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domenica 14 giugno 2020

E’ morto Rohan Kemu, giovane disabile 18enne, "in odore di Santità"


E’ stato ospite per 15 anni della Casa della carità, tenuta da una congregazione fondata da un sacerdote italiano. “Ci ha dato la gioia e la grazia di toccare il Corpo di Gesù”. Nonostante le sue fatiche, era pieno di entusiasmo. Aveva un forte amore per l’Eucarestia. Diffondeva gioia attorno a lui.

Mumbai (AsiaNews) – Rohan Kemu, un giovane 18enne con disabilità fisiche e mentali, è morto lo scorso 4 giugno nella Casa della carità a Uttan, a nord di Mumbai. Fino all’ultimo le suore della Casa Mariana della carità si sono occupate di lui e dicono che egli ha lasciato dietro la sua morte "un odore di Santità".

Sr Julie Pereira, la superiora della Casa, ricorda che Rohan “per 15 anni è stato un dono per noi, da quando aveva tre anni fino ai 18 anni. Ci ha dato la gioia e la grazia di toccare il Corpo di Gesù”. Sr Julie ricorda che negli ultimi 20 giorni di vita Rohan aveva febbre di continuo. Lei lo ha tenuto in braccio giorno e notte, senza mai lasciarlo o metterlo a letto: “Mi sedevo su una sedia, con lui fra le braccia, e pregavo il rosario della Divina Misericordia. In quei momenti ho sentito la presenza di Dio, di Gesù che mi diceva: Questo sono io; è il mio corpo che stai sostenendo; fai questo in memoria di me; tutto ciò che fai a lui, lo hai fatto per Gesù. Rohan ci ha insegnato a vivere nonostante le molte sofferenze e offrendo il proprio dolore a Cristo. Egli ci ha insegnato a contemplare Dio e come pregarlo. Più soffriva, più la sua preghiera era sincera. Anche durante la sua agonia, ci ha insegnato a pregare”.

La Casa della carità di Uttan (Bhyandar) è stata costruita nel 1992. La congregazione delle suore della "Casa Mariana della carità" è stata fondata da un sacerdote italiano, p. Mario Prandi (1910-1986). Al presente vi sono 11 ospiti, tutti disabili fisici e mentali. Il più vecchio ha 82 anni; il più giovane ha cinque anni, ma è stato accolto nella casa quando aveva solo un mese di vita.

Godfrey Malu, diacono della parrocchia di Nostra Signora del Mare a Uttan, ha conosciuto Rohan per otto anni. “Rohan – dice ad AsiaNews – è stato proprio scelto da Dio prima che nascesse, per essere un esempio di pazienza, resistenza, misericordia e amore a Dio. Se tu lo guardavi, il tuo cuore si riempiva di compassione, ma a vedere il suo entusiasmo, nonostante i suoi limiti fisici, ti faceva vergognare”.

Fin dalla nascita Rohan ha sofferto di distonia, una malattia per cui parti del corpo subiscono spasmi muscolari incontrollabili, spesso molto dolorosi, causati da messaggi sbagliati del cervello. La madre di Rohan è morta quando lui aveva tre anni. Suo padre era un alcolizzato cronico, che lo picchiava di continuo senza pietà.

La gente del villaggio, assistendo a questi abusi e torture quotidiani, oltre al fatto che il padre non si preoccupava di nutrirlo, ha chiesto alle suore della Casa di carità di accogliere Rohan.

I traumi subiti, hanno creato in lui così tanta paura che all’inizio, se le suore cercavano di parlare con lui, si rinchiudeva in se stesso. Le voci maschili poi, lo terrorizzavano, dato che gli ricordavano quella del padre. Se qualcuno alzava la voce per parlare, subito cadeva nella paura e nell’insicurezza.

A poco a poco – racconta p. Godfrey - crescendo nella Casa, insieme ad altri ospiti, anch’essi disabili, ha imparato a godere la vita, a essere felice, gioviale, sempre sorridente.

