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mercoledì 1 settembre 2021

Destini incrociati: medico e pompiere si salvano la vita, a 26 anni di distanza

Un bimbo nasce prematuro nel 1985: un pediatra testardo lo fa sopravvivere. Nel 2011 il medico è in trappola in un’auto in fiamme: lo salva un pompiere che poi lo riconosce

Un’incredibile giravolta del destino: quando 30 anni fa il dottor Michael Shannon salvò la vita di un bambino nato prematuro, non poteva certo immaginare che quel favore gli sarebbe stato restituito qualche decade più tardi. L’emittente americana Ktla ha raccontato nei giorni scorsi l’incredibile storia di due uomini della California che si sono salvati la vita l’uno all’altro, in due modi molto diversi.

L’incidente

Siamo nel 2011. Il dottor Michael Shannon, un pediatra, resta coinvolto in un terribile incidente in macchina sulle strade della Contea di Orange. L’uomo rimane bloccato nell’abitacolo, mentre l’auto prende fuoco e le fiamme iniziano a bruciargli le gambe. I primi soccorsi non tardano ad arrivare. Una squadra di pompieri interviene velocemente. Tra i soccorritori che aiutano a liberare l’uomo dalle lamiere contorte del veicolo c’è anche un giovane paramedico dei vigili del fuoco di Orange County, Chris Trokey. Shannon viene subito portato all’ospedale di Mission Viejo, dove resta ricoverato per 45 giorni e gli vengono amputate due dita dei piedi. A fargli visita arriva Chris, che vuole sapere come sta. Ed è qui che realizza che quell’uomo, in verità, non è uno sconosciuto: lo aveva salvato 26 anni prima, quando era nato prematuro.

«Oh, mio Dio, il dottor Shannon?»

Chris Trokey pesava appena 1,4 chili alla nascita; la sua aspettativa di vita era molto bassa. Tuttavia, fu proprio Michael Shannon a non voler mollare quella creaturina: lavorò giorno e notte per stabilizzarlo. I due hanno deciso di rendere pubblica la loro storia soltanto ora. «Non sapevo nulla fino a quando sono andato da lui - racconta Chris - Quando abbiamo cominciato a parlare e ho sentito il suo nome non riuscivo a crederci. Mi sono detto “Oh, mio Dio, il dottor Shannon?”». «È fantastico veder crescere tutti quei bambini che hai aiutato a nascere, ma vedere uno di loro tornare nella tua vita nel giorno in cui ne hai davvero bisogno è qualcosa di incredibile», ha detto il pediatra. L’emittente Ktla sottolinea che recentemente Chris è diventato padre di un bimbo. Chi è il pediatra? Ovviamente il dottor Shannon.


1 aprile 2015

FONTE: Corriere della Sera

venerdì 11 ottobre 2019

Padre Mychal Judge, un francescano tra le vittime dell'11 settembre


Tra i primi ad accorrere dopo il crollo delle Torri Gemelle anche padre Mychal Judge, cappellano dei pompieri di New York: dà l’estrema unzione a un pompiere gravemente ferito. Ed è proprio in quel momento che lui stesso trova la morte

Due torri che cadono, un mondo che crolla. Il segno profondo di un’epoca che cade su se stessa. La polvere che si alza – tutti l’abbiamo bene in mente – diventa, quell’11 settembre di 18 anni fa, metafora di un mondo che non vedremo più, sommerso da detriti e polvere. Roventi lamine di acciaio, confuse con dei corpi che, prima delle 8.50 del mattino, erano padri, madri, figli. Il primo aereo si schianta su una delle torri del World Trade Center. Padre Mychal Judge, frate francescano e cappellano dei pompieri di New York, si lancia a bordo dell'autobotte n. 1 sulla 31esima strada. Deve correre per dare l’estrema unzione a un pompiere gravemente ferito. Ed è proprio in quel momento che lui stesso trova la morte, diventando la vittima n. 0001 (tra i religiosi) della grande tragedia americana che segnerà, per sempre, la Storia mondiale.

