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sabato 12 marzo 2016

Rinunciano al trapianto di rene per lasciarlo a chi è più giovane di loro e muoiono: le toccanti storie di Walter e Rina

"Lascio il mio posto a chi ha famiglia". Rinuncia al trapianto e muore
 
Walter Bevilacqua, pastore tra le montagne dell'Ossola, aveva 68 anni. Al parroco disse: "Io sono solo, è giusto così".

Varzo -
Sono solo, non ho famiglia. Lascio il mio posto a chi ha più bisogno di me. A chi ha figli e ha più diritto di vivere. Walter Bevilacqua lo aveva confessato al parroco poco tempo fa. La morte l'ha colto durante la dialisi a cui si sottoponeva ogni settimana all’ospedale San Biagio di Domodossola. Il cuore ha ceduto durante la terapia e la bara è stata portata a spalle al cimitero dagli alpini di Varzo, penne nere come lui. Dietro al feretro, le sue sorelle Mirta e Iside: Era proprio come lo descrivono: altruista, semplice. Un gran lavoratore. Sapeva che un trapianto lo avrebbe aiutato a tirare avanti, ma si sentiva in un’età nella quale poteva farne a meno. E pensava che quel rene frutto di una donazione servisse più ad altri racconta Iside.

Una vita piena di sacrifici, così come quelle di altri pastori di montagna, stretti alla loro terra. Solitario e altruista, nel momento più delicato della vita ha detto no al trapianto.
Sono in molti che aspettano quest’occasione. Persone che famiglia e più diritto a vivere di me. E’ giusto cosìaveva detto, con quella naturalezza che l'ha sempre contraddistinto. Bevilacqua è morto a 68 anni, una storia venuta alla luce quando il parroco del paese, don Fausto Frigerio, l’ha raccontata in chiesa durante la messa, un esempio da affidare a tutti. Quella frase pronunciata tanto tempo prima, gli era rimasta impressa: Me l’aveva detto durante una chiacchierata. So che l’aveva confidato anche a un conoscente con cui si trovava in ospedale per le terapie racconta il prete.

E' questa la notizia che ha bucato il silenzio dell'Ossola, in una valle corridoio verso la Svizzera, a una manciata di minuti. Sui monti della valle Divedro, Walter Bevilacqua ha trascorso i suoi anni, allevato dal nonno Camillo, uomo di altri tempi, ligio alle regole, gran lavoratore. Da lui aveva imparato a non risparmiarsi mai, a non lamentarsi delle difficoltù di chi vive in quota.
Credo non abbia mai fatto le ferie racconta chi lo conosceva bene. L’agricoltura e gli animali erano la sua passione. Il suo mondo era là, una fetta di terra strappata alla montagna che poco più in alto diventa spettacolo nella conca dell’alpe Veglia.

di Renato Balducci

20 gennaio 2013

FONTE: Lastampa.it


Rinucia al trapianto di rene e muore: "Datelo a chi è più giovane di me, io la mia vita l'ho fatta"

Paderno, provincia di Treviso, una 79enne ha rifiutato l'intervento che avrebbe potuto salvarla dopo 16 anni di emodialisi.

Da sedici anni era costretta a sottoporsi tre volte alla settimana a dialisi. Nonostante questa lunga battaglia, giunto il momento del tanto atteso trapianto di rene, ha deciso di rinunciarvi. Questo è il gesto di generosità di Rina Zanibellato, 79enne di Paderno in provincia di Treviso, che è morta per favorire qualcun altro in lista di attesa. Aveva spiegato a suo marito, a suo figlio e ai suoi parenti, la volontà e il desiderio di donare il rene della salvezza a un giovane, uno dei tanti ragazzi che aveva incontrato negli anni di dialisi.

Alla proposta di sottoporsi al tanto atteso trapianto, lei ha risposto nell’unico modo che conosceva, attraverso la generosità: “No, datelo a chi è più giovane di me, io la mia vita l’ho fatta”. E così ha continuato la dialisi, senza mai lamentarsi o abbattersi. Fino a giovedì 27 giugno, quando si è spenta nel reparto di Nefrologia dell’ospedale Ca’ Foncello, lo stesso ospedale nel quale aveva visto nel corso degli anni i tanti ragazzi malati come lei.

