immaginetta di Padre Pio. Io ne avevo sentito parlare ma mai avevo avuto un diretto.... e lui mi disse: “Tieni questa preghiera di Padre Pio”. E da allora Padre Pio mi accompagna, mi ha accompagnato ad Assisi ed il ritorno. Poi qui, io non volevo più tornare a Palermo, in Italia.... volevo andare in Africa, in India. Ma il buon Dio mi ha detto: “L'Africa è qua, qui c'è tanto da fare. Volevi aiutare, ecco datti da fare!”.
Qui inizia la missione e Padre Pio mi accompagna da allora, anche con i francescani, i cappuccini. Inizia un primo incontro con i cappuccini qui a Palermo, alle catacombe, in quanto loro facevano già un servizio di carità, e andavo a portare i fratelli, che ancora non avevo la struttura, li portavo lì a fare la doccia. Mi davano la biancheria, il mangiare.
Allora ecco che nasce un incontro, un legame. Allora Padre Pio è presente, è qui con noi. E oggi tanti gruppi, come oggi in particolare, siete venuti a dare conforto, sostegno, a noi che operiamo in questa comunità. Con un impegno enorme, delicato, che il Signore ci ha inviato ad alleviare la sofferenza dei più deboli, degli ultimi, dei senzatetto ”.


Fonte: You Tube


martedì 20 dicembre 2022

Addio a Sinisa Mihajlovic, campione nello sport e nella vita, con tanta Fede e un rapporto “speciale” con Medjugorje

Venerdì 16 dicembre 2022 ci ha lasciati Sinisa Mihajlovic, indimenticabile campione di calcio e allenatore, vincitore di due Coppe dei Campioni con la Stella Rossa di Belgrado all'inizio degli anni novanta e poi militante in diverse squadre italiane come la Roma, la Sampdoria, la Lazio e l'Inter. Giocatore dal carattere forte e indomabile, ma leale e carismatico, si ricordano in particolar modo i suoi famosi calci di punizione, dalle traiettorie spesso imparabili per i portieri avversari.
Notevole anche la sua carriera come tecnico, in cui ha allenato squadre come Bologna, Sampdoria, Fiorentina Milan e Torino.

La Malattia, la sua Fede e il legame forte con Medjugorje

Nel 2019 Sinisa scopre di essere affetto da leucemia mieloide acuta, malattia terribile con la quale lotterà fino alla fine, e causa del suo decesso avvenuto pochi giorni fa all'età di 53 anni.

Per chi lo ha conosciuto ci sono solamente parole buone per Sinisa, vero e proprio campione dello sport ma anche nella vita, e persona dalla vera e genuina Fede.
Da sempre credente, lui amava definirsi metà ortodosso e metà cattolico, e viveva la propria Fede, a detta di sua figlia Viktorija, in maniera discreta e riservata.
Indimenticabile, per lui, è stato un pellegrinaggio fatto a Medjugorje nel 2008, che lo ha profondamente toccato e cambiato. Come lui stesso ha raccontato al giornale Tuttosport: «In quel posto mi è successa una cosa che non mi era mai accaduta, non avevo mai provato. Quando sono arrivato là mi sono sentito di colpo come un bambino. Mi sono seduto su una panchina e sarei potuto stare così all’infinito, stavo benissimo. È stato il momento più bello della mia vita, ero beato! In quella circostanza ho pianto tre o quattro volte ma non so dire perché. Su quella panchina è come se mi fossi ripulito, come se avessi tolto una pietra dal cuore. Da lì ho iniziato a pregare. Solo che commettevo uno sbaglio, pregavo solo quando avevo bisogno, un po’ come tutti. Sono andato un po’ in conflitto, a volte Dio mi aiutava a volte no. Poi ho capito che bisogna pregare sempre, da prima della malattia prego due volte al giorno. Ma non bisogna dire “voglio, voglio…”, ma “grazie, grazie…”».

La figlia Viktorija rivela che c'era l'intenzione di tornare a Medjugorje tutti insieme con la propria famiglia, ma purtroppo, a causa della pandemia, questo pellegrinaggio non si è potuto attuare.

Belle e profonde anche le parole di Chiara Amirante, fondatrice della Comunità Nuovi Orizzonti, e di don Davide Banzato, giovane sacerdote della stessa Comunità, che lo ricordano con molto affetto. A questo proposito Chiara Amirante, sui social dove è presente, ricorda di lui: «Al suo primo viaggio a Medjugorje era venuto a trovarci nella comunità Nuovi Orizzonti incontrando e ascoltando le storie dei ragazzi usciti da diversi inferni. C'era anche Mirijana presente (una dei sei veggenti di Medjugorje) che ha fatto la sua testimonianza personale e abbiamo vissuto un momento intimo molto intenso di condivisione, dove avevo potuto raccontare la storia della comunità, e ricordo le sue lacrime di commozione e un abbraccio unico, di uomo davvero fuori dal comune, a pochi anni da una guerra tremenda nell'ex Jugoslavia. Sinisa Mihajlovic non aveva nascosto le sue lacrime da guerriero con un cuore immenso, dicendo parole, per chi ha vissuto quel momento, straordinarie quanto la sua anima, sigillate da un abbraccio autentico e spontaneo che a noi potrebbe sembrare semplice, ma che invece è stato potente per i ragazzi presenti».

Importante, per la sua vita di uomo e di Cristiano, è stato anche un incontro avvenuto con Papa Francesco durato ben tre ore. Sinisa ricorda il Papa come un «uomo saggio, gentilissimo e anche simpatico con la battuta pronta».

Uomo profondamente buono e sempre disponibile, la scomparsa di Sinisa lascia un grande vuoto dietro di sé, soprattutto nella propria famiglia, ma da persona di Fede non dubitiamo affatto che il buon Dio lo accoglierà tra le Sue Braccia e gli riserverà un posto meraviglioso nel Suo Beatissimo Regno.

Ciao caro Sinisa, fai tanto del Bene da Lassù e intercedi per tutti quanti noi, pellegrini su questa terra. Sii eternamente Felice!


Marco

lunedì 24 gennaio 2022

Suor Maria Irene, per oltre quarant'anni a fianco di suor Lucia, la veggente di Fatima

Lei si chiama suor Maria Irene ed ha vissuto per oltre quarant'anni a fianco di suor Lucia, una dei tre veggenti delle Apparizioni di Fatima, l'unica dei tre sopravvissuta alla "spagnola" del 1918 e poi "nata al Cielo" il 13 febbraio 2005 all'età di 98 anni.
Vivere per tanto tempo a fianco della veggente è stata un esperienza straordinaria per suor Maria Irene, religiosa carmelitana, ed è spesso motivo di tante domande per i numerosi pellegrini che, di anno in anno, varcano la soglia del convento di Coimbra, in Portogallo, che è stata la casa dove suor Lucia è vissuta per 57 anni. Cinquantasette lunghi anni vissuti da suor Lucia nel silenzio e nella preghiera, ma anche nella Gioia di una Vocazione a cui lei ha risposto senza riserve e in assoluta pienezza. Suor Lucia ci «scherzava sopra» a proposito della sua lunga vita, ricorda col sorriso sulle labbra suor Maria Irene, rimarcando quindi il carattere ilare e gioioso della veggente. Del resto la Madonna stessa le aveva detto a Fatima: «Giacinta e Francesco li porto in Cielo fra poco, ma tu resterai qui ancora per qualche tempo. Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere ed amare». Parole che si sono immancabilmente avverate, anche se forse nemmeno lei avrebbe pensato che quel “qualche tempo”, in realtà sarebbe stato un tempo così lungo, lungo almeno per i nostri "parametri" terreni.

«Suor Lucia era sempre allegra e ben disposta», racconta suor Maria Irene, «e quando ci lamentavamo perché eravamo un po' stanche per il continuo via vai di pellegrini che desideravano incontrarla, lei ci incoraggiava: “Voi passate ora quello che ha passato la mia famiglia subito dopo le Apparizioni, quando eravamo sottoposti alle domande dei curiosi e anche veri e propri interrogatori delle autorità”» (cit. rivista "Maria con Te" N. 1 13 maggio 2018).
Effettivamente la vita dei 3 pastorelli di Fatima all'inizio non fu affatto facile anche a causa di questo clima di grande sospetto nei loro confronti, da parte delle autorità civili.

Oggi nel Carmelo di Coimbra, dove vige la clausura, vivono 18 consorelle, tuttavia le monache, a turno, possono accogliere i tanti pellegrini che arrivano, nella chiesa conventuale. I pellegrini che arrivano sono molti, ma dopo la morte di suor Lucia sono aumentati ancor di più, come la stessa suor Lucia aveva predetto alle consorelle.
A poca distanza dalla chiesa, per venire incontro ai tanti pellegrini desiderosi di amare Gesù e la Madonna, ma anche di conoscere qualche cosa di più della veggente di Fatima, hanno allestito un piccolo museo-memoriale dove sono conservati gli oggetti personali di suor Lucia, sue fotografie e parte della sua vastissima corrispondenza. Suor Maria Irene, infatti, ricorda che tantissima gente scriveva a suor Lucia, da ogni parte del mondo, e lei, con grande attenzione e cura, rispondeva personalmente con una macchina da scrivere. Era un apostolato per corrispondenza molto prezioso questo, e suor Lucia archiviava con grande cura tutto: missive e santini, conservando persino i francobolli. Quando suor Lucia è morta sono state raccolte qualcosa come 60 valige piene di corrispondenza!
Tutte queste lettere sono state vagliate poi, con grande attenzione, quando Papa Benedetto XVI ha aperto la causa di Beatificazione di suor Lucia, un lavoro certamente enorme, ma necessario. Attualmente, suor Lucia, è "Serva di Dio".

