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giovedì 12 agosto 2021

Licenziati dormono in auto: imprenditore offre loro lavoro e un alloggio

L'imprenditore, un noto ristoratore di Velletri, è venuto a conoscenza della situazione e ha deciso di aiutare i tre che da mesi dormivano in auto

Finalmente, dopo due mesi, hanno un letto in cui dormire. Una storia commovente questa che arriva da Velletri. Protagonisti di questa vicenda a lieto fine sono tre persone rimaste disocuppate.

"Fino al 2015 ho lavorato come operaio edile per una ditta, poi venni licenziato e cominciò anche il declino del mio matrimonio. L’anno dopo ho divorziato e mi sono trovato a vivere ospite di amici dove capitava. Sono andato avanti con piccoli lavoretti saltuari, manutenzione, giardinaggio. Poi neanche più quello e si è aperto il baratro. Ho chiesto lavoro dovunque ma quando dico di avere 47 anni mi chiudono la porta in faccia", ha spiegato Massimo Solinas al Messaggero. L'auto in cui ha dormito insieme ad altri due è proprio la sua. Ora però, dopo due mesi di agonia, la situazione ha avuto una svolta insaspettata.

A tendere una mano ai tre caduti in disgrazia è stato un imprenditore consapevole della propria fortuna e intenzionato ad offrire una possibilità per rialzarsi. Si tratta di Daniele Santini, un ristoratore di Velletri titolare del ristorante Paradiso. L'uomo non ha esitato a rispondere alla loro richiesta di aiuto e ha deciso di offrire loro una sistemazione abitativa, il vitto e la speranza di un lavoro in una delle sue attività ristorative. "La decisione di intervenire per aiutare Antonella, Paolo e Massimo l’ho presa insieme a mio padre Francesco, mia madre Giuliana mio fratello Claudio e mia moglie Luisa - ha dichiarato Daniele Santini al Messaggero - Da sempre la mia famiglia non si è mai tirata indietro quando si è trattato di poter tendere una mano. L’ho fatto nella speranza che sia di buon esempio per altri ed anche per far riflettere coloro che si lamentano sempre, di quanto siano in realtà fortunati ad avere un lavoro ed una casa".


di Rachele Nenzi

6 giugno 2019

FONTE: il Giornale

sabato 13 febbraio 2021

Riccardo e Barbara, coppia di sposi missionari che vive insieme ai più fragili

Riccardo Rossi e Barbara Occhipinti hanno scelto di impegnarsi per le oltre 1.100 persone accolte nella Missione Speranza e Carità fondata da Biagio Conte a Palermo, con un'attenzione particolare alla cura della comunicazione sociale. Con il progetto "Ponti di bene" aiutano i poveri a trovare occupazione

PALERMO - Sono impegnati e sensibili verso i bisogni delle oltre 1.100 persone accolte nella Missione Speranza e Carità fondata da Biagio Conte a Palermo e con un'attenzione particolare alla cura della comunicazione sociale. Sono Riccardo Rossi e Barbara Occhipinti, la prima coppia di sposi che ha scelto di vivere in spirito missionario lasciando alle spalle la vita precedente. Da poco sono tornati da un viaggio nel nord Italia per portare avanti il progetto "Ponti di bene", pensato per favorire lo scambio e il trasferimento delle persone con fragilità da Sud a Nord in altri luoghi di accoglienza per poter trovare anche una occupazione lavorativa.
"Siamo appena tornati dal viaggio 'Ponti di bene' che ci ha permesso di conoscere parecchie realtà dove i nostri fratelli in povertà potrebbero trovare per un determinato periodo accoglienza e lavoro - spiega Riccardo -. L'obiettivo è quello di favorire scambi di bene e nello stesso tempo di creare una rete di servizi nazionale tra le realtà missionarie. Grazie ai primi contatti è già partito dalla missione il nostro primo fratello per un centro della Toscana".
"Io e Barbara siamo la prima coppia, la prima famiglia missionaria che ha deciso di fare questo cammino terziario che è previsto dallo statuto della Missione - dice ancora Riccardo -. In Missione siamo continuamente a servizio per tutti. In particolare, organizziamo e stampiamo il periodico La Speranza, seguiamo anche una piccola squadra di calcio di giovani immigrati e poi siamo impegnati a promuovere tutte le iniziative sociali e di solidarietà che ci sono".

"Come coppia, per noi è importante lavorare insieme - aggiunge Barbara -. Siamo continuamente immersi nelle fragilità di ogni tipo dove muoversi non è facile perché ci sono persone che hanno vissuto drammi e sofferenze diverse. La prima cosa da fare è cercare di trasmettere quella fiducia e quella motivazione necessaria che porta la persona, in forte stato di fragilità, a rinascere a poco a poco. La fatica è tanta ma la possibilità di ridare loro la dignità che meritano ci dà tanta gioia, energia e coraggio di andare avanti. Con 'Ponti di bene', in particolare dopo un viaggio di 15 giorni, ci stiamo impegnando molto per riuscire a creare una rete che favorisca la mobilità dei poveri e lo scambio di esperienze di servizio e di lavoro da Sud a Nord".
Riccardo Rossi è di Napoli ha 50 anni e per 10 anni ha lavorato come giornalista per diverse realtà ambientaliste e politiche. Un mondo da cui a poco a poco si è allontanato. "Dopo una conversione ai Valori Cristiani non mi sono più riconosciuto in quello che facevo - racconta -. Sono entrato, infatti, in una crisi depressiva allontanandomi da un mondo che mi appariva troppo superficiale e non ancorato alla verità". "Purtroppo ho avuto problemi familiari molto seri legati soprattutto alla grande sofferenza di avere un fratello tossicodipendente. Dopo quindi un periodo di ricerca interiore, grazie ad alcune persone che mi hanno preso per mano, ho deciso di vivere da missionario nella casa famiglia 'Oasi la divina provvidenza' per disabili mentali e fisici di Pedara (Ct) dove sono stato 15 anni, di cui gli ultimi due anni con Barbara. Per lungo tempo sono stato le braccia e le gambe di tante persone sofferenti alcune delle quali con malattie terminali che ho accompagnato anche alla morte".

