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venerdì 14 maggio 2021

Suor Fausta Cogo, l'“angelo” in bicicletta

La religiosa vicentina è infermiera porta a porta a Strongoli centro, paesino di 2000 anime in Calabria. «Qui una suora in scarpe da ginnastica non si era mai vista, figuriamoci su due ruote»

Scarpe da ginnastica, valigetta nel cestino, veste bianca svolazzante e via. A Strongoli è l'
angelo in bicicletta”. Da 11 anni gli abitanti di questo piccolo borgo di 2.000 anime in un promontorio in Calabria, scrigno di cultura e tradizioni antiche, ricevono le sue cure arrivando a considerarla una di loro. Suor Fausta Cogo, 73 anni, infermiera dorotea di Germano dei Berici (Vi), porta conforto e cure mediche porta a porta. Per molti anni l’ha fatto in sella alla sua bicicletta elettrica. «Prima del lockdown giravo famiglia per famiglia, su e giù per le stradine – racconta -. Ho una mappa dove sono indicate le persone sole, i malati, le vedove, chi ha appena avuto un bimbo per portare l’attenzione e la parola giusta. Poi è arrivata la pandemia e, soprattutto, sono caduta in casa (in casa!) rompendomi tibia e perone. Sono ancora convalescente. La mia bicicletta ora è al sicuro in uno stanzetta, coperta da un telo. Per il momento mi vengono a prendere in automobile». Per suor Fausta la bicicletta elettrica è «il secondo angelo custode. Il primo spero di vederlo quando sarà il momento» sorride . «È il Signore che apre le strade – dice -. Qui una suora in scarpe da ginnastica non si era mai vista, figuriamoci in bicicletta».

La religiosa aveva già lavorato come infermiera nel Sud Italia fino al 2002, poi per anni nel reparto di cardiologia ad Arzignano. Arrivata la pensione ha chiesto all’allora Madre generale di poter tornare al Sud. «Ecco che mi hanno proposto Strongoli – racconta -, dove la mia Congregazione ha una comunità di quattro suore che lo scorso anno ha festeggiato 100 anni di vita. Non sapevo neanche dove si trovasse! – scherza -. “Ma lì c’è un ospedale?” chiesi». «Fu così che scoprii che si trattava di un servizio diverso, legato al Gruppo di Misericordia».

Gli abitanti, soprattutto anziani, del paesino calabrese hanno accolto la religiosa a braccia aperte. Suor Fausta chiede permesso, entra, saluta, vista, medica, fa iniezioni, porta e riceve conforto. «Piano piano, negli anni, mi conoscono tutti, mi aspettano, vedermi è un’esigenza, la mia visita per loro è un onore e un’occasione per aprirsi, chiedermi qualcosa, raccontarsi». Suor Fausta non ha la patente: «Appena arrivata – spiega – mi accompagnavano in automobile i ministri straordinari dell’Eucaristia, ho fatto anche un periodo a piedi. Qui nessuno usa la bicicletta, le strade salgono e scendono. Le utilizzano solo i bambini per giocare e d’estate si comincia a vedere qualche sportivo. La soluzione è arrivata pensando al motore.
Serve una bicicletta motorizzata!” ci siamo detti». «Mi sono sempre posta con genuinità, spontaneità senza pensare ai commenti e pregiudizi – confida -. Sicuramente ho portato novità e forse un po’ di trasgressione. Ricordo ancora le facce dei vecchietti seduti in panchina che mi vedevano sfrecciare, quelli che osservano chiunque passi, chissà che cosa pensavano».

Suor Fausta torna con la mente ai tanti anni di lavoro con i malati e si commuove: «Lavorare come infermiera, in particolare entrando nelle case della gente, è una scuola di vita. Ogni giorno scopro quanta sofferenza nascosta, silenziosa e discreta ci sia. Ho partecipato anche a compleanni, nascite, feste di matrimoni, ma è il dolore condiviso che fa crescere. È una palestra di vita, insegna a non lamentarsi per le stupidaggini». Suor Fausta è stata 40 anni caposala, in reparto: «Difficile paragonare le due esperienze, totalmente diverse. Al nord avevo le briglie, condividevo gioie e sofferenze dei pazienti per due settimane, un mese, poi li “perdevo”. Qui sono libera di vivere rapporti duraturi. Adesso mi sento davvero suora, non che prima non lo fossi, ma mi sentito vincolata dalla responsabilità». A Strongoli si vive della Provvidenza. «Se c’è bisogno di qualcosa, non si sa come ma arriva. C'è sempre qualcuno che si prodiga: non le dico la frutta, le verdure che ci ritroviamo sopra il tavolo. Gesti e solidarietà straordinari che poi noi ricambiamo distribuendo a chi ne ha bisogno».