Suor Lucia è stata una vera e propria "Mistica" e molte persone pensano erroneamente che i suoi rapporti con il Divino si siano esauriti con gli avvenimenti di Fatima. Ma non era così..... lei ha continuato anche dopo ad avere esperienze mistiche. La stessa suor Maria Irene ricorda queste cose. Infatti, alle volte, suor Lucia arrivava in ritardo agli appuntamenti comunitari del monastero, ma questo avveniva proprio perché si tratteneva in "dialogo" con la Madonna. E questo dialogo non poteva certamente interrompersi.


Marco

Fonte fotografia: Rivista "Maria con Te" N. 1 del 13 maggio 2018

venerdì 12 novembre 2021

La semplice e genuina devozione di Alberto Sordi per la Madonna

Alberto Sordi è stato senza ombra di dubbio uno degli attori più popolari ed amati del nostro cinema italiano. Maestro ed ispirazione per tanti attori, era istrionico ed effervescente sul palco, ma nella vita privata, assicura chi l'ha conosciuto da vicino, era molto diverso, assai più tranquillo e rigoroso. Ed era anche molto devoto alla SS. Vergine, aspetto questo che forse non in molti conoscono.

Alberto Sordi, nato a Trastevere il 15 giugno del 1920, ha abitato vicino alla basilica di Santa Maria in Trastevere negli anni della sua giovinezza, chiesa che è stata, in un certo senso, il primo palcoscenico” del piccolo Alberto, ovvero il primo luogo in cui il futuro attore si è approcciato al pubblico per la prima volta nella sua vita quando lui, da bambino, faceva il chierichetto. E lo faceva talvolta in maniera un po' troppo “plateale”, agitando l'incensiere e cantando a voce alta, tanto da meritarsi, in qualche occasione, una “tiratina d'orecchie” da parte del parroco del tempo.
In questo ambiente molto semplice e pieno di calore, Albero ha maturato una devozione Mariana che non l'ha mai più abbandonato, anche perché l'attore si è sempre considerato un “miracolato” proprio per mano dalla Vergine SS. . Negli anni della sua infanzia, infatti, Alberto è rimasto vittima di un grave incidente stradale: mentre stava giocando con le sorelle attraversò improvvisamente la strada non accorgendosi che nel frattempo stava sopraggiungendo un'auto (allora ancora abbastanza rare) a velocità sostenuta. L'auto per poco non lo investì in pieno, ma il piccolo Alberto evitò l'impatto per un nonnulla. Immediatamente sul luogo accorse la mamma Maria che prese suo figlio in braccio e subito si diresse verso la vicina basilica per portare il suo “piccolo” dinanzi alla statua della Vergine Immacolata, ringraziandola devotamente per lo scampato pericolo.
Questo è uno di quegli episodi che ti “segna” la vita per sempre, e da allora Alberto è sempre stato un uomo molto religioso e molto devoto alla Santa Madre di Dio!

Carlo Verdone, anche lui grande attore italiano, romano verace come Alberto di cui era molto amico e con cui ha anche lavorato insieme in due film, racconta di lui: «In pubblico Alberto Sordi sprizzava allegria, gioia, si divertiva, azzardava. Ma non appena tornava a casa, cambiava, diventava un uomo normale, molto rigoroso. Sbaglia chi crede che gli attori comici siano comici anche nel privato. Gli ambienti della casa di Sordi erano molto austeri. Se ti guardavi intorno non vedevi, a parte una foto di Soraya sulla scrivania, foto di attori e gente del cinema. La persona più fotografata era un Papa, Giovanni Paolo II. Wojtyla è presente in ogni angolo della casa. Sordi teneva una sua foto anche nella barberia, dove ogni mattina si faceva tagliare la barba. Alberto aveva una ammirazione e una devozione straordinaria per questo Papa ed era davvero un uomo molto religioso. Un’altra figura sempre presente a casa Sordi è quella della Vergine, con statuine, ceramiche e dipinti di varie epoche» (cit. “Maria con te”).

Una statua dell'Immacolata è presente anche nel giardino della sua villa di via Druso, voluta fortemente da Alberto e verso la quale lui si rivolgeva ogni giorno lanciandole un fiore e pregando devotamente. Questo semplice ma bellissimo gesto quotidiano non è stato dimenticato neppure quando, il 24 febbraio 2003, la vita di Alberto arriva al suo termine. Il giorno successivo, prima di essere portato alla camera ardente allestita in Campidoglio, il feretro di Sordi é stato fatto sostare per qualche minuto dinanzi alla statua della Madonna tanto amata. Un gesto questo che Alberto avrebbe certamente voluto e che si è attuato per preciso volere della sorella. Un modo molto toccante per “chiudere” in bellezza la vita dell'attore romano, con la “carezza” della Vergine SS. che è sempre stata presente in ogni giorno della sua vita.


Marco

venerdì 15 ottobre 2021

Suor Angelica Ballan, artista per diffondere il messaggio di Cristo all'uomo

A fare una statua ci vuole un artista,

a fare un santo ci vuole un artista.

Tu sei l’artista di te stesso

Don Giacomo Alberione (1884-1971)


Per poter comprendere il personaggio di oggi, basta guardarlo diritto negli occhi e si riesce ad intravedere quell’oceano di pace e serenità, tipici di chi è naturalmente riuscito a raggiungere la propria felicità, senza perdere nulla di se stessi. Il suo sorriso e la sua umiltà fanno poi il resto e costituiscono l’immagine tipica di chi è riuscito a mettere a servizio del prossimo un dono di Dio, un proprio ”talento”, nel senso evangelico del termine.

PRIMA DI OGNI COSA, PARLACI DI TE!
Sono Suor Angelica BALLAN delle Pie discepole del Divin Maestro, una delle congregazioni Paoline fondate da Don Giacomo Alberione, dedita a far conoscere, amare e adorare l’Eucarestia attraverso varie forme, una delle quali anche l’arte e, nello specifico, la scultura che per me è la mia principale forma di espressione.

COME NASCE LA TUA VOCAZIONE E COME RIESCI A CONIUGARLA CON QUESTA TUA PARTICOLARE PASSIONE?
Sono entrata in Congregazione molto giovane per soddisfare la mia personale vocazione di glorificare il Signore, aiutando i fratelli e compiendo la missione che mi sarebbe stata assegnata. Sin da bambina, tuttavia, ho sempre avvertito una particolare sensibilità per la bellezza e per la scultura. Durante la ricreazione mi chiudevo in una stanza e realizzavo le mie prime opere: volevo rappresentare l’anima in contemplazione di Dio. Preso atto di questa mia particolare versatilità, ho fatto presente alla madre Superiore di poter impiegare il mio tempo ricreativo per esprimere quanto sentivo attraverso la creazione di opere artistiche. In quel periodo, a dire il vero, non pensavo nemmeno di essere capace di poter realizzare un’opera d’arte, tuttavia avevo il bisogno interiore di concretizzare il mio sentimento, la mia poesia in una scultura. Volevo dar vita e rendere tangibile ciò che io custodivo nell’animo. Io lo facevo di nascosto in un locale lontano dagli sguardi delle mie sorelle: non volevo essere esibizionista ed ho anche rischiato a farmi avanti con la Superiora; avevo paura che mi mandasse via avendo chiesto un qualcosa che esulava dalla normalità del sentire comune delle mie consorelle.
Dovete capire che chiedere qualcosa di diverso, a quel tempo, poteva essere interpretato come incapacità di condividere e vivere in Comunità. La madre Superiore, invece, si è rivelata “madre” e mi ha risposto con un sorriso, invitandomi ad uscire dal mio nascondiglio segreto e spostare la mia passione in un luogo più ampio. Oggi, ringraziando Dio, la scultura, unitamente alla Preghiera, è la mia forma di apostolato e la mia principale ispirazione e fondamento di vita. Il mio servizio all’interno dell’Ordine oggi è proprio questo e testimonio, ovunque venga chiamata, la bellezza ed il messaggio salvifico del Vangelo.
Come richiesto dal nostro fondatore, la mia non è un’arte solo decorativa e fine a se stessa, in quanto questa è una prerogativa di tutti, ma è il mio sale con cui io cerco di dare un senso alla mia vita ed alla vita degli altri. Senza questo sale non avremmo alcuna ragione di esistere.

IN CHE MODO L’ABILITÀ MANUALE PUÒ DIVENIRE MEZZO EVANGELICO?
Ho già detto che la mia arte non è fine a se stessa, perché altrimenti non potrebbe adempiere al proprio fine: la mia missione di diffondere attraverso di essa il messaggio di Cristo. Io dico sempre che non si può esprimere ciò che non si possiede e per tale motivo la mia ispirazione parte proprio dal bisogno dell’uomo e dalla mia necessità di diffondere il Vangelo all’uomo di oggi. Parto, quindi, sempre da ciò che l’uomo di oggi potrebbe percepire dalla mia opera per avvicinarsi a Cristo.
Una volta sono stata chiamata a Philadephia per una mostra liturgica in occasione di un congresso eucaristico internazionale ed un giornalista, soffermandosi dinanzi alla statua di una mia Madonna, mi ha chiesto chi fosse. Alla mia risposta che era la madre di Gesù, costui mi riferì che aveva fotografato tante Madonne, ma che nessuna come quella che aveva dinanzi gli aveva fatto pensare alla Madonna. Mi basterebbe che anche un solo uomo possa convertirsi o pensare a Dio guardando le mie creazioni. Quello è il mio sale ed è ciò che mi spinge a vivere questo mio carisma come la mia missione su questa terra.

