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venerdì 3 dicembre 2021

Milionario cinese si prende cura delle persone del suo villaggio natale, regalando loro tante nuove case

Questa storia è di qualche anno fa, ma è così bella che dovevo necessariamente inserirla tra le pagine di questo blog.

Lui si chiama Xiong Shuihua ed è un ricco imprenditore cinese. Ma non è di quelle persone che pensano soltanto ai propri interessi personali, tralasciando tutto il resto, ma anzi ha pensato bene di voler aiutare i poveri del villaggio di Xiongkeng, vicino alla città di Xinyu, nella Cina meridionale, dove lui stesso era cresciuto ed aveva passato la propria giovinezza.
Con un progetto da 5 milioni di euro, ha raso al suolo le catapecchie di legno di questo povero villaggio e ne ha costruite tante altre nuove di zecca, destinandole alle 72 famiglie che ancora vivevano in quel villaggio. 18 di queste famiglie, quelle che maggiormente avevano aiutato Xiong negli anni difficili della sua giovinezza, hanno ricevuto delle villette vere e proprie di gran lusso, ma a tutti è stata destinata una nuova sistemazione. Inoltre il generoso mecenate si è preso l'impegno di garantire ogni giorno tre pasti caldi a tutti gli anziani del villaggio con reddito basso. Ora quella zona, prima poverissima e fatiscente, è stata completamente trasformata, con queste nuove e moderne abitazioni, con bei giardini, parchi giochi e statue.

Era un debito d'onore che Xiong Shuihua sentiva di dovere a quelle persone, così generose con lui negli anni della sia adolescenza. «Non potevo né volevo dimenticare le mie radici – ha spiegato il ricco magnate - e siccome sono uno che paga sempre i suoi debiti, ho voluto fare in modo che le persone che avevano aiutato me e la mia famiglia in passato venissero ripagate in qualche modo» (cit. Corriere della Sera).

La gente del villaggio di Xiongkeng è profondamente grata per il gesto del loro ex compaesano, che loro ricordano quando era un bambino, ma non me sono rimasti del tutto sorpresi, in quanto si ricordavano molto bene dei suoi genitori, due persone di gran cuore sempre pronti a prendersi cura degli altri, come era loro possibile. Evidentemente questo “cuore generoso” dei genitori è stato trasmesso al figlio, proprio come un albero buono, dai cui rami escono solo buoni frutti.
E avere un cuore altruista e generoso è la cosa più bella che ci possa essere!


Marco

Novembre 2014

venerdì 10 settembre 2021

Questo bibliotecario legge per telefono storie agli anziani per farli sentire meno soli

Juan Sobrino è il bibliotecario di Madrid che, insieme ad altri volontari, una volta a settimana legge storie agli anziani per telefono in modo da alleviare la loro solitudine.

Siamo soliti pensare che siano soprattutto i bambini ad amare le storie e i racconti, in realtà anche adulti e anziani possono godere di una buona lettura ad alta voce, un modo non solo per svagarsi ma anche per sentirsi più vicini agli altri.

Durante la pandemia gli anziani hanno vissuto al massimo l’isolamento sociale e ancora adesso che non c’è più il lockdown spesso vivono comunque in solitudine.

Per cercare di alleviare in qualche modo la loro sofferenza, la biblioteca Soto del Real un
ha deciso di mettere a disposizione un servizio di lettura telefonica.

Il realtà il progetto non è nuovo, il piano di lettura residenziale di Soto esisteva già prima del coronavirus ma ora si è reso più che mai utile e necessario diventando un servizio telefonico.

"Biblioterapia per anziani" nasce nel 2013 e ogni mese porta i volontari presso le residenze per anziani dove vengono lette poesie, favole, indovinelli, racconti ma anche si canta con l’accompagnamento di una chitarra.

Ai tempi della pandemia, invece di andare una volta al mese nelle residenze, i volontari leggono agli anziani per telefono una volta alla settimana e i testi sono personalizzati, a seconda delle preferenze di ogni lettore.

A capo del progetto di lettura agli anziani e della biblioteca stessa vi è Juan Sobrino che per portare avanti il tutto si serve dell’aiuto di diversi volontari. Ognuno di loro chiama e legge sempre alla stessa persona, in modo che si crei un legame e possa conoscere i suoi gusti per scegliere le letture giuste. In teoria le sessioni di lettura sono di 20 minuti ma tendono ad essere più lunghe se l’ascoltatore è particolarmente interessato.

Il programma è rivolto soprattutto a chi vive nelle residenze e non può ricevere visite di familiari o amici:

Dobbiamo portare loro dei libri per combattere l’isolamento sociale, finché si potrà leggere di nuovo nelle residenze” ha dichiarato Juan Sobrino.

Al momento gli utenti che usufruiscono del servizio sono 8, dislocati in 3 diverse residenze per anziani. Tra di loro vi è Chus López, che ha 69 anni e vive in una casa di riposo di Madrid da tre anni. La donna ha raccontato a El País che le piacciono molto i libri d’amore e che si fida dei criteri di scelta del suo bibliotecario che, dice, “sceglie sempre bene”. Certo manca molto la possibilità di avere un contatto diretto:

è meglio perché li vediamo, applaudiamo e quando finisce la lettura beviamo con loro”.

Speriamo che presto questi anziani possano ritrovare la loro normalità fatta di contatti umani e anche di buone letture in presenza.


di Francesca Biagioli

2 settembre 2020

FONTE: Greenme

venerdì 20 agosto 2021

Lascia 150mila euro in eredità alla casa anziani

Che fosse un signore l’aveva ampiamente dimostrato, che non difettasse di generosità anche, ma che avesse un cuore tanto grande da lasciare alla Casa anziani un vero e proprio tesoro nessuno se lo sarebbe immaginato. Aurelio Aliverti, scomparso lo scorso 12 dicembre all’età di 95 anni è l’emblema di una vita piena, affrontata con quell’innata eleganza che lo distingueva come personaggio unico.

Una vita condivisa sino al 2007 con l’amata moglie Emilia. Venuta a mancare l’altra metà del suo cielo, trascorse qualche anno in autonomia a casa, poi la scelta di varcare il cancello della casa di riposo di via Michelangelo. Negli ultimi due anni e mezzo, infatti, Aurelio è stato circondato dall’affetto di quella che considerava la sua seconda famiglia: personale e ospiti della Rsa. Una seconda famiglia premiata da una sorpresa eccezionale, scoperta al momento dell’apertura del testamento di Aurelio: circa 150.000 euro, la quota di eredità lasciata alla Casa anziani.

Un lascito da far luccicare gli occhi, preziosissimo in un momento tanto difficile come quello caratterizzato dalla pandemia: contagi, sei decessi Covid correlati, l’improvvisa scomparsa di Stefano Landoni, dipendente in servizio negli uffici amministrativi. Ecco perché, oggi, il clamoroso dono di Aurelio assume valenza persino più preziosa della cifra economica destinata alla residenza sanitaria per anziani. «Nel testamento Aurelio ha voluto ricordare la Casa anziani - conferma la direttrice Luciana Corti - Sappiamo che l’aveva preparato prima che mi nominasse suo amministratore di sostegno. Ci diceva sempre che in casa di riposo si trovava benissimo, perché qui aveva incontrato persone che gli volevano bene e nuovi amici. Potevamo pensare che si sarebbe ricordato della Casa anziani, nel suo testamento, ma non fino al punto di lasciare alla Rsa una somma così importante: poco meno di 150.000 euro». D’altronde, lui, era fatto così. E a incorniciare affabilità e cuore immenso di Aurelio c’è un episodio, un ricordo misto a tenerezza e gratitudine che affiora nella parole della direttrice. «Quando già aveva scelto di nominarmi amministratore di sostegno - racconta Luciana Corti - voleva regalarmi un bellissimo servizio di porcellana inglese. Gli spiegai che non ero nelle condizioni di poter accettare, appunto essendo il suo amministratore di sostegno. Gli dissi che avrebbe potuto regalarlo a tutti, ma non a me. Aurelio ci rimase male...».


di Nicola Gini

30 gennaio 2021

FONTE: Prima Como

domenica 18 aprile 2021

La nonna di 89 anni fa mascherine per tutti i membri della sua famiglia

Cuce le mascherine per tutti i membri della famiglia e nel frattempo ascolta i Beatles, la sua band preferita. È così che Teresa Provo, una simpatica signora di 89 anni ha deciso di trascorrere il suo tempo durante la pandemia del COVID19.