"Dopo 5 anni che vivevo nella comunità di Pedara ho conosciuto a Palermo Biagio Conte con cui è nata subito una grande sintonia di fede, di pensiero e di azione - racconta ancora -. Essendo un giornalista mi ha proposto di coordinare all'inizio a distanza il periodico della Missione 'La speranza'. In Missione ho conosciuto Barbara con cui è nata a poco a poco un'intesa di progetto di vita molto forte che oggi ci impegna insieme - tanto che le ho chiesto di sposarmi e di vivere insieme nella comunità di Pedara (Ct) con oltre 100 persone". "Poi, un anno fa, quando Biagio ha protestato digiunando e dormendo sotto i portici della Posta centrale di Palermo, ho deciso di stargli a fianco dormendo anch'io in strada per 10 giorni con lui. Dopo questa esperienza straordinaria confrontandomi con Barbara è nato il desidero di fare insieme il grande salto di andare a vivere in Missione. Oggi siamo riusciti ad avere una stanza presso la Casa del Vangelo a Chiavelli fondata padre Palcido Rivilli molto vicino al beato Pino Puglisi".

Barbara Occhipinti, 48 anni, originaria di Ragusa, ha vissuto, invece, per molti anni da sola a Palermo dove ha studiato architettura e lavorato come arredatrice. "Nella mia vita ho sempre sentito il bisogno forte di mettermi a servizio di chi era più fragile - racconta -. Dopo la morte prematura del mio caro amico Toti che è andato via senza avere vicino i suoi amici più cari, ho riflettuto molto sul senso pieno e più profondo che dovevamo dare alla nostra vita che non poteva essere soddisfatta soltanto dal lavoro e dai piaceri personali". Anche a lei la conoscenza del missionario Biagio Conte ha cambiato completamente la vita. "Dopo avere conosciuto Biagio, a poco a poco è cresciuto sempre di più il desiderio di spendermi come volontaria per i tanti bisogni della Missione. Per lungo tempo ho partecipato all'unità di strada notturna per l'assistenza di chi vive in strada, toccando con mano la fragilità e povertà più disperata".

"La conoscenza poi di Riccardo mi ha fatto capire che proprio la Missione sarebbe stata l'anello di congiunzione della nostra vita insieme. Così con fede e con coraggio, dopo avere perso il lavoro, non ne ho cercato un altro ma mi sono lanciata nella scelta di camminare insieme a Riccardo dedicandomi alla casa dei più fragili dove già viveva. In questo nostra scelta di vivere insieme a Pedara Biagio ci ha benedetto e sempre sostenuto. Ci siamo sposati il 12 febbraio di tre anni fa per il compleanno proprio del mio amico Toti. Quasi un anno fa, poi, dopo l'ultima protesta in strada di fratello Biagio, che abbiamo sostenuto in vario modo con tutte le nostre forze umane e spirituali, abbiamo deciso di trasferirci a Palermo per vivere a servizio dei poveri della Missione". (set)


20 febbraio 2019

FONTE: La difesa del popolo

sabato 12 gennaio 2019

Ecumenismo e incontro, i 50 anni di Bose


ANNIVERSARIO  NEL 1968 NASCEVA IN PIEMONTE LA COMUNITA' CHE OGGI CONTA CIRCA 90 MONACHE E MONACI. UNA LETTERA DI FELICITAZIONI DA PAPA FRANCESCO

«L'accoglienza di tutti, credenti e non» e la «capacità di ascolto» sono due caratteristiche evidenziate da Bergoglio che ha anche lodato l'impegno profuso per l'unità dei Cristiani

Cinquant'anni possono essere un tempo infinito oppure un battito di ciglia. E' difficile affidarsi alle misure convenzionali in un luogo dove si abita il silenzio e le giornate sono scandite dal respiro del canto più che dal ticchettio degli orologi. Eppure cinquant'anni sono anche una ricorrenza solida e tangibile, come una pietra posta lungo il cammino. La Comunità monastica di Bose (Biella), fondata da Enzo Bianchi (che ha dato inizio alla vita comune nell'autunno del 1968, dopo tre anni di vita solitaria, e che è stato priore del monastero fino al gennaio 2017) festeggia il primo mezzo secolo di vita.
E lo fa nel suo stile: con sobrietà, senza autocelebrazioni, con uno sguardo che sa far memoria del passato restando però concentrato sul presente. L'anniversario è anche un'occasione per rileggere un'esperienza unica, che porta nel suo Dna l'ecumenismo e l'apertura all'incontro: a Bose infatti vivono monaci di entrambi i sessi, provenienti da Chiese diverse. Lo ha sottolineato Papa Francesco nella lettera inviata al fondatore Enzo Bianchi: «Mi associo spiritualmente al vostro rendimento di grazie al Signore per questi anni di feconda presenza nella Chiesa e nella società, mediante una peculiare forma di vita comunitaria sorta nel solco del Concilio Vaticano II. La vostra Comunità si è distinta nell'impegno per preparare la via dell'unità delle Chiese cristiane». Non solo. C'è un'accoglienza che va anche oltre i confini del cristianesimo: «Desidero esprimere il mio apprezzamento», scrive il Papa, «specialmente per il ministero dell'ospitalità che vi contraddistingue: l'accoglienza verso tutti senza distinzione, credenti e non credenti; l'ascolto attento di quanti sono alla ricerca di confronto e consolazione».
Dove cercare le radici di questa intuizione? «Nella mia storia, fin dai primi anni di vita» risponde Enzo Bianchi. «Mia madre aveva una fede profonda, mio padre invece si professava ateo. Fin da ragazzo sono venuto a contatto con esperienze religiose diverse. Ricordo di quando mi portarono a visitare una sinagoga. Allora si parlava degli ebrei come di “perfidi giudei”, ma a casa mi dicevano che erano nostri fratelli».
Privilegiare l'incontro e il dialogo: una scelta profetica quanto faticosa, sopratutto agli inizi. Nel 67 Bianchi, appena ventiquattrenne, ricevette un interdetto dall'allora vescovo di Biella. «Ero giovane. Ed ero un laico, non provenivo dalla vita religiosa. In quegli anni, poi, l'ecumenismo non era ancora un dato acquisito per la Chiesa cattolica italiana». Fu il cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino, a sostenere la comunità e ad approvarne la regola nel 73. Una regola che vive nel solco della grande tradizione monastica, ma che sa anche essere molto innovativa. Uomini e donne, insieme in cammino: «Le differenze non si appiattiscono, si armonizzano» racconta Bianchi, specificando che «le sorelle possono avere tutti gli incarichi previsti per i fratelli».
Pensando a quel primo gruppetto di religiosi e alla loro vita in casupole semidiroccate, sorprende vedere oggi una comunità che conta una novantina di monaci e monache, non solo a Bose, ma anche nelle fraternità gemelle fiorite in Italia e nel mondo.
«Noi siamo i primi testimoni, stupiti, di quel che il Signore ha compiuto» ha sottolineato l'attuale priore, Luciano Manicardi. «Per noi ricordare i 50 anni di storia della comunità è anche prendere coscienza di un'eredità, di un lascito, e dunque di una responsabilità, a tanti livelli». Oggi come cinquant'anni fa, la Comunità di Bose vive di incontri, «con un'attenzione speciale per la dimensione umana. E con uno stile di vita che punta all'essenziale». Tante persone (anche molti giovani) vanno a cercare questo “magnete” nascosto nel silenzio delle colline. Hanno domande profonde e la consapevolezza di potersi sentire a casa.