COSA PROVI QUANDO TERMINI UNA TUA CREAZIONE?
La prima sensazione è la coscienza delle sue imperfezioni: c’è sempre qualcosa da migliorare. Una volta, terminata una Madonna, mi sono accorta che vista frontalmente era perfetta ed incarnava il mio ideale e l’armonia delle forme. Purtroppo di fianco non aveva la stessa resa e mi sembrava meno armonica. Alla fine, tenuto conto che comunque la sua funzione principale l’avrebbe resa frontalmente, in quanto è in tale posizione che noi siamo soliti guardare a Maria, anche in funzione del suo posizionamento in una Chiesa, ho comunque dovuto lasciare il passo e ritenerla conclusa: il bello ha fatto un passo indietro rispetto alla sua funzione sacra. L’artista ha lasciato il passo alla religiosa. Comunque non c’è mai il senso della perfezione e della completezza.

TI CHIEDI MAI COSA PROVANO GLI ALTRI AD AMMIRARE UNA TUA OPERA?
Ogni volta che sto per terminare un’opera, la faccio visionare a più persone di diversa estrazione sociale e grado culturale, non solo alle mie sorelle. Le mia creazioni, infatti, nella maggior parte dei casi vengono inserite nelle Chiese, che vengono praticate da chiunque. È molto importante per me sapere e capire il punto di vista di terzi: la mia arte, che comunque parte da me, deve essere capace di mediare tra le varie istanze e di non tradire né l’ispirazione, né la funzione evangelizzatrice, né il senso artistico. Molto spesso le mie opere più importanti, come i portali, vengono anche vagliati dalla Commissione di Liturgia Arte Sacra. A prescindere dall’aspetto formale, quindi, ogni mia opera non può prescindere dal preliminare contatto umano con l’uomo, anche il più semplice.

DAI UN MESSAGGIO DI SPERANZA AI GIOVANI
L’arte e l’uso delle mani, unite alla ricerca del bello e del buono, sono il sale non solo della mia vita ed ogni giovane può intraprendere questa strada che sicuramente è una via sicura di bellezza disvelatrice del proprio animo. Ogni persona cerca la bellezza, specialmente voi giovani. Noi siamo portati naturalmente alla bellezza, il problema è saperla cercare e trovare, specialmente al giorno d’oggi ove siamo proiettati in una direzione totalmente opposta. Se si coltiva il bello, non si corre il rischio di poter incappare negli antri bui e negli inciampi della vita. La bellezza, anche involontariamente, ci conduce naturalmente a Dio. Lo dice anche una poesia ed è sentire comune… non solo il mio, ovvero di una religiosa.
Un’ultima cosa: SBAGLIARE È UMANO MA È DIVINO SAPERSI RISOLLEVARE. Forza e Coraggio… anzi “Buona Strada”.

Ho visto con i miei occhi le creazioni di Suor Angelica e sono di gran lunga più belle di quello che voglia farci credere. Sono veramente il suo legame con il Padre ed al di la’ della loro bellezza esprimono il significato di una vita vissuta alla ricerca di Dio e della sua perfezione, nella consapevolezza, tuttavia, della nostra umana finitudine. È veramente un “personaggione”… e se volete potrete incontrala qui a Roma ove le Pie discepole del Divin Maestro” – congregazione Paolina fondata da Don Giacomo Alberione – effettuano delle bellissime esperienze di manualità, di servizio e di spiritualità.


di Muflone Inarrestabile

a cura di Michele Zoncu

1 settembre 2017

sabato 16 gennaio 2021

Lino Banfi: “Prego la Madonna di poter morire insieme a mia moglie”

Una vita intera vissuta assieme e, ora che la malattia ha colpito uno dei due, c’è il desiderio di andare in Cielo insieme. La preghiera di Lino Banfi.
“Prego la Madonna di poter morire insieme a mia moglie”. Una frase che fa commuovere, ma che allo stesso tempo, racconta il calvario di Lino Banfi.


Lino Banfi: “La mia devozione a Maria”

Più di 50 anni di vita passati insieme, mai un tradimento, mai una discussione. Ma ora la malattia c’ha messo il suo zampino. Lino Banfi si racconta e, in particolare, sceglie di spiegare perché la sua devozione alla Madonna è così forte e radicata.

Appena ti svegli, prima di tutto devi pregare e ringraziare la Madonna. Perché parlare proprio con la Madonna? Perché lei parla col Padreterno” – spiega l’attore. La sua fede particolare inizia all’età di 5 anni, quando suo nonno Giuseppe comincia a parlargli di Gesù e di Maria. Il pregare prima di andare a scuola ma, soprattutto, pregare come prima cosa da fare ogni giorno. Lei mi ha guarito quando avevo il tifo”.

Ma c’è stato un episodio particolare grazie al quale Lino Banfi ha capito che Maria aveva steso la mano sulla sua testa: “A dieci anni stavo morendo, avevo il tifo e la malaria […] Il medico veniva a visitarmi tutti i giorni e mi faceva delle iniezioni. Non mangiavo più, ero magrissimo, pieno di croste. Quando la malattia si aggravò, giacevo nel letto e non riuscivo più a parlare. All’improvviso, una mattina mi svegliai e chiesi a mia madre la gazzosa. Nella notte, le croste erano cadute”.

Un miracolo? Assolutamente sì: “Mia madre mi raccontò che quella notte avevo sognato una donna con un bambino in braccio ed ero guarito […] Penso fosse la Madonna di Canosa” – continua.

Lino Banfi: “Il mio incontro con Papa Francesco”

La fede, la preghiera, il suo sentirsi "il nonno d’Italia", ma anche un attaccamento particolare a Papa Francesco: “Quando ho incontrato Papa Francesco, gli ho fatto notare che abbiamo la stessa età. E, presentandomi come il nonno d’Italia, lui candidamente, in spagnolo, mi ha risposto: “Lei è il nonno del mondo” – ha raccontato, con gioia, l’attore pugliese. “Oggi prego Maria per mia moglie. Le chiedo di farci morire insieme

Oggi, la preghiera a Maria di Lino Banfi è per sua moglie, malata di Alzheimer: “In questo periodo le chiedo di aiutarmi con mia moglie Lucia […] Nessuno ti dice quello che devi fare con le persone care che non stanno bene. Alla Vergine imploro: “Se tu e Gesù mi amate, fatemelo sentire” […]
Ditemi la verità: quanti anni di vita mi date ancora? Se possibile, cercate di far morire insieme mia moglie e me perché l’uno senza l’altro non riusciremmo a stare” – conclude.

Un amore indissolubile, quasi come se fossero nati per stare sempre l’uno accanto all’altro. Ed ora, davanti alla sofferenza, Lino prega sì, ma chiede soprattutto di non staccarsi mai da sua moglie, neanche in punto di morte.


di Rosalia Gigliano

8 gennaio 2012

FONTE: la luce di Maria

venerdì 2 ottobre 2020

Carlo Acutis verrà beatificato il 10 ottobre: chi era


Indicato dal Papa come modello di santità giovanile, è sepolto ad Assisi. Il vescovo: "Una gioia anche per i giovani, che trovano in lui un modello di vita". È stato proposto come patrono di internet

La diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino è in festa per la notizia della beatificazione del venerabile Carlo Acutis che avverrà ad Assisi sabato 10 ottobre, alle 16, nella basilica papale di San Francesco. “La gioia che da tempo stiamo aspettando ha finalmente una data – afferma il vescovo Domenico Sorrentino –. Parliamo della beatificazione del venerabile Carlo Acutis. La presiederà il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi. È bello che la notizia arrivi mentre ci prepariamo alla festa del Corpo e del Sangue del Signore. Il giovane Carlo si distinse per il suo amore per l’Eucaristia, che definiva la sua autostrada per il Cielo”. “La notizia – aggiunge il presule – costituisce un raggio di luce in questo periodo in cui nel nostro Paese stiamo faticosamente uscendo da una pesante situazione sanitaria, sociale e lavorativa. In questi mesi abbiamo affrontato la solitudine e il distanziamento sperimentando l’aspetto più positivo di internet, una tecnologia comunicativa per la quale Carlo aveva uno speciale talento, al punto che Papa Francesco, nella sua lettera Christus vivit rivolta a tutti i giovani del mondo, lo ha presentato come modello di santità giovanile nell’era digitale”.

Lo scorso 22 febbraio, ricevendo il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Papa Francesco aveva autorizzato il Dicastero a promulgare tra gli altri, il decreto riguardante il miracolo, attribuito alla intercessione del ragazzo morto a 15 anni per una leucemia fulminante.

Il corpo del venerabile Carlo è sepolto al Santuario della Spogliazione di Assisi.
Una gioia grande per questa Chiesa particolare - aveva scritto già allora la diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino - , che lo ha visto camminare sulle orme di San Francesco verso la santità. Una gioia grande per la Chiesa ambrosiana, che gli ha dato i natali e lo ha accompagnato nel suo incontro con Gesù. Una gioia grande per gli ormai tanti devoti di Carlo in tutto il mondo. Una gioia grande soprattutto per i giovani, che trovano in lui un modello di vita.

Noti alcuni i suoi "slogan": “Non io ma Dio”,
Tutti nasciamo originali, molti moriamo fotocopie”. “L’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo”. Al Santuario della Spogliazione - conferma la diocesi - Carlo sta già attirando migliaia di giovani e devoti da tutto il mondo. Mi auguro - conclude monsignor Domenico Sorrentino - che la sua beatificazione possa farne ancor più un punto di riferimento e un incoraggiamento alla santità. Essa è vocazione per tutti. Anche per i giovani.

Acutis è uno dei giovani indicati da Papa Francesco come modelli nella Christus vivit, insieme a tre italiani (san Domenico Savio e i beati Piergiorgio Frassati e Chiara Badano) e altre figure, europee ed extraeuropee. In virtù della sua buona frequentazione della Rete è stato proposto come patrono di Internet.

Carlo Acutis: chi era (di Andrea Galli)

Carlo Acutis è morto il 12 ottobre 2006 a Monza; aveva 15 anni ed è spirato a causa di una leucemia fulminante. Una tragedia, umanamente parlando. Una fine assurda per la repentinità e per la parabola che si veniva ad interrompere, così in ascesa, così ricca di prospettive.

