venerdì 26 febbraio 2021

Anselmo, il 60enne mantovano che nella notte realizza bici per ragazzi con disabilità: “Ho fatto tandem a 3 ruote o con scivolo-cingolato”

Anselmo Sanguanini ogni mattina alle 3.30 si alza e si infila nel garage della sua villetta di Borgo Virgilio per lavorare il materiale a sua disposizione: fino ad oggi ha realizzato 250 bici speciali, definite da lui stesso "Diversamente Sta...Bili". Veicoli speciali che permettono a chi ha gravi disabilità di riuscire a pedalare o sentire l'aria fra i capelli: "Ognuna è realizzata in base alle disabilità del ragazzo. Chiedo solo un rimborso spese per l'acquisto di alcuni materiali, poi la manodopera me la pagano i ragazzi e il loro genitori con i sorrisi"

Ilaria ha 7 anni e l’aria fra i capelli, quella piacevole sensazione che si può provare semplicemente andando in bicicletta, non ha mai potuto sentirla. Per Ilaria, che vive nel milanese, nulla è semplice. È affetta da Sma, l’atrofia muscolare spinale, una malattia neuromuscolare rara che provoca debolezza progressiva agli arti inferiori e ai muscoli respiratori. Non ha forza nelle gambe, non riesce a camminare, tantomeno a pedalare. Vedeva gli altri bambini sorridere quando andavano in bicicletta. Le sarebbe piaciuto provare quella sensazione, liberare il suo sorriso con l’aria fra i capelli. Sembrava impossibile, ma non aveva fatto i conti con Anselmo, un 60enne mantovano che qualcuno ha già definito un realizzatore di sogni.

Come un moderno demiurgo, Anselmo Sanguanini ogni mattina alle 3 e 30 si alza e si infila nel garage della sua villetta di Borgo Virgilio, un paese in provincia di Mantova che ha dato i natali al poeta latino, e inizia a lavorare la materia a sua disposizione per dar forma ai sogni: pezzi di biciclette usate, malandate, vecchie, rottami a due ruote che nessuno usa più, quando passano fra le sue mani diventano veicoli speciali, in grado di far sorridere bambini e ragazzi affetti da gravi disabilità. Nel garage ci rimane fino all’ora di andare al lavoro, intorno alle 8, alla Lubiam di Mantova, una casa di moda dove fa il manutentore e dove tutti sanno qual è il suo hobby, che nel tempo è quasi diventato una missione. I colleghi per questo lo aiutano, procurandogli le biciclette da riadattare, ma anche i datori di lavoro gli danno una mano permettendogli di utilizzare alcuni dei macchinari che nel suo garage non possiede. Grazie ad Anselmo e alle sue bici speciali, definite da lui stesso “Diversamente Sta…Bili” fino ad oggi 250 ragazzi con disabilità sono tornati a pedalare o a provare l’ebbrezza di farsi scivolare l’aria fra i capelli.
Non c’è una bici uguale all’altra – spiega Anselmo a ilfattoquotidiano.it – perché ognuna è realizzata in base alle disabilità del ragazzo o della ragazza a cui è destinata. Ho realizzato tandem a tre ruote per ragazzi ipovedenti, bici con scivolo-cingolato che caricano carrozzelle, bici con motorino incorporato per accompagnare la pedalata di quei bambini che non riescono neppure a muovere un muscolo. Pensi che per realizzare il primo mezzo di questo tipo mi sono recato in un grande negozio di giocattoli di Mantova e ho chiesto di poter smontare una macchinina elettrica, per capirne il funzionamento e replicarlo con un motorino da mettere sulla bicicletta. Me l’hanno fatto fare”. Tutto quello che fa Anselmo ha un costo, ma non c’è guadagno: “Chiedo solo un rimborso spese per l’acquisto di alcuni materiali, come selle o copertoni, poi la manodopera me la pagano i ragazzi e il loro genitori con i sorrisi che vedo sui loro volti una volta che salgono sulla bicicletta e iniziano a pedalare o a farsi trasportare”.

Tutto è iniziato più di dodici anni fa. Anselmo ha un figlio, Francesco, disabile non verbale, che oggi ha 27 anni e la prima bicicletta "Diversamente Stabile" l’artigiano mantovano l’ha costruita proprio per lui: “I nostri ragazzi speciali – confessa Anselmo – finché sono bambini giocano con tutti indistintamente, senza problemi. Poi crescono e si rendono conto che non possono fare le stesse cose che fanno gli altri. Andare in bici, per molti di loro, è una di queste cose. Permettergli di farlo, realizzando un mezzo adatto alle loro necessità, mi creda, per loro è una grande conquista e per me una gioia che faccio fatica a descrivere. Si commuove, Anselmo, mentre racconta queste cose.
Dopo la prima bicicletta speciale realizzata per il figlio, una tre ruote di un bell’azzurro sgargiante con tanto di nome, ne sono arrivate molte altre e tutto grazie al passaparola: “Negli ambienti che frequentiamo con i nostri ragazzi – spiega – e mi riferisco a centri diurni per disabili, piuttosto che strutture per la fisioterapia, logopedia e molte altre ancora, ci capita di entrare in contatto con molte persone che stanno affrontando le nostre stesse difficoltà. In quegli ambienti la voce che io facevo biciclette un po’ particolari si è diffusa man mano e sono iniziate ad arrivarmi sempre più richieste da tutta Italia”. Anselmo, nonostante le difficoltà create dal Covid per gli spostamenti e i trasporti, continua a lavorare e ha una lunga lista d’attesa: “Attualmente – racconta – sto finendo di realizzare una bicicletta per una bimba romana di 7 anni in carrozzina. Per lei ho realizzato una bicicletta con due ruote davanti e una pedana alta 12 centimetri da terra. Ma ne ho altre tre in coda…”.