28 giugno 2013

FONTE: Tgcom24.mediaset.it

 

E' un post abbastanza datato, essendo del 2013, ma troppo profondo, troppo bello nella sua intensità d'Amore perchè io non lo mettessi sulle pagine di questo blog. 
Due persone, Walter e Rina, due vite diverse, distanti tra loro, anche geograficamente.... ma due storie in tutto e per tutto simili, accomunate da un unico comune denominatore: l'Amore, quello Vero, senza compromessi, per il Bene del prossimo e della vita. Sì, Amore anche per la vita, ma non la loro di vita, bensì quella di altri, di persone sconosciute più giovani di loro, a cui queste due splendide persone hanno ceduto il posto, hanno donato quell'organo che sarebbe toccato a loro e che avrebbe permesso loro di vivere ancora a lungo.
Forse qualcuno potrebbe obiettare che per una persona giunta oramai al tramonto della vita, sia più facile compiere un gesto come questo..... pensarlo è lecito, ma farlo è tutta un'altra cosa! Rinunciare alla propria vita non è mai facile.... la vita è sempre la vita, e l'essere umano tende sempre naturalmente verso di essa.

Non so se Walter e Rina fossero Credenti, ma certamente hanno messo veramente in pratica il Comandamento dell'Amore verso il prossimo, che dice:
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.
E loro lo hanno fatto, lo hanno veramente fatto, per di più non nei confronti di due amici, ma di persone del tutto sconosciute.
Lo hanno fatto coraggiosamente, amorosamente e gratuitamente.

Riposate in Pace, cari Walter e Rina..... avete vissuto silenziosamente e lontani dai clamori del mondo, ma certamente ora i vostri nomi sono scritti a caratteri d'oro nel Libro Eterno dell'Amore.  Grazie di tutto!

Marco

sabato 12 dicembre 2015

A 14 anni scrive al medico che le salvò la vita da neonata: la reazione del dottore è indimenticabile

Aveva solo un anno quando la sua patologia stava per portarsela via. Una rara malattia congenita le aveva messo fuori uso il fegato ed era stato necessario un trapianto d'urgenza per rimetterla in sesto: adesso Ashli Taylor di Temple, in Texas, ha 15 anni, sta bene e deve la sua vita alla mamma che le ha donato l'organo e al suo medico. Ma, mentre riesce a ringraziare quotidianamente sua madre per il doppio dono della vita che le ha fatto, non era mai riuscita a dire “grazie” al suo dottore, Robert Goldstein. E così ha scritto una lettera e lui è rimasto talmente sorpreso da volerle fare una sorpresa a scuola: un incontro commovente che ha fatto sciogliere in lacrime tutti i presenti che sono stati toccati da quel momento magico.


Ashli è nata con una cirrosi congenita: a pochi mesi d'età, il 21 giugno 2001, è stata inserita nella lista nazionale per i trapianti in attesa di un fegato nuovo. Ma nei mesi successivi la sua salute si è aggravata a tal punto da mettere in pericolo la sua vita. Era l'11 settembre del 2001 quando la madre di Ashli, Crystal-Pope Taylor, ricevette una telefonata allarmante dall'ospedale: la bimba aveva bisogno di un trapianto immediato di fegato. Gli Stati Uniti, però, avevano appena subito l'attacco terroristico più devastante della storia, l'organo di Ashli si trovava in un altro Stato e, in mancanza di voli, mai sarebbe arrivato in tempo per essere trapiantato. In fretta e furia la mamma è stata sottoposta a tutte le analisi e si è scoperto che era compatibile con la figlia: poche ore dopo erano entrambe nella sala operatoria del Baylor University Medical Center di Dallas. A eseguire il delicato intervento fu Goldstein, che rimosse parte del fegato alla mamma per trapiantarlo nella piccola. Da allora Ashli ha avuto una ripresa sorprendente e, nonostante qualche difficoltà, conduce una vita normale.

Nonostante il passare degli anni, però, non ha mai dimenticato che c'era un uomo che le aveva salvato la vita e che lei non conosceva. E così, quando a settembre il suo insegnante Brad Billeaudeaux ha affidato alla classe un compito di scrittura creativa, lei ha scritto una lettera al dottor Goldstein per dirgli grazie: «Probabilmente non hai idea di chi io sia, ma hai avuto un grande impatto nella mia vita – ha scritto Ashli - So che hai avuto tanti pazienti nel corso degli anni che hanno apprezzato il tuo lavoro. Ma la vita della mia famiglia sarebbe stata totalmente diversa se non ci fossi stato tu».