Rampollo di una famiglia di primo piano del mondo finanziario italiano, adolescente prestante, dal carattere vivace e particolarmente socievole, Acutis era un ragazzo che, come si suol dire, avrebbe potuto fare di tutto nella vita. Ma Dio aveva su di lui un piano diverso.

La sua fama di santità è esplosa a livello mondiale, in modo misterioso – spiegava qualche tempo fa monsignor Ennio Apeciti, responsabile dell’Ufficio delle cause dei santi dell’arcidiocesi di Milano - come se Qualcuno, con la "Q" maiuscola, volesse farlo conoscere. Attorno alla sua vita è successo qualcosa di grande, di fronte a cui mi inchino.

Carlo, nato a Londra nel 1991, dove i genitori si trovavano per motivi di lavoro, fu segnato da una pietà profonda quanto precoce. Fece la Prima Comunione, con un permesso speciale, a sette anni. Fu un adolescente da Messa e Rosario quotidiani. Maturò un amore vivo per i santi, per l’Eucaristia, fino ad allestire una mostra sui miracoli eucaristici che oggi è rimasta online e ha avuto un successo inaspettato, anche all’estero.

Sportivo e appassionato di computer, come tanti coetanei, brillava per la virtù della purezza. Padre Roberto Gazzaniga, gesuita, incaricato della pastorale dell’Istituto Leone XIII, storica scuola della Compagnia di Gesù a Milano, ha ricordato così l’eccezionale normalità di Acutis, arrivato lì, a liceo classico, nell’anno scolastico 2005-2006:
L’essere presente e far sentire l’altro presente è stata una nota che mi ha presto colpito di lui. Allo stesso tempo eracosì bravo, così dotato da essere riconosciuto tale da tutti, ma senza suscitare invidie, gelosie, risentimenti. La bontà e l’autenticità della persona di Carlo hanno vinto rispetto ai giochi di rivalsa tendenti ad abbassare il profilo di coloro che sono dotati di spiccate qualità.

Carlo inoltre
non ha mai celato la sua scelta di fede e anche in colloqui e incontri-scontri verbali con i compagni di classe si è posto rispettoso delle posizioni altrui, ma senza rinunciare alla chiarezza di dire e testimoniare i principi ispiratori della sua vita cristiana. Il suo era il flusso di un’interiorità cristallina e festante che univa l’Amore a Dio e alle persone in una scorrevolezza gioiosa e vera. Lo si poteva additare e dire: ecco un giovane e un cristiano felice e autentico.

Grazie al suo esempio e al suo carisma anche il domestico di casa Acutis, un induista di casta sacerdotale bramina, decise di chiedere il battesimo. In ospedale, posto di fronte alla morte, nella tenerezza dei suoi 15 anni, Carlo disse:
Offro tutte le sofferenze che dovrò patire al Signore, per il Papa e per la Chiesa, per non fare il purgatorio e andare dritto in Paradiso. Scrisse un giorno questa frase: Tutti nasciamo come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie. Non fu il suo caso.


15 giugno 2020

FONTE: Avvenire

martedì 21 luglio 2020

Don Francesco Cristofaro, la disabilità come forza


«Posso affermare che il bullismo esisteva già 37 anni fa. “Mamma, perchè cammina così?” Era questa la frase che da piccolino mi rendeva più triste. Quante volte l'ho sentita dalla bocca di bimbi che vedendomi camminare si rivolgevano alle loro mamme per chiedere, capire, scoprire, e poi mi guardavano e sghignazzavano o tante volte mi prendevano in giro tra di loro. E mi mettevo davanti allo specchio per vedermi camminare. Provavo un senso di disagio. Un bimbo bellissimo nel volto, nelle guance paffutelle, negli occhi scuri e nei capelli riccioli ma brutto nelle gambe, storte fragili, che spesso non si reggevano in piedi. E mi sentivo sempre più diverso da loro. E mi facevano sentire diverso da loro quando mi dicevano: “Tu non puoi venire con noi perchè poi cadi e ti fai male...”. Tutto questo mi faceva piangere e soffrire e pregavo, pregavo tanto per guarire. La Madonnina però non mi ascoltava e i santi erano sordi con me. Pensavo di essere cattivo e di non meritare nulla, perchè come può un bambino non essere ascoltato?»
Così racconta oggi don Francesco Cristofaro, nato il 10 novembre del 1979 settimino con una paresi spastica alle gambe. Ci sono voluti anni per comprendere cosa in concreto significasse quella parola. Solo una cosa Francesco aveva capito, e cioè che fino ai primi tre anni di vita non camminava. Ed era sempre tra le braccia della mamma o del papà, della nonna materna o di qualche zia.
«Ricordo le mie lacrime nascoste» racconta. «Ricordo le lacrime e la sofferenza dei miei genitori. Non si sono mai risparmiati in nulla per non farmi mancare niente. Ma, in mezzo a tanto girovagare, nulla di nuovo, nulla di più. Il problema c'era, il problema rimaneva, come per tanti anni rimase in me il desiderio e la preghiera per una vita normale, come tutti gli altri bambini che in una giornata di sole qualunque uscivano di casa per una partita a pallone o un giro in bicicletta. La prima volta che salii su una bicicletta per fare un semplicissimo giro, persi l'equilibrio e caddi facendomi una lunga strada tutta in discesa. Roba, per dirla in termini televisivi moderni, da Paperissima, e a queste scene ero abituato».

Francesco desiderava una vita senza pietismo, senza sentirsi dire: «Poverino!».
«Desideravo che non ci fossero differenze e questo mio desiderio è stato forte per tanto tempo».
All'età di diciott'anni, Francesco decise di fare un passo importante, un intervento chirurgico alle gambe per allungare i tendini di Achille.
Fu in quel momento che Francesco decise, sentendo la fede, di entrare in seminario.
Guarire era impossibile: nonostante la rieducazione lunga e faticosa nulla accadde di miracoloso, almeno dal punto di vista fisico.
Al contrario crebbe in Francesco la consapevolezza che al Signore serviva così, e i grandi sforzi del padre, umile carpentiere, della madre, casalinga, e di tutta la famiglia servirono ad alimentare la Fede.
Così Francesco diventa don Francesco Cristofaro, incontra il Movimento Apostolico che gli fa scoprire un Vangelo nuovo dove non si sente più invalido ma «valido», oltre che strumento di bene, di vita.
Don Francesco vede tutto in modo differente: «C'è un “altro”, Gesù, che sempre stravolge il modo di fare del mondo. Lui mi ha fatto sentire presente in questo mondo. Non più periferia, non più scarto, ma centro del mondo, bene prezioso. So che tanti, anzi troppi vivono ciò che io ho vissuto, il mio stesso “dramma”. Ci sono, purtroppo, luoghi nel mondo o nel cuore dell'uomo dove il disabile non è persona, non è uomo. E' un numero, un oggetto “posato” lì che non serve a niente e a nessuno, è un morto vivente, allora, in casi estremi senti anche parlare di eutanasia, come se si facesse un favore alla persona per non farla soffrire. Non posso, non possiamo e non dobbiamo lasciar passare questo messaggio contro l'uomo, contro la persona, contro la bellezza e la dignità umana, creata a immagine e secondo la somiglianza di Dio. E leggete un po' in che modo Gesù mi è venuto incontro nel mio cammino. La mia famiglia non frequentava la Chiesa, i Sacramenti. Io mi sono avvicinato alla parrocchia per il catechismo in preparazione alla Prima Comunione e da quel momento non ho più abbandonato la Chiesa. Il più delle volte, il percorso da casa mia alla chiesa lo facevo a piedi, quasi due chilometri, perchè forse i miei non avevano tempo per accompagnarmi. Vengo attratto dalla bellezza delle parole di Gesù nel Vangelo. In parrocchia incontro la realtà del Movimento Apostolico, che fin dal 1979 opera per il ricordo e l'annuncio del Vangelo al mondo che lo ha dimenticato o non lo conosce affatto. Le parole di Gesù, goccia dopo goccia, seme dopo seme, caddero nel mio cuore come olio profumato e balsamo di guarigione e la mia vita iniziò a cambiare, cambiando pensieri, parole, azioni. Il male dell'uomo è sempre accovacciato nei suoi pensieri. E' questa l'opera di seduzione del maligno, governare, possedere i pensieri dell'uomo. Io, infatti, mi ero rinchiuso nella fortezza dei miei pensieri, ero fermo al vangelo mio personale, quello del vittimismo, del piangermi addosso, del “non servo a nessuno”. Non è così! Gesù, pian piano, è entrato sempre di più nel mio cuore fino a invaderlo, fino a non lasciare più posto per la tristezza ma solo per la gioia, per un amore grande per la vita e anche i pensieri, a poco a poco, hanno preso un'altra forma, pensieri di gioia, di letizia, di lebertà, di amore, di perdono e misericordia».
E da quel momento don Francesco non chiede più la guarigione fisica, non sogna più la notte di alzarsi e camminare come tutti gli altri; chiede invece di amare la vita e sorridere, sorridere sempre e oggi sorridendo racconta a tutti: «La vita è straordinariamente bella. Non importa chi tu sei e come sei; importa cosa puoi diventare e cosa puoi fare. Ho dato la mia bocca a Gesù perchè possa continuare a parlare, consolare, confortare, correggere. Ho dato le mie mani a Gesù perchè possa continuare a tenderle verso l'uomo per afferrarlo e salvarlo».
Una testimonianza straordinaria che così si conclude: «Oggi sono un sacerdote felice e sereno, certo con successi e fallimenti, con virtù e purtroppo con vizi, ma pieno di vitalità ed energia, che lotta e si impegna per annunciare il Vangelo, parroco attualmente di una parrocchia di periferia, con solo quattrocento anime, pochissimi bambini e tanti anziani. Non ci facciamo mancare nulla, però. Abbiamo le attività di catechesi per bambini e adulti, le attività di oratorio, i musical, le visite agli anziani e ammalati, la Caritas parrocchiale. Allo stesso tempo, mi sento parroco del mondo. Infatti, mi piace utilizzare al meglio tutti i mezzi di comunicazione moderni. Ogni giorno ricevo diverse centinaia di richieste di preghiere o di consigli spirituali sui vari social. Vado in giro per le case di riposo e lì dove ci sono i disabili per portare l'abbraccio tenero e amorevole del Signore. Non posso fermarmi. Sono stato fermo per tanto tempo. Ora io devo andare lì dove c'è bisogno di fede, di speranza, di amore, di un sorriso. Ho dato i miei piedi a Gesù per andare, e lì dove non posso camminare, Lui mi mette le ali e io volo. Ho dato il mio cuore a Gesù e ora vedo ogni cosa e ogni fratello, dall'alto della croce. Oggi benedico la mia disabilità perchè la mia debolezza è diventata la forza più grande».


