martedì 21 luglio 2020

Don Francesco Cristofaro, la disabilità come forza


«Posso affermare che il bullismo esisteva già 37 anni fa. “Mamma, perchè cammina così?” Era questa la frase che da piccolino mi rendeva più triste. Quante volte l'ho sentita dalla bocca di bimbi che vedendomi camminare si rivolgevano alle loro mamme per chiedere, capire, scoprire, e poi mi guardavano e sghignazzavano o tante volte mi prendevano in giro tra di loro. E mi mettevo davanti allo specchio per vedermi camminare. Provavo un senso di disagio. Un bimbo bellissimo nel volto, nelle guance paffutelle, negli occhi scuri e nei capelli riccioli ma brutto nelle gambe, storte fragili, che spesso non si reggevano in piedi. E mi sentivo sempre più diverso da loro. E mi facevano sentire diverso da loro quando mi dicevano: “Tu non puoi venire con noi perchè poi cadi e ti fai male...”. Tutto questo mi faceva piangere e soffrire e pregavo, pregavo tanto per guarire. La Madonnina però non mi ascoltava e i santi erano sordi con me. Pensavo di essere cattivo e di non meritare nulla, perchè come può un bambino non essere ascoltato?»
Così racconta oggi don Francesco Cristofaro, nato il 10 novembre del 1979 settimino con una paresi spastica alle gambe. Ci sono voluti anni per comprendere cosa in concreto significasse quella parola. Solo una cosa Francesco aveva capito, e cioè che fino ai primi tre anni di vita non camminava. Ed era sempre tra le braccia della mamma o del papà, della nonna materna o di qualche zia.
«Ricordo le mie lacrime nascoste» racconta. «Ricordo le lacrime e la sofferenza dei miei genitori. Non si sono mai risparmiati in nulla per non farmi mancare niente. Ma, in mezzo a tanto girovagare, nulla di nuovo, nulla di più. Il problema c'era, il problema rimaneva, come per tanti anni rimase in me il desiderio e la preghiera per una vita normale, come tutti gli altri bambini che in una giornata di sole qualunque uscivano di casa per una partita a pallone o un giro in bicicletta. La prima volta che salii su una bicicletta per fare un semplicissimo giro, persi l'equilibrio e caddi facendomi una lunga strada tutta in discesa. Roba, per dirla in termini televisivi moderni, da Paperissima, e a queste scene ero abituato».

Francesco desiderava una vita senza pietismo, senza sentirsi dire: «Poverino!».
«Desideravo che non ci fossero differenze e questo mio desiderio è stato forte per tanto tempo».
All'età di diciott'anni, Francesco decise di fare un passo importante, un intervento chirurgico alle gambe per allungare i tendini di Achille.
Fu in quel momento che Francesco decise, sentendo la fede, di entrare in seminario.
Guarire era impossibile: nonostante la rieducazione lunga e faticosa nulla accadde di miracoloso, almeno dal punto di vista fisico.
Al contrario crebbe in Francesco la consapevolezza che al Signore serviva così, e i grandi sforzi del padre, umile carpentiere, della madre, casalinga, e di tutta la famiglia servirono ad alimentare la Fede.
Così Francesco diventa don Francesco Cristofaro, incontra il Movimento Apostolico che gli fa scoprire un Vangelo nuovo dove non si sente più invalido ma «valido», oltre che strumento di bene, di vita.
Don Francesco vede tutto in modo differente: «C'è un “altro”, Gesù, che sempre stravolge il modo di fare del mondo. Lui mi ha fatto sentire presente in questo mondo. Non più periferia, non più scarto, ma centro del mondo, bene prezioso. So che tanti, anzi troppi vivono ciò che io ho vissuto, il mio stesso “dramma”. Ci sono, purtroppo, luoghi nel mondo o nel cuore dell'uomo dove il disabile non è persona, non è uomo. E' un numero, un oggetto “posato” lì che non serve a niente e a nessuno, è un morto vivente, allora, in casi estremi senti anche parlare di eutanasia, come se si facesse un favore alla persona per non farla soffrire. Non posso, non possiamo e non dobbiamo lasciar passare questo messaggio contro l'uomo, contro la persona, contro la bellezza e la dignità umana, creata a immagine e secondo la somiglianza di Dio. E leggete un po' in che modo Gesù mi è venuto incontro nel mio cammino. La mia famiglia non frequentava la Chiesa, i Sacramenti. Io mi sono avvicinato alla parrocchia per il catechismo in preparazione alla Prima Comunione e da quel momento non ho più abbandonato la Chiesa. Il più delle volte, il percorso da casa mia alla chiesa lo facevo a piedi, quasi due chilometri, perchè forse i miei non avevano tempo per accompagnarmi. Vengo attratto dalla bellezza delle parole di Gesù nel Vangelo. In parrocchia incontro la realtà del Movimento Apostolico, che fin dal 1979 opera per il ricordo e l'annuncio del Vangelo al mondo che lo ha dimenticato o non lo conosce affatto. Le parole di Gesù, goccia dopo goccia, seme dopo seme, caddero nel mio cuore come olio profumato e balsamo di guarigione e la mia vita iniziò a cambiare, cambiando pensieri, parole, azioni. Il male dell'uomo è sempre accovacciato nei suoi pensieri. E' questa l'opera di seduzione del maligno, governare, possedere i pensieri dell'uomo. Io, infatti, mi ero rinchiuso nella fortezza dei miei pensieri, ero fermo al vangelo mio personale, quello del vittimismo, del piangermi addosso, del “non servo a nessuno”. Non è così! Gesù, pian piano, è entrato sempre di più nel mio cuore fino a invaderlo, fino a non lasciare più posto per la tristezza ma solo per la gioia, per un amore grande per la vita e anche i pensieri, a poco a poco, hanno preso un'altra forma, pensieri di gioia, di letizia, di lebertà, di amore, di perdono e misericordia».
E da quel momento don Francesco non chiede più la guarigione fisica, non sogna più la notte di alzarsi e camminare come tutti gli altri; chiede invece di amare la vita e sorridere, sorridere sempre e oggi sorridendo racconta a tutti: «La vita è straordinariamente bella. Non importa chi tu sei e come sei; importa cosa puoi diventare e cosa puoi fare. Ho dato la mia bocca a Gesù perchè possa continuare a parlare, consolare, confortare, correggere. Ho dato le mie mani a Gesù perchè possa continuare a tenderle verso l'uomo per afferrarlo e salvarlo».
Una testimonianza straordinaria che così si conclude: «Oggi sono un sacerdote felice e sereno, certo con successi e fallimenti, con virtù e purtroppo con vizi, ma pieno di vitalità ed energia, che lotta e si impegna per annunciare il Vangelo, parroco attualmente di una parrocchia di periferia, con solo quattrocento anime, pochissimi bambini e tanti anziani. Non ci facciamo mancare nulla, però. Abbiamo le attività di catechesi per bambini e adulti, le attività di oratorio, i musical, le visite agli anziani e ammalati, la Caritas parrocchiale. Allo stesso tempo, mi sento parroco del mondo. Infatti, mi piace utilizzare al meglio tutti i mezzi di comunicazione moderni. Ogni giorno ricevo diverse centinaia di richieste di preghiere o di consigli spirituali sui vari social. Vado in giro per le case di riposo e lì dove ci sono i disabili per portare l'abbraccio tenero e amorevole del Signore. Non posso fermarmi. Sono stato fermo per tanto tempo. Ora io devo andare lì dove c'è bisogno di fede, di speranza, di amore, di un sorriso. Ho dato i miei piedi a Gesù per andare, e lì dove non posso camminare, Lui mi mette le ali e io volo. Ho dato il mio cuore a Gesù e ora vedo ogni cosa e ogni fratello, dall'alto della croce. Oggi benedico la mia disabilità perchè la mia debolezza è diventata la forza più grande».