Il coronavirus ha messo in discussione tutta la nostra intera vita. Ci siamo ritrovati tutti con tanto tempo a disposizione da non saper come trascorrerlo senza annoiarci.

La nonna fabbrica mascherine protettive per tutti

Senza scuola, senza lavoro e senza poter uscire nemmeno per fare una passeggiata abbiamo riscoperto il piacere della cucina, della lettura e del fai da te.

Questa simpatica 89enne, ha invece deciso di rendersi molto utile per gli altri e dopo aver comprato un po’ di stoffa si è messa a fabbricare mascherine per tutti.

Si chiama Teresa, ha la bellezza di 89 anni e vive da sola a Chicago, nell’Illinois. Solitamente ama condurre una vita molto tranquilla, fatta di TV, videogiochi e naturalmente la sua macchina da cucire. Una compagna fedele che l’accompagna da molto tempo.

Nel momento in cui le cose hanno iniziato a mettersi male a causa del coronavirus ha deciso che non sarebbe rimasta con le mani in mano, ma che avrebbe fatto qualcosa per tenere al sicuro le persone a cui vuole bene.

Così, dopo aver comprato e raccolto quanta più stoffa poteva ha cucito la bellezza di 600 mascherine. Che poi ha destinato a familiari, amici e tanti anziani residenti in una casa di riposo.

La passione per i Beatles

Ogni mascherina è stata personalizzata con i tessuti preferiti da chi l’avrebbe indossata. Le scelte variavano dai colori, ai disegni e anche alle squadre del cuore come i Chicago Cubs o i Blackhawks.

Dopo averle fabbricate le ha anche spedite a Chicago, in Wisconsin, in Florida, in Minnesota e in California, accompagnandole con un dolcissimo bigliettino scritto a mano di incoraggiamento.

La nipote ha anche raccontato che ogni mascherina è stata cucita al ritmo delle canzoni dei Beatles, la band preferita da Teresa.

Alla fine, quando hanno saputo del lavoro iniziato dall’89enne, il “Red Hat Club”, un gruppo di anziani a cui piace partecipare ad eventi locali, si è unito a lei per aiutarla.

Tutti insieme hanno fabbricato ben 600 mascherine! E non hanno ancora finito, Teresa ha infatti dichiarato che hanno tutti lavorato per due settimane e che stanno continuando a farlo per soddisfare tutti.

di Martina

27 aprile 2020

FONTE: News Varie

venerdì 19 marzo 2021

Joao Stanganelli, il nonno brasiliano che realizza all’uncinetto bambole con la vitiligine

Scoprire la passione per l’uncinetto in pensione e realizzare delle bambole speciali che possono fare davvero bene al cuore (e all’autostima). Joao Stanganelli ha inventato Vitilinda, la prima bambola con la vitiligine. Ha quasi 10mila follower sul suo profilo Instagram e riceve ormai ordini da tutto il mondo.

C’è chi va in pensione e inizia a giocare a carte con gli amici. Chi fa del volontariato. Chi fa il nonno e va prendere i nipoti a scuola. Joao Stanganelli ha imparato a fare l’uncinetto. E lo ha fatto per una buona causa. Questo intraprendente nonno brasiliano, infatti, ha creato Vitilinda, una bambola molto speciale, che ha una missione precisa: aumentare l’autostima nei bambini che soffrono di vitiligine.

La vitiligine è una malattia che colpisce le cellule della pelle che producono melanina, vale a dire il pigmento responsabile della colorazione della pelle. Non è una patologia contagiosa, ma porta alla formazione di alcune macchie bianche sull'epidermide. Anche Joao soffre di vitiligine da quando aveva 38 anni e sa quanto chi ne soffre possa sentirsi a disagio in pubblico, anche a causa della reazione spropositata e ingiustificata che gran parte delle persone hanno nel momento in cui si imbattono in una persona affetta da questa patologia.

Così, una volta in pensione, Joao ha pensato di realizzare una bambola con tanto di vitiligine e, per farlo, ha chiesto alla moglie Marilena di insegnargli a lavorare all'uncinetto. Se all'inizio le cose non sono proprio andate per il meglio, con il tempo Joao ha preso sempre più dimestichezza con filo e uncinetto, fino ad arrivare a creare delle bambole davvero bellissime.

Bambola dopo bambola, Joao ha creato anche una bambola con l'alopecia e un'altra ancora sulla sedia a rotelle. Un modo per superare un taboo tra i bambini, e magari anche tra gli adulti, ma soprattutto per far capire ai bambini affetti da qualsiasi malattia che non sono meno belli rispetto agli altri.

di Gaia Cortese

26 settembre 2019

FONTE: ohga!

martedì 9 marzo 2021

Alla musica ha preferito anziani e disabili: Francesca e la sua vocazione da Oss

Dalle cover di Anna Tatangelo agli ospedali, il diploma al Conservatorio lasciato nel cassetto per dedicarsi a chi non è autosufficiente

«Ho soltanto la mia età. E fino a ieri mi teneva compagnia. E a volte sogno di toccare in faccia il sole. Mi sveglio piano e poi lascio fare e quello che sarà, sarà…». Cantava nelle piazze le cover di Anna Tatangelo, agognava il successo e per questo aveva studiato. Diplomata in pianoforte e canto. La sua – però – non è la storia di un sogno sfumato, ma di uno inseguito e, in parte, già realizzato. Francesca Carchidi ha trentraquattro anni, è sposata e vive a Monterosso, nell’entroterra vibonese. Non fa più la musicista, perché ha scelto la vita dell’operatrice socio-sanitaria, assecondando un’aspirazione che aveva sin da bambina. E così, Francesca, diventa testimone autentica del significato di un acronimo, quello di "Oss", che rappresenta un mondo ai più sconosciuto, o conosciuto solo in apparenza, in superficie.

«Avevo quattordici anni – racconta – ed in paese c’erano diverse persone anziane e sole. Mi recavo da loro per aiutarle a fare piccole cose di casa, la spesa o semplicemente per scambiare qualche parola. Col tempo hanno iniziato a regalarmi qualcosa, ma non era per questo che lo facevo. Rendermi utile, aiutare chi aveva bisogno, mi dava una profonda gratificazione». Insomma, un volontariato pressoché quotidiano, che viaggiava di pari passo allo studio, alla passione per il canto ed il piano, al sogno di diventare come Anna Tatangelo, una ragazza di periferia capace di conquistare lo star system.

