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mercoledì 31 marzo 2021

Dalla Polizia di Stato al Sacerdozio – La storia di Don Ernesto Piraino

Questa è la storia di un giovane di 37 anni che per 18 lunghi anni era un poliziotto della polizia di Stato, aveva una ragazza e tanti sogni nel cassetto. Poi Gesù eucarestia gli rapisce il cuore e l’11 febbraio scorso, è stato ordinato sacerdote.

Cosa ti ricordi della tua vita da poliziotto?

E’ stata un esperienza meravigliosa in cui il Signore ha fatto passare tanta grazia. Fare il poliziotto non è un mestiere facile ed io l’ho svolto, in territori segnati da fenomeni criminosi importanti come in Sicilia e Reggio Calabria. Tutti questi anni in polizia mi hanno permesso di accumulare un bagaglio esperenziale, ed oggi, grazie a Dio riesco ad utilizzare in un altro settore diverso anche se l’umanità non è cambiata; quella rimane uguale con le sue fragilità e i suoi limiti ma anche con le sue bellezze e i suoi pregi.
Aver conosciuto l’umanità dal punto di vista della giustizia umana, oggi è un punto a mio favore.

Perché avevi scelto di fare il poliziotto?

Perché amavo l’idea di poter servire la mia patria di poter servire la gente che mi circondava indossando una divisa, e pensavo di poterlo fare nel migliore dei modi. Così feci un paio di concorsi nella polizia di stato e nei vigili del fuoco e li vinsi entrambi, ma avendo fatto per prima il concorso in polizia, ebbe la meglio sull’altro.
Il desiderio che si nascondeva dietro questa scelta era di poter essere utile all’altro.
Dobbiamo non sottovalutare anche il fatto che in quegli anni, non era semplice trovare un posto di lavoro che potesse diventare a tempo indeterminato, per cui vincere un concorso per un ragazzo di 19 anni, era un grande traguardo.

Tu eri anche fidanzato, quindi sognavi una famiglia e ti sentivi chiamato al matrimonio?

Assolutamente si, non solo sognavo il matrimonio ma l’avevamo addirittura progettato. Avevo acquistato casa e avevamo già programmato qualcosina per la cerimonia ma evidentemente, avevo fatto i conti senza l’oste.

Quando ti accorgesti che il Signore ti stava chiamando a lasciare tutto e a seguirlo?

Era il 2006 e nella parrocchia dove prestavo servizio di educatore dei giovani nell’azione cattolica, nacque l’Adorazione Eucaristica perpetua. Era la prima Adorazione Eucaristica perpetua della Calabria. Proprio in quell’occasione iniziai a trascorrere del tempo davanti a Gesù, prima iniziai con mezz’ora, poi un’ora e poi diventarono due… insomma era diventata una calamita, dalla quale mi restava difficile staccarmi. L’attrazione era tanta che a volte facevo compagnia a Gesù per tutta la notte. Pian piano Gesù, mi ha fatto comprendere che l’amore che percepivo e sperimentavo con Lui ed insieme a Lui, non era minimamente paragonabile da quello che vivevo dal punto di vista degli affetti umani e delle soddisfazioni professionali. Così ho iniziato a chiedermi se era il caso di iniziare un percorso di discernimento più profondo. E così nel 2011 entro in seminario.

La tua famiglia e la tua ragazza avevano già capito che c’era qualcosa di diverso in te?

La mia famiglia aveva cominciato a sospettare qualcosa, nel momento in cui la mia frequentazione in chiesa era diventata un momento molto importante mentre la mia ragazza dopo due anni di fidanzamento faceva qualche battuta del tipo “Se vuoi farti prete dimmelo chiaro” ma allora, in me non c’era nessuna intenzione di discernimento per diventare sacerdote.

E poi come hanno reagito alla tua decisione vocazionale?

Intorno a me c’è stata un’accoglienza abbastanza serena nell’accettare la mia decisione di entrare in seminario. Non ho avuto ostacoli o impedimenti ma molto affetto e molta preghiera. La mia ragazza ovviamente quando ha compreso che la lasciavo per il Signore, ha gioito perché ha capito che il rivale non era un’altra persona.

Invece i tuoi colleghi che ti hanno detto?