di Giovanni Terzi

FONTE: Libro "Eroi quotidiani"

lunedì 6 luglio 2020

La sfida di Tony: a 5 anni e senza gambe cammina per 10 km per raccogliere fondi per l’ospedale


A dispetto della sua giovane età, Tony Hudgell è un bambino molto forte. Appena nato, il piccolo originario di Kings Hill nel Kent, ha dovuto subire l’amputazione di entrambe le gambe come risultato degli abusi subiti dai suoi genitori. Adottato da una famiglia amorevole, Tony oggi ha cinque anni e cammina grazie a protesi e stampelle. Nonostante la sua giovanissima età, il piccolo dagli occhi scintillanti ha deciso di mettere al servizio dei meno fortunati questa ritrovata motilità. Tony infatti nella sua impresa ha camminato per ben 10 chilometri negli ultimi 30 giorni sulle sue protesi, raccogliendo un milione di sterline da donare al Sistema sanitario nazionale (Nhs). Ispirato dalla storia del capitano Tom, che a 99 anni si è messo a macinare chilometri per raccogliere milioni per la sanità britannica alle prese con l’emergenza coronavirus, il piccolo Tony ha deciso di fare anche lui la sua parte. La speciale raccolta fondi è destinata all’ospedale londinese che ha salvato la vita al piccolo Tony quando aveva solo 41 giorni di vita. L’obiettivo iniziale era di raccogliere 500 sterline, ma in poche settimane la raccolta ha superato ogni aspettativa arrivando a un milione di sterline.

Come famiglia siamo molto fieri di quello che Tony è riuscito a fare”, ha detto alla Bbc il padre adottivo di Tony, il signor Mark Hudgell, che è rimasto sorpreso dalla grande solidarietà che il figlio è riuscito a suscitare. Tony festeggerà il risultato con un piccolo party – con distanziamento sociale – insieme alla famiglia, alcuni amici e i rappresentanti dell’Evelina London Children’s Hospital.

Tony ha perso entrambe le gambe quando aveva poco più di un mese di vita dopo aver subito abusi fisici da parte dei suoi genitori biologici, che attualmente si trovano in carcere. Le lesioni hanno portato a sepsi e insufficienza multipla di organi e le sue condizioni erano così gravi che è stato necessario amputare entrambi gli arti all’altezza del ginocchio. A gennaio scorso i suoi genitori adottivi, Paula e Mark, gli hanno regalato delle protesi, che ha imparato ad un utilizzare durante i mesi di lockdown.



Dopo essere rimasto affascinato dall’impresa del capitano Tom Moore, ha deciso di provarci anche lui. Ha cominciato a camminare e nel giro di poche settimane ha raggiunto, tramite la raccolta fondi sul sito Just Giving, un obiettivo incredibile: l’incasso di oltre un milione di sterline da donare all’Evelina London Children’s Hospital di Lambeth, a Londra, l’ospedale che gli ha salvato la vita.


3 luglio 2020

FONTE: Business.it