sabato 27 aprile 2019

Nek: «Nelle favelas ho visto cosa riesce a fare l’Amore»


Il cantante Nek racconta la sua esperienza di missione in Brasile con Nuovi Orizzonti: «Qui la comunità ha salvato tanti bambini dalle strade»


«Sono emozionato». Così il cantante Nek descrive il suo stato d’animo assai particolare di un momento molto importante, che però non è quello di esibirsi ancora una volta sul palco di Sanremo o di ritirare il premio per il disco più venduto dell’anno. No, Nek si racconta così ai suoi amici social di Facebook poco prima di salire su un furgoncino un po’ sgarrupato, con la scritta "Novos Horizontes" semicancellata, che lo conduce nella favelas di Quixada, in Brasile, a distribuire cibo alle famiglie povere e a tanti bambini vestiti quasi di niente ma sempre allegri. Una sorta di diario social – apprezzato dai fan di Nek con decine di migliaia di like, commenti e visualizzazioni delle foto – che il cantante emiliano ha tenuto per un paio di settimane, tanto quanto è durato il viaggio missionario che in questo inizio di estate lo ha visto volare in Sud America assieme ad alcuni amici di Nuovi Orizzonti, a cominciare da don Davide Banzato, assistente spirituale del movimento fondato da Chiara Amirante.

CAVALIERE DELLA LUCE

Un legame, quello tra l’artista e Nuovi Orizzonti, che nasce una dozzina di anni fa, quasi per caso, dopo un concerto benefico, e che ha trasformato la vita di Filippo Neviani (è questo il vero nome di Nek), che allora si definiva «un cristiano tiepido» e che oggi è un Cavaliere della Luce, ovvero consacrato «a portare l’Amore in un mondo che sta morendo per mancanza d’Amore, con l’impegno di testimoniare la gioia di Cristo risorto e di portare la rivoluzione del Vangelo nel mondo».

Proprio quello che Nek ha fatto in Brasile, dove ha trascorso le sue giornate soprattutto tra i bambini «che hanno solo bisogno di giocare cantare correre essere abbracciati», ha scritto su Facebook e, c’è da scommettere, con quei verbi uno accanto all’altro senza una virgola, per dare ancora più valore alla forza dirompente degli stessi. «Oggi i bambini corrono felici, amano scherzare e ridere. Guardate cosa riesce a fare l’amore!!!!», aggiunge in un altro post, con tanto di foto-ricordo con i piccoli della Cittadella di Quixada, la comunità tirata su da Nuovi Orizzonti, parallela a quella di Fortaleza. E anche qui Nek è stato, in questa che è una delle città più pericolose al mondo per episodi di violenza e triste capitale della prostituzione minorile.

In Brasile il cantante 46enne e gli altri volontari si sono prodigati con il "Progetto Coração", voluto per portare beni di prima necessità e che tanti benefattori, anche dall’Italia, sostengono con poche decine di euro al mese. Una generosità che ha permesso anche la realizzazione di due case di accoglienza per bambini di strada vittime di violenze, di un centro di recupero per ragazzi e uno per la formazione delle mamme.

Una "fotografia" che Nek ha scattato cogliendone tutte le sfumature e facendola rimbalzare ancora sui social, così: «Storie pazzesche di degrado vero il loro... da fare accapponare la pelle. Bambine che a 11 anni sono costrette dai genitori a prostituirsi, a fare uso di droga, poi in seguito abbandonate. Nem, oggi un ragazzo, da piccolo viveva in un’automobile abbandonata in una stazione di benzina e veniva seviziato da camionisti ubriachi che gli spegnevano le sigarette addosso. Una donna l’ha salvato portandolo in comunità». E ancora l’invito del cantante, che vale più di altre mille parole: «Guardate cosa riesce a fare l’Amore!!!».