Di Lorenzo Montanaro

FONTE: Famiglia Cristiana N. 51
23 dicembre 2018

domenica 6 gennaio 2019

Lavori di manutenzione per l'inverno, serve un aiuto


L'appello delle religiose


Siamo le monache benedettine del SS. Sacramento del Monastero San Pietro in Montefiascone (Viterbo), lettrici della vostra bella rivista fino a quando siamo state in grado di pagare l'abbonamento. Ci eravamo già rivolte con un appello ai lettori di Famiglia Cristiana e grazie anche al loro aiuto avevamo fatto fronte alla manutenzione straordinaria dei tetti. Ci diamo da fare e siamo aperte all'accoglienza di pellegrini, gruppi parrocchiali e gruppi di preghiera, ma l'affluenza è in diminuzione e ci sembra di soccombere anche se la speranza in Dio ci sostiene.
Ora si rende necessaria la manutenzione ordinaria del monastero, risalente al 600, che presenta parecchie infiltrazioni di acqua e in queste condizioni sarà difficile affrontare l'inverno. Inoltre, abbiamo un debito di 20000 euro da due anni per lavori inderogabili eseguiti e non riusciamo a estinguerlo.
Le coordinate per chi volesse aiutarci sono:


C/c postale n. 12380010 intestato a Monastero benedettine S. Pietro

Iban IT76N0521673160000000001768.


Ringraziamo se potrete pubblicare il nostro appello, continueremo a pregare per voi e per i benefattori che vorranno darci una mano.


FONTE: Famiglia Cristiana N. 43
28 ottobre 2018

www.monasterosanpietromontefiascone.com


Con la S. Epifania le Feste Natalizie sono terminate, e questo è stato per molti tempo di "regali" e di una maggiore predisposizione ad aiutare il proprio prossimo. Con il cuore lancio allora questo appello, tratto dalla rivista "Famiglia Cristiana", affinchè si possano aiutare queste suore nelle loro incombenti difficoltà economiche.
Le persone che vivono periodi di difficoltà sono tante, lo sappiamo, ma proviamo per un attimo a pensare a tutto il Bene che fanno queste suore al mondo intero: e questo non soltanto per la loro benevola accoglienza dei pellegrini, ma anche e sopratutto per la loro costante preghiera, rivolta sempre e soltanto al maggior Bene di tutti! Non a caso i conventi, dove si respira aria di vera e genuina Fede e Amore verso il Signore e verso il prossimo, sono considerati come dei "parafulmini" per il mondo intero, vere e proprie "oasi" di Bene, che richiamano Grazie e Benedizioni dal Cielo alla terra. Quelle che sono e saranno queste anime belle totalmente consacrate al Signore, lo capiremo bene solamente quando saremo al cospetto del nostro buon Dio. Ma proprio per tutto questo, penso sia giusto e sacrosanto cercare di aiutare queste anime belle nelle loro difficoltà finanziarie, con l'offerta del nostro obolo, condividendo il loro appello, e anche accompagnandole con la preghiera. Facciamolo quindi, tocchiamoci il cuore e aiutiamo queste suore ad andare avanti con la loro meravigliosa Missione d'Amore. Facciamolo e anche noi ne ricaveremo Grazie e Benedizioni, perchè il nostro buon Dio non si fa mai superare in Generosità.
Grazie di vero cuore a chi risponderà a questo appello.

