sabato 12 gennaio 2019

Ecumenismo e incontro, i 50 anni di Bose


ANNIVERSARIO  NEL 1968 NASCEVA IN PIEMONTE LA COMUNITA' CHE OGGI CONTA CIRCA 90 MONACHE E MONACI. UNA LETTERA DI FELICITAZIONI DA PAPA FRANCESCO

«L'accoglienza di tutti, credenti e non» e la «capacità di ascolto» sono due caratteristiche evidenziate da Bergoglio che ha anche lodato l'impegno profuso per l'unità dei Cristiani

Cinquant'anni possono essere un tempo infinito oppure un battito di ciglia. E' difficile affidarsi alle misure convenzionali in un luogo dove si abita il silenzio e le giornate sono scandite dal respiro del canto più che dal ticchettio degli orologi. Eppure cinquant'anni sono anche una ricorrenza solida e tangibile, come una pietra posta lungo il cammino. La Comunità monastica di Bose (Biella), fondata da Enzo Bianchi (che ha dato inizio alla vita comune nell'autunno del 1968, dopo tre anni di vita solitaria, e che è stato priore del monastero fino al gennaio 2017) festeggia il primo mezzo secolo di vita.
E lo fa nel suo stile: con sobrietà, senza autocelebrazioni, con uno sguardo che sa far memoria del passato restando però concentrato sul presente. L'anniversario è anche un'occasione per rileggere un'esperienza unica, che porta nel suo Dna l'ecumenismo e l'apertura all'incontro: a Bose infatti vivono monaci di entrambi i sessi, provenienti da Chiese diverse. Lo ha sottolineato Papa Francesco nella lettera inviata al fondatore Enzo Bianchi: «Mi associo spiritualmente al vostro rendimento di grazie al Signore per questi anni di feconda presenza nella Chiesa e nella società, mediante una peculiare forma di vita comunitaria sorta nel solco del Concilio Vaticano II. La vostra Comunità si è distinta nell'impegno per preparare la via dell'unità delle Chiese cristiane». Non solo. C'è un'accoglienza che va anche oltre i confini del cristianesimo: «Desidero esprimere il mio apprezzamento», scrive il Papa, «specialmente per il ministero dell'ospitalità che vi contraddistingue: l'accoglienza verso tutti senza distinzione, credenti e non credenti; l'ascolto attento di quanti sono alla ricerca di confronto e consolazione».
Dove cercare le radici di questa intuizione? «Nella mia storia, fin dai primi anni di vita» risponde Enzo Bianchi. «Mia madre aveva una fede profonda, mio padre invece si professava ateo. Fin da ragazzo sono venuto a contatto con esperienze religiose diverse. Ricordo di quando mi portarono a visitare una sinagoga. Allora si parlava degli ebrei come di “perfidi giudei”, ma a casa mi dicevano che erano nostri fratelli».
Privilegiare l'incontro e il dialogo: una scelta profetica quanto faticosa, sopratutto agli inizi. Nel 67 Bianchi, appena ventiquattrenne, ricevette un interdetto dall'allora vescovo di Biella. «Ero giovane. Ed ero un laico, non provenivo dalla vita religiosa. In quegli anni, poi, l'ecumenismo non era ancora un dato acquisito per la Chiesa cattolica italiana». Fu il cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino, a sostenere la comunità e ad approvarne la regola nel 73. Una regola che vive nel solco della grande tradizione monastica, ma che sa anche essere molto innovativa. Uomini e donne, insieme in cammino: «Le differenze non si appiattiscono, si armonizzano» racconta Bianchi, specificando che «le sorelle possono avere tutti gli incarichi previsti per i fratelli».
Pensando a quel primo gruppetto di religiosi e alla loro vita in casupole semidiroccate, sorprende vedere oggi una comunità che conta una novantina di monaci e monache, non solo a Bose, ma anche nelle fraternità gemelle fiorite in Italia e nel mondo.
«Noi siamo i primi testimoni, stupiti, di quel che il Signore ha compiuto» ha sottolineato l'attuale priore, Luciano Manicardi. «Per noi ricordare i 50 anni di storia della comunità è anche prendere coscienza di un'eredità, di un lascito, e dunque di una responsabilità, a tanti livelli». Oggi come cinquant'anni fa, la Comunità di Bose vive di incontri, «con un'attenzione speciale per la dimensione umana. E con uno stile di vita che punta all'essenziale». Tante persone (anche molti giovani) vanno a cercare questo “magnete” nascosto nel silenzio delle colline. Hanno domande profonde e la consapevolezza di potersi sentire a casa.

Di Lorenzo Montanaro

FONTE: Famiglia Cristiana N. 51
23 dicembre 2018

Nessun commento:

Posta un commento