di Giovanni Terzi

FONTE: Libro "Eroi quotidiani"

lunedì 20 gennaio 2020

Morire con un sorriso, seminando Santità anche in ospedale


Padre affettivo di giovani disabili, instancabile promotore delle cappelle dell’adorazione perpetua nella sua città, ha lasciato un segno incancellabile nelle persone che lo hanno conosciuto e ha gettato semi di Conversione fino all’ultimo respiro

Leandro Loredo è morto com’è vissuto: avvicinando le anime a Dio. 45 anni, professore di Biologia in varie scuole e promotore dell’Hogar Granja Esperanza, che nella città argentina di La Plata offre rifugio a giovani e adulti con disabilità mentali che non hanno possibilità di sostentamento, era anche un attivo promotore dell’adorazione perpetua nella sua città.

Malato di leucemia, è entrato nell’Hospital Interzonal General José de San Martín il 5 novembre scorso. In 44 giorni il suo corpo ha perso quello che guadagnava il suo spirito, e nonostante la debolezza ha saputo avvicinare molte anime a Dio.

Per accompagnarlo e pregare per lui, le comunità parrocchiali in cui promuoveva l’adorazione eucaristica perpetua hanno iniziato ad assistere alla Messa nella cappella dell’ospedale alle 6.00. Da anni alla Messa non partecipava nessuno. La cappella ha preso vita mentre Leandro si spegneva. Ma non è tutto.

Molti messaggi audio circolano tra i suoi amici su Whatsapp e riflettono la serenità con cui ha affrontato i suoi ultimi giorni e la forza che trovava nella preghiera. “Sono protetto dalla medaglietta di Maria, che mi accompagna sempre. La Fede muove le montagne. Noi abbiamo la medicina migliore. Si compia la Sua Divina Volontà”, ha detto a una sua amica che ha condiviso il messaggio con Aleteia.

Leandro ha trascorso il suo ricovero pregando e meditando sul “cammino di preparazione per terminare nelle mani di Dio, ora o più avanti, o quando sia”. “È un cammino di preparazione. L’ho sempre chiesto al Signore”, diceva. La preghiera gli dava forza e coraggio, perché “Dio sa, Dio sa tutto”. “L’importante è essere all’altezza delle circostanze e abbandonarmi al Suo Amore, su questo non ho dubbi. E se Lui mi chiama, correre tra le Sue braccia”, ha riferito a un’altra amica.

Profondamente mariano, intonava canti che gli ricordavano il suo pellegrinaggio alla Virgen del Cerro a Salta, devozione che ha caratterizzato la sua vita. Allegro e trasparente, si mostrava felice con i suoi amici, godendosi ogni cosa, ogni giorno, e offrendo la sua sofferenza senza lamentarsi.

Anche questo ha grande valore. Per le anime, per la conversione. In pace, che è ciò che conta. Si compia la Volontà di Dio, che è la cosa migliore che mi può accadere. Magari tutti lo capissero, perché a volte la gente non lo comprende (…), ma voi e io sappiamo che il Paradiso esiste, e prima o poi ci incontreremo lì. Non c’è altra opzione. Bisogna perseverare fino alla fine”, diceva a un’amica.

Scuoteva la testa di fronte a tante persone che vivono alla leggera il fatto di essere cattoliche, ha riferito un’altra persona a lui vicina. “Noi cattolici spesso non viviamo Dio; separiamo le cose, andare a Messa, agire, vivere in comunità come pensava lui. Tendiamo molto a separare le varie cose. Non abbiamo la presenza continua di Dio nella nostra vita. Leandro ce l’aveva. Per questo era tanto amato in tante comunità”. E non apparteneva a nessuna comunità in particolare, perché “vedeva ogni persona come una comunità, e dovevano essere uniti”. La fraternità, il fatto di vivere come una famiglia, come fratelli, al di là del legame di sangue, era uno dei temi che sottolineava maggiormente negli ultimi giorni.


di Esteban Pittaro

8 gennaio 2020

FONTE: Aleteia

venerdì 6 dicembre 2019

«E' Tua Madre che li fa entrare»

«Un giorno nostro Signore, facendo un giro in Paradiso, vide certe facce equivoche e ne chiese spiegazione a San Pietro: “Come mai sono riuscite a entrare qua dentro? Mi pare che tu non sorvegli bene la porta”. Pietro, tutto mortificato, rispose: “Signore, io non ci posso fare niente”. E Gesù: “Come non ci puoi fare niente? La chiave ce l'hai tu. Fa' il tuo dovere, sta' più attento”.»

«Dopo qualche giorno, il Signore fa un altro giro e vede altri individui dalla faccia poco raccomandabile. “Pietro, ho visto certe altre facce, si vede che tu non controlli bene l'entrata”. E Pietro: “Signore, io non ci posso fare niente e non ci puoi fare niente neanche Tu”. E il Signore: “Neanche Io? Oh, questa è grossa!”. “Sì, neanche Tu” ribatté Pietro: “Tua Madre ha un'altra chiave. E' Tua Madre che li fa entrare”.»




Questa storiella veniva raccontata spesso da Padre Pio, tanto che qualcuno la attribuisce proprio al Santo di Pietrelcina. Ma che sia sua o di qualcun altro ha poca importanza: è bella, semplice, e nella sua schiettezza popolare mette chiaramente in risalto la grande Misericordia della Santa Madre di Dio nei confronti di noi uomini, figli Suoi, compresi i “meno raccomandabili” e peccatori.
Questo è l'immenso Amore della Madonna verso tutti quanti noi!

Marco

mercoledì 24 luglio 2019

Natuzza Evolo, altro che pazza, mia sorella sarà presto santa


Parla il fratello della mistica

«Sono orgoglioso che Papa Francesco abbia deciso di aprire il processo di beatificazione per mia sorella», dice Antonio Evolo. «Fin da bambina lei aveva visioni mistiche». «A dieci anni le erano comparse le stimmate, ma padre Gemelli disse che era una nevrotica da manicomio»