Marco

martedì 2 giugno 2015

Lì dove abita la tenerezza del Signore


Restituire dignità e speranza alle donne vittime della prostituzione. Per farlo suor Rita Giaretta ha creato Casa Rut, “un luogo che profuma di resurrezione e non di giudizio”


Capivo che volevo abbracciare il mondo con tutto il cuore e che la mia vita volevo donarla, spenderla per le donne. Noi pensiamo che la schiavitù sia stata abolita, che nella nostra società odierna non esista più, che non ci riguardi o che riguardi semplicemente il passato. Invece ci è accanto invisibile, muta! E' nel nostro Paese! La prostituzione è schiavitù femminile, che viola la dignità e il corpo delle donne, costrette a pagare quel pezzo di marciapiede sul quale lavorano con debiti che le legano a vita alla camorra! E mi chiedo... gli uomini? E noi donne? Cosa facciamo? Questa domanda crescente dei cosiddetti "clienti", non riguarda forse noi tutti?”.
Le parole di suor Rita Giaretta pesano come macigni. Impossibile rimanere indifferenti. Smascherano con franchezza rara la cecità comoda a cui ci siamo abituati. Gli occhi grigi attenti, il tono della voce che riesce in una doppia impresa: essere severo, incisivo, forte, ma allo stesso tempo dolce e avvolgente, misericordioso, materno, capace di penetrare il cuore umano, portandolo con immediatezza alle grandi domande della vita. Davvero non si può fare nulla per cambiare le cose, sopratutto quelle che sembrano essere così dagli albori dell'umanità?

In viaggio verso l'amore

Un filo delicatissimo e tutto rosa unisce passato e presente di questa donna coraggiosa, oggi Suora Orsolina del Sacro Cuore di Maria. La vocazione religiosa per Rita Giaretta arriva nella maturità.
Avevo 29 anni e una vita che si stava già svolgendo pienamente. Avevo il mio lavoro di infermiera, tante amicizie, un compagno con cui facevo progetti”. Nell'ambito del lavoro ha un interesse particolare: “Mi impegnavo nel sindacato per la tutela dei diritti delle donne. Mi accorgevo delle ingiustizie, di quanto fosse necessario combattere ogni momento per guadagnarsi certi diritti minimi che poi non erano mai acquisiti, ma un continuo impegno. Ecco, avevo una vita ordinaria, ma sentivo dentro di me una voce, non ancora distinta, che mi faceva capire che nonostante tutto quella non era la mia strada. Un viaggio in India con degli amici missionari mi ha portato al cuore dell'umanità. Lì dove la vita faceva fatica, ecco tutta la dignità, il rispetto per l'esistenza che andava soccorsa. Quella voce iniziava a farsi più nitida, il Signore mi stava chiamando. Ma un altro passo è stato decisivo. Insieme a me, nella clinica privata presso cui lavoravo, c'era una suora orsolina che prestava servizio. Ho iniziato a prendere qualche caffè con lei ma più per sfida, per prenderla quasi in giro, e invece dopo alcuni esercizi spirituali fatti con lei e le sue consorelle, ho capito che quella poteva essere finalmente la strada per me”.


Cuore amante


Rita entra nella congregazione delle Orsoline a Vicenza. La sua scelta si scontra però con l'opposizione dei genitori: “Non capivo perchè tanto dolore potesse essere causato dalla mia volontà di seguire Gesù, ma è scritto anche nel Vangelo”. Nel 1995 lascia Vicenza e viene trasferita al sud. “Per me è stato un passo in più nel realizzare la mia vocazione di donna consacrata. Ho sempre sentito dentro di me questa forza, questo desiderio di andare verso la terra del Sud, lì dove era più necessaria una presenza religiosa, e direi proprio femminile. Lì dove era necessario svelare la tenerezza e il cuore amante di Dio a chi era nel bisogno. Il 2 ottobre 1995, il giorno degli angeli custodi, suor Rita e le sue consorelle si trasferiscono a Caserta. Partono senza un progetto preciso. Si lasciano toccare dalla gente, dalle domande di chi incontrano. “Non è stato facile all'inizio, ma volevamo incarnare quella che Papa Francesco oggi chiama una "Chiesa in uscita". Così, andando in giro per le strade, ci siamo accorte di queste ragazze, spesso minorenni, ridotte in schiavitù e vittime della tratta. Un pugno nello stomaco. Quelle ragazze, quelle donne maltrattate, violentate, fracassate, rese oggetto, chiamavano noi”.

Il giorno delle primule


L'8 marzo 1997, in occasione della festa delle donne, suor Rita e le sue consorelle decidono di andare incontro a queste ragazze. La polizia, che hanno consultato, le ha invitate a desistere, ma loro sono determinate. L'amore è più forte di tutto.
Abbiamo deciso di andare noi in strada, come andava Gesù e come ci insegna il Vangelo, a portare un gesto di tenerezza, un abbraccio d'amore per loro. Con noi abbiamo portato un vasetto di primule e un bigliettino in cui c'era scritto: "Cara amica qualcuno pensa a te con amore". Ricordo la commozione e la delicatezza di quel primo incontro. Loro non si aspettavano che ci saremmo avvicinate. Ricordo la loro paura iniziale, poi l'apertura, le confidenze disperate fino alle preghiere a mani giunte. "Tornate! Tornate! No buono questo lavoro". E da quel momento abbiamo capito che quello era il nostro posto, era il mio!”.

Corpi rigenerati

Per aiutare le donne vittime della tratta nel casertano, pochi giorni a settimana non bastano. Suor Rita vuole fare di più. Inizia a dare una brandina a chi tra violenze sul corpo e debiti da saldare rischia la vita. Le brandine si sommano, si accavallano nel convento, nasce spontaneo il bisogno di disporre di una casa dove accogliere queste giovani creature, spesso madri, sottraendole a un destino che sembra già scritto.
Troppo spesso si dice "c'è sempre stata la prostituzione", ma questa non è una giustificazione per non fare nulla! Qualcosa si può fare, dobbiamo crederci e volerlo. Casa Rut è nata con l'idea di essere casa accogliente, volto della tenerezza di Dio, luogo che profuma di resurrezione e di non giudizio. Sì, di non giudizio. La prima cosa è non giudicare, è amarle nella loro interezza. Queste donne si vergognano, loro sì. E chi le usa no... Perchè? Loro che non riescono a guardarsi allo specchio o che si truccano così tanto da coprire il viso. Non c'è cosa più bella, miracolo più grande che vedere fiorire quei volti, puliti, rigenerati perchè semplicemente amati! Corpi martoriati, spezzati, fracassati che trovano braccia pronte ad abbracciarle e guarirle senza pregiudizi”.