La svolta della sua vita arriva nel 2008, quando il Comune di Monterosso attiva un progetto per l’assistenza domiciliare alle persone non autosufficienti. Poco più che ventenne, Francesca entra nella vita di due persone che saranno sempre speciali: una madre ed una figlia, entrambe affette da gravissime patologie degenerative. «Non è durato molto quel progetto – spiega – ma anche quando si è concluso, io ho continuato a lavorare per questa famiglia. Ci lavoro ancora adesso, dopo tredici anni. La mamma ora purtroppo non c’è più ed ha lasciato un grande vuoto. È rimasta la figlia, alla quale mi dedico più e meglio che posso. Non è volontariato, ormai, per me, ma è lavoro. E lo svolgo con la stessa passione che anima un volontario».
Dal 2018, Francesca si impegna affinché possa completare la sua formazione e possa essere formalmente riconosciuta con una qualifica ciò che, di fatto, fa sin da quando era un’adolescente. Ha così iniziato il corso da operatore socio-sanitario con l’associazione San Giuseppe Moscati di Vibo Valentia. «Mi sono trovata benissimo – racconta – ho imparato tante, tantissime cose. La più importante è che questo è un lavoro delicato, importante, che non è per tutti. È un lavoro che puoi fare davvero se e solo se ti senti pronto a dedicarti completamente agli altri, altrimenti, se pensi possa essere un impiego come un altro, beh, vuol dire che hai sbagliato strada».

Il corso prevede una parte teorica e una pratica. La pratica la vedrà impiegata per 200 ore in Utic e Cardiologia allo Jazzolino, poi altre 100 ore in Pediatria, 150 in Psichiatria, infine 100 di esercitazioni pratiche. «Ripeto – dice Francesca – questo percorso non si fa per avere un pezzo di carta, ma perché devi avere una vocazione». E allora, Francesca inizia con lo sfatare i luoghi comuni: «Non si è dei veri e propri infermieri, ma se non lo sei è con la professionalità di un infermiere che devi operare e a quelle competenze devi fare il possibile per avvicinarti. Ma un Oss non è neppure un badante, attenzione…». L’Oss, così, deve occuparsi dei bisogni primari del paziente e non solo: «Arrivi e sai che devi rifare il letto, sai che devi saper prenderti cura dell’igiene della persona. Questo, però, è solo un aspetto infinitesimale di questo lavoro, che si regge invece sull’empatia con il paziente. Sai che hai davanti una persona che non può prendersi cura di se stessa e della sua salute e, con il tuo lavoro e la tua presenza, la completi».

Francesca non sa dove il futuro la condurrà, ma se potesse scegliere – lei convinta che «il futuro è quello che ci costruiamo da soli» – vorrebbe poter continuare a prendersi cura di anziani e disabili: «Potrei finire in una scuola, stare in una struttura per tossicodipendenti, in una casa famiglia, ma io preferisco le persone anziane e quelle portatrici di disabilità. Perché sapere che fai qualcosa di importante per chi non può farcela da solo mi trasmette una gratificazione emotiva immensa. E quando in tv vedo dei maltrattamenti nelle Rsa o nelle case famiglia, giuro, sto davvero male». Così, la ragazza che cantava nelle piazze e sognava il palco dell’Ariston, oggi lancia un invito ai tanti giovani che ancora aspettano il destino: «Dico loro di guardarsi dentro e di trovare la propria strada. E se scegliete di prendervi cura degli altri, vorrà dire che avrete intrapreso la mia».


di P. C.

7 marzo 2021

FONTE: il Vibonese.it

lunedì 8 febbraio 2021

In Langa il medico che combatte la paura da Coronavirus in sella alla sua Ambra

“I miei assistiti sono preoccupati per questa pandemia ma arrivando con la mia cavalla è come se facessi una mini pet therapy anti panico da Covid-19”

Tra i tanti effetti collaterali che ha questa terribile pandemia da Covid-19, c’è anche quello della paura, dell’incertezza su come comportarsi e anche la preoccupazione di non riconoscere in tempo i sintomi in noi stessi e nei nostri familiari. Per questo arrivare dai miei assistiti, spesso preoccupati, con la mia cavalla Ambra, è un modo per stemperare la tensione, rasserenare almeno per un attimo gli animi in questo brutto periodo. Del resto i cavalli sono stati tra i primi animali ad essere utilizzati con successo nella pet therapy, quasi come un calmante naturale”.

A dirlo è il medico di base Roberto Anfosso, mille e 200 persone delle quali prendersi cura, la cui età media supera i settanta anni e spesso va oltre i cento. Da loro, tra La Morra e Verduno, il medico Anfosso si reca al galoppo, ossia in sella alla sua bella cavalla Ambra.

Ormai i miei pazienti sono abituati a vedermi arrivare a cavallo e soprattutto in questo periodo così difficile, dove a dominare è l’incertezza, noto che sono più sereni, perché identificano questo mio modo antico di muovermi con la volontà di voler dedicare loro più tempo e si sentono gratificati”.

Il Coronavirus è arrivato anche sulle belle colline di Langa?

Purtroppo sì. Ad ora ho avuto una paziente di novanta anni e un uomo sui sessanta deceduti per Covid-19, più altre persone in quarantena. Nonostante l’isolamento naturale di queste aree, la pandemia, anche se in maniera inferiore, ha bussato alla porta di queste cascine”.

Come è cambiato il suo lavoro?

Già prima facevo molte visite a domicilio, proprio per agevolare gli assistiti che hanno difficoltà a muoversi per venire in ambulatorio. Per questo ho tutti gli strumenti di cui ho bisogno nelle due bisacce portate da Ambra. In questo periodo, però ho un abbigliamento anti Covid19, ossia oltre a guanti e mascherina, utilizzo un camice monouso che dopo ogni visita butto via. Ma la diversità maggiore è ciò che succede prima delle visite a domicilio: ogni giorno ricevo dalle cinquanta alle settanta telefonate da parte di assistiti preoccupati ed impauriti per quello che sta accadendo, timorosi di essere stati contagiati e anche molto preoccupati per familiari ed amici infetti, per le loro condizioni di salute. Io tranquillizzo tutti, passo a domicilio anche se non richiesto e con la mia Ambra cerco di stemperare la tensione”.

Ambra è sempre contenta di farle da assistente?

“Assolutamente sì. Ormai conosce la strada e da chi visitiamo di più ci arriva senza le mie indicazioni. L’importante è iniziare bene la mattina
.

Cioè?

Per svegliarla devo arrivare da lei piano, accarezzarla per qualche minuto e darle il suo zuccherino. Solo dopo tutto questo nostro rito, Ambra mi fa un cenno di saluto con il muso e capisco che è pronta per le visite a domicilio dei nostri pazienti che ormai ci considerano una equipe che oltre ai farmaci porta anche sorrisi. E in questo periodo ne abbiamo tutti bisogno”.


30 aprile 2020

FONTE: La Voce di Alba

mercoledì 3 febbraio 2021

E’ morto Tom Moore: raccolse 33 milioni sul girello per la sanità britannica. «Una piccola anima» che ha fatto la differenza

Capitano pluridecorato, aveva 100 anni, si è ammalato di recente di Covid. L’omaggio di Boris Johnson e anche della Regina Elisabetta. «Un vero eroe inglese»

LONDRA – Ci sono gli eroi delle leggende e dei fumetti e ci sono gli eroi della vita quotidiana, gente che al posto dei muscoli ha il coraggio e della forza fisica la determinazione, che non si ferma davanti alle difficoltà e il cui vero merito, al di là delle azioni, è di ispirare gli altri a essere la versione migliore di sé stessi. Sir Tom Moore, che si è spento oggi all’età di cento anni, è stato un eroe. Lo è stato per il Regno Unito nell’era del Covid così come per centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, che rapiti dalla sua intraprendenza lo hanno aiutato a raccogliere quasi 33 milioni di sterline per il sistema sanitario britannico.

«Un’anima piccola come me non potrà fare una grande differenza», disse nel corso della sua prima intervista televisiva lo scorso aprile. Sbagliava. Le immagini di un anziano signore in giacca e cravatta che con un deambulatore si impegnava ogni giorno per raggiungere l’obiettivo di cento giri del giardino di casa per il suo centesimo compleanno hanno dato speranza a un paese in preda al virus, hanno rappresentato un raggio di luce tra i tragici bollettini del Covid, hanno ricordato a tutti che nonostante le restrizioni e la solitudine la vita poteva, e doveva, andare avanti.