di Marta Randon

10 maggio 2021

FONTE: La Voce dei Berici

giovedì 18 aprile 2019

“La mia vita rinata negli inferi di Roma”


CHIARA AMIRANTE RACCONTA I 25 ANNI DI NUOVI ORIZZONTI

«Tutto cominciò nel tunnel sotto la stazione Termini davanti a un ragazzo che stava per uccidersi. Avevo da poco riscoperto la Fede. Chiesi a Dio se fosse quella la strada giusta e mi rispose guarendomi da una grave malattia»

di Antonio Sarinancesco

Quando nei sotterranei della Stazione Termini di Roma Chiara Amirante, appena ventiseienne, si trovò faccia a faccia con lo sguardo agonizzante di Angelo, un ragazzo che per farla finita era arrivato alla terza overdose, si chiese se fosse quella la strada giusta per lei. Poi alzò lo sguardo e lesse quello che Angelo aveva scritto su un muro: “Nonostante la vostra indifferenza noi esistiamo”. «Era Gesù che sulla croce gridava a Dio perché lo avesse abbandonato. Capii che dovevo andare avanti».
Voce sottile, quasi impercettibile. Sorriso radioso. C'è qualcosa di folle in tutto quello che ha fatto e continua a fare questa donna la cui salute è tornata a essere malferma dopo la guarigione inspiegabile (e non richiesta) di tanti anni fa. Quell'incontro di una notte di inverno del 1991 avvia un percorso che nel marzo 1994 porta alla nascita di Nuovi Orizzonti, un'associazione internazionale di volontariato che, partita da Trigoria, alle porte di Roma, oggi è presente in vari Paesi del mondo.

Che ricordo hai di quella notte?

«Facevo già volontariato in stazione tra i senzatetto e gli immigrati, ma nei sottopassaggi non ci andava nessuno. Io sapevo che i più disperati erano proprio lì: alcolizzati, tossicodipendenti, donne costrette a prostituirsi, ex detenuti, clochard. Quando arrivai c'era una rissa. Vidi Angelo, per terra, che aveva tentato la terza overdose per farla finita. Cercai un posto dove portarlo ma non trovai nulla. Mi tornarono in mente le parole del Vangelo: “Non c'era posto, per loro, nell'albergo”. L'impotenza di non poter far nulla fu per me uno shock fortissimo».

Che fine fece quel ragazzo?

«Si salvò. Due giorni dopo venne a portarmi un regalino per ringraziarmi di avergli salvato la vita. Restai di stucco: Mi disse: “In vent'anni di strada nessuno si era mai fermato per chiedermi come stavo. Voglio incontrare anch'io questo Gesù che ti ha portato a rischiare la vita per me”».

E lei?

«Capii perfettamente che la nostra indifferenza può uccidere e il semplice ascolto può salvare la vita di una persona».

Che cosa l'ha spinta, quella notte, a scendere negli inferi?

«Fu il culmine di un percorso. Avevo riscoperto la fede da poco. Ero assediata dalla malattia. Stavo per perdere completamente la vista a causa di un'uveite che presto mi avrebbe portato alla cecità totale. Ero a un passo dalla disperazione, eppure sperimentavo nel mio cuore una pace e una gioia profondissime. Mi proposi di portare questa serenità ai disperati come me. Sembrava un'idea matta».

Lo era, sopratutto per le sue condizioni di salute.

«Infatti chiesi a Dio un segno: “Signore, se sei tu che mi metti nel cuore questo folle desiderio di andare di notte nei deserti delle nostre metropoli, mettimi anche nelle condizioni di poterlo fare”».