Intorno al mondo di Anselmo, si è generato spontaneamente un movimento di solidarietà sempre più ampio: c’è chi ordina una bici per il proprio figlio e paga il materiale anche per le famiglie dei ragazzi che non possono permetterselo, c’è anche chi organizza eventi per raccogliere fondi. E di questo movimento solidale fanno parte anche alcuni autotrasportatori che per lavoro si recano nel mantovano e, gratuitamente, caricano le biciclette di quei ragazzi che vivono al centro e al sud e gliele fanno arrivare a domicilio. Tra poco Anselmo andrà in pensione e allora chissà quante altre bici "Diversamente Sta…Bili" potrà realizzare, chissà quanti desideri potrà esaudire: “Per il momento non ci penso – conclude – e continuo ad alzarmi alle 3… Magari continuerò a farlo anche quando non dovrò più andare al lavoro, avrò più tempo per lavorare alle mie biciclette”.


di Emanuele Salvato

17 febbraio 2021

FONTE: il Fatto Quotidiano

lunedì 22 febbraio 2021

Un tassista dal cuore d'oro: percorre 1300 km per accompagnare una bimba ad una visita medica

Un tassista romano ha effettuato una corsa solidale di circa 1300 chilometri per accompagnare una bambina calabrese ad un'importante visita medica presso l'ospedale Bambino Gesù.

UN VIAGGIO DI 1330 CHILOMETRI CON IL TAXI PER AIUTARE UNA BIMBA MALATA DI CANCRO

La solidarietà non conosce distanze e non si ferma neanche durante l'emergenza Coronavirus. Lo sa bene Alessandro Bellantoni, tassista da quindici anni, che in pieno lockdown è andato da Roma a Vibo Valentia e ritorno per aiutare una bambina calabrese di tre anni affetta da un cancro.
Alessandro conosceva già le difficoltà della famiglia e sapeva che la piccola dopo alcuni pesanti cicli di chemioterapia, avrebbe dovuto effettuare una visita di controllo all'ospedale Bambino Gesù di Roma. Così, dopo aver raccolto tutte le autorizzazioni necessarie per lo spostamento, il 28 Aprile scorso Bellantoni è partito da Roma alla volta di Vibo Valentia. Durante il viaggio si è fermato per una breve sosta in autogrill e in quell'occasione le Forze dell'Ordine hanno chiesto al tassista spiegazioni; dopo aver appreso il nobile motivo della corsa, gli agenti hanno voluto offrire al giovane un caffè.

CON IL TAXI ALESSANDRO AIUTA ANCHE ALTRE PERSONE IN DIFFICOLTA'

Il tassista è arrivato in Calabria in serata e dopo una rapida cena e una breve siesta, verso mezzanotte è ripartito portando con sé la bambina e la sua mamma; Alle 7.30 del mattino il gruppo si trovava già davanti all'ospedale romano. Secondo le parole dello stesso Alessandro: “La visita è andata bene. La piccola è davvero forte ed il controllo ha dato i risultati che i genitori speravano”.
Questa tuttavia non è l'unica bellissima iniziativa solidale di cui Alessandro si è reso protagonista. Durante la fase 1 del Covid 19 il giovane ha lanciato il progetto "Taxi col sorriso" per permettere brevi uscite alle persone affette da disabilità intellettiva, che più degli altri patiscono il regime di contenimento causato dalla pandemia. Alessandro, insieme anche ad altri colleghi, regala rilassanti giri in taxi della durata di mezz'ora nella speranza che la bellissima vista della Capitale possa restituire alle famiglie un soffio di spensieratezza.

12 maggio 2020

FONTE: Mamme.it


Splendida storia che riporto con molto piacere tra le pagine di questo blog. Tra l'altro, ci tengo a sottolinearlo, Alessandro Bellantoni è stato insignito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere al merito della Repubblica nel 2020, assieme ad altre 56 persone, per essersi “particolarmente distinto nel servizio alla comunità durante l’emergenza del coronavirus” (vedi articolo). Un riconoscimento bellissimo, che fa davvero onore a quest'uomo, tra l'altro padre di una ragazza disabile.
Grazie per tutto, Alessandro!

Marco

domenica 21 febbraio 2021

Sacerdoti in corsia nei reparti Covid. Il conforto dei Sacramenti e una parola di speranza

I racconti dei sacerdoti impegnati in servizio nei reparti ospedalieri Covid raccolti dal giornale diocesano "La Libertà" di Reggio Emilia-Guastalla. Sono una ventina in tutto i preti che hanno chiesto e ottenuto di entrare nei reparti Covid per portare il conforto dei sacramenti e una parola di speranza negli ospedali di Reggio Emilia, Guastalla e Scandiano. Un segno di consolazione divenuto concreto grazie a una convenzione firmata dal direttore generale dell’Ausl-Irccs di Reggio Emilia Cristina Marchesi e dal pastore della Chiesa reggiano-guastallese Massimo Camisasca

A volte basta poco per cambiare l’umore di qualcuno. Più volte colgo in me il forte desiderio di poter fare tutto il possibile per rendere gli altri contenti; anche aiutando a vedere la stessa realtà ma con l’ottimismo di chi il bicchiere lo vede mezzo pieno, anziché mezzo vuoto. È prevalso il tempo trascorso nelle camere fra un malato e l’altro, soprattutto per ascoltare i loro racconti; sedersi accanto (nella distanza di sicurezza concessa) per immergersi nei loro ricordi e passioni, essere coinvolti dai loro sogni, desideri e progetti, ma anche condividere e giustificare le loro paure e fatiche. In quei momenti mi è stato concesso di essere una presenza importante mandata dalla Provvidenza; un vero e proprio strumento del Signore inviato lì per infondere calore e per garantire a quel malato il sostegno donato da una presenza umana e divina insieme”. Con queste parole don Giuliano commenta sul giornale diocesano di Reggio Emilia-Guastalla, “La Libertà ”, il suo servizio in un reparto ospedaliero Covid.