E cosa riesce a fare un artista celebrato, che intanto si è rituffato alla grande in una tournée in tutta Italia assieme a Francesco Renga e Max Pezzali, dopo aver lasciato «un pezzo del mio cuore nelle favelas».

di Igor Traboni

12 luglio 2018

FONTE: Famiglia Cristiana


Filippo Neviani, in "arte" Nek, ha proprio ragione: «Guardate cosa riesce a fare l’Amore!!!».
L'Amore è veramente la più grande "Forza" dell'Universo, e riesce a portare Gioia, Allegria e Bontà dappertutto, anche in mezzo alla povertà più nera, dove droga e prostituzione spesso regnano sovrane.
Ma l'Amore vince e vincerà sempre!

Marco

giovedì 18 aprile 2019

“La mia vita rinata negli inferi di Roma”


CHIARA AMIRANTE RACCONTA I 25 ANNI DI NUOVI ORIZZONTI

«Tutto cominciò nel tunnel sotto la stazione Termini davanti a un ragazzo che stava per uccidersi. Avevo da poco riscoperto la Fede. Chiesi a Dio se fosse quella la strada giusta e mi rispose guarendomi da una grave malattia»

di Antonio Sarinancesco

Quando nei sotterranei della Stazione Termini di Roma Chiara Amirante, appena ventiseienne, si trovò faccia a faccia con lo sguardo agonizzante di Angelo, un ragazzo che per farla finita era arrivato alla terza overdose, si chiese se fosse quella la strada giusta per lei. Poi alzò lo sguardo e lesse quello che Angelo aveva scritto su un muro: “Nonostante la vostra indifferenza noi esistiamo”. «Era Gesù che sulla croce gridava a Dio perché lo avesse abbandonato. Capii che dovevo andare avanti».
Voce sottile, quasi impercettibile. Sorriso radioso. C'è qualcosa di folle in tutto quello che ha fatto e continua a fare questa donna la cui salute è tornata a essere malferma dopo la guarigione inspiegabile (e non richiesta) di tanti anni fa. Quell'incontro di una notte di inverno del 1991 avvia un percorso che nel marzo 1994 porta alla nascita di Nuovi Orizzonti, un'associazione internazionale di volontariato che, partita da Trigoria, alle porte di Roma, oggi è presente in vari Paesi del mondo.

Che ricordo hai di quella notte?

«Facevo già volontariato in stazione tra i senzatetto e gli immigrati, ma nei sottopassaggi non ci andava nessuno. Io sapevo che i più disperati erano proprio lì: alcolizzati, tossicodipendenti, donne costrette a prostituirsi, ex detenuti, clochard. Quando arrivai c'era una rissa. Vidi Angelo, per terra, che aveva tentato la terza overdose per farla finita. Cercai un posto dove portarlo ma non trovai nulla. Mi tornarono in mente le parole del Vangelo: “Non c'era posto, per loro, nell'albergo”. L'impotenza di non poter far nulla fu per me uno shock fortissimo».

Che fine fece quel ragazzo?

«Si salvò. Due giorni dopo venne a portarmi un regalino per ringraziarmi di avergli salvato la vita. Restai di stucco: Mi disse: “In vent'anni di strada nessuno si era mai fermato per chiedermi come stavo. Voglio incontrare anch'io questo Gesù che ti ha portato a rischiare la vita per me”».

E lei?

«Capii perfettamente che la nostra indifferenza può uccidere e il semplice ascolto può salvare la vita di una persona».

Che cosa l'ha spinta, quella notte, a scendere negli inferi?

«Fu il culmine di un percorso. Avevo riscoperto la fede da poco. Ero assediata dalla malattia. Stavo per perdere completamente la vista a causa di un'uveite che presto mi avrebbe portato alla cecità totale. Ero a un passo dalla disperazione, eppure sperimentavo nel mio cuore una pace e una gioia profondissime. Mi proposi di portare questa serenità ai disperati come me. Sembrava un'idea matta».

Lo era, sopratutto per le sue condizioni di salute.

«Infatti chiesi a Dio un segno: “Signore, se sei tu che mi metti nel cuore questo folle desiderio di andare di notte nei deserti delle nostre metropoli, mettimi anche nelle condizioni di poterlo fare”».