Paravati (Vibo Valentia), marzo
«Sono orgoglioso che Papa Francesco abbia deciso di aprire il processo di beatificazione di mia sorella Natuzza. Questa notizia mi riempie il cuore di gioia. Ma per me e la nostra famiglia lei è sempre stata una Santa, sin da quando era bambina, anche quando dicevano che era una strega».
Chi parla è Antonio Evolo, ottantacinque anni, fratello dell'umile mamma calabrese famosa in tutta l'Italia per le sue virtù prodigiose, sopratutto per le sue doti di veggente, per le apparizioni mistiche e per le stimmate che segnavano il suo corpo. Il 6 aprile prossimo, a quasi dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta il primo novembre 2009, nella basilica-cattedrale di Mileto, in provincia di Vibo Valentia, si terrà la funzione religiosa con la quale la Congregazione delle cause dei Santi aprirà ufficialmente la causa di beatificazione di Fortunata Evolo, così fu battezzata quando nacque il 23 agosto 1924 a Paravati, frazione di Mileto, per essere subito soprannominata Natuzza.
Da quel momento Natuzza avrà il titolo di “serva di Dio”. Se la causa si concluderà in modo positivo, provando l'eroicità delle sue virtù cristiane, Natuzza sarà proclamata Venerabile, primo passo perché possa essere dichiarata, dopo ulteriori processi, Beata e, infine, Santa.
«Quando eravamo piccoli e giocavamo assieme», ricorda Antonio Evolo «all'improvviso lei aveva visioni mistiche meravigliose. “C'è un bambino bellissimo che sta giocando con te” mi diceva. “Ha i capelli lunghi e mossi: è Gesù”. Oppure affermava di vedere le persone defunte e, se capiva che avevo paura, mi abbracciava con grande affetto e tenerezza. Ricordo anche le stimmate, le ferite sanguinanti che le erano comparse quando aveva dieci anni e che la facevano soffrire proprio come Cristo».
Tutto quello che per la famiglia Evolo era la normalità cominciò a essere visto con sospetto dalla Chiesa quando le visioni mistiche di Natuzza divennero di dominio pubblico. Accadde nel 1938, quando Natuzza aveva quattordici anni e faceva la domestica. «La Madonna mi ha detto che il 26 luglio farò una morte apparente», disse alla signora presso cui lavorava. Accadde proprio così: quel giorno Natuzza cadde in un sonno inspiegabile, lungo sette ore, e al risveglio disse: «E' il giorno più bello della mia vita. Sono andata in Paradiso e Gesù mi ha chiesto di portargli le anime e di amare e di compatire. Sì, di amare e di soffrire».
«Nel 1940, mentre riceveva il sacramento della Cresima, mia sorella sentì un brivido dietro la schiena e sulla sua camicia si formò una croce di sangue. La Chiesa volle indagare questi strani fenomeni per capire se si trattasse di una Santa o di una mistificatrice», ricorda Antonio Evolo. Furono chiamati a consulto medici e alti prelati; il vescovo di Mileto, Paolo Albera, inviò una relazione all'autorevole padre Agostino Gemelli, medico, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze e rettore dell'Università Cattolica. «Natuzza Evolo è soltanto una nevrotica isterica. Va curata in manicomio», decretò. La ragazza, che aveva appena diciassette anni, nel 1941 fu convinta a curarsi e fu rinchiusa per due mesi nell'ospedale psichiatrico di Reggio Calabria.
«Quando uscì, cercò di ricominciare una vita normale. Si sposò con Pasquale Nicolace, ebbe cinque figli, ma lei continuò ad avere visioni mistiche, colloqui con i defunti e le stimmate», racconta Antonio Evolo. «Sopratutto nella Settimana Santa il suo misticismo raggiungeva il culmine. Nei giorni che precedevano la Pasqua, Natuzza riviveva sul proprio corpo la Passione del Signore. Cadeva in uno stato di estasi e, in quei giorni, inspiegabilmente, le stimmate si trasformavano a contatto con le bende in figure che potevano rappresentare ostie, corone di spine, cuori, ma anche scritte in inglese, latino o aramaico». Ben presto la sua casa si affollò di devoti che cercavano in “Mamma Natuzza”, così cominciarono a chiamarla, conforto alla loro disperazione, che volevano parlare con i loro cari defunti, che speravano di avere da lei diagnosi mediche favorevoli.
«Mia sorella riceveva anche ducento persone al giorno, ma sapeva conciliare le sue virtù di veggente con la famiglia», dice suo fratello Antonio. «Io andavo ad aiutarla per qualche piccola commissione e le coltivavo l'orto che aveva dietro casa. Ricordo che un giorno, tra le tante persone in attesa, c'era anche un bambino sordomuto accompagnato dalla sua mamma. Entrò da solo, mia sorella lo baciò e gli disse: “Quando esci da qui salutami tanto la tua mamma”. Il piccolo uscì e, tra lo stupore e la commozione di tutti i presenti, disse, come se avesse sempre parlato e ascoltato: “Mamma, ti saluta tanto la signora Natuzza”. Andai a domandarle spiegazioni di questa guarigione miracolosa ma mia sorella con grande umiltà mi disse: “Non sono stata io, è stato il mio angelo custode”. La risposta non mi stupì, perché diceva sempre che era il suo angelo custode a suggerirle le risposte anche in lingua straniera e con una terminologia medica e scientifica che una persona come lei, priva di istruzione e quasi analfabeta, non avrebbe saputo usare».
Ma, a un certo punto della sua vita, Natuzza Evolo capì che la sua casa non era più degna di ricevere non soltanto le migliaia di persone che affollavano il paese nella speranza di vederla e di affidarle sofferenze, speranze e turbamenti, ma anche la Madonna e i santi che diceva di incontrare nelle sue visioni. «Quando ho visto la Madonna, Gesù e san Giovanni tutti insieme, dissi loro: “Come posso ricevervi in questa brutta casa?”. La Madonna mi disse: “Non ti preoccupare, anche nella casa brutta possiamo venire. Ma ci sarà una nuova casa che si chiamerà Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime. Ci sarà anche una grande chiesa. Ti farò sapere quando sarà il momento”».
Il momento arrivò nel 1987 quando, con l'assenso della Chiesa, che aveva cominciato a rivalutare Natuzza Evolo, e con le offerte dei devoti, cominciò la costruzione della Fondazione Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime, con la chiesa, il centro anziani e la casa di cura.
Qui Natuzza Evolo mancò il primo novembre 2009, a ottantacinque anni, per un blocco renale. Trentamila persone vennero a salutarla per l'ultima volta durante il funerale, celebrato da cinque vescovi e centoventi sacerdoti. La sua scomparsa fu accompagnata dal suono a lutto delle campane del paese, le stesse che, all'annuncio dell'apertura del processo di beatificazione, pochi giorni fa, hanno suonato lungamente a festa e hanno accompagnato le parole del vescovo Luigi Renzo: «La fama di santità di Natuzza Evolo è viva e aumenta sempre più. Le sue virtù, il suo sconfinato amore per il Cuore di Gesù e di Maria, l'accettazione della sofferenza eroica sul modello del Crocifisso, la sua fede incrollabile e il profondo senso di obbedienza alla Chiesa ne sono la chiara testimonianza».

Di Roberta Pasero

FONTE: Di Più N. 9
11 marzo 2019


Splendido articolo che sono felicissimo di aver inserito tra le pagine di questo blog, in quanto parla di una delle figure più belle del XX Secolo, la mistica calabrese Natuzza Evolo.
E' questa una figura che io amo moltissimo, per cui non posso essere altro che immensamente felice che la Chiesa ne abbia aperto il processo di Beatificazione. E se tutto andrà come credo, non passerà molto tempo che quest'anima luminosa verrà proclamata Beata, e poi, me lo auguro di cuore, anche Santa. Personalmente non nutro nessun dubbio sulla Santità di Natuzza Evolo, un anima che ha consacrato totalmente la sua vita a Cristo, al prossimo e alla propria famiglia, un anima ricolma di Doni e Carismi straordinari eppure incredibilmente umile, semplice, povera e obbediente. Se la si conosce a fondo, si può solamente voler bene a Natuzza Evolo, un esempio meraviglioso e luminosissimo per tutti!

Marco

mercoledì 22 maggio 2019

L'Inviolata Giubilante in Cielo

Il mese di maggio, lo sappaimo, è il mese "Mariano" per antonomasia, e per questa ragione mi sento come "spinto" a dedicare almeno un post sulle pagine di questo blog, alla nostra Madre Santissima del Cielo e della terra.
Per fare questo ho scelto nientemeno che le parole che Gesù ha donato all'umanità intera attraverso il suo "strumento" prediletto Maria Valtorta, depositaria di tante Parole di Vita di nostro Signore. E nei diari di Maria Valtorta sono numerosissime le Parole di Gesù che descrivono la Celeste Madre Sua e nostra..... e sono sempre parole sublimi, meravigliose, bellissime! Parole di vita che rendono tanta Gloria alla nostra Madre Santissima e che ci spingono a volerla sempre più conoscere e Amare.



Dice Gesù:

«L'Inviolata giubilante in Cielo, l'Arca chiusa in cui nulla e nessuno poté metter mano perché là dove è entrato Dio non è lecito entri uomo, o ciò che è annesso all'uomo colpevole in Adamo, tu l'hai vista. Per Lei la fine della vita fu Vita gloriosa e immediata, perché chi aveva portato il Vivente non poteva conoscere morte, e chi non fu profanata da umanità non poteva conoscere profanazione di sepolcro. Ma la grande Regina, che rapisce nella gioia dell'estasi gli angeli, ti dà un altro insegnamento.
"Il principe stesso si metterà a sedere davanti ad essa per mangiare il suo pane davanti al Signore", è detto2.
Nessuno, per grande che sia, può venire nel mio cospetto se non riconosce in Maria, Porta chiusa da cui solo Dio è entrato, la Madre del Salvatore, la Madre-Vergine, la Madre divina.
Io l'ho accumunata alla mia sorte di Vivente in Cielo per dirvi quale sia la sua gloria. Unicamente inferiore a Dio Ella è, perché da Lui creata. Ma la sua maternità e il suo dolore di Corredentrice la fanno eccelsa su ogni creatura. Porta di Dio, da Essa sgorga fede, speranza, carità; da Essa temperanza, giustizia, fortezza, prudenza; da Essa Grazia e grazie; da Essa salute, da Essa vi viene il Dio fatto Carne.
O Madre mia! Per il Pontefice e per l'ultimo dei credenti sei tu la santa Pisside in cui l'Eucarestia attende di essere data a chi crede. Tutte le grazie passano attraverso il tuo Corpo inviolato, attraverso il tuo Cuore immacolato. E misteri e verità, e sacramenti e doni, vengono conosciuti con vera sapienza e gustati con conoscenza e frutto solo da quelli che sanno chiederli a te, davanti a te. Tu schermo fra il Sole e le anime e fra le anime e Dio, per cui la Divinità può esser contemplata dall'uomo e l'umanità esser presentata al Perfetto. Tu, Madre che hai dato Dio all'uomo e dai l'uomo a Dio, istruendolo col tuo sorriso e col tuo amore.
Mio piccolo Giovanni, vieni sempre a Me passando per Maria. È il segreto dei santi. E la Porta chiusa, che non si aprì né s'aprirà mai per violenza umana, la Porta santa per cui solo Dio può passare, si apre al tocco di amore di un figlio di Dio. Si apre benigna. Quanto più umile e semplice è quello spirito che a Lei si volge, e tanto più Ella si apre e vi accoglie. Vi accoglie per insegnarvi la Sapienza e l'Amore tenendovi fra le sue braccia di Madre».