Perchè abbiano la vita

Casa Rut è sorta nel cuore di un condominio, sulla strada che porta alla Reggia di Caserta. “Che bello pensare che la nostra casa è sulla via della bellezza! Siamo verso la bellezza e dentro un condominio che ha imparato a volerci bene e a crescere con noi. E' un movimento che non esclude nessuno. Casa Rut è incastonata in un territorio che cresce con lei e lei con lui. Non si può fare a meno di nessuno. Abbiamo angeli custodi anonimi che lasciano biscotti per le ragazze fuori dalla porta, mamme che cercano babysitter o amici che vogliono insegnare alle ragazze l'italiano. Ricordiamoci che un'ora donata è un'ora di grazia, un'ora che umanizza!”. Il sorriso di suor Rita è un abbraccio materno, caldo.Ho tanti figli e figlie. Al contrario di quanto si possa pensare, tutte le dimensioni umane si sviluppano in questa mia scelta, sento questa abbondanza che è fecondità”.
C'è un versetto del Vangelo particolarmente caro a suor Rita. Casa Rut è stata costruita su queste parole e in esse trova sempre nuova linfa per rigenerare nell'amore donne e amiche che accoglie: “Sono venuto perchè abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10). Apriamo occhi e cuore perchè tutti abbiano vita e l'abbiano piena in Cristo.


Sartoria etnica

Nel 2004, grazie all'aiuto di tante amiche e amici, è nata NeWhope ("nuova speranza"), cooperativa sociale che ha attirato un laboratorio di sartoria etnica a Casa Rut. Ad abiti per prime comunioni e a un servizio di riparazioni sartoriali, dal 2008 si affianca anche la produzione di tovaglie, zaini e tanti altri coloratissimi manufatti etnici. L'obiettivo è dare un lavoro e rendere possibile la piena integrità di queste giovani donne nella nostra società, mettendo sempre al primo posto la tutela e la dignità della donna.

Bomboniere della speranza


Un'altra bellissima iniziativa riguarda le "bomboniere della speranza" che si possono ordinare direttamente a Casa Rut o tramite il sito internet della comunità. “Quelle mani che un tempo erano vittime di violenza oggi producono bellezza. Cucendo e assemblando è un pò come se le nostre ragazze ricucissero la loro vita per ricominciare”, dice suor Rita.


di Maria Luisa Rinaldi

FONTE: A Sua Immagine N. 104
3 gennaio 2015


C'è veramente tutto in questa storia: il brutto e il Bello del nostro mondo, della nostra società.
Il brutto che consiste nell'orribile sfruttamento delle donne, trattate come vere e proprie schiave e costrette da uomini senza scrupoli a vendere il proprio corpo ad altri uomini senza morale che di certo non si pongono tanti problemi nel fare quello che fanno.
E poi c'è il Bello, la splendida vocazione di suor Rita Giaretta, chiamata dal Signore ad accuparsi di queste donne, toglierle dalla strada e donare loro quell'Amore e quella Dignità che fino ad ora non avevano avuto la possibilità di avere. E questo è per loro come una rinascita, significa essere rigenerate nello spirito e nel corpo, e poter ricominciare una nuova vita, con degli affetti sinceri e genuini, con un lavoro dignitoso..... tutto quello che fin qui era stato a loro negato.
Questa è la forza dell'Amore, quello Vero, quello che, ci auguriamo tutti, possa trionfare sempre sul male, fino a estirparlo fin dalle sue radici più profonde.

Marco 

lunedì 30 marzo 2015

Da allievo a maestro

Entra nella Comunità Villa San Francesco di don Aldo Bertelle con una grave situazione di disagio familiare alle spalle. Un percorso intenso lo aiuta a rialzarsi. E oggi è lui l'educatore di ragazzi in difficoltà

Come un ciclista che in una lunga salita, dall'ultimo posto del gruppo, risale uno a uno gli altri corridori sino a spiccare il volo e tagliare per primo il traguardo. La vita di Giancarlo Ren è un po' questa. Una difficile situazione familiare alle spalle con ripercussioni sul rendimento scolastico e sulla capacità di relazionarsi. Una profonda insofferenza interiore covata per anni e anni. Quindi una scelta che gli cambia la vita. Lasciare casa e approdare nella Comunità Villa San Francesco di don Aldo Bertelle a Pedavena, in provincia di Belluno. Il percorso di fede, la svolta. E' da lì che comincia la sua lunga scalata.

Un passato difficile

Sono arrivato in comunità assieme a mio fratello Silvano nel 1988 – racconta Giancarlo -, avevo 12 anni e lui 11. L'anno dopo ci avrebbe raggiunto nostro fratello più piccolo. In quel periodo la nostra famiglia viveva nell'assoluta povertà. I nostri genitori, a causa delle loro difficoltà personali, non erano in grado di badare adeguatamente a noi tre. Mio padre, con problemi di alcol, aveva solo lavori saltuari. Mia madre è sempre stata molto generosa e ha sempre messo noi davanti a tutto, ma i suoi problemi di udito e la conseguente incapacità di relazionarsi erano un grosso limite per svolgere a pieno le sue funzioni educative. Inoltre, doveva anche far fronte alle inadempienze di mio padre”.
Le prime persone a conoscere le difficoltà di Giancarlo sono le sue catechiste, Lorella prima e Natalia poi. “Erano educatrici prima ancora che catechiste. Raccontavano la vita di Gesù con passione, cosa che mi hanno trasmesso”. Il vero problema di Giancarlo era il contesto della scuola. “Lì avevo difficoltà nell'apprendimento, e nell'ultimo anno di frequenza a Mel, il mio paese di origine, la situazione era divenuta insostenibile. Gran parte dei compagni mi hanno isolato e i professori non hanno fatto nulla per aiutarmi. Un giorno ne ho parlato con mia madre. Avevo deciso che così non volevo continuare. Volevo andare via. In quel periodo si parlava molto di una scuola media con convitto non molto lontano da casa mia. Da quel momento ho lasciato perdere tutto, divenendo impermeabile a qualsiasi situazione si creasse a scuola. Come risultato, ovviamente, è arrivata la bocciatura, ma io ormai ero proiettato all'anno successivo. L'unico contesto dove mi sentivo bene era la squadra di calcio del paese, dove ero considerato al pari degli altri, merito dell'allenatore che per me e i miei fratelli ha sempre avuto un'attenzione particolare, interessandosi a noi anche quando eravamo in comunità”.