La cosa più bella che gli è accaduta è stata quando ha fatto la Prima Comunione con tutti gli altri bambini. Ha frequentato la classe di catechismo come tutti, e ha compreso che Gesù era suo amico e si prendeva cura di lui. Il suo amore all’Eucarestia era così forte che se non gli portavano la comunione, rimaneva contrariato e piangeva. Gli piaceva molto seguire la messa in latino alla televisione, ma soprattutto amava parteciare alla messa in maharati e vi partecipava in modo integrale: corpo, mente e anima. I suoi Santi favoriti erano Padre Pio e Giovanni Paolo II. Conservava due immaginette sotto il cuscino: Padre Pio alla sua destra, Giovanni Paolo II alla sua sinistra. Sapeva che questi due Santi intercedevano per lui perché fosse alleggerito dalla sofferenza fisica
”.

A Rohan piacevano I cartoni animati e il cioccolato fondente. Il suo sorriso era contagioso anche per i dottori che lo curavano. Alcuni di loro hanno pagato di tasca propria le cure mediche e le operazioni di cui egli aveva bisogno

Ringrazio Dio per il dono di Rohan – conclude Gpdfrey - perchè egli mi ha insegnato cosa significa sorridere e dire grazie a Dio per il suo benedirci molto più di quanto noi meritiamo. Egli è stato unn esempio vivente di come diffondere il messaggio dell’amore di Dio nonostante i nostri dolori e sofferenze”.


di Nirmala Carvalho

8 marzo 2020

FONTE: Asianews

domenica 11 ottobre 2015

Manager e madre di 9 figli. La vita al primo posto.

Classe 1960, nazionalità francese, bionda, occhi azzurri, fasciata in un elegante abito di pizzo bianco, Clara Lejeune è amministratore delegato unico e presidente della General Electrice France un’azienda che conta 10mila dipendenti, sposata con Hervè Gaymard, ex ministro dell’economia francese, e madre nove figli di età compresa tra 4 e 18 anni. «Ma come fa a far tutto?» è una domanda che le rivolgono molto spesso.

«A dire il vero me lo chiede spesso proprio mio marito – risponde divertita – ma non credo di avere un trucco da svelare. Semplicemente ad un certo punto ho abbandonato l’idea di dover fare tutto in modo perfetto e ho capito che l’importante è esserci. Amo mio marito e amo i miei ragazzi, cerco di fare quello che posso, non sempre ci riesco, ci sono giornate in cui tutto fila liscio e altre che sono un disastro, in quel caso semplicemente mi scuso, non sono una super mamma e i ragazzi lo capiscono. Sul lavoro ho imparato a delegare, se ho un appuntamento importante in famiglia esco prima. Non c’è riunione d’emergenza che tenga, non c’è invito di manager, politici e imprenditori importanti che mi trattenga, semplicemente esco. Certo mi sono giocata delle opportunità, ma la mia famiglia viene prima e questo non ha penalizzato in maniera determinante la mia carriera».

Clara Gaymard dice tutto questo con la naturalezza di chi vive una dimensione di normalità simile a tante altre e intuisce che per chi ascolta non sia così. «Noi donne abbiamo la tendenza a voler far tutto, tutto per noi e tutto per i nostri figli. Io mi sono aiutata con poche semplici regole, una è questa: niente cene fuori. Sono i momenti più belli in cui siamo tutti insieme attorno allo stesso tavolo e non me ne priverei mai. Non accetto inviti fuori, non esistono cene di lavoro. Se decidiamo di vedere degli amici li invitiamo a casa oppure andiamo noi da loro, tutti e undici naturalmente. Anche i ragazzi hanno una regola: possono svolgere un’attività extrascolastica e che sia raggiungibile a piedi da casa, non posso accompagnarli tutti e nove a canto, pallavolo, musica, pattinaggio. Per qualcuno questa può essere una scelta penalizzante, io invece cerco di far scegliere ai miei figli quello che li appassiona davvero: una cosa, oltre la scuola, è sufficiente».