FONTE: Maria Valtorta, I Quaderni del 1944

2 agosto 1944

venerdì 13 luglio 2018

Le lacrime di Padre Pio


Quando pensiamo o parliamo di Padre Pio, spesso rimaniamo affascinati dai tanti Doni e Carismi straordinari di cui il Signore lo aveva così generosamente dotato, nonché dagli aspetti più “mirabolanti” della sua vita, così ricca di episodi significativi a stretto contatto col soprannaturale. Viene quasi spontaneo legare la figura del Santo di Pietrelcina a questa cose, mentre spesso tendiamo a mettere in secondo piano altri aspetti più “ordinari” della sua vita, perché “solleticano” meno il nostro interesse. Ma la Santità di uomo non si vede solamente dagli eventi straordinari della propria esistenza, ma anche, e forse ancor di più, da quegli aspetti della vita che rientrano nell'ordinarietà, vissuti però con Amore straordinario. E in questo contesto vorrei mettere in evidenza un aspetto peculiare della vita di Padre Pio: quello delle lacrime!
Padre Pio ha sempre avuto il Dono delle “lacrime”, ovvero quello di piangere spesso.... ma non per frivoli o superficiali sentimentalismi, ma bensì per Amore, Amore vero nei confronti delle anime che spesso, spessissimo gli laceravano il cuore con i loro peccati, con il loro cattivo comportamento, con la loro lontananza o indifferenza nei confronti del Signore. E per questi peccati Padre Pio piangeva molto, soprattutto durante la notte, nelle sue lunghe, intense e spesso dolorose notti passate nella propria celletta del convento di San Giovanni Rotondo, quasi sempre senza dormire. Ma il Santo di Pietrelcina piangeva anche per altri motivi, aveva tante ragioni per farlo, ma sempre a motivo del suo grande, sconfinato Amore per Gesù e la Madonna. A questo proposito c'è un aneddoto molto significativo che ho appreso attraverso l'emittente televisiva Padre Pio TV e raccontato da quel bravissimo frate cappuccino che risponde al nome di Frate Marciano Morra. Questo aneddoto riguarda il Santo di Pietrelcina nel suo periodo di noviziato, e penso sia una bella cosa farlo conoscere.
Durante questo periodo, il giovane Francesco Forgione (non aveva ancora assunto, naturalmente, il nome di Padre Pio) assieme ai suoi giovani confratelli, passava tutti i giorni un certo periodo di tempo meditando la Passione e Morte di nostro Signore Gesù Cristo, così come prevedeva la regola di allora. Al termine di questo tempo di meditazione ogni aspirante frate, a turno, doveva riassettare la stanza dove si erano riuniti insieme, sistemando i banchi, spazzando per terra e così via. Uno dei compagni di noviziato del futuro Santo, ci ha lasciato a questo proposito una preziosa testimonianza. Lui, come ciascun altro novizio, al termine di questa meditazione, poteva perfettamente capire in quale posto si era seduto Padre Pio, perché dovunque lui si mettesse rimaneva sempre una piccola “pozzanghera” di acqua sul pavimento. Ma donde veniva quest'acqua? Veniva dagli occhi del futuro Santo, occhi che piangevano lacrime di Amore e di Dolore nel meditare la Passione di Gesù, una meditazione che non lasciava certamente indifferente il giovane Francesco il quale non riusciva mai, mai a trattenere le lacrime.... era più forte di lui! Queste lacrime erano la prova più tangibile del suo vero, grandissimo Amore per Gesù, un Amore profondo, vissuto, partecipato.... così partecipato che, di lì a poco, lo avrebbe persino rivissuto nella propria carne! La Santità del resto è proprio questo: non si è Santi perché si hanno Doni o Carismi straordinari.... questi semmai vengono donati dallo Spirito Santo come conseguenza di questa Santità. Ma la Santità consiste nell'amare, nell'amare intensamente, fortemente, anche dolorosamente..... e amare significa fare dono di sé, fare la Volontà di Colui che si ama, Gesù in questo caso, e volergli piacere in tutto e per tutto! E le lacrime sono una prova tangibile di questo Amore!
Le lacrime sono un grande Dono, e lo stesso Papa Francesco ci invita a chiederlo al buon Dio questo Dono! Le lacrime, come ci ha lasciato detto il Papa, sono “una lente d'ingrandimento” che ci aiuta a vedere meglio Dio!

Marco

venerdì 29 giugno 2018

Un pomeriggio a tu per tu con Rita Coruzzi


All’età di trent'anni aver scritto tredici libri, non è cosa da tutti. Ma lei è una scrittrice speciale, anzi è una persona speciale. Si chiama Rita Coruzzi, emiliana di Reggio Emilia, classe 1986.
Rita è nata alla trentaquattresima settimana di gestazione ed ha avuto da subito gravi problemi di salute: le manca l’acetabolo, un osso che consente all’anca di rimanere al suo posto. Una operazione chirurgica che doveva risolvere la sua situazione invece, gliel'ha complicata definitivamente. Rita ora è tetraplegica e vive su una sedia a rotelle.
Ho letto la sua ultima fatica letteraria “L’eretica di Dio”, edito da Piemme, un libro che racconta la storia di Giovanna d’Arco. Non sono affatto amante di libri storici, ma il volume di Rita mi ha affascinato. Rita è una persona affabile, colta, di grande umanità, ma soprattutto “convincente”. Quando ha saputo che ero di passaggio a Reggio Emilia, mi ha fatto promettere di andarla a trovare, cosa che ho fatto. Un pomeriggio a parlare dei suoi libri, della sua Fede, della sua vita, delle sue aspettative e delle sue sofferenze, da quell’incontro è nata questa intervista.

Rita racconta la tua storia. La tua adolescenza è piena di episodi dolorosi, che ti hanno segnato profondamente. Sofferenze e delusioni però, che ti hanno portata ad amare la vita, in maniera ancora più profonda.

Non è facile raccontare in poche parole, chi sono. Lo hai visto, mi piace parlare, rischierei di non finire più! Vedrò di sintetizzare. Potrei iniziare narrando le gioie, i dolori, i desideri realizzati, i rimpianti, i sogni. Potrei dire che sono una ragazza come tante altre della mia età, ma non è così. Racconterò la mia storia dall’inizio. Era una giornata piovosa, quella del 2 giugno del 1986, quando volli nascere a tutti i costi, anche se era ancora troppo presto per farlo. Mia madre era ricoverata da tre giorni in ospedale, dove i medici cercavano di fermare le contrazioni. Già ti ho detto, che io ho sempre fretta a fare le cose, anche per nascere ho avuto fretta, cosi alla trentaquattresima settimana, ho deciso di venire al mondo. Io ho sempre fretta di fare tutto e subito, è la mia caratteristica.

La nascita prematura è stata la causa di molti tuoi problemi di salute. Un calvario lento e inesorabile che ti ha portato a dover vivere su una sedia a rotella.

Appena nata ho avuto subito diversi problemi, accresciuti in seguito alla lussazione all’anca, dovuta a mancanza dell’acetabolo. Non riuscivo a camminare come tutti gli altri bambini, non riuscivo a stare in piedi. Le mie gambe non ne volevano sapere di sostenermi, il mio corpo era debole e fragile. La mia mamma non si è mai arresa e ha insegnato anche a me, a non arrendermi mai. Ho fatto per anni fisioterapia, con sforzi e sacrifici enormi, per una bambina di quell’età. Il dolore e la stanchezza, per i lunghi esercizi fisici, mi portavano spesso a piangere. Però continuavo a lottare, non mi davo per vinta. Questo ha fortificato il mio carattere, anche se mi ha tolto forse, parte della mia infanzia. Mi ha tolto l’infanzia con le sue spensieratezze. Nel tempo ho subito alcuni interventi chirurgici, ma il primo è stato fallimentare ed ha aggravato definitivamente la mia situazione già precaria. Da allora sono costretta ad usare la sedia a rotelle.

L’insuccesso dell’intervento chirurgico, non solo ti ha portato a grosse delusioni, anche la tua Fede ne ha risentito profondamente. Il tuo rapporto con Dio si era deteriorato, puoi raccontarci qualcosa in merito.

Avere dieci anni ed essere costretta su una sedia a rotelle, ti porta a farti delle domande serie e ad avere scatti di rabbia, anche con Dio. La prima operazione non solo non è servita a nulla, ma ha addirittura peggiorato la mia già precaria situazione. All’inizio credevo fosse solo una situazione temporanea, almeno lo speravo, invece sono stata costretta a vivere sulla sedia a rotelle. Anni e anni di fisioterapia sono stati vanificati da una semplice operazione. Il risultato è stato quello di provocare una mia ribellione. Ero arrabbiata con tutti: con gli uomini e con Dio. Io mi ero sempre fidata di Dio e non riuscivo ad accettare questa situazione. Allora gli ho detto: “Ma come hai potuto permettere tutto questo!”


Eri in profonda crisi, delusa dagli uomini e soprattutto da Dio. Ma la tua caparbietà e quel “non arrendersi mai”, che ti aveva insegnato la tua mamma, ti hanno aiutato a continuare e finire gli studi.

Mi sono iscritta al liceo classico, una scuola certo non facile, che impegna molto. In molti credevano che una persona con disabilità non potesse farcela. Sono stata la prima ragazza disabile, in tutta la regione Emilia Romagna, a ottenere la maturità classica. La scuola ha fatto in modo di agevolare la mia condizione di disabilità, cercando di abbattere tutte le barriere architettoniche. Ho incontrato dei professori bravi, veramente preparati nelle loro materie. Ho scelto il liceo classico, perché mi piacevano le lingue antiche, il latino e il greco. E poi desideravo fare la stessa scuola di mia madre. Successivamente mi sono iscritta all’università di Parma, dove ho conseguito prima, la laurea triennale in lettere e poi mi sono specializzata in giornalismo.

La tua profonda crisi di Fede, che ti aveva allontanata da Dio, poi è stata superata grazie a delle persone che hai incontrato sulla tua strada. Persone che ti hanno aiutato a prendere in mano la tua vita spirituale. Raccontaci cosa è accaduto.

Avevo smesso di pregare, di andare a Messa e di accostarmi ai Sacramenti. Continuavo però a frequentare l’ora di religione a scuola. Sono sprofondata in quella che definisco “la non-vita”. Non avevo più voglia di alzarmi al mattino. Prima dell’operazione, uno scopo ce l’aveva l’alzarsi dal letto, era quello di imparare a camminare, ora invece non ne avevo più alcun motivo. Il continuare a frequentare l’ora di religione è stata la mia salvezza, perché mi ha permesso di incontrare un sacerdote speciale. Le sue domande, i suoi stimoli a farmi reagire mi hanno dato nuovamente la speranza. Spesso mi diceva:
Da quand’è Rita, che non guardi in faccia una persona?” per stimolarmi a relazionarmi con gli altri. Poi decisiva è stata la sua proposta di andare a Lourdes.