L'alba in comunità

L'ingresso in comunità è un toccasana per Giancarlo. “Ho ripreso la scuola e sono ripartito dalla seconda media, in un contesto totalmente diverso da quello da cui provenivo. Sono convinto che per la crescita di un adolescente che presenti difficoltà personali e familiari molto spesso l'allontanamento dal contesto di appartenenza sia utile per la sua crescita educativa. Può spogliarsi della sua storia personale, che a volte è una zavorra troppo pesante da portare, e presentarsi per quello che è. Così viene accettato dal nuovo gruppo e ha più facilità di interagire con i pari”. La fase di rilancio si materializza con il diploma di terza media e dopo un iniziale periodo di difficoltà alle superiori, “dovuto anche al fatto che tornavo a confrontarmi di nuovo con il giudizio di alcuni miei compagni di scuola pre-comunità. Ho avuto la soddisfazione di prendere il diploma di maturità di agrotecnico con il punteggio più alto della mia classe, ma sopratutto tra l'incredulità di professori della scuola media di Mel e genitori di alcuni dei miei vecchi compagni che sotto sotto non accettavano che quello che era l'emarginato alle medie fosse poi il primo della classe”.

Nuovi obiettivi

La scelta della scuola superiore non è stata casuale. “L'ho effettuata perchè da qualche anno, dalla Comunità Villa San Francesco, era nata la Cooperativa Arcobaleno '86 per l'inserimento socio-lavorativo di giovani in difficoltà personale, con deficit intellettivo medio-lieve, che avevano completato il ciclo di studi obbligatorio all'interno della comunità e che non avevano la possibilità di rientrare a casa. A quel tempo la cooperativa aveva l'ortofloricoltura come attività prevalente e io avevo scelto quella scuola nella speranza di poterci entrare”. Un obiettivo che Giancarlo riesce a centrare. “La speranza si è avverata grazie al conseguimento del diploma di maturità per me e di qualifica per mio fratello, grazie alla creazione di un corso organizzato dal Cif, ente gestore della comunità, che ha permesso di realizzare dei progetti che prevedevano la possibilità di creare nuovi posti di lavoro. Ho cominciato a occuparmi della produzione floricola. L'inserimento in cooperativa di due 'allievi' della comunità è stata una scommessa del direttore Aldo Bertelle, che ha dovuto far fronte allo scetticismo di più di un dirigente della cooperativa per il delicato passaggio. Credo di poter affermare che la sua scommessa sia stata ampiamente vinta”.


Educatore e laureato

Nel 2005 un'altra incredibile svolta. Proprio lui, che 18 anni prima era entrato con una situazione di disagio in comunità, viene scelto da don Aldo per coprire il ruolo di educatore. Da “allievo a maestro”. E' uno dei momenti più alti per la vita di Giancarlo, che nel 2006, per rispondere alle esigenze legislative che regolano le comunità di minori, si iscrive all'Università di Padova in Scienze dell'educazione. “Per me è stato un autentico salto nel buio, dato che arrivavo da una formazione prevalentemente scientifica. Però più andavo avanti e più mi appassionavo e nel dicembre del 2010 sono riuscito a prendere il diploma di laurea triennale, diventando il primo ragazzo della comunità a raggiungere questo traguardo”.

La “regia” del Signore

Ma se oggi Giancarlo è arrivato così in alto lo deve a una persona speciale che gli ha fatto conoscere Villa San Francesco. Ed è don Domenico Persico, parroco del suo paese. “E' stato lui a dire a mia madre di spostarci in comunità”. E la presenza di Dio in questo contesto è stata determinante. “Il mio cammino di fede, fatto sopratutto all'interno della comunità, lo ritengo fondamentale. Sono riuscito a rilanciarmi e a farmi accettare per quello che sono. Il Signore per me rappresenta un riferimento, una bussola di vita. Non c'è pensiero e decisione che non prenda prima di aver riflettuto su quali siano i confini entro i quali l'esempio cristiano ha fatto il proprio solco. E la sua presenza l'ho avvertita anche quando ho conosciuto Monica, con la quale mi sono sposato dieci anni fa. La presenza parallela del Signore e della comunità di don Aldo mi hanno 'accompagnato' in questa splendida conoscenza che mi ha donato due figli, Cristian di otto anni e Nicola di cinque”.


Tanti “pezzi” di mondo

Il Museo dei sogni a Feltre, presso la Cooperativa Arcobaleno '86, accoglie oltre 700 simboli in ricordo di personalità e avvenimenti di alto rilievo storico e umano internazionale, tra cui il pezzo di tegola bombardata dagli americani a Hiroshima, proveniente dal Museo commemorativo della pace, un pezzo del muro di Berlino, un frammento della casa di don Milani e di Paolo VI. E' stato ideato dagli operatori della Comunità Villa San Francesco. All'interno del museo esiste la sezione presepi mignon. Sono oltre 2mila, provenienti da 149 Paesi, moltissimi dei quali donati da nunzi apostolici e ambasciatori presso il Quirinale e la Santa Sede. Recente la raccolta di acque dal mondo: sono oltre 700 quelle giunte da laghi, mari, fiumi di tutti i continenti. Sgorgano notte e giorno da una grande anfora, contribuendo a far “galleggiare” le pietre. Tengono in vita i sogni di miliardi di persone nel mondo.