Il frate francescano era sempre vicino agli ultimi, agli emarginati della Grande Mela. Si occupava molto dei giovani, dei dipendenti da alcool e droga. Era un servo di Dio che viveva il suo ministero per gli altri. L’11 settembre va ricordato. Sempre. E il comune più antico della Costiera Amalfitana, Scala, ricorda da sedici anni quel tragico evento in cui morirono 2.896 persone con la manifestazione «Scala incontra New York». Un evento commemorativo che sottolinea la sete di pace e armonia presente nel cuore di ogni uomo. L’uomo è stato creato non per la guerra, non per la morte, ma per la Vita, la Pace, e l’Amore. Il cuore dell’uomo è un abisso, uno scandaglio, in cui albeggia sempre – anche nelle notti più buie – il bene. E, continuare ad affermare questo, credo sia importante nei tempi oscuri che stiamo vivendo.

Una distesa di umanità, vittima di una sola parola: «odio», di un «io» che continuamente fugge dalla lotta con sé stesso, incapace di accettare e vincere quell’aura oscura, che è l’unica strada possibile per giungere alla personale consapevolezza. È il male del nostro secolo, ed è per questo motivo che è importante ricordare quella data. «Scala incontra New York» – unico evento italiano, a distanza di anni, a ricordare l’immane tragedia – ha voluto ribadire che è possibile un Mondo diverso. Il Paradiso è possibile costruirlo qui, su questa terra. Se tutti lo vogliamo. L’11 settembre è stato il primo grande tragico evento «in diretta» a cui abbiamo assistito. Fino ad allora, un numero di morti così grande, lo avevamo studiato solo sui libri di scuola. Quel giorno, invece, lo abbiamo vissuto dal vivo, con le telecamere di tutto il mondo, puntate su torri gemelle.

Oggi, siamo spettatori, di un’altra tragedia. E anche questa, ci viene proposta giornalmente da tutti i mass media. Altri numeri. Non c’è nessun aereo, nessun grattacielo, nessuna polvere. Ma solo acqua. E l’acqua non fa rumore. Inghiotte in silenzio. Anno 2014, gli arrivi degli immigrati, sulle nostre coste, sfiorarono quota 300 mila e i morti furono 3538 (dati Unhcr). Anno 2015, i morti, furono 3.771. Il 2016, l’anno più buio, 5.096 furono i morti e poco meno di 400 i cadaveri recuperati. Il 2017 ha visto 3139 dispersi in mare, e i corpi che ci furono restituiti furono solo 210. Ultimo dato, quello del 2018: i morti sono stati 2023. Numeri, anche questi. Tragici, disumani, che lasciano l’amaro in bocca. E lasciano tanto silenzio, tanto sconforto davanti alla disumanità. Proprio come quell’11 settembre di 18 anni fa. Quel giorno si disse: «Siamo tutti americani». Oggi, possiamo e dobbiamo dire: «Siamo tutti uomini sulla stessa barca».

di Padre Enzo Fortunato

11 settembre 2019

FONTE: Corriere.it


Esattamente un mese fa, come ogni 11 settembre di ogni anno, non sono mancate ricorrenze e manifestazioni in ogni parte del globo volte a ricordare quel tragico giorno di 18 anni fa, in cui tutto il mondo ha assistito attonito al più grande atto di terrorismo mai perpetrato prima d'ora. Ed è giusto e sacrosanto che sia così, perchè certe cose devono rimanere vive nella memoria dell'uomo affinchè non abbiano mai più a ripetersi!
Con questo post ho voluto ricordare la meravigliosa figura del frate francescano padre Mychal Judge, cappellano dei pompieri, che perse la vita quello stesso giorno mentre stava compiendo la sua missione di uomo di Dio. Ma volevo ricordare anche tutto l'operato dell'intero corpo dei pompieri dove, in quel tragico giorno, in molti persero la vita nel cercare di salvare quante più vite umane fosse possibile. E non solo in quel giorno ma anche nei giorni, settimane, mesi e anni successivi, a causa dell'inalazione massiccia e tossica delle polveri rilasciate dal tragico crollo dei due grattacieli.
Noi si potrà mai ricordare abbastanza questi uomini coraggiosi così dediti al proprio lavoro, che è una vera e propria missione, non solo in quel giorno, ma sempre, in ogni luogo e in ogni situazione. Onore e merito ad ogni uomo che sceglie nella propria vita di diventare un pompiere, lavoro nobilissimo e rischioso, al servizio del prossimo per il bene di tutta la società. A voi tutti va il mio "Grazie" più sentito e riconoscente.

Marco