Dopo aver inviato la lettera, come riporta il Temple Daily Telegram, non ci ha più pensato fino al giorno in cui il dottor Goldstein non ha deciso di fare irruzione nella classe della Temple High School per farle capire quanto avesse apprezzato il suo gesto. «Indovina chi sono? - ha detto l'uomo entrando nell'aula - Sono il tuo chirurgo. Mi hai scritto una lettera ed è stato fantastico». La ragazza è stata sopraffatta dall'emozione, lo ha abbracciato ed è scoppiata in lacrime. «Non me lo aspettavo – ha dichiarato Ashli - Gli sono davvero grata, per tutto. I medici spesso non si ringraziano, ma loro hanno bisogno di sapere quanto il loro lavoro sia apprezzato».

di Federica Macagnone

2 Dicembre 2015 

FONTE: Il Messaggero 


Una bimba malata, una madre piena d'Amore, un trapianto, un bravo medico, una lettera di ringraziamento, il medico che le fa una sorpresa e la va a trovare, la commozione di tutti..... C'è proprio tanto in questa bellissima storia, bella perchè semplice, diretta, genuina, contraddistinta da tanti bei gesti che vengono direttamente dal cuore. E cosa sarebbe il mondo senza gesti come questi?
Permettetemi allora di dire "Grazie" a tutti coloro che sanno ringraziare e a tutti coloro che donano di sè stessi per il bene degli altri. Grazie a tutti voi, perchè rendete migliore e più bella la società in cui viviamo! Grazie di cuore!

Marco

venerdì 4 dicembre 2015

Gli ho dato 3 volte la vita


Nel 2003 ha salvato suo figlio dalla leucemia con un trapianto di midollo, ma non è bastato. E ora gli ha donato anche un rene. «Così ho fatto rinascere il mio Matteo»


Di mamma ce n’è una sola. Ma per un figlio si fa in tre.
Simonetta Severi
, 54 anni (54 nel 2012…. oggi sono 57), non è l’eccezione e, soprattutto, conferma la regola come nessuna mai prima di lei. Al suo unico ragazzo, Matteo, 29enne (oggi 32enne), ha dato la vita e gliel’ha salvata due volte, rendendogliela finalmente serena.
La signora Severi ci ha raccontato la sua storia da un letto dell’ospedale Molinette di Torino, in cui Gente l’ha incontrata pochi giorni prima di essere dimessa, in tempo per passare la Pasqua a Perugia, e dove si è svolto l’ultimo capitolo del suo calvario iniziato nel 2003. Quell’anno, infatti, a suo figlio Matteo viene diagnosticata una grave forma di leucemia acuta linfoblastica. Per lui c’era solo una speranza: il trapianto di midollo.
«La mia è stata una scelta obbligata, sono sua madre: è tutto quello che serviva perché fossi io a donarglielo», ci ha detto Simonetta, sempre al fianco di suo marito Sergio. L’intervento avvenne a Roma. Andò tutto bene. Per un po’.
Già, perché in seguito a qualsiasi trapianto di organi un paziente deve ricorrere a terapie anti rigetto. Accadde lo stesso per Matteo.
«Per questo vengono usati immunosoppressori», ha spiegato a Gente il dottor Piero Bretto, uno dei medici che ha curato i Severi, «che però abbassando le difese dell’organismo possono dare luogo a infezioni». Al ragazzo capitò giusto questo, con problemi a livello renale. Ma come se non bastasse, Matteo sviluppò un tumore al rene, che gli venne poi tolto chirurgicamente. Con il passare del tempo dovette perfino sottoporsi a dialisi. Di nuovo l’unica soluzione era un trapianto. E ancora una volta incombeva lo spettro dei farmaci anti rigetto, che avrebbero anche potuto avere effetti nefasti sulla salute del ragazzo.
Per fortuna c’era Simonetta.
«Io e Matteo abbiamo affrontato la situazione con grande serenità, sempre insieme», ci rivela lei. La decisione fu presa, sarebbe stata nuovamente la super mamma a correre in aiuto del figlio. Il ricovero è avvenuto all’ospedale Molinette di Torino, all’avanguardia in questo tipo di interventi. «Dal 2001 preleviamo i reni per i trapianti da vivente praticando solo piccoli buchi, attraverso i quali vengono inseriti gli strumenti per staccare l’organo. Dopodichè pratichiamo un taglio di 5 centimetri nella zona puberale da cui, con un’attrezzatura speciale, sfiliamo il rene», continua il dottor Bretto. La famiglia Severi, però, sembrava non poter fare a meno di una certa dose di suspense. «Il rene tolto alla signora, perfetto dal punto di vista funzionale, presentava due problemi, uno vascolare e uno urologico, corretti con successo durante l’intervento», continua il medico. E la Severi ci ha rivelato: «Prima dell’operazione io e Matteo non abbiamo potuto incontrarci. E così ci siamo augurati “In bocca al lupo!” mandandoci un sms con il cellulare».
Come stanno adesso Simonetta e Matteo?
«Bene tutti e due. La mamma è stata la prima a essere dimessa», interviene Piero Bretto. Del resto Matteo ha un vero asso nella manica. Si chiama chimerizzazione: ricevendone il midollo, cioè, il ragazzo ha acquistato le carattarestiche genetiche della madre. Insomma, il corpo di Matteo non riconosce come estraneo il rene di Simonetta e dunque la terapia anti rigetto, che abbiamo visto può determinare problemi, in realtà non è più necessaria per lui. «Ora avrà finalmente una vita normale», ci assicura il dottor Bretto.
E Matteo la comincerà presto, facendo quello che sogna da tanto:
«Un giro sulla mia moto e un brindisi con tutti gli amici che mi sono stati vicini», ha confidato felice a Gente dalla sua camera sterile alle Molinette. E mamma Simonetta?
«E’ venuta a trovarmi dopo il trapianto, non abbiamo avuto il coraggio di parlarci, ma il nostro silenzio è stato più chiaro di un discorso». Non è un problema. Adesso madre e figlio per farlo hanno davvero tutto il tempo che vogliono.