I lunedì di Casa Emmaus

Si sale su una delle colline dopo Feltre per 110 volte in cinque anni, provenendo da mezzo Veneto, anche appesantiti da pesi superflui, sonnolenze, alibi, maschere, bisacce, tornaconti e di sera, magari dopo giornate di lavoro faticoso. A farlo ogni lunedì sono in 100, dai cinque agli 87 anni e sanno che il “ladro nella notte” li aspetta fedele nella Casa Emmaus a Facen di Pedavena, la casa di accoglienza della Comunità educativa Villa San Francesco, gestita dal Cif (Centro italiano femminile) di Venezia.
Anzi sono loro che lo cercano il 'ladro' – spiegano da Casa Emmaus -, lo rispettano, molti lo amano, perchè oramai sono in confidenza con Gesù di Nazareth, 'ladro' delle nostre 'protesi' che spesso indossiamo per giustificare tanti vecchi e nuovi 'no-no', che ci impallinano e sbiadiscono le nostre vite, a volte poco cristiane e scarsamente plurali. Ogni lunedì c'è un esame da sostenere su un passo del Vangelo, un esame inusuale da superare assieme a Gesù”.
Il percorso di catechesi è quinquennale e unico nel suo genere. A fare da regista c'è il responsabile di Villa San Francesco, don Aldo Bertelle.


di Gelsomino del Guercio

FONTE: A Sua Immagine N. 104
3 gennaio 2015


Gran bella storia.... io la definirei la storia di una vera e propria "rinascita" quella accaduta a Giancarlo Ren, che dopo un inizio di vita molto difficile a causa di una situazione familiare complessa e delicata, che lo hanno portato ad avere tanti e variegati problemi, ha successivamente saputo riemergere splendidamente e prendersi tante belle gioie e soddisfazioni dalla vita, come quelle di realizzarsi nello studio, nel lavoro e infine di formarsi una bella famiglia. Certo, tutto questo probabilmente non sarebbe mai avvenuto se non avesse incontrato le persone giuste nei contesti giusti..... e se non avesse avuto tanta Fede e Fiducia in Dio, che certamente lo ha sapientemente guidato nel tortuoso percorso della sua vita, fino a condurlo a questi splendidi risultati, fino a trasformarlo da ragazzo asociale e problematico quale era all'inizio, ad essere un uomo realizzato, completo e felice. 
Una gran bella storia davvero, di quelle che fa veramente piacere conoscere e divulgare, perchè intrisa di Valori autentici, quali la solidarietà, la volontà, la Fede e l'Amore..... e quando si fonda la propria vita su questi Valori, i Veri Valori della vita, allora non si rimane mai delusi, allora tutto, in Bene, può veramente accadere.

Marco

sabato 31 gennaio 2015

Il sogno che può cambiare la realtà


Nella periferia di Milano, una chiesetta e un ex granaio abbandonati tornano a disposizione della comunità grazie all'impegno di Gloria e suor Ancilla

Nasce da un sogno il progetto di far rivivere una porzione di Milano. In tutte le sue valenze: culturale, artistica, spirituale, rurale, sociale, educativa. Forse, la forza delle grandi idee che poi si trasformano in progetti concreti ha origine proprio da una visione”. Sono parole di Gloria Mari, consacrata nell'Ordo Virginum, ex geologa e giornalista, che ha deciso di dedicare la sua vita al servizio degli altri, delle persone sole, fragili, che attraversano momenti segnati da grandi difficoltà, e lo fa lavorando nella Cooperativa Nocetum, nella Valle dei Monaci a Milano.

La vocazione

A causa del lavoro del padre, dirigente di una multinazionale e sempre impegnato all'estero, Gloria fin da piccola viaggia molto, spostandosi addirittura in tre continenti.
I luoghi che vede, i viaggi che compie, accrescono sempre di più il suo interesse a studiare la terra, e per questo decide di diventare una geologa. Quando ha 23 anni, nel periodo dell'università, conosce suor Ancilla: un incontro destinato a cambiare profondamente la sua vita. A Gloria piace lo stile di preghiera e la delicatezza con cui si pone la suora. Così decide di andare in ritiro con lei. E' in questa occasione, raccolta nella preghiera accanto a una figura amica, avvolta da una sensazione di tranquillità e felicità, che Gloria inizia a chiedersi se la professione che ha scelto e per cui sta studiando è ciò che davvero può farla felice. Se la sua serenità deve cercarla girando per il mondo a studiare la terra o se, invece, è più vicina di quanto lei possa immaginare.

In missione tra la gente

Al primo ritiro ne seguono altri. Gloria inizia a maturare l'idea di portare a termine l'università e successivamente diventare una missionaria laica in terre lontane. Dopo la laurea, e solo tre anni dopo il primo incontro con suor Ancilla, la scelta è un altra, radicale: lascia casa e i suoi genitori e si iscrive alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale. Le piace, e le piace moltissimo. Ha capito qual è il suo posto nel mondo e, proprio come suor Ancilla, decide di consacrarsi all'Ordo Virginum.
Le consacrate che appartengono a quest'ordine vivono le condizioni della donna qualunque: non indossano l'abito, non portano il velo, non hanno nessun connotato esteriore che fa capire che sono suore consacrate al Signore nel nubilato, ma sopratutto non hanno una casa madre, né un convento o una madre superiora, e devono perciò trovarsi una casa e una fonte di sostentamento. Così Gloria trova lavoro come insegnante e un luogo dove abitare: nei pressi dell'Abbazzia di Chiaravalle.