Quindi conciliare carriera e famiglia è possibile? «Mi dispiace che si parli di conciliare. Noi donne siamo innanzitutto madri, questo non significa che se c’è la possibilità, non dobbiamo lavorare. Per me è importante che ogni donna abbia la possibilità di scegliere, che se desidera stare accanto ai figli lo possa fare, che se torna al lavoro non venga relegata a fare fotocopie, vorrei che ogni madre potesse vivere la gravidanza, ma anche la propria maternità nel modo più sereno possibile. La mia vita è complicata, ma mi chiedo "chi non ha una vita complicata?"; anche con due figli è complesso, anche stando a casa a curare i figli ci sono le difficoltà. Ecco, io dico che una donna dovrebbe poter scegliere serenamente, perché la serenità nella scelta sarà poi la forza di affrontare le difficoltà. Sento tante madri che si lamentano anche per cose piccole, io mi sforzo e cerco di non farlo. Mi dico "I miei figli hanno diritto ad avere una madre contenta". Per questo il mio dovere è fare il meglio, il resto lo affido serenamente a Dio».

Nello sguardo sicuro di Clara Gaymard sembrano fondersi la serenità e l’umiltà di suo padre Jérôme Lejeune (1926-1994), medico, ricercatore e scopritore della sindrome di Down. Lejeune fu il primo grande oppositore delle pratiche eugenetiche e accanito difensore della dignità della vita. Grande amico di Giovanni Paolo II, fu il primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e nel 2007 è iniziato il processo per la sua beatificazione.

«Ho avuto la fortuna, o forse sarebbe meglio dire la grazia di essere sua figlia, di vivere con lui. Un medico e un ricercatore, che però riusciva sempre ad ascoltarci. Aveva poco tempo, ma ogni giorno veniva a casa per pranzare insieme e allora era tutto per noi bambini, ci ascoltava e stava con noi. Il pranzo era anche il momento in cui papà raccontava quello che faceva sul lavoro. Ancora ricordo di quando ci descrisse questi bambini, con il viso un po’ cicciottello, dallo sguardo particolare, ci raccontava che nessuno li voleva, e che i genitori si vergognavano e lui diceva "Io voglio aiutare questi bambini, sono bellissimi". Era felice di fare questo. Io non sono un medico, sono diversa in tante cose da mio padre, ma nel cuore ho la stessa felicità».

«La vita è felicità» è anche il libro scritto da Clara Gaymard ed uscito in Francia nella quale racconta la sua vita e quella di suo padre. Il segreto per la felicità dunque non è riuscire a fare tutto? «Ci sono cose importanti, e altre urgenti. E molte cose urgenti non sono importanti. Quelle importanti, poi, spesso non possono essere risolte rapidamente, perciò, non vanno fissate come urgenti. La serenità è prenderne atto e fare al meglio quello che si può fare, la felicità è sapere che c’è qualcuno che, per fortuna, ha progetti diversi e più grandi dei nostri».

di Raffaella Frullone

FONTE: http://www.amicidilazzaro.it/it/testimonianze24.htm


Non conoscevo prima d'ora Clara Lejeune, ma devo dire che sono stato ben felice di conoscere un poco della sua storia e di imbattermi in questa bellissima intervista, così ricca di spunti e di insegnamenti, che riporto con grande piacere sulle pagine di questo blog. Più di tutto mi vorrei soffermare su una cosa: sul fatto che Clara, nonostante la posizione socialmente elevata che occupa e il lavoro prestigioso che possiede, ha ben chiaro ciò che nella vita è veramente importante e prioritario: e cioè la Fede e la famiglia su tutto. Valori questi che gli sono stati certamente inculcati da suo padre (altra persona eccezionale), e che lei ha saputo adattare splendidamente nella sua vita. Mi piace molto sottolineare anche la sua umiltà, che trapela chiaramente dalle sue parole, splendida Virtù propria delle persone ricche di spiritualità. 
Fa bene al cuore leggere queste testimonianze.... e lasciatemi dire che è un bene mostrarle e farle conoscere, in una società come quella di oggi dove invece si tende a far vedere quasi unicamente (con le dovute eccezioni) ciò che di non buono c'è attorno a noi. Ma il Bene e le belle persone esistono ed esisteranno sempre.... ed è grazie a loro, all'Amore che ogni persona di buona volontà dona ogni giorno, che si regge e si fonda il mondo intero.

Marco 

martedì 29 settembre 2015

Suor Manuela Vargiu: consacrati con la voglia di cantare la gioia di Dio!!!