L’ironia della sorte ha voluto che fosse proprio il virus a portarselo via, lui che durante la seconda guerra mondiale con l’esercito era arrivato sino in India, «troppo giovane per avere paura». Per via di una polmonite diagnosticata alcune settimane fa, Sir Tom non aveva ricevuto il vaccino. La settimana scorsa è sopraggiunto il tampone positivo, domenica il ricovero. Ieri sera si è capito che la fine era vicina con la notizia che nonostante il lockdown i famigliari si erano riuniti al suo capezzale all’ospedale di Bedford.



La regina Elisabetta, che a luglio aveva interrotto l’isolamento per insignire Moore del titolo di Sir di persona con una cerimonia nel giardino del castello di Windsor, ha mandato alla famiglia le condoglianze sue e di tutti i Windsor, sottolineando che «incontrarlo è stato un vero piacere». Il primo ministro Boris Johnson lo ha definito «un eroe nel vero senso della parola». «Nei giorni bui della seconda guerra mondiale ha combattuto per la libertà, di fronte alla crisi più buia dal dopoguerra ha unito la popolazione e ci ha tirato su di morale. Ha rappresentato – ha detto – il trionfo dello spirito umano».

Le figlie Hannah e Lucy hanno fatto sapere di aver condiviso con il padre, anche durante le sue ultime ore, «riso e lacrime» parlando dei ricordi della loro infanzia e della madre. «L’ultimo anno della sua vita – hanno sottolineato – è stato straordinario, lo ha fatto sentire più giovane e gli ha permesso di provare esperienze che mai avrebbe immaginato». Un’anima non piccola. Un gigante.


di Paola De Carolis

2 febbraio 2021

FONTE: Corriere della Sera

lunedì 18 gennaio 2021

Valsesia. Imprenditore dona un milione per i malati di Alzheimer

Il regalo di un industriale per un progetto della Comunità montana del suo territorio. Unica condizione: sia realizzato subito

Dona alla Comunità montana del suo territorio un milione di euro, purché siano destinati a un progetto sociale che si concretizzi in breve tempo.

Un milione. Tanto l’imprenditore metalmeccanico valsesiano Achille Burocco ha voluto offrire all’inizio dell’anno in corso in memoria della sorella Lidia, preferibilmente per un’iniziativa rivolta a pazienti affetti da Alzheimer o altre malattie neurodegenerative. Ma soprattutto con una condizione inderogabile: che il progetto potesse avere una ricaduta rapida ed evidente sui settori a cui è indirizzato.

Detto fatto: l’Unione Montana Valsesia, nonostante la pandemia che ha dilatato un po’ i tempi, si è messa in moto per dare concretezza alla straordinaria donazione di cui l’ente è beneficiario e grazie alla dirigente ai Servizi sociali Renata Antonini e ai suoi collaboratori ha elaborato "La pagina bianca", un programma del quale è prevista la partenza già il 1° gennaio.

Articolata in tre parti, corrispondenti ad altrettante tranches di erogazione economica da circa 300mila euro ciascuna, l’iniziativa prevede nella fase iniziale la ricerca e formazione di personale medico e paramedico specializzato in problematiche neurodegenerative, quindi varie azioni per sostenere i pazienti e le loro famiglie sia nei centri diurni dell’Unione Montana in Valsessera e Valsesia, sia a livello domiciliare.

«Insieme al presidente Pierluigi Prino, sono onorato e ringrazio Achille Burocco per il significativo gesto di grande altruismo – commenta Francesco Nunziata, assessore ai Servizi socio-assistenziali – che premia tra l’altro il lavoro dei nostri operatori a favore dei soggetti più deboli del territorio. Da parte nostra, abbiamo voluto dare una risposta di grande serietà alla donazione con l’impegno immediato per redigere una proposta che potesse offrire le garanzie giustamente richieste dal benefattore».

Diversi soggetti hanno lavorato in sinergia per rendere concreto il progetto: in particolare, oltre allo staff dei Servizi sociali, la vice-sindaca di Coggiola Pierangela Bora Barchietto. «La donazione Burocco è un grande gesto d’amore per il territorio – conclude Nunziata – che darà grande sollievo a tante famiglie afflitte dal senso di impotenza che si percepisce quando si assistono persone affette da malattie neurodegenerative. Grazie a questi cospicui fondi riusciremo ad offrire supporto in diversi modi e a molti più pazienti di quelli che seguiamo attualmente. Un grande ringraziamento dunque a un imprenditore il cui amore per la sua terra e i compaesani si è espresso attraverso un gesto capace di cambiare tante vite».


di Paolo Usellini

24 dicembre 2020

FONTE: Avvenire

lunedì 11 gennaio 2021

La romantica serenata di Antonio Lamera per la sua Serafina, che è in casa di riposo

ROMANTICISMO SENZA ETA'

Lo storico di Stezzano ha organizzato un concerto di baghèt per la moglie, che è un’appassionata e che da un po' non è più a casa con lui per via del ricovero. Un bel regalo per tutti gli ospiti

Una serenata a suon di cornamuse orobiche per l’amata moglie Serafina ricoverata alla casa di riposo “Villa della Pace”. È questo il romantico pensiero balenato nella mente dello storico Antonio Lamera che mercoledì 16 dicembre alle 15 ha organizzato un concerto natalizio alla Rsa, arruolando alcuni rinomati musicisti.

«L’idea mi è venuta quando ho visto sul giornale un articolo relativo alla cerimonia che si è svolta in Episcopio, il giorno dell’Immacolata. Ho letto che aveva partecipato “La banda dei baghet”. Ho ricercato gli estremi per contattarli, ho scritto una mail, ma dopo tre giorni nessuno mi aveva risposto. Allora ho fatto alcune ricerche in internet e ho trovato un trio di Treviglio formato dal bagheter Luciano Carminati che guida l’associazione di promozione e tutela dello strumento, Francesco De Chiara (gaita galiziana/flauti) e Carlo Pastori (fisarmonica). Dai miei ricordi affiora che fin dal 1500 il baghét era in uso nella Bergamasca. Mi pare che ci sia anche un museo in valle Seriana. Mi è sembrato un bel regalo di Natale, sia per gli ospiti della Rsa che per mia moglie».

Questi tre musicisti sono dei veri e propri esperti di musiche suonate nelle strade, nelle piazze e nei cortili. Spazi a cielo aperto che, ora più che mai, in questo periodo di emergenza sanitaria, si stanno trasformando in una valida alternativa a teatri e luoghi d’intrattenimento al chiuso. «Per il concerto mi era stata chiesta una cifra che non potevo permettermi – prosegue Lamera – ho chiesto il contributo di amici e conoscenti. Il raccolto è stato più che positivo, in tanti hanno collaborato e li ringrazio moltissimo. Cifre piccole ma anche di un certo rilievo, come quella del Mercatino dell’usato. Mio figlio Giovanni poi, mi ha telefonato dicendomi che pagava tutto lui. Insomma, dopo l’amore coniugale, l’amore filiale… Allora mi sono mosso per fare un secondo spettacolo, questa volta con tre bagheter bergamaschi studenti universitari, che si terrà il 19 di gennaio, sempre alla casa di riposo Villa della Pace».