Verso Nocetum

Passa il tempo, il gruppo di preghiera animato da suor Ancilla ha bisogno di una nuova dimora, che non sia quella di Chiaravalle, troppo piccola. La suora nota una chiesetta abbandonata e ne parla subito con Gloria. E' la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, conosciuta anche come chiesa di Nosedo. Il luogo cattura immediatamente la loro attenzione e diventa il punto di riferimento degli incontri del loro gruppo di preghiera. Purtroppo, però, non è possibile abitare nella cascina adiacente alla chiesa, un ex granaio dell'Abbazzia di Chiaravalle: oltre a problemi burocratici, la struttura è ridotta a rudere, abbandonata, spesso occupata da barboni o utilizzata da prostitute e tossicodipendenti.
Nei nostri incontri presso la chiesetta dei Santi Filippo e Giacomo, alla fine degli anni 80, con suor Ancilla sognavamo di vedere al posto di una cascina cadente una casa accogliente, al posto di una discarica un prato fiorito, al posto di un vecchio capanno un piccolo mercatino, al posto di una sala umida e fredda un salone accogliente a vetrate”, racconta Gloria. “Ma sopratutto immaginavamo la possibilità di collegare questi centri d'interesse con dei viottoli da percorrere a piedi: quante volte ci siamo imbattute nei campi e siamo dovute tornare indietro perchè non c'era un sentiero. Speravamo che prima o poi qualcuno avrebbe potuto studiare approfonditamente l'area, scoprire gli antichi resti nella chiesetta e collegare un punto con l'altro. Tutto sembrava impossibile”.

La decisione di “occupare”

Suor Ancilla contatta il proprietario dei terreni per chiedergli di poter prendere possesso della cascina. Le viene detto che ci vorrà del tempo, non deve avere fretta. Ma dopo quasi dieci anni di attesa, in cui nulla cambia, suor Ancilla è risoluta: “Siamo stufe di vedere la cascina abitata in modo improprio, adesso la occupiamo noi”. Il proprietario non immagina certo che la suora stia parlando seriamente, e così le risponde con un mansueto: “Certo, fate pure”. Suor Ancilla e Gloria non se lo fanno ripetere: aiutate da volontari che fanno parte del loro gruppo di preghiera, aprono il lucchetto con un chiavistello. Nel frattempo, nel 1998, si erano costituiti come associazione, Nocetum: Gloria ricorda quegli anni come un momento importantissimo, che le hanno fatto capire cosa il Signore le chiamava a fare in quel luogo e in che modo operare. Determinante è l'incontro con il cardinale Carlo Maria Martini, che chiede a Nocetum di diventare sentinella nella città, di capire e cogliere i bisogni che la città ha. Gloria e suor Ancilla intuiscono che non sono tanto chiamate a creare un centro di spiritualità, ma ad accogliere chi ha bisogno, a tradurre l'opera di preghiera in un'opera di accoglienza.


Aiutare chi ha bisogno


Alla cascina iniziano ad arrivare le prime famiglie. Sono sopratutto immigrati che hanno trovato lavoro a Milano ma non un posto dove abitare, o mogli i cui mariti lavorano ma non possono permettersi una casa abbastanza grande in cui stabilirsi con l'intera famiglia. Passano gli anni, Gloria è impiegata in una casa editrice, ha un contratto a tempo indeterminato, ma oramai sente di appartendere totalmente a Nocetum e per questo lascia tutto per dedicarsi giorno e notte alla cura e ai bisogni delle famiglie che ospitano. Le cose procedono bene. L'Associazione partecipa a progetti di riqualificazione della zona e riesce ad avere dei contributi economici per ristrutturare come si deve la cascina. Una volta risanata e sistemata la struttura, Gloria e suor Ancilla decidono di fissare dei criteri per l'accoglienza. Nel 2008 capiscono che l'attenzione si deve spostare sulla realtà delle mamme che si trovano da sole e suoi loro bambini, donne in situazione di disagio e fragilità sociale, ma anche con un passato di maltrattamenti. Finalmente, nel 2010, Nocetum diventa una cooperativa: “Era necessaria una realtà più organizzata – dice Gloria – che mantenesse però la stessa attenzione per gli ultimi e lo stesso interesse alla promozione del territorio. Oltre alla casa di accoglienza, all'organizzazione di percorsi didattico-educativi per scuole e iniziative d'integrazione e coesione sociale, Nocetum è promotrice di progetti e attività volte alla valorizzazione del territorio”.


La rinascita di una valle


L'antica Valle dei Monaci si estende dalle colonne di San Lorenzo, nel centro di Milano, fino a Melegnano. Un luogo a cui la prodigiosa cura e cultura dei monaci degli ordini cistercensi e umiliati ha saputo conferire progressivamente una forma unitaria e stabile, una vera e propria “città contadina sperimentale”, che si è però frammentata nel secolo scorso. Da circa due anni alcune realtà già attive nell'area hanno iniziato a lavorare in rete con l'obiettivo di restituire al territorio l'unità perduta e ridare vita e visibilità ai suoi tesori naturali, agricoli e storici, con le splendide abbazzie di Chiaravalle, Viboldone e Mirasole, e con il piccolo tesoro artistico e archeologico riportato alla luce nella chiesetta di Nocetum. Quello della “rete” è stato un movimento spontaneo, di cui Nocetum è in un certo senso il motore e che ora conta più di quaranta realtà. Infatti, oltre alle tre abbazzie e alle chiese, ci sono associazioni culturali e dedite alla cura ambientale, cooperative sociali e diverse realtà imprenditoriali.


di Giulia Nannini

FONTE: A Sua Immagine N. 99
29 novembre 2014


Bella storia, di Carità, di Amore, di Fede, ma anche di intraprendenza, da parte di 2 donne, una suora consacrata e una suora laica, che hanno dato vita, certamente con l'aiuto e per Volere del Signore, ad una bellissima realtà quale è la Cooperativa Nocetum.
Quando ci sono Fede e Amore e tanto desiderio di fare Bene, tutto può succedere..... e sono opere come queste che rendono migliore la società in cui viviamo.
Grazie suor Ancilla, grazie Gloria!

Marco