Suor Manuela è giovanissima, vive a Roma e continua gli studi di teologia, fa parte dell’ordine “Le Missionarie Figlie di Gesù Crocifisso”. Come Suor Cristina, anche lei ama la musica e il canto e in varie occasioni ha partecipato al Festival “Il mondo canta Maria” insieme ad altri artisti della Christian Music. A conclusione d’intervista ho chiesto a Suor Manuela di dare un consiglio a Suor Cristina che al momento è su tutti i canali web e televisivi. Prima della sua vocazione alla vita consacrata, Suor Manuela era una studentessa di medicina con tanti amici e un fidanzato. Viveva in Sardegna a Sassari. Conduceva una vita normale e serena e proprio in quella normalità, comincia a sentire la strana sensazione che le mancasse qualcosa. Un viaggio a Lourdes gliene darà la conferma…

Come e quando ti sei accorta di essere chiamata alla vita consacrata?

Certamente è stato un cammino lento e progressivo dell’anima, ero una ragazza come tante altre e studiavo medicina. Il mio sogno era partire con “Medici senza frontiere”, nei paesi in via di sviluppo per aiutare tante persone. Dentro al cuore, continuamente sentivo che Gesù mi chiedeva qualcosa di più. Ho sempre avuto un bel rapporto con Gesù, sentivo che mi stava chiedendo altro, ma continuavo a fare “orecchie da mercante” perché l’idea di dover lasciare tutto (il sogno di diventar medico, il mio ragazzo, la mia famiglia e i miei amici) mi spaventava tantissimo. Avevo paura di fare questo salto nel buio, perché così lo definivo, un salto che poi si è rivelato non nel buio ma nella Luce di Cristo. La mia resistenza alla chiamata del Signore era anche dovuta al fatto che il mio ragazzo non frequentava la Chiesa ed era lontano dall’ambiente cristiano. Mi diceva spesso che erano stati i preti e le suore ad avermi fatto il lavaggio del cervello e di conseguenza sosteneva che ciò che sentivo era tutta illusione. Continuava a farmi domande di fede molto grandi di fronte alle quali io stessa spesso non trovavo risposta! Così alla fine ho detto “Basta, Signore se ci sei vienimi a cercare nel chiasso del mondo”.

Suor Manuela, quando ti sei consacrata avevi soltanto 21 anni. Perché hai scelto proprio quest’ordine delle Missionarie Figlie di Gesù Crocifisso?

Perché fin da adolescente sono stata sempre attirata, conquistata dal Crocifisso; vedere quest’uomo li, crocifisso, mi dava la misura alta dell’Amore e pensavo sempre al fatto che Gesù è stato così grande nell’Amore da dare la vita per noi. Anche io in qualche modo desideravo dare la vita per gli altri, non sapevo ancora qual’era la strada ma volevo vivere la misura alta dell’Amore. Quando parlavo con il mio padre spirituale, lui spesso mi parlava di questa congregazione, delle Missionarie Figlie di Gesù Crocifisso, ma anche in quel caso continuavo a fare “orecchie da mercante” perché il convento mi sembrava un luogo stretto per me e quindi preferivo non dargli peso, nonostante ciò, quando poi da sola mi trovavo davanti al Crocifisso mi sentivo attirata da Lui e chiamata da quest’Amore più grande.

Com’era la tua vita prima di sposare il Signore? Eri vicina alla Chiesa e frequentavi qualche gruppo?

Come dicevo prima sono sempre stata vicina alla parrocchia ma non frequentavo nessun gruppo. Dirigevo il coro dei bambini della parrocchia, mi occupavo dell’animazione liturgica. Tutto ciò che era musica mi ha sempre attirata e mi aiutava a lodare Dio. Sono sempre stata vicina a Gesù, pregavo con Lui ma non con delle formule già scritte, amavo chiacchierare con Lui. Frequentavo anche tanti amici che non stavano in parrocchia, uscivo con loro nei fine settimana, andavamo nei locali. Vivevo la mia fede ma in modo tale che non mi chiamasse troppo in causa. Mi nascondevo dietro l’immagine di una brava ragazza pur di non farmi chiedere di più dal Signore.

Ad un certo punto lasciasti gli studi di medicina e anche il tuo ragazzo. Perché ti sentivi tanto combattuta nel dare il tuo
Si al Signore, cosa ti spaventava?