Cosa accadde dopo?

«L'indomani andai a Messa. Il Vangelo del giorno era quello in cui il lebbroso chiede a Gesù di guarirlo. Io non chiesi nulla, ma arrivò la mia guarigione all'improvviso, completa, inspiegabile dopo tre anni di dolori atroci e otto anni quasi da cieca. Interpretai quella risposta come la risposta che cercavo. Da quel momento il popolo della notte è diventata la mia nuova famiglia».

La strada era tutta in salita...

«Quando vedi giovani imprigionati nell'inferno della droga, della tratta, della schiavitù ti senti impotente. Cercavo di indirizzare questi disperati nelle strutture ma non era facile tutti i giorni trovare per loro un pasto caldo e un alloggio. Pensai di dover fare qualcosa per queste persone, cominciare un percorso di spiritualità partendo dal Vangelo».

I media chiamano “popolo della notte” chi vuole divertirsi. E' così?

«Si comincia con il volersi divertire e si finisce con il perdersi. La notte, pian piano, da fisica, diventa notte dell'anima».

Di cosa soffrono queste persone?

«Di solitudine. Il resto è una conseguenza: anoressia, bulimia, sessodipendenza, droga, dipendenza da Internet. Il popolo della notte non sta solo in periferia, ma nei quartieri più chic. Non c'è coscienza di quanto siano devastati i nostri ragazzi oggi perché le loro sono povertà invisibili. Il barbone lo vedi, chi ha ricevuto una coltellata al cuore no».

Nuovi Orizzonti com'è nata?

«In quegli anni chiedevo a vari politici e alle istituzioni di darmi una mano. Risposte zero. I giovani continuavano a morire e i politici a promettere. Feci un salto di fede. Il 24 maggio, festa di Maria Ausiliatrice, decisi di lasciare tutto e andare a vivere in strada con la mia nuova famiglia. In quello stesso giorno mi chiamarono per offrirmi gratis tre strutture. Nacque così il centro d'ascolto nel tunnel della Stazione Termini. Ancora una volta la Provvidenza mi era venuta incontro».

C'è qualche storia di disperazione che l'ha particolarmente colpita?

«Quelle che mi hanno raccontato relative a tre donne costrette a prostituirsi che hanno provato a scappare dai loro aguzzini. Una è stata legata a una macchina e trascinata nuda sull'asfalto, un'altra squartata viva e data in pasto ai maiali, a un'altra ancora misero topi e serpenti nelle parti intime».

Ma di fronte a tanto male lei non si scoraggia mai?

«Tutti i giorni. Se avessi basato quest'avventura sulle mie sole forze sarei scappata dopo una settimana. Però ho visto e continuo a vedere continuamente tante persone passare dalla morte alla vita. Questo mi dà la forza di andare avanti anche se le energie sono sempre meno e la mia salute è messa a dura prova. San Paolo dice che è quando siamo deboli che siamo forti e che, per fare tutto, basta soltanto la Grazia di Dio».

Il suo ultimo libro, La guarigione del cuore (Piemme), è un manuale sulla spiritoterapia. Cos'è?

«L'esperienza che in questi anni ho fatto nel cercare di accompagnare tante persone sprofondate in tunnel terribili. Se è vero che nella nostra mente ci sono tante potenzialità, è altrettanto vero che queste immense potenzialità, il più delle volte inespresse, ci sono anche nel nostro spirito dove possiamo trovare le chiavi fondamentali per la guarigione del cuore, per riscoprire la pace interiore e la gioia piena che ci ha promesso Gesù».

Chi sono i cavalieri della luce?

«Persone che hanno affrontato questo cammino di guarigione e da disperati sono diventati portatori di speranza per gli altri. Sono uomini di buona volontà che credono nella potenza dell'amore e nella forza rivoluzionaria del Vangelo».

A Nuovi Orizzonti si sono avvicinati tanti vip. Cosa li accomuna?