Cosa accadde dopo?

«L'indomani andai a Messa. Il Vangelo del giorno era quello in cui il lebbroso chiede a Gesù di guarirlo. Io non chiesi nulla, ma arrivò la mia guarigione all'improvviso, completa, inspiegabile dopo tre anni di dolori atroci e otto anni quasi da cieca. Interpretai quella risposta come la risposta che cercavo. Da quel momento il popolo della notte è diventata la mia nuova famiglia».

La strada era tutta in salita...

«Quando vedi giovani imprigionati nell'inferno della droga, della tratta, della schiavitù ti senti impotente. Cercavo di indirizzare questi disperati nelle strutture ma non era facile tutti i giorni trovare per loro un pasto caldo e un alloggio. Pensai di dover fare qualcosa per queste persone, cominciare un percorso di spiritualità partendo dal Vangelo».

I media chiamano “popolo della notte” chi vuole divertirsi. E' così?

«Si comincia con il volersi divertire e si finisce con il perdersi. La notte, pian piano, da fisica, diventa notte dell'anima».

Di cosa soffrono queste persone?

«Di solitudine. Il resto è una conseguenza: anoressia, bulimia, sessodipendenza, droga, dipendenza da Internet. Il popolo della notte non sta solo in periferia, ma nei quartieri più chic. Non c'è coscienza di quanto siano devastati i nostri ragazzi oggi perché le loro sono povertà invisibili. Il barbone lo vedi, chi ha ricevuto una coltellata al cuore no».

Nuovi Orizzonti com'è nata?

«In quegli anni chiedevo a vari politici e alle istituzioni di darmi una mano. Risposte zero. I giovani continuavano a morire e i politici a promettere. Feci un salto di fede. Il 24 maggio, festa di Maria Ausiliatrice, decisi di lasciare tutto e andare a vivere in strada con la mia nuova famiglia. In quello stesso giorno mi chiamarono per offrirmi gratis tre strutture. Nacque così il centro d'ascolto nel tunnel della Stazione Termini. Ancora una volta la Provvidenza mi era venuta incontro».

C'è qualche storia di disperazione che l'ha particolarmente colpita?

«Quelle che mi hanno raccontato relative a tre donne costrette a prostituirsi che hanno provato a scappare dai loro aguzzini. Una è stata legata a una macchina e trascinata nuda sull'asfalto, un'altra squartata viva e data in pasto ai maiali, a un'altra ancora misero topi e serpenti nelle parti intime».

Ma di fronte a tanto male lei non si scoraggia mai?

«Tutti i giorni. Se avessi basato quest'avventura sulle mie sole forze sarei scappata dopo una settimana. Però ho visto e continuo a vedere continuamente tante persone passare dalla morte alla vita. Questo mi dà la forza di andare avanti anche se le energie sono sempre meno e la mia salute è messa a dura prova. San Paolo dice che è quando siamo deboli che siamo forti e che, per fare tutto, basta soltanto la Grazia di Dio».

Il suo ultimo libro, La guarigione del cuore (Piemme), è un manuale sulla spiritoterapia. Cos'è?

«L'esperienza che in questi anni ho fatto nel cercare di accompagnare tante persone sprofondate in tunnel terribili. Se è vero che nella nostra mente ci sono tante potenzialità, è altrettanto vero che queste immense potenzialità, il più delle volte inespresse, ci sono anche nel nostro spirito dove possiamo trovare le chiavi fondamentali per la guarigione del cuore, per riscoprire la pace interiore e la gioia piena che ci ha promesso Gesù».

Chi sono i cavalieri della luce?

«Persone che hanno affrontato questo cammino di guarigione e da disperati sono diventati portatori di speranza per gli altri. Sono uomini di buona volontà che credono nella potenza dell'amore e nella forza rivoluzionaria del Vangelo».

A Nuovi Orizzonti si sono avvicinati tanti vip. Cosa li accomuna?

«La voglia di fare qualcosa di buono insieme. La gioia attira sempre, anche coloro che per il mondo sembrano uomini realizzati e di successo ma nel cuore conservano una profonda inquietudine. Tra i cosiddetti vip non ci sono meno disperati rispetto a quelli che trovi in strada. Solo che le loro ferite non si vedono».