Mi spaventava il pensiero di dover lasciare tutto ciò che per me era sicuro, le mie sicurezze costituite dai miei studi e da un futuro da me già programmato; mi spaventava dover lasciare la mia famiglia, gli amici e il mio ragazzo per fare un salto verso la strada che il Signore mi avrebbe indicato. Un po’ come quando il Signore nell’antico testamento chiama Abramo e gli dice “Esci dalla tua terra e va nella terra che io ti indicherò”. Prima gli chiede di uscire e solo dopo gli indica la terra, e così era per me, mi chiedeva di uscire, mi dovevo prima fidare, non mi diceva cosa avrei trovato, l’unica garanzia che mi dava era quella della Sua presenza accanto a me, dovevo fidarmi di Lui.

Ad un certo punto, decidi di staccare con tutto e ne approfitti per trascorrere l’intera estate frequentando le discoteche, nel “chiasso del mondo”. Era un modo per sentire meno la chiamata che in quel momento ti provocava ansia e paura nel lasciare tutto?

Era un modo per nascondermi perché solitamente il Signore sceglie di parlare nel silenzio e di conseguenza io sceglievo il chiasso per non sentirlo, ma anche per sfidarlo perché di fatto io gli lanciai una sfida: “Signore vienimi a cercare nel chiasso del mondo se ci sei davvero”. Ed è stato bellissimo perché in realtà il Signore mi ha cercato in modo discreto, lasciandomi libera. Proprio in quel chiasso che avevo scelto mi trovai a sperimentare un vuoto incredibile nel cuore e in questo vuoto ritrovai la nostalgia di Dio, di quel Dio che mi aveva sempre riempito il cuore della Sua presenza. Mi sentivo come il figlio della parabola del Padre misericordioso, quel figlio che va via e dopo aver sperperato tutti gli averi del padre, si ritrova a mangiare il cibo dei porci e dopo un po’ nemmeno quello. Iniziai così a pensare a tutto quello che avevo quando stavo a casa di Dio Padre, dove avevo tante cose, quando ero con Lui il mio cuore traboccava di gioia, vivevo nelle pienezza nonostante le difficoltà, e invece lontana da Lui mi sentivo a mani vuote. Il Signore è proprio in quella nostalgia che sentivo che mi ha riconquistata o meglio ancora mi ha ri-attirata a sè. Gesù è entrato nel chiasso del mondo con una brezza leggera facendosi presente nel mio cuore.

In quel periodo il tuo direttore spirituale ti è stato molto di aiuto, ma non solo… Un giorno vieni chiamata dall’UNITALSI a dare una testimonianza a Lourdes e ti viene chiesto anche di cantare. Proprio lì, la Madonna ti aiuta a capire qual’era la tua strada. Che succede?

Poco prima di partire per Lourdes, pregai la Madonna e le chiesi di mettermi una mano in testa e di portarmi a Lourdes e di indicarmi lì la strada... Lei esaudì questo mio desiderio. Infatti, venni chiamata dall’Unitalsi per dare una testimonianza a Lourdes e per cantare, così chiesi di poter partire con gli ausiliari per poter prestare servizio agli ammalati. Durante la giornata dedicata alla celebrazione penitenziale, sentii il desiderio di confessarmi, ma in quel momento stavo prestando servizio e non potevo partecipare alla celebrazione in maniera attiva. La sera quando già tutto era finito chiesi ad un Vescovo di confessarmi l’indomani, dato l’ora tarda, invece lui con fare molto paterno si rese subito disponibile. Andammo insieme di fronte alla Grotta e ancor prima della confessione iniziammo un dialogo che durò per più di un ora e che si concluse con la confessione. Attraverso la paternità di questo Vescovo passò tutta la paternità di Dio che mi riportò a Sé, anche grazie all’intercessione di Maria, che come una mamma mi aveva portata lì. La grazia del sacramento della confessione sciolse la paralisi del mio cuore ed in quel momento sentii forte il desiderio di non aspettare più, ma finalmente di fare un salto, non più nel buio, ma nelle braccia di Dio, in quelle Sue mani che ormai ero certa mi avrebbero sempre accompagnato.