«La voglia di fare qualcosa di buono insieme. La gioia attira sempre, anche coloro che per il mondo sembrano uomini realizzati e di successo ma nel cuore conservano una profonda inquietudine. Tra i cosiddetti vip non ci sono meno disperati rispetto a quelli che trovi in strada. Solo che le loro ferite non si vedono».

Lei ha conosciuto gli ultimi tre Papi. Che rapporto ha avuto con loro.

«Di grande comunione. Però in questi anni mi sono sentita molto sola, non ho sentito il sostegno della maternità della Chiesa. Come se accogliere gli invisibili delle metropoli fosse una missione solo mia e non di tutti i cristiani».

La Chiesa in uscita predicata da Papa Francesco.

«Appunto, ma c'è una Chiesa che preferisce starsene comoda nel suo recinto. In quest'ospedale da campo di cristiani se ne vedono pochi. E' un'omissione di soccorso».

Dov'è Dio oggi?

«Ovunque. Il problema è che noi non abbiamo più gli occhi per vederlo».


L'INTERNAZIONALE DELLA GIOIA DOVE I PROTAGONISTI SONO GLI SCARTATI


Dall'esordio a Trigoria alle Cittadelle Cielo nel mondo

«Non ho mai voluto fondare nulla, il mio sponsor è sempre stata la Provvidenza», dice Chiara. Oggi la Comunità conta 228 centri di accoglienza in vari Paesi

All'Origine della Comunità Nuovi Orizzonti, nata venticinque anni fa, c'è la scelta di Chiara di dedicare la sua vita al popolo della notte: tossicodipendenti, ex detenuti, clochard, alcolizzati, donne vittime di tratta, ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi. La missione è quella di portare, a chi ha perso la speranza nei ghetti delle metropoli, la gioia di Cristo Risorto ponendo una particolare attenzione al mistero della sua discesa agli inferi. «Non ho mai voluto fondare nulla, è stata la Provvidenza a farmi da sponsor», spiega Amirante. Oggi Nuovi Orizzonti è un'associazione internazionale di volontariato no profit presente in vari Paesi del mondo. La sede principale, che coordina tutte le altre, è la Cittadella Cielo di Frosinone. L'8 dicembre 2010 è stata riconosciuta dal Vaticano come associazione internazionale privata di fedeli di diritto pontificio.
Dalla prima comunità di accoglienza residenziale aperta a Trigoria (Roma) nel marzo 1994, si è arrivati oggi a 5 Cittadelle Cielo, piccoli villaggi di accoglienza e formazione; 228 centri di accoglienza, reinserimento e formazione; 1020 equipe di servizio; 700 mila cavalieri della luce e 6 milioni di amici e simpatizzanti.
Già alla fine degli anni Novanta, Nuovi Orizzonti sperimenta a Roma le “missioni di strada”, un nuovo metodo pastorale di evangelizzazione. Dopo essere entrata in contatto con tante giovani vittime di varie situazioni di disagio, Chiara Amirante ha elaborato un cammino di conoscenza di sé e di guarigione del cuore (la spirit therapy, spiritoterapia) che diventa la peculiarità della sua proposta formativa anche nel mondo delle comunità di recupero.
Nel 2004 Giovanni Paolo II nomina Amirante consultrice del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti, incarico poi rinnovato da Benedetto XVI e da Francesco. Dal 2011 è membro del Comitato scientifico per la rivista People on the Move dello stesso Dicastero. Nel 2012 viene nominata da Benedetto XVI consultore del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Ha scritto vari libri. In l'Amore resta (Piemme, 2012) racconta la sua storia personale e come ha iniziato a occuparsi dei ragazzi di strada. Sono molti i personaggi del mondo dello spettacolo e dell'imprenditoria che si sono avvicinati alla Comunità: dal cantante Nek ad Andrea Bocelli, da Lorella Cuccarini a Simona Ventura a Matteo Marzotto.
I cavalieri della luce, nati su idea della Amirante nel 2006, sono persone che aderiscono al carisma dell'associazione. Alcuni sono riuniti in gruppi per impegnarsi insieme in varie iniziative di evangelizzazione.