Nulla di speciale, in fondo: prendersi cura di un bisognoso ci permette di sperimentare quanto nel Vangelo ci viene raccontato del buon samaritano: modello di vita da fare nostro sempre, al di là di ogni nostra specifica vocazione”, aggiunge il sacerdote, che è collaboratore nell’unità pastorale "Regina della Pace" di Casalgrande e Salvaterra (Reggio Emilia). E come don Giuliano ci sono altri presbiteri, una ventina in tutto, che hanno chiesto e ottenuto di entrare nei reparti Covid per portare il conforto dei sacramenti e una parola di speranza negli ospedali di Reggio Emilia, Guastalla e Scandiano:

6 giorni su 7, con turni dalle 13 alle 20, nella più rigorosa osservanza dei controlli a cui essi per primi si sottopongono e nel rispetto della libertà di coscienza dei cittadini. Un segno di consolazione divenuto concreto grazie a una convenzione firmata dal direttore generale dell’Ausl-Irccs di Reggio Emilia Cristina Marchesi e dal pastore della Chiesa reggiano-guastallese Massimo Camisasca.

È stata ed è per me una priorità in questo tempo di Coronavirus, sia durante la prima che la seconda ondata della pandemia, assicurare la presenza di sacerdoti all’interno degli ospedali”, afferma mons. Camisasca. E aggiunge:

Garantire la vicinanza di un prete a chi è gravemente malato o sta morendo è la più alta forma di carità che la Chiesa possa esprimere. Accompagnare chi muore all’ultimo passo è il dono più importante che possiamo fare ai nostri fratelli. Non c’è infatti solitudine più grande di quella della morte. La presenza del sacerdote alimenta la speranza che l’incontro con Dio sia un incontro vitale, rappresenti l’inizio di una nuova vita”.

L’idea iniziale, maturata anche grazie alla testimonianza di don Alberto Debbi, pneumologo tuttora operante a chiamata presso l’Ospedale di Sassuolo, ha incontrato l’appoggio dei vertici dell’Ausl-Irccs. Sono seguite, da parte della Chiesa diocesana, le richieste di disponibilità ai sacerdoti, individuando come potenzialmente idonei quelli di età inferiore ai 60 anni. Quanti hanno risposto all’appello hanno subito intrapreso un cammino di formazione online; insieme ai preti disponibili, agli incontri preparatori partecipano sia funzionari dell’Azienda sanitaria, che ne curano l’addestramento, sia membri di un’équipe diocesana, che offre un percorso di sostegno.
Offrire un supporto psicologico e spirituale – sottolinea mons. Alberto Nicelli, vicario generale – può costituire un sollievo in primo luogo per i malati; la presenza dei sacerdoti dà poi sostegno alla loro comunicazione, attraverso telefoni e tablet, con i familiari lontani; rappresenta altresì un aiuto al personale medico-sanitario, affaticato e spesso provato in prima persona dal virus”.

Azienda sanitaria e diocesi hanno condiviso la consapevolezza che l’assistenza spirituale può essere in tantissimi casi un “quid” che si aggiunge alle competenze scientifiche e all’azione terapeutica.


di Edoardo Tincani

13 febbraio 2021

FONTE: La difesa del popolo

mercoledì 17 febbraio 2021

Napoli, la storia di Antonio: «Così il mio nipotino autistico mi ha salvato dalla criminalità»

Il cognome è di quelli che in certi ambienti criminali incutono ancora timore. Antonio Macor, 53 anni, 25 trascorsi in carcere per vari reati - tra cui l'omicidio di un affiliato a un clan del centro storico che insidiava la sorella - ha lottato per lasciarsi alle spalle il passato e per ricominciare una nuova vita. Gli alleati più importanti nella lotta disperata il riscatto sono stati l'amore della sua famiglia e Genny, il nipote di 18 anni affetto fin dall'età di tre anni da una grave forma di autismo.

Quando le porte del carcere si sono aperte dopo quasi un quarto di secolo per Antonio non c'era nulla. Nessun percorso di reinserimento sociale e nessuna speranza per il futuro. Anzi, la probabilità che Antonio precipitasse di nuovo nella spirale di criminalità e violenza era concreta. Per i detenuti che ritornano alla libertà dopo lunghe pene detentive, infatti, i processi di redenzione sono complicati quando non addirittura impossibili. E lo stesso Macor racconta come, dopo la lunghissima detenzione, vari esponenti di clan del centro storico lo abbiano avvicinato per affidargli la gestione di attività illecite. Offerte che Antonio ha respinto con decisione. L'uomo, infatti, aveva un poderoso asso nella manica, suo nipote Genny.

«Io e Genny abbiamo un rapporto speciale - spiega trattenendo a stento la commozione - lui ha enormi difficoltà ad esprimersi, ma tra noi basta un'occhiata per intenderci alla grande. Passiamo le nostre giornate giocando insieme e io cerco di fargli sentire tutto il mio amore. La stessa cosa che lui fa con me. È stato proprio lui - prosegue Antonio - che mi ha spinto a cambiare vita nonostante le difficoltà che viviamo ogni giorno a vivere in una città dove per gli ex detenuti, anche per quelli che in buona fede vorrebbero rifarsi una vita, non c'è nulla».

Antonio non parla volentieri del suo passato ma, dopo una comprensibile diffidenza iniziale, diventa un fiume in piena: «Ho fatto male, tanto male - spiega - e i 25 anni passati dietro le sbarre mi hanno fatto riflettere molto. Purtroppo per chi come me nasce in quartieri poveri e privi di sbocchi la probabilità di finire in certi giri è molto alta. Ho chiesto e chiedo scusa a tutti per i miei errori e sono fermamente intenzionato a non sbagliare più. È vero che mi arrangio lavorando qui e là per vivere onestamente, ma io vivo per Genny e sono contento così. Ora il mio più grande sogno è sentirlo parlare per la prima volta. Mi auguro un giorno di sentirgli dire: ti voglio bene, nonno».

Per tante famiglie la malattia di Genny sarebbe una tragedia difficile da superare. Per Antonio e la sua famiglia, invece, è stata un'opportunità di riscatto. «Se oggi sono qui a parlare è solo grazie a lui. Probabilmente sarei ritornato in certi ambienti e tutti sanno qual è la fine che fanno i camorristi: ammazzati o all'ergastolo. Io invece ho avuto un dono, quello di un nipote che mi ama con tutte le sue forze e che mi dà ogni giorno una ragione per vivere».