Di Marco Pagani

FONTE: Gente N. 16 del 17 aprile 2012



Articolo un po’ datato, ma che ci tenevo a mettere sulle pagine di questo blog. La storia del resto è bellissima e ci parla del grande, immenso Amore che intercorre tra una madre e il proprio figlio. Del resto esiste un Amore maggiore di questo? Solo l’Amore di Dio è più grande di questo!
Auguroni Simonetta e Matteo…. e che la vita vi sorrida sempre!

Marco

giovedì 23 luglio 2015

«Educare alla vita i ragazzi difficili». La scelta di Giorgia Benusiglio

A 17 anni rischiò di morire per l’ecstasy. Oggi il suo lavoro è aiutare gli adolescenti

Giorgia arriva trafelata, affida i cagnolini al fidanzato e si concede un’oretta per parlare di sé. Non capita tanto spesso. «Misuro il tempo libero con il contagocce», sorride, «praticamente vado a ruba».
La cercano tutti, in effetti. Nelle scuole, nelle carceri, ai convegni, nelle comunità di recupero, ai workshop, negli incontri pubblici e nelle piccole riunioni di settore. Chiedono la sua presenza professori e genitori, educatori e psicologi, da un capo a all’altro della Penisola e ultimamente anche oltre confine. E quando è a casa le basta dare un’occhiata alla posta o ai messaggini arrivati via WhatsApp, ce ne sono sempre in gran quantità. Tutto questo in direzione di un unico argomento: la devianza giovanile, cioè la strada sbagliata che porta le esistenze di ragazzi e ragazze verso la droga, l’alcol, l’autolesionismo, il bullismo, l’anoressia, il cyberbullismo... «Non l’avrei mai detto. Stavo per morire e invece guarda cosa sto facendo... Adesso questa è la mia vita, il mio lavoro. Studio, mi aggiorno, seguo tutto e tutti e provo a fare del mio meglio per educare alla vita ragazzi che hanno bisogno di essere ascoltati e capiti, due cose per nulla scontate».