Antonio e Serafina si sono conosciti settant’anni fa, quando ancora erano molto giovani. Si sono sposati nel 1961 e l’anno successivo è venuto alla luce il loro primo figlio Giovanni, seguito dalla secondogenita Silvia nel 1963.


di Laura Ceresoli

21 dicembre 2020

FONTE: Prima Bergamo

domenica 10 gennaio 2021

I nipoti di Babbo Natale che spediscono regali agli anziani soli delle Rsa: "Così mi sembra di avere ancora mio nonno"

Da tre anni una onlus di Como pubblica i desideri degli anziani ospiti delle case di riposo per Natale e chi vuole può esaudirli. Con il Covid l'iniziativa si è ampliata: già quasi 6 mila regali consegnati in 228 Rsa in tutta Italia: "La solitudine quest'anno pesa di più"

Silvietto ha 78 anni e ha chiesto una coperta per ritrovare in parte "il calore di mia moglie Maria, che mi manca tanto. La sento al telefono, ma non è la stessa cosa". Roberto, che di anni ne ha 86, desiderava un tagliacapelli personale perché "i parrucchieri in questo periodo non possono entrare nelle Rsa e voglio fare bella figura con i miei parenti quando mi videochiamano". Apollonia, un secolo tondo di vita, sognava invece una bella sorpresa per sentirsi meno sola e ha ricevuto un pacchetto accompagnato dalla videochiamata della 33enne Debora, che è diventata la sua "folletta personale". Giuseppina, 86 anni, scrive: "Nonostante la mia età, sono ancora una tifosa sfegatata del Milan, proprio come mio marito che purtroppo non c'è più. Sarei davvero felice di ricevere la maglia del Milan. Mi piacerebbe poterla indossare e portare fortuna alla mia squadra quando gioca". Detto, fatto: Anna e Salvatore le inviano la maglia con un biglietto di auguri.

Sono solo alcuni dei 5.700 desideri esauditi quest'anno dai Nipoti di Babbo Natale, ovvero gli aderenti al progetto della onlus comasca "Un sorriso in più" che consente di realizzare i sogni degli ospiti delle case di riposo italiane attraverso il sito www.nipotidibabbonatale.it.

"L'iniziativa è nata in Repubblica Ceca e in Italia siamo arrivati alla terza edizione - spiega Laura Bricola di 'Un sorriso in più' - Dimostrare affetto e vicinanza agli anziani è ancora più importante quest'anno a causa dell'emergenza sanitaria. Basti pensare che nel 2019 avevano aderito 90 case di riposo e quest'anno siamo arrivati a 228, sparse in tutta Italia".

Con le Rsa chiuse ai visitatori per evitare i contagi, figli e nipoti sono infatti costretti a stare lontani dai loro cari. Una condizione particolarmente difficile da sopportare durante il periodo delle feste natalizie ormai imminente. Così gli operatori delle case di riposo hanno trovato modalità alternative per far sì che gli ospiti non si sentano isolati: c'è chi ha scelto di pubblicare i loro desideri sul sito dei Nipoti di Babbo Natale e chi ha pensato di collocare una speciale cassetta della posta sul cancello della struttura, come è successo alla Rsa "La Risaia" di Marcignago (nel Pavese). "Chiunque può lasciare un messaggio, un pensiero, un disegno o una poesia per i nostri anziani - racconta Ilaria Cipolla, una delle educatrici - Questo sarà un Natale diverso e forse un po' malinconico, ma noi speriamo che questa idea contribuisca a far entrare qui un'ondata di affetto da parte di chi per forza di cose deve rimanere all'esterno".

Proprio a chi lavora nelle case di riposo va il pensiero di Laura Bricola: "In questo periodo così difficile, garantire le consegne dei regali agli anziani ha richiesto un impegno maggiore rispetto agli altri anni, ma gli operatori delle Rsa non si sono tirati indietro - sottolinea - Per questo è bello che tanti dei Nipoti di Babbo Natale abbiano scritto messaggi per loro, ringraziandoli per tutto quello che stanno facendo".

Esaudire il desiderio di qualcuno fa stare bene chi fa il dono almeno quanto chi lo riceve: "Specie quest'anno. Tanti degli aderenti alla nostra iniziativa sono ragazzi giovani che ci scoprono sui social - conclude Bricola - Alcuni hanno perso i nonni negli ultimi mesi a causa del Covid e ci hanno detto che per loro il più grande regalo è stato sentirsi ancora una volta nipoti, impacchettando i regali per i nonni acquisiti trovati sul nostro sito. Mi hanno fatto commuovere".


di Lucia Landoni

22 dicembre 2020

FONTE: la Repubblica

mercoledì 9 dicembre 2020

L’Amore supera anche il Covid. Ivo e Livia, guariti mano nella mano

Prato, la storia di una coppia di novantenni

Prato, 7 dicembre 2020 - Sessantacinque anni trascorsi sempre insieme, poi arriva il Covid e il ricovero in ospedale per una coppia di anziani di Prato con la prospettiva di non rivedersi più. Invece, le cure e l’amore fanno miracoli e i due anziani si ritrovano proprio nella stessa stanza, con i letti affiancati, che quasi si toccano, al centro sanitario La Melagrana, attrezzato per ospitare i pazienti contagiati dal virus. Ivo e Livia si tengono la mano e questa foto, tenerissima, è stata scattata sabato dagli infermieri e poi inviata a uno dei figli della coppia.

"Quando gli infermieri mi hanno mandato la foto di babbo e mamma che si stringono la mano – racconta il figlio Andrea - è stato davvero emozionante, quasi non ci credevo. E’ la dimostrazione che i nostri genitori hanno una tempra fortissima e un grande amore l’uno per l’altro".

Chi sono Ivo e Livia? Ivo Landi ha 92 anni e per ben due volte i sanitari avevano detto ai figli, Andrea e Marco, che non aveva grandi speranze di uscire vivo dall’ospedale. La moglie Livia Arrighini, 88 anni a distanza di tre settimane è stata ricoverata anche lei per Covid. La coppia fino ad un mese fa viveva in piena autonomia nella loro casa del quartiere San Paolo. Ivo è sofferente di cuore, ha problemi di pressione, il diabete: insomma un quadro clinico complesso su cui ha messo lo zampino pure il Covid.

"Il babbo 28 giorni fa è stato ricoverato in ospedale per colpa dei suoi tanti problemi – racconta il figlio Andrea – e a quel punto è emersa anche la positività al Covid. La situazione non era per niente buona e i medici ci avevano fatto capire che non sarebbe uscito vivo. Invece, si è ripreso ed è stato trasferito una prima volta alla Melagrana dove però ha avuto un’emorragia. E’ quindi tornato in ospedale e ha superato anche la seconda fase critica, con stupore dei sanitari, così è rientrato in struttura. Invece la mamma una settimana fa ha avuto un’ischemia ed è risultata pure lei positiva al Covid. Dopo l’ospedalizzazione è stata ricoverata alla Melagrana e lì l’hanno sistemata nella stessa camera del babbo. Ora entrambi sono in via di guarigione".

Nel frattempo i figli Andrea e Marco, essendo stati a contatto con i genitori, sono finiti in quarantena e l’unico mezzo di comunicazione che hanno con il centro La Melagrana e con i genitori è il telefono. "Ringraziamo gli infermieri e il personale che ci informano e sopperiscono con le immagini al vuoto della nostra presenza. Hanno colto un attimo della loro vita veramente impagabile".


di M. Serena Quercioli

7 dicembre 2020

FONTE: La Nazione

giovedì 5 marzo 2020

Crea adorabili bambole all’uncinetto per i bambini che soffrono per la morte dei nonni


Metabolizzare la morte di una persona che amiamo non è facile e, lo è ancor meno, se si è bambini. Un’esperta di lavori all’uncinetto aiuta grandi e piccini ad affrontare meglio il lutto realizzando bambole con le sembianze dei cari scomparsi.

Ognuno vive la morte a suo modo e c’è chi ama circondarsi di oggetti della persona defunta in modo da sentirla sempre vicina. Un’idea originale per aiutare le persone che stanno vivendo un lutto è quella che ha avuto JennieLeigh Holland, artista che gestisce una sua pagina chiamata The Spunky Onion dove propone lavori all’uncinetto di ogni genere.

