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mercoledì 31 marzo 2021

Dalla Polizia di Stato al Sacerdozio – La storia di Don Ernesto Piraino

Questa è la storia di un giovane di 37 anni che per 18 lunghi anni era un poliziotto della polizia di Stato, aveva una ragazza e tanti sogni nel cassetto. Poi Gesù eucarestia gli rapisce il cuore e l’11 febbraio scorso, è stato ordinato sacerdote.

Cosa ti ricordi della tua vita da poliziotto?

E’ stata un esperienza meravigliosa in cui il Signore ha fatto passare tanta grazia. Fare il poliziotto non è un mestiere facile ed io l’ho svolto, in territori segnati da fenomeni criminosi importanti come in Sicilia e Reggio Calabria. Tutti questi anni in polizia mi hanno permesso di accumulare un bagaglio esperenziale, ed oggi, grazie a Dio riesco ad utilizzare in un altro settore diverso anche se l’umanità non è cambiata; quella rimane uguale con le sue fragilità e i suoi limiti ma anche con le sue bellezze e i suoi pregi.
Aver conosciuto l’umanità dal punto di vista della giustizia umana, oggi è un punto a mio favore.

Perché avevi scelto di fare il poliziotto?

Perché amavo l’idea di poter servire la mia patria di poter servire la gente che mi circondava indossando una divisa, e pensavo di poterlo fare nel migliore dei modi. Così feci un paio di concorsi nella polizia di stato e nei vigili del fuoco e li vinsi entrambi, ma avendo fatto per prima il concorso in polizia, ebbe la meglio sull’altro.
Il desiderio che si nascondeva dietro questa scelta era di poter essere utile all’altro.
Dobbiamo non sottovalutare anche il fatto che in quegli anni, non era semplice trovare un posto di lavoro che potesse diventare a tempo indeterminato, per cui vincere un concorso per un ragazzo di 19 anni, era un grande traguardo.

Tu eri anche fidanzato, quindi sognavi una famiglia e ti sentivi chiamato al matrimonio?

Assolutamente si, non solo sognavo il matrimonio ma l’avevamo addirittura progettato. Avevo acquistato casa e avevamo già programmato qualcosina per la cerimonia ma evidentemente, avevo fatto i conti senza l’oste.

Quando ti accorgesti che il Signore ti stava chiamando a lasciare tutto e a seguirlo?

Era il 2006 e nella parrocchia dove prestavo servizio di educatore dei giovani nell’azione cattolica, nacque l’Adorazione Eucaristica perpetua. Era la prima Adorazione Eucaristica perpetua della Calabria. Proprio in quell’occasione iniziai a trascorrere del tempo davanti a Gesù, prima iniziai con mezz’ora, poi un’ora e poi diventarono due… insomma era diventata una calamita, dalla quale mi restava difficile staccarmi. L’attrazione era tanta che a volte facevo compagnia a Gesù per tutta la notte. Pian piano Gesù, mi ha fatto comprendere che l’amore che percepivo e sperimentavo con Lui ed insieme a Lui, non era minimamente paragonabile da quello che vivevo dal punto di vista degli affetti umani e delle soddisfazioni professionali. Così ho iniziato a chiedermi se era il caso di iniziare un percorso di discernimento più profondo. E così nel 2011 entro in seminario.

La tua famiglia e la tua ragazza avevano già capito che c’era qualcosa di diverso in te?

La mia famiglia aveva cominciato a sospettare qualcosa, nel momento in cui la mia frequentazione in chiesa era diventata un momento molto importante mentre la mia ragazza dopo due anni di fidanzamento faceva qualche battuta del tipo “Se vuoi farti prete dimmelo chiaro” ma allora, in me non c’era nessuna intenzione di discernimento per diventare sacerdote.

E poi come hanno reagito alla tua decisione vocazionale?

Intorno a me c’è stata un’accoglienza abbastanza serena nell’accettare la mia decisione di entrare in seminario. Non ho avuto ostacoli o impedimenti ma molto affetto e molta preghiera. La mia ragazza ovviamente quando ha compreso che la lasciavo per il Signore, ha gioito perché ha capito che il rivale non era un’altra persona.