Tanti i problemi che la famiglia Macor ha dovuto affrontare e affronta quotidianamente per Genny. A cominciare dalla carenza di strutture e da una burocrazia troppe volte farraginosa che non sempre riesce a dare le risposte giuste a famiglie bisognose di un aiuto concreto. «Stiamo lottando e continueremo a lottare per dare a Genny e per i tantissimi ragazzi come lui a cui ancora oggi certe opportunità sono negate - spiega Antonio - Anche in questo quartiere ci sono tantissimi spazi inutilizzati che potrebbero essere destinati ad attività per i ragazzi autistici. L'appello che rivolgiamo alle istituzioni è quello di ascoltare le famiglie che vivono questo disagio e di fare qualcosa. Noi stiamo cercando di dare vita a un'associazione dedicata a Genny e a tutti i ragazzi autistici della città, ci stiamo mettendo il massimo impegno e speriamo nell'aiuto delle nostre istituzioni».

Antonio e la sua famiglia vivono a vico San Severino, nel cuore del centro storico, luogo di intenso traffico turistico. A due passi dall'abitazione della famiglia Macor nel 1974 furono girate alcune scene del film “I Guappi” di Pasquale Squitieri. Un luogo ricco di storia che si potrebbe rivalutare anche per offrire un'opportunità a famiglie che cercano un riscatto sociale attraverso il lavoro e la storia e la cultura della nostra città. «Sarebbe bellissimo - chiosa Antonio - se qui si potessero realizzare iniziative culturali. Gli spazi ci sono, la volontà pure. Sarebbe un bellissimo biglietto da visita anche per i turisti che ogni giorno passano di qui per andare ai Decumani, oltre che un'opportunità di lavoro per tante persone che hanno riconosciuto i propri errori e sono decisi a cambiare strada».


di Antonio Folle

29 agosto 2019

FONTE. Il Mattino

martedì 16 febbraio 2021

La storia di Gian Carlos: il piccolo guerriero che realizza portachiavi per curarsi

Questa è la storia di un bambino messicano che ha deciso di sconfiggere la sua malattia impegnandosi in prima persona per guadagnare i soldi necessari a pagarsi le cure.

La storia di Gian Carlos, un piccolo bambino originario del Messico e malato di cancro, sta commuovendo migliaia di persone in tutto il mondo. Da circa tre anni, il piccolo Gian Carlos sta combattendo la sua battaglia per la vita, ma le cure per debellare il tumore che l'ha colpito sono molto costose e così i suoi genitori riescono a far fronte solo ad una parte delle spese necessarie. Carlos non si arrende, anzi è lui stesso a prendere in mano la situazione e decidere che è arrivato il momento di aiutare i suoi genitori a trovare i soldi necessari per pagarsi le cure di cui ha bisogno.
Partendo da alcuni suoi disegni, decide di realizzare dei bellissimi portachiavi tutti colorati e venderli.

GIAN CARLOS: LA SOLIDARIETA' ARRIVA DAL WEB

Grazie ai suoi genitori che su una pagina Facebook dedicata al figlio e costantemente aggiornata sull'andamento delle cure, Gian Carlos riesce a far conoscere al pubblico i suoi portachiavi e venderli.
La solidarietà delle persone non si fa certo attendere e in breve tempo iniziano ad arrivare richieste di acquisto, nonché migliaia di donazioni in grado di aiutare la famiglia del bambino a sostenere le costosissime cure cui Carlos dovrà sottoporsi per diverso tempo ancora.
La solidarietà arriva non solo dalla gente comune, ma anche da diversi personaggi famosi che grazie alle donazioni di oggetti da mettere all'asta hanno contribuito non poco alla raccolta fondi. Anche una compagnia Facebook, la Donartex, ha dato una mano a Gian Carlos, invitandolo insieme ai suoi genitori a partecipare ad un laboratorio per migliorare le tecniche di realizzazione dei portachiavi, nonché regalandogli una serie di portachiavi di Vip da vendere sulla sua pagina social.
Ora non resta che augurare ogni bene al piccolo Gian Carlos.


17 settembre 2019

FONTE: Mamme.it

domenica 14 febbraio 2021

Lettera di Sant’Agostino all’uomo per amare una donna per sempre

Giovane amico, se ami questo è il miracolo della vita.

Entra nel sogno con occhi aperti e vivilo con amore fermo.

Il sogno non vissuto è una stella da lasciare in cielo.

Ama la tua donna senza chiedere altro all’infuori dell’eterna domanda che fa vivere di nostalgia i vecchi cuori.

Ma ricordati che più ti amerà e meno te lo saprà dire. Guardala negli occhi affinché le dita si vincolino con il disperato desiderio di unirsi ancora; e le mani e gli occhi dicano le sicure promesse del vostro domani. Ma ricorda ancora, che se i corpi si riflettono negli occhi, le anime si vedono nelle sventure.

Non sentirti umiliato nel riconoscere una sua qualità che non possiedi.

Non crederti superiore poiché solo la vita dirà la vostra diversa sventura.

Non imporre la tua volontà a parole, ma soltanto con l’esempio.

Questa sposa, tua compagna di quell’ignoto cammino che è la vita, amala e difendila, poiché domani ti potrà essere di rifugio.

E sii sincero giovane amico, se l’amore sarà forte ogni destino vi farà sorridere.

Amala come il sole che invochi al mattino.

Rispettala come un fiore che aspetta la luce dell’amore.

Sii questo per lei, e poiché questo deve essere lei per te, ringraziate insieme Dio, che vi ha concesso la grazia più luminosa della vita!