Tra le sue creazioni vi sono anche le “Look alike Dolls”, bambole che raffigurano le persone scomparse, utili ad elaborare il lutto soprattutto ai bambini. Proprio per uno di loro ha realizzato una bambola che raffigura il nonno scomparso, un oggetto che ha aiutato il piccolo a trovare conforto in questa situazione difficile.

La bambola che, come tutte quelle realizzate da questa artista è fatta a mano e misura 38 cm, indossa gli stessi vestiti che ha il nonno in una foto e tiene in mano un pesce (i due erano soliti andare a pesca insieme).

Jennie, che vive in Louisiana (USA), ha voluto condividere la storia di questo bambino che l’ha particolarmente toccata su un gruppo di Facebook dedicato agli appassionati di crochet.

Ha raccontato che il piccolo soffriva molto per la morte del nonno e cercava in ogni modo qualcosa che potesse sempre portare con lui per ricordarlo. E’ stato il bambino stesso a scegliere la foto per farle creare la bambola e a chiederle di inserire anche il pesce in memoria delle belle giornate trascorse insieme.

Sulla pagina Instagram di Jennie potete vedere tante altre creazioni, tra cui appunto le Look alike Dolls…

di Francesca Biagioli

5 marzo 2020

FONTE: Greenme

martedì 10 dicembre 2019

Il nonno anziano è a letto e ammalato.... il piccolo nipote si prende cura di lui


Due piccoli, semplici fotogrammi... ma che toccano veramente il cuore!
Il nonno anziano è a letto ed è ammalato.... e il suo nipotino, un bambino di pochi anni dalle immagini che si vedono, si prende cura di lui, dandogli da mangiare, imboccandolo con amorevole cura e pazienza.
Chi sia il nonno e chi sia il bambino non è dato di saperlo.... quello che è certo però, è che l'immagine è veramente bella, delicata, piena di significati.... e ci dice, semmai ce ne fosse ancora bisogno, del grande cuore che hanno i bambini! Veramente, non è mai troppo presto ne mai troppo tardi per Amare veramente!

Marco

 9 giugno 2019

FONTE: Retenews 24

venerdì 22 novembre 2019

Gennaro, infermiere napoletano e tenore, che canta per i suoi pazienti anziani e malati


La storia di Gennaro, l’operatore sanitario, tenore, ha fatto il giro della rete arrivando fino in televisione, perchè Gennaro, appassionato di musica e tenore, allieta i suoi pazienti anziani anche a suon di musica

Gennaro Guerra è un operatore socio sanitario, un OSS che lavora presso l’Rsa Padre Annibale di Francia, a Napoli, oltre al suo lavoro, Gennaro ha un’altra grande passione, la musica, infatti è un tenore, e questa sua abilità la utilizza per allietare e alleviare le giornate degli anziani ricoverati presso la casa di riposo.

Così, è cosa normale e risaputa che quando si entra nell’ RSA si può sentire qualcuno che canta brani popolari e neomelodici di musica napoletana, ed è proprio Gennaro che girando per i corridoi e per le sale, si cimenta in qualche canzone per rallegrare e svagare le menti nostalgiche.

Magari si trova a cantare una canzone che ad una paziente ricorda il suo primo amore, o per un altro paziente quella che lo riporta indietro agli amici d’infanzia, e gli anziani lo seguono nella musica, cantando insieme, in allegria e godendosi qualche momento di spensieratezza.


Gennaro racconta:

La musica, oltre ad essere un antidolorifico è un buon antidoto contro la depressione e la solitudine a cui molto spesso vanno incontro gli anziani ricoverati nelle case di riposo, che si rallegrano e rianimano sulle note delle loro canzoni preferite”. Con "O surdato nnammurato", "Funiculì funicolà", "Reginella", appaiono sorrisi e voglia di cantare o godere della voce del tenore.

il suo obiettivo e la sua passione è poter dare sollievo attraverso la musica e la sua voce agli anziani ricoverati, perchè gli anziani sono una memoria storica, una fonte preziosa per la nostra cultura e sono anche i progenitori della nostra società e dei nostri diritti, per questo donare un sorriso, una risata e una canzone può essere un piccolo gesto di grande importanza.

Gennaro si impegna non solo prestando la sua voce, ma soprattutto entrando in relazione con gli anziani, apprezzandoli e rispetta la loro vita e la loro storia.

Ormai nell’ospedale lo apprezzano tutti ed è talmente amato dei pazienti che spesso medici ed infermieri quando si trovano a curare un paziente difficile, che sia un anziano o un bambino, chiamano lui, che arriva e per tranquillizzarli intona una canzone, appena inizia a cantare "il gioco è fatto" come racconta lo stesso Gennaro

Tutti i pazienti vogliono raccontare la loro esperienza con la musica di Gennaro, c’è chi racconta di essersi rianimato sentendolo cantare, chi dice che Ogni volta che viene, tiene allegro tutto il reparto, mentre una collega commenta il gesto di un‘anziana, che appena il tenore ha iniziato a cantare si è alzata dal letto per ballare:

Vedi la musica cosa fa? Fa alzare i pazienti dalle sedie”.

Gennaro è divenuto tanto popolare che proprio i suoi pazienti hanno voluto fargli una sorpresa, iscrivendolo lo scorso anno ad Italian’s Got Talent, un talent show di Sky in cui il tenore si è esibito incantando la platea, con indosso la divisa da lavoro, perchè la sua passione per il canto non può prescindere dalla voglia di aiutare e rallegrare i suoi anziani.

15 febbraio 2019

FONTE: Positizie.it

domenica 28 ottobre 2018

La bella storia di nonna Irma, a 93 anni in Kenia per aiutare i bambini dell'orfanotrofio


Se qualcuno pensa che una persona dopo i 90 anni non sia più in grado di fare niente di importante, se non forse stare a casa a guardare e accudire i propri nipoti o pronipoti (cosa comunque lodevolissima e di grande importanza) legga questa storia.... e si ricreda.

Lei si chiama Irma Dallarmellina, "nonna" Irma per tutti, e ha 93 anni. E' una persona forte, ha visto la guerra, è rimasta vedova a 26 anni, con tre figli a carico, e poi ha perso una figlia. Vive a Noventana Vicentina e circa 10 anni fa ha conosciuto Francesca Fontana e Giannino Del Santo, una coppia vicentina, moglie e marito, che vanno in missione tutti gli anni in Kenia per un mese all'anno. Coinvolta dal loro esempio ed entusiasmo, nonna Irma ha iniziato ad aiutarli come poteva, con piccole ma importanti donazioni in denaro, quello che la sua pensione gli ha permesso di fare. In questo 2018 però non si è accontentata di questo e ha voluto fare di più..... ovvero andare lei stessa, di persona, in Kenia, nonostante le sue 93 primavere. Così, assieme alla figlia, con il suo trolley rosso e il suo bastone di sostegno, il 20 febbraio di quest'anno è partita alla volta di Nairobi per rimanervi tre settimane e offrire le sue mani, la sua esperienza e la sua simpatia ai bambini dell’orfanotrofio.
Appena arrivata in Kenia nonna Irma ha voluto subito incontrare Don Remigio, un missionario "giovanotto" come lei, che da vari anni sostiene economicamente, e che da diverso tempo è ricoverato in ospedale perché malato. Dopo di ciò ha voluto incontrare immediatamente i bambini del posto.... ed è stata gioia grande per tutti! Con Francesca e Giannino, i volontari che l'hanno "coinvolta" in questa avventura, nonna Irma è andata a visitare l'orfanotrofio che la missione gestisce, quindi ha trovato il tempo di inviare qualche foto e un messaggio vocale a casa, poca roba perché le comunicazioni non sono facili, ma comunque molto significativi:
Sto bene. Il viaggio è stato lungo, ma sono già operativa. E sono felice!.