Riavvolgiamo il nastro del tempo, torniamo a una sera in discoteca dell’anno 1999. Giorgia aveva 17 anni e voglia di ballare fino all’alba. Prese una mezza pasticca di ecstasy e finì all’ospedale di Niguarda con un’epatite tossico-fulminante. Il suo cuore stava rallentando e si sarebbe fermato in poche ore se Alessandra, una ragazza di 19 anni, non si fosse schiantata in macchina a centinaia di chilometri da lei. C’era una donatrice e i medici tentarono il trapianto, il primo in Italia dopo una diagnosi di quel genere. Giorgia (che di cognome fa Benusiglio) promise a se stessa e a suo padre Mario che se fosse sopravvissuta sarebbe andata di scuola in scuola a fare della sua esperienza una campagna antidroga. Andò bene e quella ragazzina magra magra tornò a casa ad affrontare il lunghissimo percorso post-trapianto (che in realtà non finirà mai).
Nel 2007 arrivò l’ora di mantenere la vecchia promessa. La prima scuola fu a Milano e da lì in poi arrivarono richieste per decine e decine di interventi, ovunque. Giorgia sapeva come parlare ai ragazzini, gli insegnanti si accorsero della sua capacità di entrare in sintonia con loro e lei cominciò a capire che forse proprio quello era il futuro che più le corrispondeva. Nel 2010 scrisse un libro che amplificò l’effetto (Vuoi trasgredire? Non farti!) e lo stesso anno si laureò in Scienze della formazione primaria. L’indirizzo? Psicologia della famiglia ovviamente, e la sua tesi, manco a dirlo, puntò sui comportamenti devianti e a rischio e sui punti deboli della crescita adolescenziale.

«Più entravo in quel mondo più mi ci appassionavo - spiega lei -. Così non ho mai smesso di leggere e studiare, ho coltivato contatti importanti che mi hanno molto arricchito, ho moltiplicato gli impegni sull’argomento adolescenza. Ho conosciuto mostri sacri dello studio sulle dipendenze, come Riccardo Gatti, tanto per citarne uno». Nei 32 anni di Giorgia ci sono collaborazioni con la Comunità di San Patrignano, con Onlus come «Cuore e Parole», con don Mazzi, con la Kayros di don Burgio (cappellano del carcere minorile Beccaria) e progetti di lavoro con gruppi di psicologi, di detenuti e di educatori. Una vera e propria professione, ormai. Lei è diventata un’autorità, tanto da meritarsi il prestigio di un riconoscimento americano (il premio Melvin Jones Fellow). Ma quello che più la fa felice sono le parole di chi le scrive o la chiama per dirle che la sua vita sta andando un po’ meglio da quando lei ha cominciato a farne parte. Per esempio queste: «Cara Giorgia, volevo ringraziarti per avermi salvato la vita. Se non fosse stato per te io quella mezza pasticca di ecstasy l’avrei provata (...) per dimenticare, perché mi vedo molto brutta e mi sento molto sola». Ogni messaggio racconta un dramma: «Cara Giorgia stamattina, quando hai parlato di bulimia, anoressia e autolesionismo ho pensato che con te potevo sfogarmi. Ho 13 anni e da un anno sono autolesionista(...) ogni volta che sto male la prima cosa che penso è farmi del male».
Molti affidano confidenze a «Giorgia Benusiglio prevenzione droga», la sua pagina facebook: «Ho 13 anni, da un po’ di tempo penso che la mia vita debba finire adesso. Sono autolesionista, mi limito a farmi del male con le unghie ma ho quasi tentato il suicido quando in casa non c’era nessuno...».
Qualche volta a scrivere sono le madri. Non sanno come comportarsi davanti a una figlia o un figlio adolescente che sembra voler comunicare con tutti tranne che con loro. «Io non ho certo la pretesa di sapere cosa fare in ogni occasione - dice Giorgia -, ma so che spesso bastano piccole cose a fare grandi differenze. Un esempio? Se tua figlia è lontana a studiare da qualche parte non le chiedere ogni santo giorno: cos’hai mangiato? Chiedile se si sta divertendo, se sta bene. Cambiano i toni immediatamente. Quando mi riscrivono per dirmi che ha funzionato io mi sento felice. Per loro e per me stessa».

di Giusi Fasano

31 maggio 2015

FONTE: http://www.corriere.it/cronache/15_maggio_31/educare-vita-ragazzi-difficili-scelta-giorgia-benusiglio-51207b18-075d-11e5-811d-00d7b670a5d4.shtml


Ecco una storia che ci insegna come da un male vissuto, spesso ne può uscire un Bene, come da una cattiva esperienza possono scaturire dei frutti estremamente buoni e duraturi. E questo è proprio il caso di Giorgia Benusiglio, che da una tragica esperienza che l'ha portata fin sulla soglia della morte, è ritornata alla vita con la fortissima motivazione di aiutare tutta quella gioventù che spesso si ritrova allo sbando, incamminata verso cattive strade e ammaliata da false luci. E c'è davvero molto bisogno di testimonianze forti e dell'esperienza di persone come Giorgia, per aiutare giovani e genitori.

Marco