Suor Manuela, hai una grande passione sin da piccola per la musica e il canto. Essendo una giovane suora come Suor Cristina, che al momento la vediamo sotto l’effetto mediatico dei media e del web dopo la sua partecipazione a The Voice, che consiglio vorresti darle essendo una tua consorella?

Penso innanzitutto che ad ognuno di noi sono stati dati dei doni per il bene comune e penso che Suor Cristina abbia deciso di partecipare a questa trasmissione per donarci questo suo dono, come in fondo anche lei stessa ha detto “Ho un dono, ve lo dono”. Certamente il Signore ci chiede di portare il Vangelo ovunque, attraverso quello che siamo e attraverso i doni che ci ha dato. Sicuramente il mondo dello spettacolo è un mondo che nasconde anche tante insidie e tanti pericoli, ma questo non ci deve chiudere ed impaurire. In modo semplice penso che dobbiamo starle vicino e dobbiamo pregare per lei! Certamente bisogna avere tanta prudenza, ma se il Signore la sta chiamando per questa via, la condurrà Lui e la prenderà per mano.

Tu hai scritto un brano dal titolo “Come vorrei” tratto dall’album Anime, che parla proprio della crocifissione di Gesù…

E’ un brano a cui sono molto legata e che fra l’altro ho cantato a Lourdes e ho avuto anche la grazia di cantarlo davanti a Giovanni Paolo II. Questo brano racconta l’Amore più grande che passa proprio per la Croce e racconta il mio desiderio di essere portata in qualche modo sulla Croce di Cristo per vivere la misura dell’Amore più grande che sta nel dare la vita per gli altri. In questo brano chiedo al Signore di darmi la grazia di morire anch’io per Amore così come Lui è morto per Amore nostro.

Il 27 aprile ci sarà la Santificazione di Karol Wojtyla e di Giovanni XXIII. Cos’hai provato a cantare per Lui?

E’ stata una grande emozione e non a caso ho scelto un brano sulla croce, proprio perché Papa Wojtyla stesso mi ha insegnato che la croce non va temuta ma va accolta nella nostra vita e va portata con Amore e per Amore. La croce è stata già vinta dalla Vita, dall’Amore di Cristo, e Giovanni Paolo II mi ha insegnato proprio questo, che la croce è solo una porta spalancata sulla Resurrezione. Quando ho testimoniato davanti a lui mi sono sentita piccola, un puntino davanti a un grande uomo che, attraverso la sua testimonianza, ha saputo regalare la paternità di Dio a tutto il mondo!
di Rita Sberna

6 aprile 2014






Quando vedo e sento parlare una suora o una missionaria o un consacrato di Vera e profonda Fede, rimango sempre ammirato dal loro sguardo luminoso. E' uno sguardo speciale, diverso da quello delle altre persone, uno sguardo che emana gioia, limpidezza, dolcezza e Amore allo stesso tempo. E questo sguardo, questa particolare
luce
negli occhi, traspare più che mai dal volto di suor Manuela Vargiu in questo video (che consiglio a tutti di vedere), una ragazza che ha lasciato tutto (il mondo) per abbracciare la Vita Consacrata, per essere tutta del suo Gesù.
E pensare che c'è ancora chi crede che le persone che lasciano la vita del mondo per abbracciare la Vita Consacrata, siano delle persone infelici, delle persone che
fuggono
il mondo e la società, perchè in essa non si ritrovano, o per trovare una qualche sorta di protezione da un mondo in cui non riescono a inserirsi o ad adattarsi. Oppure si pensa che siano persone che scappano dopo qualche cocente delusione in amore. Niente di più falso, niente di più lontano dalla verità di questo! E per capirlo, lo ribadisco, basta guardare lo sguardo luminoso di suor Manuela mentre risponde alle domande del suo intervistatore. Ed è lo sguardo di una persona FELICE, felice per quello che fa, per quello che è, felice per la strada che ha intrapreso, felice perchè ha trovato l'Amore, quello più Vero, l'Amore di Dio! Un Amore che suor Manuela ha sempre avuto nel cuore, ma che solo con la Consacrazione ha trovato il suo pieno compimento. E del resto è lei stessa a dirlo, alla domanda dell'intervistatore, che le chiede perchè avesse voluto indossare quest'abito (minuto 10' 30")? E lei, con disarmante naturalezza, risponde semplicemente Perchè mi sono innamorata!.  