Questo semplice messaggio e queste foto sono state postate sui social network dalla nipote Elisa Coltro e in men che non si dica sono diventate “virali”, raccogliendo in breve tempo migliaia di like e condivisioni.Questa è la mia nonna Irma – scrive Elisa -  una giovanotta di 93 anni, che stanotte è partita per il Kenya. Non in un villaggio turistico, servita e riverita, ma per andare in un villaggio di bambini, in un orfanotrofio. Ve la mostro perché credo che tutti noi dovremmo conservare sempre un pizzico di incoscienza per vivere e non per sopravvivere. Guardatela... ma chi la ferma? Io la amo”.



La nipote Elisa, come si può ben comprendere da queste parole, è orgogliosa della sua amata nonna, e non lo nasconde:
Mia nonna ha sempre amato la vita e non si è mai fermata davanti a niente. Ha dedicato la sua esistenza alla famiglia e ad aiutare chi le stava vicino - racconta - Per me è sempre stata un esempio. Un esempio che la nipote ha raccolto nel migliore dei modi dal momento che in estate, da qualche anno a questa parte, anziché andare in vacanza come fa la maggior parte dei suoi coetanei, adopera le proprie ferie per aiutare i rifugiati siriani nei campi greci. Ed è proprio il caso di dire che "buon sangue non mente".

Nonna Irma in Kenia è diventata subito la nonna di tutti. Nella sua valigia rossa ha portato pochissimi indumenti, per lasciare spazio ad ago, filo colorato, forbici, colla e a tante cartoline, perché lei è sempre stata bravissima a cucire delle scatole con le vecchie cartoline. Lo fa a casa, per gli amici, e lo ha fatto in viaggio per i nuovi piccoli amici kenioti. In ogni scatola c'è l'amore di un oggetto fatto a mano e un sorriso.

La bella esperienza di nonna Irma in territorio africano, come detto, è durata tre settimane, al termine delle quali è rientrata nella sua casa di Noventana Vicentina. Un esperienza che le è rimasta nel cuore: “Ho visto tante cose belle, ma anche tanta miseria - afferma - Mi sono rimasti nel cuore i bambini, ma non hanno niente. Neanche l'acqua e le strade. E' una vergogna. Se avessi una proprietà mia venderei tutto e lo darei al Kenya. Ma sono povera e vivo solo della mia pensione”.
Nonna Irma è diventata un esempio per chi vuole partire per l'Africa, ma lei dice: “Non devono fare come me, che sono rimasta poco. Devono rimanere per dei mesi. Anziché andare in vacanza al mare, devono andare in Kenya”. Poco tempo dice lei.... ma quando si ha un età come la sua, ogni giorno speso in questo modo è oro puro.
Nonna Irma ha anche le idee molto chiare su ciò che andrebbe fatto, e non si nasconde certamente dal dirlo: “Mettere i soldi che si spendono per le guerre per costruire invece delle fabbriche. E mettere anche del sale in zucca a quei quattro che comandano il mondo: andate a farle voi le guerre, se vi piacciono tanto!”.
Parole forti e taglienti, da parte di chi di cose ne ha viste e fatte tante!


E' veramente una bella storia questa di nonna Irma e lei è un bellissimo esempio per tutti, che ci ricorda più che mai come questo Dono preziosissimo che si chiama "Vita" vada vissuta pienamente, con forza, coraggio e tanta buona volontà. Ma sopratutto ci ricorda di "spenderla bene", con tanto Amore, per aiutare il nostro prossimo, in particolar modo quello più bisognoso. Grazie di tutto nonna Irma!

Marco

Febbraio - Marzo 2018

FONTI: Repubblica, Greenme, Tg com24, La Stampa, Il Corriere, Volontariatoggi

venerdì 28 settembre 2018

Mega-donazione per il centro alzheimer. Il benefattore è Cassio Morosetti


Il celebre fumettista italiano, fra gli jesini più illustri, ha deciso di donare 800 mila euro per realizzare in via Finlandia la struttura a servizio degli anziani affetti da demenza degenerativa

JESIÈ Cassio Morosetti il benefattore che ha donato 800 mila euro alla sua città natale per realizzare il centro Alzheimer. Proprio oggi (7 settembre 2018), il sindaco Massimo Bacci, accompagnato dall’assessore ai servizi sociali, Marialuisa Quaglieri, è in trasferta a Milano, dove il celebre fumettista vive da tempo, per siglare l’accordo e accettare ufficialmente l’enorme donazione, che consentirà appunto di edificare una struttura a disposizione degli anziani affetti da demenza degenerativa in via Finlandia, completa di arredi e attrezzature.

Trattandosi infatti di una somma non di modico valore, e tenuto anche conto della destinazione vincolata, è obbligatorio un atto formale di accettazione da parte del Municipio.

«Un grande atto di mecenatismo – commenta il sindaco Bacci – con il quale Morosetti vuole farsi ricordare dalla sua città natale che, come mi ha avuto modo di confidare, non è stata riconoscente con lui. Desidero ringraziare Jesi e la sua Valle che ha facilitato il nostro incontro e ha permesso a questo artista di poter esprimerci la propria volontà. Ho avuto modo di parlare con Cassio Morosetti, ho conosciuto una persona brillante, estremamente lucida, molto più giovanile dei suoi 96 anni, che mi ha raccontato di aver lasciato Jesi ed essersi arruolato volontario nel 1940 perché estremamente povero, di essere rimasto in un campo di concentramento per lunghi anni e per tornarvi poi con promesse non mantenute».

Morosetti se ne è andato quasi subito da Jesi, per poi compiere un percorso professionale straordinario grazie alla sua caparbietà e alle sue grandi doti naturali. Ha iniziato con la celebre Settimana Enigmistica, avviando subito dopo un crescendo di collaborazioni con migliaia di vignette su quotidiani, riviste, house organ, inserti pubblicitari in Italia e non solo.

«Oggi – ha aggiunto Bacci – ha quasi preso una rivincita con la sua città che negli anni ‘40 lo aveva a suo modo messo in disparte. Da personalità di grande spessore qual è ha voluto quasi testimoniarci che quel trattamento non se lo meritava. Sarà per questa Amministrazione un onore trovare il modo di rendere duraturo il senso di riconoscenza per questa donazione. Il nuovo centro per l’Alzheimer è un preciso obiettivo del nostro programma di mandato che completa il centro demenze aperto provvisoriamente in via San Giuseppe, rendendo tale servizio ancor più strutturato e con una maggiore possibilità di accogliere ospiti. Ci metteremo subito al lavoro per realizzarlo quanto prima in un’area all’interno della città, ma dotata di ampio verde».

Nato a Jesi nel 1922, Morosetti partecipò alla guerra in Libia e, dopo tre anni di prigionia, si stabilì a Milano dove iniziò a pubblicare alcune vignette su la Settimana Enigmistica. Negli anni ’50 crea il suo personaggio più famoso, lo sceriffo Botticella, divenuto noto grazie al Corriere dei Piccoli. Si deve a Morosetti la nascita della Disegnatori riuniti, un’agenzia che ha rappresentato gli umoristi italiani per oltre quarant’anni. Nel 2010 è uscita la sua autobiografia, intitolata In divisa nell’orto dietro casa. Nel 2013, a seguito di una mostra delle sue opere organizzata a Jesi dal 15 al 26 settembre, è uscito il libro-catalogo intitolato Cassio Morosetti (una vita da umorista).

di Matteo Tarabelli

7 settembre 2018

FONTE: Centro Pagina

lunedì 2 aprile 2018

Mantova, muore benestante e senza eredi: lascia sei milioni agli anziani


Con i soldi nascerà un centro Alzheimer

MANTOVA - Ha voluto lasciare il suo patrimonio di oltre sei milioni di euro a chi si occupa dell’assistenza agli anziani. Carla Alberti, vedova Catellani, ha destinato 5 milioni al Comune di Mantova, la sua città; e il resto ad altri centri d’assistenza. La bella storia è stata raccontata ieri, all’apertura del testamento della benefattrice, scomparsa il 5 marzo scorso.
La signora Alberti da giovane aveva lavorato nella Banca Agricola Mantovana, un’istituzione legatissima al territorio (da anni entrata però nella galassia di Montepaschi). In banca aveva conosciuto il marito che negli anni Ottanta era arrivato alla carica di vicedirettore generale di Bam. I regolamenti allora vietavano che una dipendente fosse sposata con un alto dirigente e allora la signora si era dimessa per fare la casalinga. Senza figli, la coppia ha condotto una vita dignitosa e morigerata.