(S. Agostino)

sabato 13 febbraio 2021

Riccardo e Barbara, coppia di sposi missionari che vive insieme ai più fragili

Riccardo Rossi e Barbara Occhipinti hanno scelto di impegnarsi per le oltre 1.100 persone accolte nella Missione Speranza e Carità fondata da Biagio Conte a Palermo, con un'attenzione particolare alla cura della comunicazione sociale. Con il progetto "Ponti di bene" aiutano i poveri a trovare occupazione

PALERMO - Sono impegnati e sensibili verso i bisogni delle oltre 1.100 persone accolte nella Missione Speranza e Carità fondata da Biagio Conte a Palermo e con un'attenzione particolare alla cura della comunicazione sociale. Sono Riccardo Rossi e Barbara Occhipinti, la prima coppia di sposi che ha scelto di vivere in spirito missionario lasciando alle spalle la vita precedente. Da poco sono tornati da un viaggio nel nord Italia per portare avanti il progetto "Ponti di bene", pensato per favorire lo scambio e il trasferimento delle persone con fragilità da Sud a Nord in altri luoghi di accoglienza per poter trovare anche una occupazione lavorativa.
"Siamo appena tornati dal viaggio 'Ponti di bene' che ci ha permesso di conoscere parecchie realtà dove i nostri fratelli in povertà potrebbero trovare per un determinato periodo accoglienza e lavoro - spiega Riccardo -. L'obiettivo è quello di favorire scambi di bene e nello stesso tempo di creare una rete di servizi nazionale tra le realtà missionarie. Grazie ai primi contatti è già partito dalla missione il nostro primo fratello per un centro della Toscana".
"Io e Barbara siamo la prima coppia, la prima famiglia missionaria che ha deciso di fare questo cammino terziario che è previsto dallo statuto della Missione - dice ancora Riccardo -. In Missione siamo continuamente a servizio per tutti. In particolare, organizziamo e stampiamo il periodico La Speranza, seguiamo anche una piccola squadra di calcio di giovani immigrati e poi siamo impegnati a promuovere tutte le iniziative sociali e di solidarietà che ci sono".

"Come coppia, per noi è importante lavorare insieme - aggiunge Barbara -. Siamo continuamente immersi nelle fragilità di ogni tipo dove muoversi non è facile perché ci sono persone che hanno vissuto drammi e sofferenze diverse. La prima cosa da fare è cercare di trasmettere quella fiducia e quella motivazione necessaria che porta la persona, in forte stato di fragilità, a rinascere a poco a poco. La fatica è tanta ma la possibilità di ridare loro la dignità che meritano ci dà tanta gioia, energia e coraggio di andare avanti. Con 'Ponti di bene', in particolare dopo un viaggio di 15 giorni, ci stiamo impegnando molto per riuscire a creare una rete che favorisca la mobilità dei poveri e lo scambio di esperienze di servizio e di lavoro da Sud a Nord".
Riccardo Rossi è di Napoli ha 50 anni e per 10 anni ha lavorato come giornalista per diverse realtà ambientaliste e politiche. Un mondo da cui a poco a poco si è allontanato. "Dopo una conversione ai Valori Cristiani non mi sono più riconosciuto in quello che facevo - racconta -. Sono entrato, infatti, in una crisi depressiva allontanandomi da un mondo che mi appariva troppo superficiale e non ancorato alla verità". "Purtroppo ho avuto problemi familiari molto seri legati soprattutto alla grande sofferenza di avere un fratello tossicodipendente. Dopo quindi un periodo di ricerca interiore, grazie ad alcune persone che mi hanno preso per mano, ho deciso di vivere da missionario nella casa famiglia 'Oasi la divina provvidenza' per disabili mentali e fisici di Pedara (Ct) dove sono stato 15 anni, di cui gli ultimi due anni con Barbara. Per lungo tempo sono stato le braccia e le gambe di tante persone sofferenti alcune delle quali con malattie terminali che ho accompagnato anche alla morte".

"Dopo 5 anni che vivevo nella comunità di Pedara ho conosciuto a Palermo Biagio Conte con cui è nata subito una grande sintonia di fede, di pensiero e di azione - racconta ancora -. Essendo un giornalista mi ha proposto di coordinare all'inizio a distanza il periodico della Missione 'La speranza'. In Missione ho conosciuto Barbara con cui è nata a poco a poco un'intesa di progetto di vita molto forte che oggi ci impegna insieme - tanto che le ho chiesto di sposarmi e di vivere insieme nella comunità di Pedara (Ct) con oltre 100 persone". "Poi, un anno fa, quando Biagio ha protestato digiunando e dormendo sotto i portici della Posta centrale di Palermo, ho deciso di stargli a fianco dormendo anch'io in strada per 10 giorni con lui. Dopo questa esperienza straordinaria confrontandomi con Barbara è nato il desidero di fare insieme il grande salto di andare a vivere in Missione. Oggi siamo riusciti ad avere una stanza presso la Casa del Vangelo a Chiavelli fondata padre Palcido Rivilli molto vicino al beato Pino Puglisi".

Barbara Occhipinti, 48 anni, originaria di Ragusa, ha vissuto, invece, per molti anni da sola a Palermo dove ha studiato architettura e lavorato come arredatrice. "Nella mia vita ho sempre sentito il bisogno forte di mettermi a servizio di chi era più fragile - racconta -. Dopo la morte prematura del mio caro amico Toti che è andato via senza avere vicino i suoi amici più cari, ho riflettuto molto sul senso pieno e più profondo che dovevamo dare alla nostra vita che non poteva essere soddisfatta soltanto dal lavoro e dai piaceri personali". Anche a lei la conoscenza del missionario Biagio Conte ha cambiato completamente la vita. "Dopo avere conosciuto Biagio, a poco a poco è cresciuto sempre di più il desiderio di spendermi come volontaria per i tanti bisogni della Missione. Per lungo tempo ho partecipato all'unità di strada notturna per l'assistenza di chi vive in strada, toccando con mano la fragilità e povertà più disperata".