Il Bene che fanno queste belle anime con la loro vita, con il loro esempio, con la loro preghiera, con la loro dedizione... in una parola: con il loro Amore.... lo capiremo bene solamente quendo saremo
di là. Per adesso mi sento solamente di dire: Grazie suor Manuela per tutto quello che fai e grazie a tutte le persone che, come te, rispondono con gioia e Amore alla chiamata del Signore. Grazie di tutto!
E Lode e Gloria al Signore per donare al mondo anime belle come queste, di cui c'è veramente un immenso bisogno!!!

Marco

sabato 6 settembre 2014

Riccardo: “Ho trovato la mia oasi”

Lo chiamavano mastino napoletano, per alcune inchieste che aveva fatto. Era tosto e non mollava facilmente la preda. All’epoca viveva sempre con l’affanno alla ricerca di scoop, al servizio di chi poteva offrirgli una vita sfavillante, soldi e, soprattutto, potere. Una carriera in ascesa. Sì, ma in cambio di cosa? “Scrivevo – racconta – menzogne, solo quello che piaceva a loro, ai potenti”.

Riccardo Rossi, 44 anni, napoletano, era un giornalista affermato. A lungo ha gestito gli uffici stampa di politici, istituzioni, associazioni molto note.

Ho seguito – spiega – i Verdi, il presidente della commissione agricoltura alla Camera dei deputati, un Ministero, ho fatto basi giornalistiche per servizi alla vita in Diretta alla Rai. Insomma, ero un giornalista in carriera e non avevo nemmeno 30 anni. Ad un certo punto tutto mi è diventato stretto, soffocante. Un giorno ero davanti alla televisione e sentii le parole di Giovanni Paolo II, che esortava noi giornalisti a non essere complici della cattiva informazione. Io di quel meccanismo facevo parte. Ero responsabile. Tante volte andavo alla ricerca di notizie vuote, inutili, ma ad effetto. Altre volte, al contrario, non davo notizie. E solo per compiacere qualcuno. Era raro che raccontassi storie autentiche”.

Nel 1999 iniziò quello che Riccardo chiama percorso di conversione.Ero ateo, diventai cristiano. Tante cose in me cominciarono a cambiare. La svolta avvenne quando andai in missione all’estero in Kosovo, in Romania e in pellegrinaggio in Terra Santa. Fu nel viaggio in Romania che conobbi Giuseppe, un ragazzo missionario, che aveva una casa famiglia in Sicilia e che proprio in quei giorni salvò la vita ad un bimbo di strada romeno. Quel gesto mi scosse - ne fui testimone – e tornai in Italia. Decisi che avrei dato una svolta alla mia via e alla mia professione. Cominciarono i problemi. Fui messo da parte senza tanti complimenti e denigrato. Nel contempo ebbi anche un grande dolore familiare. Mio fratello, che aveva problemi di droga, scappò da una comunità terapeutica, senza lasciare traccia. Seguirono momenti di grande dolore. Io, che lo avevo sostenuto, mettendo anche da parte la mia carriera, non sapevo che fine avesse fatto. E’ stato il momento più buio della mia vita. Cacciato dai posti in cui avevo lavorato e senza sapere niente di mio fratello. Caddi in una profonda depressione. Mollai il mondo tante volte vuoto e ipocrita della stampa. Avevo perso quasi tutto. Un giorno mi accorsi, però, che una luce, seppure flebile di speranza, era ancora accesa dentro di me”.

Dopo un periodo travagliato, Riccardo decise di trasferirsi in Sicilia, nella casa famiglia “Oasi della Divina Provvidenza” del ragazzo missionario catanese, conosciuto in Romania. “Piano piano mi ripresi – racconta commosso – Dopo poco arrivò una ragazza che si drogava. Me ne presi cura ed era come se fossi accanto a mio fratello”.