Invece i tuoi colleghi che ti hanno detto?

All’inizio hanno fatto qualche battuta affettuosa, però l’accoglienza del dono nel giorno dell’ordinazione sacerdotale, è stata straordinaria. Mi hanno dimostrato un tale affetto e una tale amicizia da lasciarmi veramente stupito. La Polizia di Stato insieme alla mia famiglia di origine mi hanno accompagnato a ricevere il dono sacerdotale.

Immagino che anche da poliziotto avevi una sensibilità molto sviluppata nei confronti di coloro che avevano intrapreso strade sbagliate come ad esempio uno spacciatore, un tossicodipendente. Se ti capitava di arrestarli, qual era la tua reazione nei loro confronti?

I primi anni di servizio vivevo molto di più la dimensione legata al senso della giustizia umana, mentre negli ultimi anni quando avevo in me chiara l’idea di diventare sacerdote, cercavo di unire il senso della giustizia umana con l’occhio misericordioso di Dio.
Vi racconto un aneddoto: molti anni fa mi ritrovai a fare ordine pubblico, durante una partita di calcio e ad un certo punto dovemmo alleggerire la folla perché i tifosi cominciarono a lanciarci pietre. Oggi uno di quelli che mi tirava le pietre è diventato frate, ed io che ero poliziotto dall’altra parte della barricata, sono diventato sacerdote.

Secondo te cosa si potrebbe fare per migliorare la società e dare un futuro ai giovani?

Potrebbe sembrare banale ma credo che bisognerebbe riscoprire l’amore di Dio che ci ama in una maniera unica. Tutti siamo figli di Dio. Questa scoperta potrebbe dare una svolta decisiva all’andazzo di questa nostra società. E’ una società dove l’amore sta scomparendo sempre più e viene relegato ad un posto minore di quello che dovrebbe realmente ricoprire. Lentamente l’uomo si va raffreddando e sta perdendo i valori realmente importanti della vita. Secondo me comprendere che Lassù c’è un Padre che ci ama, potrebbe contribuire alla felicità di ciascuno anche paradossalmente a quella stabilità, data da un posto di lavoro o dalla famiglia ma se manca l’amore nulla ci può rendere realmente felici.

Cosa vuol dire oggi per te, essere sacerdote?

E’ una gioia difficilmente descrivibile a parole. E’ una sensazione totale di pienezza ed è difficile renderla con un concetto che possa essere comprensibile però, se dovessi riassumerla a parole direi che diventare prete è veramente bello, poter servire il Signore soprattutto e le sue creature. Ogni giorno mi rendo conto di quanto questo dono sacerdotale, sia ben più grande perché l’amore del Signore ci supera abbondantemente.

Che messaggio vuoi dare ai giovani che sono in crisi vocazionale e non sanno quale sia la vocazione che Dio ha scelto per loro?

Direi di lasciare la porta del cuore spalancata, senza avere nessuna paura perché il Signore vuole soltanto la nostra felicità per mezzo della vocazione personale. L’importante è diventare Santi. Si può essere santi sacerdoti e santi genitori ma l’importante è vivere il nostro battesimo e camminare verso la santità, senza paura. Permettiamo a Gesù di entrare e portare il suo annuncio di pace e di salvezza ed una volta fatto questo non si ci volterà più indietro, una volta messi le mani all’aratro si andrà sempre avanti.


di Rita Sberna

12 gennaio 2021

FONTE: Cristiani Today

giovedì 18 aprile 2019

“La mia vita rinata negli inferi di Roma”


CHIARA AMIRANTE RACCONTA I 25 ANNI DI NUOVI ORIZZONTI

«Tutto cominciò nel tunnel sotto la stazione Termini davanti a un ragazzo che stava per uccidersi. Avevo da poco riscoperto la Fede. Chiesi a Dio se fosse quella la strada giusta e mi rispose guarendomi da una grave malattia»