"La conoscenza poi di Riccardo mi ha fatto capire che proprio la Missione sarebbe stata l'anello di congiunzione della nostra vita insieme. Così con fede e con coraggio, dopo avere perso il lavoro, non ne ho cercato un altro ma mi sono lanciata nella scelta di camminare insieme a Riccardo dedicandomi alla casa dei più fragili dove già viveva. In questo nostra scelta di vivere insieme a Pedara Biagio ci ha benedetto e sempre sostenuto. Ci siamo sposati il 12 febbraio di tre anni fa per il compleanno proprio del mio amico Toti. Quasi un anno fa, poi, dopo l'ultima protesta in strada di fratello Biagio, che abbiamo sostenuto in vario modo con tutte le nostre forze umane e spirituali, abbiamo deciso di trasferirci a Palermo per vivere a servizio dei poveri della Missione". (set)


20 febbraio 2019

FONTE: La difesa del popolo

giovedì 11 febbraio 2021

Lavoratori donano la tredicesima alla Fondazione "Rava": così saranno offerti 60mila pasti in sette regioni

I dipendenti di EcoEridania hanno donato parte della loro tredicesima alla Fondazione "Francesca Rava" che ora potrà offrire 60mila pasti alle persone bisognose in 12 città. La distribuzione prevede 180mila portate e avviene grazie alla collaborazione di Eataly

Un piccolo, grande gesto in favore dei più deboli che mai come quest’anno di emergenza sanitaria ed economica ha aumentato il numero dei nuovi poveri. È quello che arriva dai dipendenti del gruppo EcoEridania che hanno rinunciato a parte della tredicesima per consentire alla Fondazione "Francesca Rava" di offrire oltre 60mila pasti alle persone bisognose, in 12 città di sette regioni, sino a capodanno.

I pasti

I pasti avranno la qualità garantita da Eataly e la distribuzione è garantita da una rete di 23 enti, che tutto l’anno lavorano per assicurare pasti ai poveri e, adesso, potranno servirne altre 180mila portate calde. «Nel 2020 la Fondazione “Francesca Rava” ha compiuto 20 anni ed è molto bello che possiamo festeggiare il nostro anniversario, aggiungendo a Natale 60mila posti alla simbolica tavola della vita — racconta Mariavittoria Rava, presidente Fondazione “Francesca Rava” N.P.H. Italia Onlus — in queste feste in cui molte famiglie non potranno rivedersi, saremo vicini a tante persone che soffrono e che sono sole. Grazie di cuore al Gruppo EcoEridania e al gesto generoso dei suoi dipendenti e collaboratori che ci permettono di portare l’eccellenza di Eataly per una festa ancora più grande per tutti».

La distribuzione

La distribuzione è già partita in diverse citta d’Italia da Milano a Genova passando per Piacenza, Reggio Emilia, Bologna, Forlì e Bari. «Per noi è davvero importante far star bene chi ha davvero bisogno — aggiunge Andrea Giustini, presidente del Gruppo EcoEridania — Per pensare a questo servivano dei professionisti perché non solo volevamo farli mangiare, volevamo soprattutto farli mangiare molto bene e per questo ho pensato alla famiglia Farinetti, all’eccellenza di Eataly e grazie a loro ed alla Fondazione “Francesca Rava” siamo riusciti a mettere in piedi il più grande catering d’Italia». Uno gioco di squadra condiviso nel segno della beneficienza. «Abbiamo dato un importante contributo in termini logistici e di know-how, creando pasti di vera qualità — spiega Nicola Farinetti, amministratore delegato di Eataly — e portiamo le nostre ricette semplici e tradizionali. Sono preparate con ingredienti italiani di alta qualità sulle tavole delle mense di tutta Italia che durante queste feste possiamo raggiungere attraverso il lavoro della Fondazione “Francesca Rava” e ringraziamo il gruppo EcoEridania per averci dato l’opportunità di fare la nostra parte in questa bella iniziativa».


di Alessio Ribaudo

27 dicembre 2020

FONTE: Corriere della Sera

martedì 9 febbraio 2021

“Ti auguro di vivere”:


Ti auguro di vivere

senza lasciarti comprare dal denaro.

Ti auguro di vivere

senza marca, senza etichetta,

senza distinzione,

senza altro nome

che quello di uomo.

Ti auguro di vivere

senza rendere nessuno tua vittima.

Ti auguro di vivere

senza sospettare o condannare

nemmeno a fior di labbra.

Ti auguro di vivere in un mondo

dove ognuno abbia il diritto

di diventare tuo fratello

e farsi tuo prossimo.



Jean Debruynne


lunedì 8 febbraio 2021

Matera, trova portafogli e lo restituisce: proprietario gli regala tutta la somma contenuta

Un ragazzo di venti anni, originario della Nigeria e lavoratore part time nel capoluogo di provincia lucano, si è imbattuto nel portafogli mentre camminava in strada. Il ventenne non ci ha pensato su due volte e ha portato l’oggetto pieno di banconote in Questura dove grazie ai documenti contenuti all’interno sono riusciti a rintracciare il legittimo proprietario che ha deciso di ringraziare il ventenne in maniera molto tangibile.

I buoni gesti vengono ripagati, lo dimostra la storia di un giovane immigrato nigeriano residente in Italia che dopo aver restituito un portafogli trovato in strada al legittimo proprietario si è visto ringraziare da quest'ultimo con l'intera somma contenuta all'interno. Scenario della storia a lieto fine per entrambi i protagonisti è Matera. Qui infatti lo scorso lunedì il giovane, un ragazzo di venti anni originario della Nigeria e lavoratore part time nel capoluogo di provincia lucano, si è imbattuto nel portafogli mentre camminava in strada. Il ventenne non ci ha pensato su due volte e ha portato l'oggetto pieno di banconote in Questura dove grazie ai documenti contenuti all'interno sono riusciti a rintracciare il legittimo proprietario, un ingegnere romano con interessi lavorativi a Matera.

L'uomo, che credeva ormai di aver perso tutto compresi documenti importanti e diverse carte di credito, è stato così felice del ritrovamento che ha deciso di ringraziare il ventenne in maniera molto tangibile consegnandogli tutto il denaro contante che era nel portafogli, 155 euro in banconote. Lo scambio è avvenuto nei locali del stessa Questura di Matera alla presenza del Questore che si è voluto personalmente complimentare con il giovane per l'alto senso civico del suo gesto. A raccontare la storia infatti è stata proprio la Questura lucana.