Lourdes ha avuto ruolo chiave nella tua conversione. Non solo sei andata quella volta prima volta, su invito del professore di religione, poi sei diventata anche un’attiva collaboratrice dell’UNITALSI.

Il mio primo pellegrinaggio a Lourdes mi ha guarita non fisicamente ma spiritualmente. Ed è stata la cosa più importante, perché se non hai la pace dentro di te, se non accetti la tua condizione, non potrai mai essere felice. La prima volta in verità cercavo e chiedevo la guarigione fisica, anche se, avevo messo in conto l’eventualità che poteva non avvenire, come infatti è stato. Alla grotta di Massabielle ho detto alla Madonna: “Ora, io sono qui da te. Mi spieghi perché tutto questo? Tu che sei Madre, non puoi non rispondere ad una tua figlia che ti pone domande, che t’invoca. Aiutami. Quali sono i piani che Gesù ha per me?”. La sua risposta l’ho percepita nel mio cuore, non l’ho udita con le mie orecchie, non sono una veggente! Mi ha detto: “Ne hai fatto passare di tempo prima di venire qui da me! Ora però, sei da me. Hai chiesto delle risposte che ora ti consegno. Testimonia e converti. Testimonia quanto è bella la vita, anche nella sofferenza, se vissuta accanto a Cristo». Io avevo dei dubbi e le chiedevo cosa dovevo testimoniare, anche perché a convertire sono chiamati i preti. Ho sentito la sua risposta nel mio cuore:
Io non ti sto chiedendo di convertire alla fede, ma all’accettazione della sofferenza quotidiana”.

Mi sembra che ha dato pieno ascolto alla Madonna! Hai scritto dei libri bellissimi, che raccontano la tua storia, inoltre vai in giro per l’Italia a portare la tua testimonianza di Fede. Stai facendo quello che ti aveva chiesto Maria. Parlaci dei tuoi libri.

Il libro:
Camminare o vivere” è uscito nel 2011. È una sorta di diario, in realtà è la mia autobiografia. L’ho scritto per portare la mia testimonianza di Fede. Parlo del cammino che ho fatto, per riuscire a superare i momenti più difficili, anche grazie al Signore. Poi il libro “Il miracolo quotidiano”, dove cerco di spiegare ciò che accade ogni giorno a Lourdes. Davanti alla grotta gli uomini sono tutti uguali, malati o sani che siano. Sono figli, riuniti davanti alla Madonna, figli dello stesso Dio padre. Lourdes é un vero angolo di paradiso, dove il miracolo non equivale necessariamente alla guarigione fisica, ma molto spesso prende il nome di conversione del cuore.

Non solo gli unici libri che hai scritto. Mi piace ricordare “Un volo di farfalla”, che è il secondo volume che ha la prefazione del card. Ruini, dove racconti la tua storia. Dove scrivi che Dio ha dei progetti su di te, sulla carrozzina. Dove racconti come hai ritrovato la vita, ma soprattutto come hai ritrovato la Fede. E questi non sono i soli libri che hai scritto, parlaci degli altri.

Ho anche scritto: “Il mio amico Karol” dove racconto dell'incontro con San Giovanni Paolo II. Lui era già molto malato e io sulla sedia a rotelle. È stato un abbraccio tra persone nella sofferenza fisica. Con Giovanni Paolo II ho avuto un intenso scambio epistolare e da queste lettere che è scaturito il libro su di lui. Ho avuto la fortuna di aver conosciuto ben tre papi. A Papa Francesco ho regalato il libro “Un volo di farfalla”. Ho parlato di sofferenze, anche nel libro che ho scritto con Magdi Cristiano Allam: “Grazie alla vita”. Un volume dove raccontiamo storie di sofferenze e di coraggio, di quel coraggio per continuare a vivere, nonostante tutto. Raccontiamo di Debora, che decide di ritardare le terapie, che potrebbero uccidere la vita che porta in grembo. Di Tatiana, che è in piedi su un ponte, decisa a farla finita e viene trattenuta da una forza misteriosa che le ridona la voglia di vivere. Tante storie di persone comuni.


Quelli citati sono tutti libri che parlano di sofferenze ed anche di speranze. Però voglio ricordare anche un libro molto particolare:
Distanze ravvicinate”. Un testo scritto con Enrico Saletnich, un quarantenne professionista romano. Dove parlate di tutto: dalla politica alla religione, dall’economia, alla musica e al costume. Due diverse generazioni che si incontrano e si confrontano. Sei una scrittrice poliedrica, tredici libri scritti per importanti case editrici, come la Piemme, la San Paolo. Ora pero raccontaci del tuo ultimo libro e della passione per i libri storici.

Con Piemme ho pubblicato due romanzi storici. Il primo è stato “Matilde” nel quale parlo di Matilde di Canossa, con il quale ho vinto il Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti, il Premio Internazionale Stefano Zangheri e il premio della critica al concorso Internazionale Città di Cattolica. Il romanzo narra della vita e le vicende della contessa Matilde di Canossa, vissuta nell’epoca turbolenta delle lotte per l’investitura. Matilde spese tutta la sua vita e le sue energie nell’opera di mediatrice tra papato e impero. Una tenace opera di mediazione che portò al famoso incontro dei due contendenti a Canossa nel gennaio 1077, quando Enrico IV offrì il pentimento al Papa e Gregorio VII lo perdonò. Fu una donna molto sensibile e nello stesso tempo forte e coraggiosa, fu una grande protagonista del suo tempo e un grande esempio di fede. Bisogna ricordare che è l’unica donna sepolta nella Basilica di S. Pietro a Roma. Il secondo è “L’eretica di Dio”, la storia di Giovanna d’Arco. La Pulzella di Orleans è una donna che mi ha sempre affascinata. Giovanna d’Arco, è guerriera, eretica e Santa. Da giovanissima ha delle visioni, comincia a sentire la voce di Dio, che la spinge alla preghiera, alla devozione, al sacrificio del corpo. Poi la voce la spinge a un’impresa impossibile, salvare il regno di Francia, afflitto da decenni di guerra contro gli inglesi. Alla fine è condannata come eretica, il suo corpo dato alle fiamme, i suoi resti gettati nella Senna. La Chiesa solo dopo secoli, la proclamerà Santa. È una grande eroina della fede cristiana, che in diciannove anni ha cambiato la storia di Francia e non solo. È un romanzo storico, fedele alla realtà, però mi sono presa delle libertà. Ho voluto rendere la figura di Giovanna più umana. Per questo motivo le ho fatto provare dei sentimenti per il duca di Alencon, da lui ricambiati. Una libera scelta, che non è storicamente provata ma, ho voluto dare una pennellata poetica alla sua storia.


Non ti ho ancora chiesto come sei arrivata a scrivere libri. Come mai ti sei avvicinata alla professione di scrittrice, in particolare di libri storici?

La passione di scrivere l’ho avuta fin da bambina, dettavo a mia nonna delle storie. Poi con il tempo, ho scoperto che scrivere per me era terapeutico. Quando scrivo, mi dimentico di essere su una carrozzina. Ora per me scrivere è un mestiere a tutti gli effetti. Mi piace scrivere storie di amore, di fede e di speranza. Soprattutto mi piace scrivere di donne. Di donne che sono state esempio di fede, di coraggio, donne determinate a portare avanti le loro idee. Ho già in mente la prossima figura femminile, della quale scriverò la vita. Ma è un segreto e non posso rivelarlo!


So che la figura di tua madre è stata fondamentale nella tua vita. È stata la persona che ti ha spinto ad andare avanti, ad affrontare con forza ogni difficoltà. È lei che scrive materialmente le tue storie, tu le detti e lei le scrive. Lei è la tua “amanuense” personale. Hai una gran fortuna ad avere una mamma così. Sei una scrittrice di talento, credo che se è difficile scrivere libri, ancora di più è farlo dettando le storie. Un’ultima domanda. Mi hai detto che arrivata a questo punto della tua vita non desideri più guarire. Perché?

Io sono seduta sulle ginocchia di Gesù e da li non voglio scendere. Ho capito che dalla carrozzina debbo compiere la mia missione. Preferisco stare in braccio a Gesù, compiendo la Sua volontà. Preferisco vivere che camminare! Dove c’è Gesù c’è la croce è vero, ma c’è anche amore, speranza e Vita Eterna.

Una gran bella testimonianza la tua Rita! Auguri per la tua carriera di scrittrice. Sicuramente farai molta strada.

di Roberto Lauri

7 settembre 2017

FONTE: Lacrocequotidiano.it


Ho sempre apprezzato molto Rita Coruzzi, questa ragazza disabile ricolma di Fede, di coraggio e di voglia di vivere, che ho avuto modo di conoscere attraverso alcune sue testimonianze in programmi televisivi. Volevo quindi postare qualcosa su di lei tra le pagine di questo blog, e questa bella intervista mi è sembrata perfetta allo scopo. Del resto la sua storia è veramente bella, ricolma di significati, e la sua testimonianza meravigliosa sotto tanti aspetti, sopratutto per la sua Fede in Dio e per l'accettazione della propria disabilità e sofferenza quotidiana, proprio come la Madonna le aveva chiesto.
Grazie cara Rita per il tuo esempio, per la tua testimonianza, per tutto! Tanta strada l'hai già percorsa, e molto proficuamente anche, ma molta altra, a Dio piacendo, ne avrai ancora da fare. E sono sicuro che, come hai fatto fino ad ora, continuerai a percorrerla con la verve, la tenacia, la simpatia, la Fede e l'Amore che da sempre ti contraddistinguono.

Marco