Lei ha conosciuto gli ultimi tre Papi. Che rapporto ha avuto con loro.

«Di grande comunione. Però in questi anni mi sono sentita molto sola, non ho sentito il sostegno della maternità della Chiesa. Come se accogliere gli invisibili delle metropoli fosse una missione solo mia e non di tutti i cristiani».

La Chiesa in uscita predicata da Papa Francesco.

«Appunto, ma c'è una Chiesa che preferisce starsene comoda nel suo recinto. In quest'ospedale da campo di cristiani se ne vedono pochi. E' un'omissione di soccorso».

Dov'è Dio oggi?

«Ovunque. Il problema è che noi non abbiamo più gli occhi per vederlo».


L'INTERNAZIONALE DELLA GIOIA DOVE I PROTAGONISTI SONO GLI SCARTATI


Dall'esordio a Trigoria alle Cittadelle Cielo nel mondo

«Non ho mai voluto fondare nulla, il mio sponsor è sempre stata la Provvidenza», dice Chiara. Oggi la Comunità conta 228 centri di accoglienza in vari Paesi

All'Origine della Comunità Nuovi Orizzonti, nata venticinque anni fa, c'è la scelta di Chiara di dedicare la sua vita al popolo della notte: tossicodipendenti, ex detenuti, clochard, alcolizzati, donne vittime di tratta, ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi. La missione è quella di portare, a chi ha perso la speranza nei ghetti delle metropoli, la gioia di Cristo Risorto ponendo una particolare attenzione al mistero della sua discesa agli inferi. «Non ho mai voluto fondare nulla, è stata la Provvidenza a farmi da sponsor», spiega Amirante. Oggi Nuovi Orizzonti è un'associazione internazionale di volontariato no profit presente in vari Paesi del mondo. La sede principale, che coordina tutte le altre, è la Cittadella Cielo di Frosinone. L'8 dicembre 2010 è stata riconosciuta dal Vaticano come associazione internazionale privata di fedeli di diritto pontificio.
Dalla prima comunità di accoglienza residenziale aperta a Trigoria (Roma) nel marzo 1994, si è arrivati oggi a 5 Cittadelle Cielo, piccoli villaggi di accoglienza e formazione; 228 centri di accoglienza, reinserimento e formazione; 1020 equipe di servizio; 700 mila cavalieri della luce e 6 milioni di amici e simpatizzanti.
Già alla fine degli anni Novanta, Nuovi Orizzonti sperimenta a Roma le “missioni di strada”, un nuovo metodo pastorale di evangelizzazione. Dopo essere entrata in contatto con tante giovani vittime di varie situazioni di disagio, Chiara Amirante ha elaborato un cammino di conoscenza di sé e di guarigione del cuore (la spirit therapy, spiritoterapia) che diventa la peculiarità della sua proposta formativa anche nel mondo delle comunità di recupero.
Nel 2004 Giovanni Paolo II nomina Amirante consultrice del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti, incarico poi rinnovato da Benedetto XVI e da Francesco. Dal 2011 è membro del Comitato scientifico per la rivista People on the Move dello stesso Dicastero. Nel 2012 viene nominata da Benedetto XVI consultore del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Ha scritto vari libri. In l'Amore resta (Piemme, 2012) racconta la sua storia personale e come ha iniziato a occuparsi dei ragazzi di strada. Sono molti i personaggi del mondo dello spettacolo e dell'imprenditoria che si sono avvicinati alla Comunità: dal cantante Nek ad Andrea Bocelli, da Lorella Cuccarini a Simona Ventura a Matteo Marzotto.
I cavalieri della luce, nati su idea della Amirante nel 2006, sono persone che aderiscono al carisma dell'associazione. Alcuni sono riuniti in gruppi per impegnarsi insieme in varie iniziative di evangelizzazione.

A. S.

FONTE: Famiglia Cristiana N. 12
24 marzo 2019

mercoledì 21 ottobre 2015

Il decalogo della quotidianità di Papa Giovanni XXIII

Un proposito totalitario: essere buoni, oggi, sempre, con tutti


1) Solo per oggi, cercherò di vivere alla giornata, senza voler risolvere il problema della mia vita tutto in una volta.