"Protagonista di un bel gesto compiuto a Matera è un giovane immigrato dalla Nigeria di 20 anni, che qui risiede e lavora per un ristorante del luogo effettuando consegne a domicilio. Lo scorso lunedì pomeriggio il giovane si è recato in Questura, ma non per consegnare alimenti bensì un portafogli che aveva appena rinvenuto in questa via Nazionale. All’interno c'erano 155 euro in contanti, 5 carte di credito e alcuni documenti personali" raccontato dalla Questura, aggiungendo: "Il proprietario ha voluto rendere tangibile la sua gratitudine regalando al ragazzo l’intera somma contenuta nel portafogli. Spesso le buone azioni non fanno notizia mentre è importante dare anche a loro spazio per il valore di esempio che hanno".


di Antonio Palma

27 gennaio 2021

FONTE: Fanpage

In Langa il medico che combatte la paura da Coronavirus in sella alla sua Ambra

“I miei assistiti sono preoccupati per questa pandemia ma arrivando con la mia cavalla è come se facessi una mini pet therapy anti panico da Covid-19”

Tra i tanti effetti collaterali che ha questa terribile pandemia da Covid-19, c’è anche quello della paura, dell’incertezza su come comportarsi e anche la preoccupazione di non riconoscere in tempo i sintomi in noi stessi e nei nostri familiari. Per questo arrivare dai miei assistiti, spesso preoccupati, con la mia cavalla Ambra, è un modo per stemperare la tensione, rasserenare almeno per un attimo gli animi in questo brutto periodo. Del resto i cavalli sono stati tra i primi animali ad essere utilizzati con successo nella pet therapy, quasi come un calmante naturale”.

A dirlo è il medico di base Roberto Anfosso, mille e 200 persone delle quali prendersi cura, la cui età media supera i settanta anni e spesso va oltre i cento. Da loro, tra La Morra e Verduno, il medico Anfosso si reca al galoppo, ossia in sella alla sua bella cavalla Ambra.

Ormai i miei pazienti sono abituati a vedermi arrivare a cavallo e soprattutto in questo periodo così difficile, dove a dominare è l’incertezza, noto che sono più sereni, perché identificano questo mio modo antico di muovermi con la volontà di voler dedicare loro più tempo e si sentono gratificati”.

Il Coronavirus è arrivato anche sulle belle colline di Langa?

Purtroppo sì. Ad ora ho avuto una paziente di novanta anni e un uomo sui sessanta deceduti per Covid-19, più altre persone in quarantena. Nonostante l’isolamento naturale di queste aree, la pandemia, anche se in maniera inferiore, ha bussato alla porta di queste cascine”.

Come è cambiato il suo lavoro?

Già prima facevo molte visite a domicilio, proprio per agevolare gli assistiti che hanno difficoltà a muoversi per venire in ambulatorio. Per questo ho tutti gli strumenti di cui ho bisogno nelle due bisacce portate da Ambra. In questo periodo, però ho un abbigliamento anti Covid19, ossia oltre a guanti e mascherina, utilizzo un camice monouso che dopo ogni visita butto via. Ma la diversità maggiore è ciò che succede prima delle visite a domicilio: ogni giorno ricevo dalle cinquanta alle settanta telefonate da parte di assistiti preoccupati ed impauriti per quello che sta accadendo, timorosi di essere stati contagiati e anche molto preoccupati per familiari ed amici infetti, per le loro condizioni di salute. Io tranquillizzo tutti, passo a domicilio anche se non richiesto e con la mia Ambra cerco di stemperare la tensione”.

Ambra è sempre contenta di farle da assistente?

“Assolutamente sì. Ormai conosce la strada e da chi visitiamo di più ci arriva senza le mie indicazioni. L’importante è iniziare bene la mattina
.

Cioè?

Per svegliarla devo arrivare da lei piano, accarezzarla per qualche minuto e darle il suo zuccherino. Solo dopo tutto questo nostro rito, Ambra mi fa un cenno di saluto con il muso e capisco che è pronta per le visite a domicilio dei nostri pazienti che ormai ci considerano una equipe che oltre ai farmaci porta anche sorrisi. E in questo periodo ne abbiamo tutti bisogno”.


30 aprile 2020

FONTE: La Voce di Alba

giovedì 4 febbraio 2021

Inaugurato a Rimini Hotel per i senzatetto

La benedizione del Vescovo, gli interventi del sindaco Gnassi e del vicesindaco Lisi

È stato firmato un contratto d’affitto per tre anni con la famiglia Angeli, di Torre Pedrera. Caritas ha partecipato all’istruttoria pubblica del Comune di Rimini, in merito al Progetto PAA 2020 “Accoglienza h24 per persone in condizione di marginalità estrema e senza fissa dimora legato all’emergenza Covid-19”. L’Amministrazione mette a disposizione un contributo di circa 55.000 euro, fino al 30 giugno 2021. Caritas si è iscritta all’Aia (Associazione Italiana Albergatori).

Locanda 3 Angeli non è un hotel Caritas o un albergo dei poveri ma una ‘locanda della comunità’. - ha spiegato Mario Galasso, direttore della Caritas Diocesana – È la locanda del Buon Samaritano di cui si parla nel Vangelo, sono i tre angeli che – accolti da Abramo e Sara alle querce di Mamre – porteranno la lieta notizia della nascita miracolosa del figlio Isacco. Questo progetto – ha proseguito Galasso – è un sogno partito da lontano, e condiviso con associazioni e Comune di Rimini. L’emergenza sanitaria ha modificato le nostre vite, anche quelle delle persone che vivono sulla strada. Erano e restano sole e deboli, con il rischio – durante la pandemia – di diventare ancora più sole. Locanda 3 Angeli accoglie in sicurezza le persone senza dimora”.

Grazie a voi per aver pensato a noi” è stato il commosso saluto di Ada Pronti Angeli, pioniera dell’hotel nel 1962 insieme al marito Oreste. “Per la nostra famiglia è un dono avervi qui e inaugurare questo progetto. – ha rilanciato il figlio Giuseppe a nome di tutta la famiglia – Abbiamo ricevuto un’educazione cristiana, e non intendiamo rinnegare le nostre radici: per questo mettiamo oggi a disposizione questi 5 pani e 2 pesci rappresentati dall’hotel e dai suoi servizi”.

Il Comune di Rimini ha investito oltre 500.000 euro nel ‘Piano Freddo’ – fa notare il vicesindaco e assessore alla protezione sociale Gloria Lisima quando vediamo una persona senzatetto sul nostro territorio capiamo che c’è ancora tanto da fare. Questa Locanda è una risposta, tanto attesa e necessaria, per le persone più fragili. Come ha già insegnato la storia dell’albergo sociale Stella Maris, le persone possono riscattarsi quando c’è qualcuno che tende loro una mano”.