E oggi? “Ora sono le braccia e le gambe di alcuni disabili – dice – sono io che li vesto, li lavo. Ho tante altre incombenze. Siamo più di quaranta nella casa famiglia e stiamo aumentando. Faccio le file negli uffici pubblici, mi occupo dell’accoglienza, di servire a tavola, di aiutare chi non ce la fa nei lavori pesanti. Per sei anni non ho scritto. Il giornalista era morto. Poi, un’ intuizione del mio amico missionario”.
Riccardo ha ripreso a scrivere, ma cose diverse, storie di speranza e coraggio e si è impegnato a far nascere percorsi solidali. Ora ha due giornali di buone notizie, uno a Palermo “La Speranza” - solo cartaceo – il notiziario della Missione Speranza e Carità, che è arrivato ad oltre 15 mila copie e “La Gioia”, che è anche nel web

Successivamente sono stato notato dal direttore di Golem Informazione - aggiunge – su cui ho una rubrica di buone notizie, scrivo recensioni e articoli. La cosa meravigliosa è che questa idea cresce ogni giorno. Tante persone danno il loro contributo di gioia, di belle notizie e nascono reti di solidarietà. Ogni giorno trovo nuova forza e rinasco. Ogni buona notizia, che trovo e divulgo, è rigenerante. I tempi bui sono ormai lontani. Ho trovato la mia strada. Le mie disavventure passate e le mie fragilità ora sono la mia forza. Quando intervisto e vengo a contatto con storie difficili ho la grande capacità di capire il dolore che mi viene raccontato e nel contempo di gioire per ogni piccola vittoria. Ho capito l’importanza delle piccole cose, di come sia più importante donare una mano ad un persona in difficoltà che fare un’interrogazione parlamentare o rilasciare mille interviste. Ora posso dirlo: la solidarietà, la bellezza della vita mi hanno indicato la via. Posso consigliare a chiunque abbia un momento no nella vita di non abbattersi e se occorre, di farsi aiutare. Lanciatevi nel servizio, cercate i veri valori e magari tornerete a fare quello che facevate prima, ma con prospettive totalmente diverse. Io ora mi occupo della vita vera, scrivo di chi lascia la droga e rinasce, di chi è nato disabile e ama la vita.

Ogni giorno aiuto disabili, cambiando loro il pannolino. So che le cose che faccio ora valgono molto di più di mille atti parlamentari. Scrivo di chi ha valori grandi e aiuto chi veramente ha bisogno e non ha nessuno nella vita. Sento di far parte di un progetto d’amore e che i miei sforzi vanno in una direzione importante. Come diceva San Paolo: "Sono forte nelle mie fragilità, la mia forza è questa". Non è stato un percorso semplice, ho sofferto molto, e ancora oggi capitano momenti difficili. Ma ho Aster (in foto), che soffre terribilmente, ma ha sempre una parola buona per tutti. E il sorriso di Nino (in foto), che imbocco e aiuto a vestirsi.

Anche i miei, che agli inizi non riuscivano a capire la mia scelta, ora sono dalla mia parte. E questo mi rende ancora più forte
”.

di Cinzia Ficco

3 maggio 2013

FONTE: http://www.magazine.tipitosti.it/articolo/la-storia-di-riccardo-rissi-giornalista/Giornalisti


Che storia meravigliosa questa di Riccardo Rossi, come meravigliosa è questa intervista che riporto integralmente sulle pagine di questo blog. Dicevo.... una storia meravigliosa, fatta di cambiamento, di conversione, di rinascita, fino a cambiare totalmente modo e stile di vita.
Riccardo con la sua storia ci insegna che anche in fondo al tunnel più buio c'è sempre una fiammella di speranza, ci insegna che non è mai troppo tardi per cambiare strada, per stravolgere anche completamente il proprio modo di pensare e di essere, ci insegna ancora che la vera Gioia è nel donarsi completamente agli altri e a Dio.  Certo, tutto questo non è facile, non accade dall'oggi al domani, bisogna superare ostacoli e difficoltà.... ma è possibile e la storia di Riccardo lo dimostra.
Riccardo è anche un valente giornalista, di buone notizie adesso, e credo che non mancherò di riportare qualche suo bell'articolo sulle pagine di questo blog..... per adesso però mi sento solamente di dire: Grazie Riccardo e auguri per tutto, per una vita sempre più gioiosa e ricolma di splendidi frutti !

Marco