di Antonio Sarinancesco

Quando nei sotterranei della Stazione Termini di Roma Chiara Amirante, appena ventiseienne, si trovò faccia a faccia con lo sguardo agonizzante di Angelo, un ragazzo che per farla finita era arrivato alla terza overdose, si chiese se fosse quella la strada giusta per lei. Poi alzò lo sguardo e lesse quello che Angelo aveva scritto su un muro: “Nonostante la vostra indifferenza noi esistiamo”. «Era Gesù che sulla croce gridava a Dio perché lo avesse abbandonato. Capii che dovevo andare avanti».
Voce sottile, quasi impercettibile. Sorriso radioso. C'è qualcosa di folle in tutto quello che ha fatto e continua a fare questa donna la cui salute è tornata a essere malferma dopo la guarigione inspiegabile (e non richiesta) di tanti anni fa. Quell'incontro di una notte di inverno del 1991 avvia un percorso che nel marzo 1994 porta alla nascita di Nuovi Orizzonti, un'associazione internazionale di volontariato che, partita da Trigoria, alle porte di Roma, oggi è presente in vari Paesi del mondo.

Che ricordo hai di quella notte?

«Facevo già volontariato in stazione tra i senzatetto e gli immigrati, ma nei sottopassaggi non ci andava nessuno. Io sapevo che i più disperati erano proprio lì: alcolizzati, tossicodipendenti, donne costrette a prostituirsi, ex detenuti, clochard. Quando arrivai c'era una rissa. Vidi Angelo, per terra, che aveva tentato la terza overdose per farla finita. Cercai un posto dove portarlo ma non trovai nulla. Mi tornarono in mente le parole del Vangelo: “Non c'era posto, per loro, nell'albergo”. L'impotenza di non poter far nulla fu per me uno shock fortissimo».

Che fine fece quel ragazzo?

«Si salvò. Due giorni dopo venne a portarmi un regalino per ringraziarmi di avergli salvato la vita. Restai di stucco: Mi disse: “In vent'anni di strada nessuno si era mai fermato per chiedermi come stavo. Voglio incontrare anch'io questo Gesù che ti ha portato a rischiare la vita per me”».

E lei?

«Capii perfettamente che la nostra indifferenza può uccidere e il semplice ascolto può salvare la vita di una persona».

Che cosa l'ha spinta, quella notte, a scendere negli inferi?

«Fu il culmine di un percorso. Avevo riscoperto la fede da poco. Ero assediata dalla malattia. Stavo per perdere completamente la vista a causa di un'uveite che presto mi avrebbe portato alla cecità totale. Ero a un passo dalla disperazione, eppure sperimentavo nel mio cuore una pace e una gioia profondissime. Mi proposi di portare questa serenità ai disperati come me. Sembrava un'idea matta».

Lo era, sopratutto per le sue condizioni di salute.

«Infatti chiesi a Dio un segno: “Signore, se sei tu che mi metti nel cuore questo folle desiderio di andare di notte nei deserti delle nostre metropoli, mettimi anche nelle condizioni di poterlo fare”».

Cosa accadde dopo?

«L'indomani andai a Messa. Il Vangelo del giorno era quello in cui il lebbroso chiede a Gesù di guarirlo. Io non chiesi nulla, ma arrivò la mia guarigione all'improvviso, completa, inspiegabile dopo tre anni di dolori atroci e otto anni quasi da cieca. Interpretai quella risposta come la risposta che cercavo. Da quel momento il popolo della notte è diventata la mia nuova famiglia».

La strada era tutta in salita...

«Quando vedi giovani imprigionati nell'inferno della droga, della tratta, della schiavitù ti senti impotente. Cercavo di indirizzare questi disperati nelle strutture ma non era facile tutti i giorni trovare per loro un pasto caldo e un alloggio. Pensai di dover fare qualcosa per queste persone, cominciare un percorso di spiritualità partendo dal Vangelo».

I media chiamano “popolo della notte” chi vuole divertirsi. E' così?

«Si comincia con il volersi divertire e si finisce con il perdersi. La notte, pian piano, da fisica, diventa notte dell'anima».

Di cosa soffrono queste persone?

«Di solitudine. Il resto è una conseguenza: anoressia, bulimia, sessodipendenza, droga, dipendenza da Internet. Il popolo della notte non sta solo in periferia, ma nei quartieri più chic. Non c'è coscienza di quanto siano devastati i nostri ragazzi oggi perché le loro sono povertà invisibili. Il barbone lo vedi, chi ha ricevuto una coltellata al cuore no».