2) Solo per oggi, avrò la massima cura del mio aspetto: vestirò con sobrietà; non alzerò la voce; sarò cortese nei modi; non criticherò nessuno; non pretenderò di migliorare o disciplinare nessuno tranne me stesso.

3) Solo per oggi, sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo.

4) Solo per oggi, mi adatterò alle circostanze, senza pretendere che le circostanze si adattino tutte ai miei desideri.

5) Solo per oggi, dedicherò dieci minuti del mio tempo a qualche lettura buona, ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così la buona lettura è necessaria alla vita dell’anima.

6) Solo per oggi, compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno.

7) Solo per oggi, farò almeno una cosa che non desidero fare, e se mi sentirò offeso nei miei sentimenti, farò in modo che nessuno se ne accorga.

8) Solo per oggi, mi farò un programma: forse non lo seguirò a puntino, ma lo farò. E mi guarderò da due malanni: la fretta e l’indecisione.

9) Solo per oggi, crederò fermamente, nonostante le apparenze, che la buona provvidenza di Dio si occupa di me come di nessun altro esistente al mondo.

10) Solo per oggi, non avrò timori. In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere alla bontà. Posso ben fare, per dodici ore, ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare per tutta la vita.


16 aprile 2014

FONTE: Aleteia

domenica 28 giugno 2015

Come vivere felici senza soldi e confidando solamente in Dio


Laura era una grafica pubblicitaria. A 54 anni decide di privarsi di ogni bene materiale, di vivere libera confidando solo ed esclusivamente in Dio

Laura Galletti, oggi 68enne, fino ai 50 anni ha avuto una vita come quella di tante altre persone, era una grafica pubblicitaria, anche se si è sempre sentita stretta nei panni dell’impiegata; «in quei ritmi vertiginosi alla Charlot, dove l’uomo diventa un ingranaggio, dove si guadagna tanto ma non c’è spazio per vivere».
E così, intorno ai 54 anni, la perdita della madre e di una cara amica determina la svolta della sua esistenza: «I lutti e le sconfitte fanno affiorare quello che hai realmente dentro». Inizia così per Laura una vita nuova, di devozione religiosa, tra rinuncia e trascendenza. Prima inizia un lungo periodo presso un centro d’accoglienza gestito dalle suore, poi arriva la decisione di privarsi di ogni bene terreno. Il momento cruciale di questo "trapasso spirituale" avviene a Roma, quando «all’improvviso il cielo si colorò di fuxia e rosso». Un «miracolo celeste» che Laura ricambia spogliandosi di ogni materialità, vivendo la Fede come San Francesco, giorno dopo giorno.
«Oggi mi accontento solo di esistere. Per la prima volta mi sento finalmente radicata in qualcosa: in Dio».

Laura non ha una casa «dormo nei cartoni», vive senza cellulare «non telefono mai» e ha fatto voto rigoroso di non toccare il denaro per nessuna ragione, infatti non chiede mai niente a nessuno, meno che meno l'elemosina, e la sua pensione sociale (429 euro al mese) finisce regolarmente a 15 padri del Terzo Mondo
«che così non sono costretti a lasciare la loro famiglia per venire a lavorare in Europa. È un progetto dei carmelitani di Ciampino, si chiama "Adotta un papà nella sua terra"».
Non possiede nulla di nulla Laura, a parte uno zainetto e un borsone da viaggio dove dentro c’è proprio l’essenziale: un pigiama, un paio di magliette, un paio di pantaloni, uno spazzolino da denti. E le sue inseparabili poesie, quelle scritte da lei. Non è però una barbona Laura. E' sempre perfettamente vestita, con sobria eleganza, pulitissima, le mani e le unghie curate, i capelli che sembrano acconciati dal parrucchiere. E un sorriso che le sale dall'anima e fa luce a chi lo guarda. Laura è orgogliosa di questa esistenza, fiera di vivere fuori da «un sistema con regole fatte da altri» dove «i soldi tolgono la libertà di vivere come si vuole». E guai a farle credere il contrario, lei s’infervora: «Io non faccio nessun sacrificio, si può benissimo vivere senza denaro, basta cambiare il concetto di piacere immergendosi totalmente nella spiritualità». Anche perché «l’uomo è l’unico essere nell’universo che ha bisogno del denaro per vivere, ma il denaro crea soltanto povertà».