Grazie a tutti coloro che riempiono di senso le parole, come la signora Ada il cui grazie ha un valore immenso. – sono parole del sindaco di Rimini, Andrea GnassiSoprattutto in questo periodo di seconda e terza ondata di Covid-19 sono necessarie lucidità, rigore e verità. La Locanda inaugurata oggi è una scelta lucida a favore di chi nella vita è inciampato ed è rimasto indietro. Non so se ha ragione don Oreste quando dice che le cose belle prima si fanno e poi si pensano, ma l’importante è farle e non farle da soli bensì insieme. La Locanda sarà un valore aggiunto per le vacanze, non un intoppo estivo di cui vergognarsi: è un’opera che rende più ricco il lungomare di Torre Pedrera e il territorio”.

Alcuni operatori della ‘Capanna di Betlemme’ (Apg23) svolgeranno servizio volontario presso la Locanda 3 Angeli. Nicolò Capitani, della Capanna di Betlemme: “Don Oreste ci ha insegnato che la gratuità è amare l’altro incondizionatamente. È camminare a fianco dei più deboli, né davanti né dietro”.

Benedico il Signore per questa giornata” ha esordito nel suo intervento il Vescovo di Rimini. “Ai riferimenti biblici opportunamente citati dal direttore Caritas, ne aggiungo un terzo: l’albergo che non aveva posto per loro del Vangelo della Natività. – ha ricordato mons. Francesco LambiasiProprio per far posto a chi bussa, come Giuseppe, Maria e il Bambino, don Oreste ha pensato e voluto la ‘Capanna di Betlemme’. L’opera della Papa Giovanni XXIII ha fatto tanto in questi anni, come pure il dormitorio Caritas ma oggi non bastavano più: era necessaria una struttura come la Locanda, un’opera che abbisogna della collaborazione di popolo”.
Il Vescovo ha donato alla famiglia Angeli un dipinto di Maria con il braccio Gesù, realizzato dagli ospiti della Casa Madre del Perdono, in cui i carcerati vivono un’esperienza di recupero e riscatto. Il Bambino spezza le catene sotto gli occhi di sua Madre, in questo caso “le catene della solitudine e dell’isolamento” ha ricordato il vescovo prima di procedere alla benedizione della struttura e dei presenti.

Terminata l’emergenza freddo, ‘Locanda 3 Angeli’ non cesserà il suo servizio: si pensa già ad un successivo utilizzo di accoglienza temporanea per persone sfrattate e in cerca di alloggio, si pensa di utilizzare la struttura come albergo sociale per le vacanze estive, e come centro di iniziative ed eventi per Torre Pedrera e l’intera comunità.


30 dicembre 2020

FONTE: Altarimini.it

mercoledì 3 febbraio 2021

E’ morto Tom Moore: raccolse 33 milioni sul girello per la sanità britannica. «Una piccola anima» che ha fatto la differenza

Capitano pluridecorato, aveva 100 anni, si è ammalato di recente di Covid. L’omaggio di Boris Johnson e anche della Regina Elisabetta. «Un vero eroe inglese»

LONDRA – Ci sono gli eroi delle leggende e dei fumetti e ci sono gli eroi della vita quotidiana, gente che al posto dei muscoli ha il coraggio e della forza fisica la determinazione, che non si ferma davanti alle difficoltà e il cui vero merito, al di là delle azioni, è di ispirare gli altri a essere la versione migliore di sé stessi. Sir Tom Moore, che si è spento oggi all’età di cento anni, è stato un eroe. Lo è stato per il Regno Unito nell’era del Covid così come per centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, che rapiti dalla sua intraprendenza lo hanno aiutato a raccogliere quasi 33 milioni di sterline per il sistema sanitario britannico.

«Un’anima piccola come me non potrà fare una grande differenza», disse nel corso della sua prima intervista televisiva lo scorso aprile. Sbagliava. Le immagini di un anziano signore in giacca e cravatta che con un deambulatore si impegnava ogni giorno per raggiungere l’obiettivo di cento giri del giardino di casa per il suo centesimo compleanno hanno dato speranza a un paese in preda al virus, hanno rappresentato un raggio di luce tra i tragici bollettini del Covid, hanno ricordato a tutti che nonostante le restrizioni e la solitudine la vita poteva, e doveva, andare avanti.

L’ironia della sorte ha voluto che fosse proprio il virus a portarselo via, lui che durante la seconda guerra mondiale con l’esercito era arrivato sino in India, «troppo giovane per avere paura». Per via di una polmonite diagnosticata alcune settimane fa, Sir Tom non aveva ricevuto il vaccino. La settimana scorsa è sopraggiunto il tampone positivo, domenica il ricovero. Ieri sera si è capito che la fine era vicina con la notizia che nonostante il lockdown i famigliari si erano riuniti al suo capezzale all’ospedale di Bedford.



La regina Elisabetta, che a luglio aveva interrotto l’isolamento per insignire Moore del titolo di Sir di persona con una cerimonia nel giardino del castello di Windsor, ha mandato alla famiglia le condoglianze sue e di tutti i Windsor, sottolineando che «incontrarlo è stato un vero piacere». Il primo ministro Boris Johnson lo ha definito «un eroe nel vero senso della parola». «Nei giorni bui della seconda guerra mondiale ha combattuto per la libertà, di fronte alla crisi più buia dal dopoguerra ha unito la popolazione e ci ha tirato su di morale. Ha rappresentato – ha detto – il trionfo dello spirito umano».

Le figlie Hannah e Lucy hanno fatto sapere di aver condiviso con il padre, anche durante le sue ultime ore, «riso e lacrime» parlando dei ricordi della loro infanzia e della madre. «L’ultimo anno della sua vita – hanno sottolineato – è stato straordinario, lo ha fatto sentire più giovane e gli ha permesso di provare esperienze che mai avrebbe immaginato». Un’anima non piccola. Un gigante.


di Paola De Carolis

2 febbraio 2021

FONTE: Corriere della Sera