Nuovi Orizzonti com'è nata?

«In quegli anni chiedevo a vari politici e alle istituzioni di darmi una mano. Risposte zero. I giovani continuavano a morire e i politici a promettere. Feci un salto di fede. Il 24 maggio, festa di Maria Ausiliatrice, decisi di lasciare tutto e andare a vivere in strada con la mia nuova famiglia. In quello stesso giorno mi chiamarono per offrirmi gratis tre strutture. Nacque così il centro d'ascolto nel tunnel della Stazione Termini. Ancora una volta la Provvidenza mi era venuta incontro».

C'è qualche storia di disperazione che l'ha particolarmente colpita?

«Quelle che mi hanno raccontato relative a tre donne costrette a prostituirsi che hanno provato a scappare dai loro aguzzini. Una è stata legata a una macchina e trascinata nuda sull'asfalto, un'altra squartata viva e data in pasto ai maiali, a un'altra ancora misero topi e serpenti nelle parti intime».

Ma di fronte a tanto male lei non si scoraggia mai?

«Tutti i giorni. Se avessi basato quest'avventura sulle mie sole forze sarei scappata dopo una settimana. Però ho visto e continuo a vedere continuamente tante persone passare dalla morte alla vita. Questo mi dà la forza di andare avanti anche se le energie sono sempre meno e la mia salute è messa a dura prova. San Paolo dice che è quando siamo deboli che siamo forti e che, per fare tutto, basta soltanto la Grazia di Dio».

Il suo ultimo libro, La guarigione del cuore (Piemme), è un manuale sulla spiritoterapia. Cos'è?

«L'esperienza che in questi anni ho fatto nel cercare di accompagnare tante persone sprofondate in tunnel terribili. Se è vero che nella nostra mente ci sono tante potenzialità, è altrettanto vero che queste immense potenzialità, il più delle volte inespresse, ci sono anche nel nostro spirito dove possiamo trovare le chiavi fondamentali per la guarigione del cuore, per riscoprire la pace interiore e la gioia piena che ci ha promesso Gesù».

Chi sono i cavalieri della luce?

«Persone che hanno affrontato questo cammino di guarigione e da disperati sono diventati portatori di speranza per gli altri. Sono uomini di buona volontà che credono nella potenza dell'amore e nella forza rivoluzionaria del Vangelo».

A Nuovi Orizzonti si sono avvicinati tanti vip. Cosa li accomuna?

«La voglia di fare qualcosa di buono insieme. La gioia attira sempre, anche coloro che per il mondo sembrano uomini realizzati e di successo ma nel cuore conservano una profonda inquietudine. Tra i cosiddetti vip non ci sono meno disperati rispetto a quelli che trovi in strada. Solo che le loro ferite non si vedono».

Lei ha conosciuto gli ultimi tre Papi. Che rapporto ha avuto con loro.

«Di grande comunione. Però in questi anni mi sono sentita molto sola, non ho sentito il sostegno della maternità della Chiesa. Come se accogliere gli invisibili delle metropoli fosse una missione solo mia e non di tutti i cristiani».

La Chiesa in uscita predicata da Papa Francesco.

«Appunto, ma c'è una Chiesa che preferisce starsene comoda nel suo recinto. In quest'ospedale da campo di cristiani se ne vedono pochi. E' un'omissione di soccorso».

Dov'è Dio oggi?

«Ovunque. Il problema è che noi non abbiamo più gli occhi per vederlo».


L'INTERNAZIONALE DELLA GIOIA DOVE I PROTAGONISTI SONO GLI SCARTATI


Dall'esordio a Trigoria alle Cittadelle Cielo nel mondo

«Non ho mai voluto fondare nulla, il mio sponsor è sempre stata la Provvidenza», dice Chiara. Oggi la Comunità conta 228 centri di accoglienza in vari Paesi