A. S.

FONTE: Famiglia Cristiana N. 12
24 marzo 2019

mercoledì 10 aprile 2019

Raccolta fondi per curare il tumore di Patrick negli Usa: "Aiutateci, non si può abbandonare un sogno di vita a 40 anni"


Bologna, lʼappello della fidanzata Luciana: "Il tempo stringe, non possiamo più aspettare"

Patrick Majda ha 40 anni e vive a Bologna. Nella vita fa l’operaio meccanico, è appassionato di sport e da due anni a questa parte ha trovato l’amore, Luciana Grieco. Purtroppo, però, nel 2018 la sua vita è cambiata, da quando cioè gli è stato diagnosticato un tumore maligno: adenocarcinoma mucinoso al colon con Kras mutato e metastasi al fegato. Dopo un intervento all'Ospedale Maggiore di Bologna e undici cicli di chemioterapia, il tumore è ancora lì. Per via di alcune complicazioni seguite all'operazione, Patrick assume farmaci anticoagulanti che gli impediscono l'accesso ad altre cure chemioterapiche. Al momento in Italia non ci sono altri protocolli standard o sperimentali che possano salvargli la vita. L'unica speranza per Patrick è il Penn Medicine's Abramson Cancer Center Clinical di Philadelphia, ma le cure costano tanto. Per questo la fidanzata ha lanciato una raccolta fondi (clicca qui). L'obiettivo è raggiungere la cifra necessaria: 500mila euro. "Aiutateci, stavamo provando ad avere un bimbo. Non si può abbandonare un sogno di vita a 40 anni", ha dichiarato Luciana a Tgcom24.

Quando è iniziato tutto? Come vi siete accorti del tumore?

La diagnosi è arrivata nel gennaio 2018. C’era stato un primo segnale nel novembre del 2017, quando Patrick aveva avuto dei forti dolori addominali e si era recato al pronto soccorso per capire di cosa si trattasse. L’hanno rimandato a casa senza fargli nessun tipo di accertamento, ma lui non si è arreso: si è rivolto al medico di base e, su consiglio di quest’ultimo, ha fatto una serie di esami. Solo a gennaio, tramite la colonscopia, abbiamo preso consapevolezza di quello che stava succedendo. Da quel momento, abbiamo consultato vari chirurghi e oncologi per capire se procedere prima con la chemio e poi con l’operazione o viceversa. Dopo aver sentito diversi pareri, si è deciso di procedere con l’intervento per rimuovere con urgenza quello che c’era. Il tumore era già esteso.

L’intervento c’è stato, poi Patrick ha trascorso quaranta giorni in ospedale.

Sì, perché l’intervento in sé e per sé è andato bene, ma poi ci sono state delle complicazioni. Ha avuto una trombosi venosa profonda. Questo ha portato a delle ischemie, è stato in coma cinque giorni. Ma, grazie alla sua forza di volontà, è riuscito a venirne fuori. Si è ripreso, ha dovuto fare riabilitazione. Aveva una ridotta capacità sia motoria che linguistica. E finalmente quando è uscito dall’ospedale ha recuperato un po’ le forze e a maggio ha iniziato la chemioterapia.

Ma poi il tumore si è ripresentato…

Già la prima tac di verifica dopo il primo ciclo di chemio ha mostrato che la terapia con Folfox non stava funzionando, i medici hanno cambiato terapia passando al Folfiri, ma purtroppo il tumore si è dimostrato resistente anche a questa chemio. Per le caratteristiche della sua malattia non c'è radioterapia né immunoterapia.

Per questo Patrick è costretto ad andare in Usa. Vi siete informati voi sul centro o ve l’hanno suggerito?