I risparmi erano stati investiti in attività proficue. Alla morte del marito, una decina d’anni fa, il patrimonio era stato seguito da un curatore. E proprio lui, Gianfranco Lodi, in qualità di esecutore testamentario, assieme al sindaco di Mantova Mattia Palazzi, ha illustrato la destinazione dell’ingente eredità. Un milione e 10mila euro sono stati destinati a case di riposo del territorio, non solo in città ma anche dei comuni della provincia. Un lascito di 100mila euro ciascuno è andato all’Airc (associazione per la ricerca sul cancro) e allo Iom (Istituto oncologico mantovano); altri 100mila euro agli Sherpa, gruppo di volontari che assiste assiste i malati terminali. Al Comune sono andati 5 milioni: «Li destineremo a un’opera duratura a favore degli anziani», si è impegnato il sindaco Palazzi. Si tratterà molto probabilmente di una dimora assistita dove potranno trovare posto i malati di Alzheimer, una patologia che non solo nel Mantovano si diffonde ogni anno di più.

di Tommaso Papa

25 marzo 2018

FONTE: Il Giorno

mercoledì 28 marzo 2018

Nonna percorre 24 km al giorno per accompagnare il nipote disabile a scuola


"Finché avrò la forza continuerò a farlo"

Ventiquattro chilometri al giorno è il percorso che una nonna cinese percorre per accompagnare il nipote disabile a scuola. La storia commovente è stata raccontata dal sito PearVideo.

Shi Yuying è la nonna 76enne di Jiang Haowen, il bambino di nove anni soffre di paralisi cerebrale, una condizione permanente che influenza il movimento e la coordinazione e lo rende incapace di camminare. Il piccolo ha bisogno di cure a tempo pieno e l'unica che può assisterlo è la nonna: la madre del bambino, infatti, lo ha lasciato per iniziare una nuova relazione, mentre il padre lavora in un'altra città nel tentativo di sostenere le spese familiari. Molti infatti sono i debiti contratti dalla famiglia per garantire le cure necessarie a Jiang.

L'unica figura accanto al piccolo è la nonna Yuying, grazie a lei e alla sua forza il bambino può coltivare i suoi interessi scolastici. Nonostante l'età avanzata la signora Yuying spinge la sedia a rotelle su strade dissestate percorrendo otto volte al giorno il percorso verso la scuola situata nella provincia di Guangxi.

Ovviamente ad ogni viaggio di andata corrisponde il viaggio di ritorno ma nonostante questo e la fatica giornaliera, la nonna non si ferma cercando la forza nell'amore incondizionato verso il nipote. Che ci sia neve, pioggia o vento poco importa, la nonna non intende smettere: “Fiche avrò la forza continuerò a farlo” dice.
Prima che le autorità le fornissero una sedia a rotelle a luglio, la nonna "eroe" ha usato una bicicletta per accompagnare il nipote, che nonostante la disabilità fisica è un ragazzo sveglio e studioso e amante della matematica.

24 gennaio 2018

FONTE: Huffington Post


E' davvero sorprendente quello che riesce a fare l'essere umano in certe determinate situazioni. E quello che fa questa nonna ultrasettantenne dalla sorprendente vitalità è davvero stupefacente! E anche questo è Amore.  

Marco

martedì 26 dicembre 2017

Quelle coperte che scaldano le notti degli ultimi di Roma


La signora Tina ha cominciato a fare coperte per i poveri per colmare il dolore della perdita del figlio

La lana scivola tra le dita e due ferri che l'intrecciano sbaragliano le teorie dell'invecchiamento come tempo desolato e privo di consolazione. In punta di economia quel mucchio di coperte colorate che ricopre il divano di casa potrebbe essere definito "investimento produttivo residuale". Ma Tina non è sazia di giorni e continua a credere, faticare e amare. Impiega tre o quattro giorni a tessere con i ferri una coperta. Sorride: «Dipende dalla lana, ma le più ruvide le filo con le più gracili».
Ha 95 anni e non sferruzza per passatempo. Tina fa coperte per i poveri che dormono per strada, per i letti dei dormitori che ogni sera cambiano ospite. Tina fa coperte colorate, perché un po' è il suo modo di riempirle di amicizia e un po' è questione pratica, perché quei gomitoli hanno tutti i colori del mondo. Ma soprattutto Tina e le sue coperte raccontano la forza degli anni, perché anche la vecchiaia ha i suoi valori e la sua bellezza. Non sa nemmeno quante ne ha cucite, non ha mai tenuto il conto. Mostra il fuso di legno, ricordo di anni passati, costruito dal marito falegname, tanto, tanto tempo fa. Campagne romagnole delle colline di Pennabillí, terra da lavorare, case da costruire. La lana affidata alle donne, quando tutti erano poveri e ci si aiutava tenendosi vicini. Alla mattina se il sole è caldo sferruzza seduta sul balcone di casa, periferia di Roma.
Ha cominciato per colmare un dolore estremo, che non passa. Accade quando un genitore sopravvive al figlio e quella morte è come un buco nero che inghiotte tutto, non c'è dolore più forte e non ci sono parole per colmarlo. Tina invece c'è riuscita, anche se ora le lacrime cadono sulla lana, mentre parla di Franco, che andava dai poveri sulla strada tutte le sere insieme ai volontari di Sant'Egidio, anni da pionieri della misericordia e di minestre calde. Ora Franco è memoria in quelle coperte e il dolore è più lieve.
Nella Comunità di Sant'Egidio, a Roma, c'è un battaglione di donne che sferruzzano appena possono. Tina ne è solo la decana. Ci sono mamme, nonne, nipoti. Ci sono gomitoli di lana che passano di mano, perché qualcuno li trova in casa e non sa che farsene, perché un negozio chiude, perché una nonna muore. Sembra niente fare coperte. Eppure è un modo anche per tramandare sapienza manuale. Tina usa anche i quattro ferri quando intreccia le lane per i calzerotti. Si fanno coperte, calze, cappelli di lana per i carcerati, il lato sconosciuto della solidarietà della capitale e insieme una grande lezione di vecchiaia per i giovani. Le coperte di queste settimane finiranno sui letti di "Casa Heidi", ex scuola del Laurentino, periferia romana, dormitorio invernale che Sant'Egidio e le parrocchie della zona aprono a dicembre e chiudono ad aprile. Ne occorrono una sessantina, ma Tina è veloce con quelle dita che mai si sono fermate e oggi accarezzano i poveri nell'arte della lana. Alza gli occhi chiari, ferma i ferri e dice in un soffio: «Ho quello che basta e ho tempo per fare come il Signore vuole e come Dio ci dà».

di Alberto Bobbio

FONTE: Famiglia Cristiana
23 novembre 2017


Storia semplice ma veramente edificante, che ci insegna che non è mai troppo tardi per fare del Bene e per vivere con Amore!
Grazie cara Tina per il tuo bellissimo esempio e grazie a tutti coloro che si "spendono" con tanta buona volontà per il Bene del proprio prossimo. La nostra società si regge di questo. Grazie di cuore!

Marco