All'Origine della Comunità Nuovi Orizzonti, nata venticinque anni fa, c'è la scelta di Chiara di dedicare la sua vita al popolo della notte: tossicodipendenti, ex detenuti, clochard, alcolizzati, donne vittime di tratta, ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi. La missione è quella di portare, a chi ha perso la speranza nei ghetti delle metropoli, la gioia di Cristo Risorto ponendo una particolare attenzione al mistero della sua discesa agli inferi. «Non ho mai voluto fondare nulla, è stata la Provvidenza a farmi da sponsor», spiega Amirante. Oggi Nuovi Orizzonti è un'associazione internazionale di volontariato no profit presente in vari Paesi del mondo. La sede principale, che coordina tutte le altre, è la Cittadella Cielo di Frosinone. L'8 dicembre 2010 è stata riconosciuta dal Vaticano come associazione internazionale privata di fedeli di diritto pontificio.
Dalla prima comunità di accoglienza residenziale aperta a Trigoria (Roma) nel marzo 1994, si è arrivati oggi a 5 Cittadelle Cielo, piccoli villaggi di accoglienza e formazione; 228 centri di accoglienza, reinserimento e formazione; 1020 equipe di servizio; 700 mila cavalieri della luce e 6 milioni di amici e simpatizzanti.
Già alla fine degli anni Novanta, Nuovi Orizzonti sperimenta a Roma le “missioni di strada”, un nuovo metodo pastorale di evangelizzazione. Dopo essere entrata in contatto con tante giovani vittime di varie situazioni di disagio, Chiara Amirante ha elaborato un cammino di conoscenza di sé e di guarigione del cuore (la spirit therapy, spiritoterapia) che diventa la peculiarità della sua proposta formativa anche nel mondo delle comunità di recupero.
Nel 2004 Giovanni Paolo II nomina Amirante consultrice del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti, incarico poi rinnovato da Benedetto XVI e da Francesco. Dal 2011 è membro del Comitato scientifico per la rivista People on the Move dello stesso Dicastero. Nel 2012 viene nominata da Benedetto XVI consultore del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Ha scritto vari libri. In l'Amore resta (Piemme, 2012) racconta la sua storia personale e come ha iniziato a occuparsi dei ragazzi di strada. Sono molti i personaggi del mondo dello spettacolo e dell'imprenditoria che si sono avvicinati alla Comunità: dal cantante Nek ad Andrea Bocelli, da Lorella Cuccarini a Simona Ventura a Matteo Marzotto.
I cavalieri della luce, nati su idea della Amirante nel 2006, sono persone che aderiscono al carisma dell'associazione. Alcuni sono riuniti in gruppi per impegnarsi insieme in varie iniziative di evangelizzazione.

A. S.

FONTE: Famiglia Cristiana N. 12
24 marzo 2019

domenica 19 febbraio 2017

Da tossicodipendente a frate francescano


Prima di sentire la chiamata di Dio e di entrare nell'Ordine dei Frati Minori, la sua vita è stata caratterizzata dal dolore

Daniele Maria Piras è un giovane francescano in formazione. Ha 32 anni ed è originario di Carbonia, in Sardegna. Prima di sentire la chiamata di Dio e di entrare nell’Ordine dei Frati Minori, la sua vita è stata caratterizzata dal dolore, da una profonda sofferenza e dalla mancanza di senso.

Fin da quando ero piccolo la mia famiglia, soprattutto per problemi economici, viveva grosse difficoltà relazionali, anzi tutto tra mamma e papà. Conclusa la scuola media, incominciai a lavorare con mio padre nella sua impresa edile; in quegli anni, per fuggire dalle fatiche familiari, iniziai a frequentare "cattive compagnie": per stare al passo con loro, iniziai a bere, a fare uso di droghe leggere e poi pesanti, anche per anestetizzare il dolore che portavo nel mio cuore”, ha raccontato Daniele in un’intervista alla rivista dei francescani "Porziuncola".

Il suo abuso di droga era tale che ad appena 16 anni era già tossicodipendente.

Per 7 anni non riuscii ad uscire da quella schiavitù: sapevo benissimo di sbagliare, però ero entrato in un circolo vizioso, non potevo più farne a meno; ero troppo debole e, anche se desideravo uscirne, mi ero reso conto che era troppo tardi e la mia volontà era debolissima. Andai al Sert, feci colloqui con psicologi e provai ad assumere farmaci per l’astinenza; ma i risultati furono scarsi”.