Laura naturalmente non possiede neppure un automobile e normalmente si sposta tra Roma, Verona e Firenze muovendosi a piedi. Un’epopea primitiva per molti, una «passeggiata di una settimana» per lei. «Basta seguire le indicazioni, prima vado verso la Futa, poi scendo verso Bologna, quindi la statale fino a Verona».
Laura, come detto, si muove solo a piedi e non fa neppure l'autostop: «Niente autostop: non posso chiedere. Ma se Papà (DIO) mi manda un passaggio, accetto volentieri». Con questo sistema ha girato tutta l'Italia ed è arrivata anche in Terra Santa, a Lourdes, a Fatima, a Medjugorje e a Santiago di Compostela, «il Cammino no, non l'ho fatto per intero, perché se vuoi dormire negli ostelli ti serve qualche soldo e poi io non posso andare per sentieri, devo percorrere solo strade statali asfaltate: ho un unico paio di scarpe da farmi durare». Laura s’incammina senza sapere dove andare, «vado dove mi porta il cuore», lei, piccola e gracile, vestita d’umiltà, sperduta in quell’alveare urbano ma eternamente convinta delle sue scelte.
Per i pasti Laura ha imparato ad arrangiarsi, mangiando quello che trova: un panino abbandonato frettolosamente da un impiegato in pausa pranzo, oppure una brioche regalata da qualche barista o da qualche turista. A volte s’intrufola nei buffet delle Giubbe Rosse, oppure alle inaugurazioni di qualche negozio. Anche in questo confida sempre totalmente in Dio perchè 
«ogni giorno è un miracolo». Per lavarsi utilizza i bagni pubblici e per ripararsi dal freddo, durante l’inverno, staziona dentro le librerie o nelle biblioteche. Non bussa mai alla Caritas e neppure agli alberghi popolari perchè «non voglio togliere il posto a chi ha davvero bisogno». Non si preoccupa neppure della sua salute: «Dico a Papà: tu mi hai fatta e tu mi devi aggiustare. Non mi ammalo da anni». In tutti questi anni non ha mai avuto né un crampo per la fame e neppure ha mai subito un furto.
«I miracoli accadono quando disinneschi la paura e il male ha potere solo se gli diamo potere. Vivo con Colui che il male l'ha sconfitto
».

FONTI: Corrierefiorentino.it, Vinonuovo.it, Ilgiornale.it, Stefanolorenzetto.it


Questa storia è davvero diversa da tutte quelle che ho postato finora su questo blog, non parla infatti di grandi gesti di Carità o di Solidarietà, ma mette in risalto un grandissimo attributo del nostro buon Dio (o "Papà" come lo chiama confidenzialmente Laura): la Sua Provvidenza!
Con una scelta decisamente controcorrente e probabilmente contro ogni logica razionale, Laura un bel giorno decide di lasciare la sua "vecchia" vita, che non si addiceva certamente alla sua indole libera e spirituale, e decide di lasciare tutto, ma veramente tutto, per vivere una vita completamente diversa, libera, totalmente affidata alla Provvidenza di Dio. Vivendo come il "passero" del cielo e il "giglio" del campo, camminando costantemente "sulle acque" in confidente e fiduciosa appartenenza al suo (e nostro) Papà, Laura trova così la sua vera "dimensione" di vita, senza che nulla di essenziale le venga mai a mancare.
Il tipo di stile di vita intrapreso da Laura, beninteso, non è per tutte le persone, ciascuno ha la propria strada, ognuno la propria via..... ma questa storia ci insegna quanto buono e premuroso è il nostro buon Dio verso ciascuno di noi, sopratutto verso coloro che in Lui confidano totalmente. Anche noi, come Laura, possiamo avere questa fiducia, anche noi possiamo imparare a camminare con nostro Signore sulle acque..... e se così faremo, qualsiasi sia la nostra strada presente e futura, non rimarremo delusi.

Marco