No, no, ci siamo dovuti informare noi. I medici ci hanno detto: "Rivolgetevi a qualche altro centro". Sì, ma a chi? Non hanno saputo rispondere. Fortunatamente, una mia ex collega di Università fa la ricercatrice negli Stati Uniti da diversi anni: è stata lei a mettermi in contatto con il Penn Medicine's Abramson Cancer Center Clinical (Pennsylvania), altrimenti non avrei saputo come comportarmi. Sono stata fortunata perché avevo degli agganci, altrimenti... Tra l’altro, sono ancora in attesa di avere un parere dagli oncologi che dovrebbero seguire Patrick. I protocolli possibili sono tre ed è necessario sceglierne uno. Non abbiamo nessuna consapevolezza di quello che c’è in questi farmaci. Siamo stati proprio abbandonati a noi stessi. Nessuno ci ha aiutato.

La più grande speranza dunque rimangono gli Stati Uniti, per questo ha lanciato la raccolta fondi.

Sì, perché il tempo stringe. Il medico ci ha detto di non aspettare.

Quindi dovreste partire il prima possibile?

Dalla Pennsylvania ci hanno già sollecitato, i dottori hanno visto le carte, mi hanno mandato i possibili protocolli. Il problema è che non c’è modo di partire se si raggiunge solo una parte della cifra. Vogliono tutto il denaro subito.

Patrick continua a lottare?

Lui ha voglia di lottare, ma è stanco, non ne può più, ultimamente sta peggio, è sempre a letto. Finora ha avuto una grinta pazzesca, ma ora è proprio stanco. Però i nostri progetti futuri sono sempre lì.

Come quello di avere un bimbo?


Sì, stavamo provando ad avere un bimbo. Non si può abbandonare un sogno di vita a 40 anni.

La raccolta fondi sta dando i suoi frutti. Patrick sente l’affetto della gente?

Sì. Fa piacere vedere che c’è gente che si attiva, persone che cercano di dare una mano in ogni modo. Devo dire che Patrick è molto riservato e quindi questa iniziativa un po' lo turba. Credo sia anche una questione psicologica: vedere che la speranza è appesa a un qualcosa che non puoi controllare (né la malattia né tanto meno la possibilità di cura) non è facile. Però capisce che è stato utile e spera di trovare il supporto necessario per le cure e per continuare a vivere.

di Giorgia Argiolas

14 febbraio 2019

FONTE: Tg Com 24


Di Patrick Majda e del suo raro tumore maligno ha parlato anche la televisione. Così anche io, nel mio piccolo, tramite le pagine di questo blog, condivido questo accorato appello per raccogliere fondi a suo favore. Con il cuore, invito tutti a donare il proprio "obolo"  a favore di questo ragazzo di 40 anni, che ha ancora tanta voglia di sognare e di vivere! La cifra da raggiungere è notevole, ma se saremo in tanti, tutti insieme, nessun traguardo è impossibile!
Per comodità riporto qui sotto le coordinate per poter effettuare un bonifico bancario a favore di Patrick:


IBAN: IT05I0301503200000002905809
Beneficiario: Luciana Grieco
Causale: il vostro pensiero per Patrick


e consiglio vivamente di seguire l'evolversi della situazione di Patrick attraverso la pagina Facebook aperta per lui
"Salviamo Patrick".
Le ultime notizie, a tal proposito, sono molto confortanti. Attraverso le offerte generose della gente (la generosità degli italiani è sempre grande!) e il moltiplicarsi di iniziative benefiche a suo favore, si sono superati i 400 mila euro raccolti. Non manca molto quindi per raggiungere la quota "fatidica" dei 500 mila euro che potranno permettere a Patrick di curarsi negli Stati Uniti. Ancora un piccolo sforzo, allora, e il traguardo sarà raggiunto!
Ricordiamoci sempre che tante gocce, tutte insieme, formano l'oceano..... e ciascuno di noi può essere quella "goccia" di Solidarietà e Amore che potrà permettere a Patrick di continuare a sperare, a sognare.... a vivere!
E per chi non avesse la possibilità di donare un aiuto materiale, sono graditissime e importantissime anche la semplice condivisione della sua storia, nonchè la propria personale preghiera in suo aiuto. Chiunque, come si può ben vedere, può fare molto per lui.

Grazie di vero cuore a tutti!

Marco