All’inizio Daniele nascose alla famiglia la sua situazione, ma quando questa peggiorò i suoi genitori si resero conto di quello che stava vivendo. Mia madre mi incoraggiò, mi stette vicino e mi amò così come ero.

Fu proprio attraverso la madre che la pace tornò in Daniele. “Lei, da giovane, dopo aver ricevuto i Sacramenti, si era allontanata dalla Chiesa, ma ora da diversi anni si era riavvicinata, proprio a causa della dolorosa relazione che stava vivendo con mio papà. Questa relazione era la sua croce: quella croce aveva un nome e un volto, mio papà Carlo, che si trovava in una situazione molto difficile dopo la perdita del lavoro”.

Il giovane francescano racconta che la madre ha trovato consolazione in un gruppo di amiche che recitavano il Rosario: “Maria la ricondusse al Figlio suo: nella preghiera, nella Parola e nei sacramenti mamma attinse la forza per stare in quella situazione di dolore, e decise di stare accanto a mio papà ed amarlo così come era (…) Questo permise a Colui che ha vinto la morte di portare la sua Salvezza nella nostra famiglia e fare nuove tutte le cose”.

Questa testimonianza di fede molto presto è servita da esempio alla sorella di Daniele, Chiara Redenta, che ha sentito la chiamata di Gesù ed è entrata nel monastero delle Clarisse nel 2005. “A quel punto, la mia esperienza di morte, ma soprattutto le testimonianze di mia mamma e mia sorella mi portarono a rientrare in me stesso e chiedere aiuto: incominciai ad invocare il Nome del Signore Gesù”, ha riferito il giovane.

La sua conversione è arrivata nel novembre 2006, quando la madre lo ha invitato a partecipare a un congresso in occasione della solennità di Cristo Re dell’Universo. “La Parola guida del convegno era un versetto del salmo 107,14: Li fece uscire dalle tenebre e dall’ombra di morte e spezzò le loro catene. Mi colpì la catechesi di un padre francescano, sembrava che io gli avessi raccontato la mia storia… rileggeva il mio vissuto… spiegava come il male, attraverso le attrattive del mondo, che presentano una felicità apparente, mira a distruggere il nostro corpo che è il tempio dello Spirito Santo, luogo abitato da Dio, luogo in cui noi possiamo fare esperienza di Lui”.

Daniele ha deciso di parlare con il sacerdote francescano. “Gli dissi: "Sono un tossicodipendente e ho toccato il fondo, non so più come uscirne, preghi Gesù per me". Il frate mi invitò a chiedere a Gesù di intervenire, mi benedisse e io tornai al mio posto. Quindi un sacerdote passò con Gesù Eucarestia in mezzo alla folla di 600 persone… Gesù mi passò accanto, poi tornò verso l’altare e io sentii dentro di me il desiderio di andare a toccarlo: andai (non avevo niente da perdere…), lo toccai e tornai al mio posto”.

Meno di due mesi dopo questa esperienza, il 29 settembre 2008, e dopo aver vissuto due convivenze con i Francescani ad Assisi, il giovane Daniele è entrato nel postulantato dei Frati Minori.

La sofferenza nella nostra famiglia si è rivelata pedagogica: accolta nella fede, ha preparato i nostri cuori ad accogliere il Mistero. (…) Solo Lui vi dice: Sono venuto perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza…”.


Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti

20 ottobre 2015

FONTE: Aleteia.org  




Capita molto spesso che le grandi conversioni avvengano dopo periodi di forte dolore, di sofferenza e di "vuoto" interiore. Ho appreso moltissime testimonianze in questo senso. La vita sembra non avere più alcun valore, non dona gusto, sembra essere senza senso...... e in questo stato si può facilmente cadere vittima dell'alcool, della droga o divenire frequentatori di cattive compagnie e di brutti "giri". Quando si vedono persone in questo stato, spesso si è tentati di starne alla larga perchè si pensa erroneamente che tali persone costituiscano la "feccia" della società e che possano portare solamente a tanti problemi. E invece, spesso, sono proprio queste persone che posseggono il "terreno migliore".... e nel "vuoto interiore" che essi provano (e che non di rado, sul momento, li può portare su cattivi sentieri) il Signore si fa sentire più potentemente che mai, proprio perchè trova un "terreno fertile", libero da quegli attaccamenti terreni e mondani che invece posseggono la maggior parte delle persone. E allora in queste persone, come nel caso di Daniele in questa bellissima storia, è come se entrasse un "uragano", è la scoperta di un qualcosa di nuovo che ti stravolge completamente la vita e ti fa riniziare tutto daccapo. Ed è l'inizio di una nuova vita, fondata questa volta sull'Amore e sulla Fede in Dio.
Tutto questo ci tengo bene a sottolinearlo perchè, come detto sopra, quando si vedono persone sbandate, sopratutto giovani, essere vittime di queste brutte cose, si viene tentati di starne alla larga..... ed invece bisognerebbe avvicinarli, abbracciarli e cercare di parlare loro di Dio, con semplicità e Amore, perchè il Signore può essere quella Luce che rischiara il loro cuore da ogni tenebra, perchè il Signore può rappresentare quella "Pienezza" che essi inconsciamente cercano (e sovente la cercano nei cosiddetti "paradisi artificiali") e a cui il loro cuore anela, ma che ancora non hanno conosciuto e trovato. Eh, quante, quante volte ciò che apparentemente sembra peggiore in realtà è migliore!!! Per questo Gesù ci ha insegnato a non giudicare mai (il giudizio dell'uomo può anche uccidere!), ma ad accogliere tutti con benevolenza e Amore. Poi il resto lo fa Lui, il nostro buon Gesù. E può essere veramente una nuova Rinascita!

Marco

giovedì 23 luglio 2015

«Educare alla vita i ragazzi difficili». La scelta di Giorgia Benusiglio

A 17 anni rischiò di morire per l’ecstasy. Oggi il suo lavoro è aiutare gli adolescenti

Giorgia arriva trafelata, affida i cagnolini al fidanzato e si concede un’oretta per parlare di sé. Non capita tanto spesso. «Misuro il tempo libero con il contagocce», sorride, «praticamente vado a ruba».
La cercano tutti, in effetti. Nelle scuole, nelle carceri, ai convegni, nelle comunità di recupero, ai workshop, negli incontri pubblici e nelle piccole riunioni di settore. Chiedono la sua presenza professori e genitori, educatori e psicologi, da un capo a all’altro della Penisola e ultimamente anche oltre confine. E quando è a casa le basta dare un’occhiata alla posta o ai messaggini arrivati via WhatsApp, ce ne sono sempre in gran quantità. Tutto questo in direzione di un unico argomento: la devianza giovanile, cioè la strada sbagliata che porta le esistenze di ragazzi e ragazze verso la droga, l’alcol, l’autolesionismo, il bullismo, l’anoressia, il cyberbullismo... «Non l’avrei mai detto. Stavo per morire e invece guarda cosa sto facendo... Adesso questa è la mia vita, il mio lavoro. Studio, mi aggiorno, seguo tutto e tutti e provo a fare del mio meglio per educare alla vita ragazzi che hanno bisogno di essere ascoltati e capiti, due cose per nulla scontate».

Riavvolgiamo il nastro del tempo, torniamo a una sera in discoteca dell’anno 1999. Giorgia aveva 17 anni e voglia di ballare fino all’alba. Prese una mezza pasticca di ecstasy e finì all’ospedale di Niguarda con un’epatite tossico-fulminante. Il suo cuore stava rallentando e si sarebbe fermato in poche ore se Alessandra, una ragazza di 19 anni, non si fosse schiantata in macchina a centinaia di chilometri da lei. C’era una donatrice e i medici tentarono il trapianto, il primo in Italia dopo una diagnosi di quel genere. Giorgia (che di cognome fa Benusiglio) promise a se stessa e a suo padre Mario che se fosse sopravvissuta sarebbe andata di scuola in scuola a fare della sua esperienza una campagna antidroga. Andò bene e quella ragazzina magra magra tornò a casa ad affrontare il lunghissimo percorso post-trapianto (che in realtà non finirà mai).
Nel 2007 arrivò l’ora di mantenere la vecchia promessa. La prima scuola fu a Milano e da lì in poi arrivarono richieste per decine e decine di interventi, ovunque. Giorgia sapeva come parlare ai ragazzini, gli insegnanti si accorsero della sua capacità di entrare in sintonia con loro e lei cominciò a capire che forse proprio quello era il futuro che più le corrispondeva. Nel 2010 scrisse un libro che amplificò l’effetto (Vuoi trasgredire? Non farti!) e lo stesso anno si laureò in Scienze della formazione primaria. L’indirizzo? Psicologia della famiglia ovviamente, e la sua tesi, manco a dirlo, puntò sui comportamenti devianti e a rischio e sui punti deboli della crescita adolescenziale.

«Più entravo in quel mondo più mi ci appassionavo - spiega lei -. Così non ho mai smesso di leggere e studiare, ho coltivato contatti importanti che mi hanno molto arricchito, ho moltiplicato gli impegni sull’argomento adolescenza. Ho conosciuto mostri sacri dello studio sulle dipendenze, come Riccardo Gatti, tanto per citarne uno». Nei 32 anni di Giorgia ci sono collaborazioni con la Comunità di San Patrignano, con Onlus come «Cuore e Parole», con don Mazzi, con la Kayros di don Burgio (cappellano del carcere minorile Beccaria) e progetti di lavoro con gruppi di psicologi, di detenuti e di educatori. Una vera e propria professione, ormai. Lei è diventata un’autorità, tanto da meritarsi il prestigio di un riconoscimento americano (il premio Melvin Jones Fellow). Ma quello che più la fa felice sono le parole di chi le scrive o la chiama per dirle che la sua vita sta andando un po’ meglio da quando lei ha cominciato a farne parte. Per esempio queste: «Cara Giorgia, volevo ringraziarti per avermi salvato la vita. Se non fosse stato per te io quella mezza pasticca di ecstasy l’avrei provata (...) per dimenticare, perché mi vedo molto brutta e mi sento molto sola». Ogni messaggio racconta un dramma: «Cara Giorgia stamattina, quando hai parlato di bulimia, anoressia e autolesionismo ho pensato che con te potevo sfogarmi. Ho 13 anni e da un anno sono autolesionista(...) ogni volta che sto male la prima cosa che penso è farmi del male».
Molti affidano confidenze a «Giorgia Benusiglio prevenzione droga», la sua pagina facebook: «Ho 13 anni, da un po’ di tempo penso che la mia vita debba finire adesso. Sono autolesionista, mi limito a farmi del male con le unghie ma ho quasi tentato il suicido quando in casa non c’era nessuno...».
Qualche volta a scrivere sono le madri. Non sanno come comportarsi davanti a una figlia o un figlio adolescente che sembra voler comunicare con tutti tranne che con loro. «Io non ho certo la pretesa di sapere cosa fare in ogni occasione - dice Giorgia -, ma so che spesso bastano piccole cose a fare grandi differenze. Un esempio? Se tua figlia è lontana a studiare da qualche parte non le chiedere ogni santo giorno: cos’hai mangiato? Chiedile se si sta divertendo, se sta bene. Cambiano i toni immediatamente. Quando mi riscrivono per dirmi che ha funzionato io mi sento felice. Per loro e per me stessa».

di Giusi Fasano

31 maggio 2015

FONTE: http://www.corriere.it/cronache/15_maggio_31/educare-vita-ragazzi-difficili-scelta-giorgia-benusiglio-51207b18-075d-11e5-811d-00d7b670a5d4.shtml


Ecco una storia che ci insegna come da un male vissuto, spesso ne può uscire un Bene, come da una cattiva esperienza possono scaturire dei frutti estremamente buoni e duraturi. E questo è proprio il caso di Giorgia Benusiglio, che da una tragica esperienza che l'ha portata fin sulla soglia della morte, è ritornata alla vita con la fortissima motivazione di aiutare tutta quella gioventù che spesso si ritrova allo sbando, incamminata verso cattive strade e ammaliata da false luci. E c'è davvero molto bisogno di testimonianze forti e dell'esperienza di persone come Giorgia, per aiutare giovani e genitori.

Marco