All’inizio hanno fatto qualche battuta affettuosa, però l’accoglienza del dono nel giorno dell’ordinazione sacerdotale, è stata straordinaria. Mi hanno dimostrato un tale affetto e una tale amicizia da lasciarmi veramente stupito. La Polizia di Stato insieme alla mia famiglia di origine mi hanno accompagnato a ricevere il dono sacerdotale.

Immagino che anche da poliziotto avevi una sensibilità molto sviluppata nei confronti di coloro che avevano intrapreso strade sbagliate come ad esempio uno spacciatore, un tossicodipendente. Se ti capitava di arrestarli, qual era la tua reazione nei loro confronti?

I primi anni di servizio vivevo molto di più la dimensione legata al senso della giustizia umana, mentre negli ultimi anni quando avevo in me chiara l’idea di diventare sacerdote, cercavo di unire il senso della giustizia umana con l’occhio misericordioso di Dio.
Vi racconto un aneddoto: molti anni fa mi ritrovai a fare ordine pubblico, durante una partita di calcio e ad un certo punto dovemmo alleggerire la folla perché i tifosi cominciarono a lanciarci pietre. Oggi uno di quelli che mi tirava le pietre è diventato frate, ed io che ero poliziotto dall’altra parte della barricata, sono diventato sacerdote.

Secondo te cosa si potrebbe fare per migliorare la società e dare un futuro ai giovani?

Potrebbe sembrare banale ma credo che bisognerebbe riscoprire l’amore di Dio che ci ama in una maniera unica. Tutti siamo figli di Dio. Questa scoperta potrebbe dare una svolta decisiva all’andazzo di questa nostra società. E’ una società dove l’amore sta scomparendo sempre più e viene relegato ad un posto minore di quello che dovrebbe realmente ricoprire. Lentamente l’uomo si va raffreddando e sta perdendo i valori realmente importanti della vita. Secondo me comprendere che Lassù c’è un Padre che ci ama, potrebbe contribuire alla felicità di ciascuno anche paradossalmente a quella stabilità, data da un posto di lavoro o dalla famiglia ma se manca l’amore nulla ci può rendere realmente felici.

Cosa vuol dire oggi per te, essere sacerdote?

E’ una gioia difficilmente descrivibile a parole. E’ una sensazione totale di pienezza ed è difficile renderla con un concetto che possa essere comprensibile però, se dovessi riassumerla a parole direi che diventare prete è veramente bello, poter servire il Signore soprattutto e le sue creature. Ogni giorno mi rendo conto di quanto questo dono sacerdotale, sia ben più grande perché l’amore del Signore ci supera abbondantemente.

Che messaggio vuoi dare ai giovani che sono in crisi vocazionale e non sanno quale sia la vocazione che Dio ha scelto per loro?

Direi di lasciare la porta del cuore spalancata, senza avere nessuna paura perché il Signore vuole soltanto la nostra felicità per mezzo della vocazione personale. L’importante è diventare Santi. Si può essere santi sacerdoti e santi genitori ma l’importante è vivere il nostro battesimo e camminare verso la santità, senza paura. Permettiamo a Gesù di entrare e portare il suo annuncio di pace e di salvezza ed una volta fatto questo non si ci volterà più indietro, una volta messi le mani all’aratro si andrà sempre avanti.


di Rita Sberna

12 gennaio 2021

FONTE: Cristiani Today

domenica 12 agosto 2018

Bologna, l’agente eroe: «In molti scattavano foto, li ho mandati tutti via». I 4 minuti dell’agente eroe


Le forze dell’ordine: bruciavamo, ma abbiamo dato l’anima

«
Ma certo che avevo paura, ero avvolto dalle fiamme e sentivo l’odore della mia carne che bruciava, chi non ne avrebbe avuta?». Provateci voi, a rispondere allo stesso modo per cento volte alla stessa domanda preconfezionata, "ti senti un eroe Riccardo?", mentre sei ricoverato nel reparto Grandi ustionati dell’ospedale Bufalini di Cesena, e hai la schiena, le gambe, le spalle e la nuca, insomma il 25 per cento del corpo, coperto da bruciature di secondo grado, che intanto si fanno sentire. «Eh, un po’ scotta».

La verità è che abbiamo tanto bisogno di buone notizie. L’agente Riccardo Muci da Copertino, Lecce, 31 anni, un matrimonio alle spalle, ex programmatore di volo Alitalia fino alla crisi del 2008, entrato in Polizia seguendo l’attrazione familiare per le divise, il padre Pantaleo è un sottufficiale dell’aeronautica in pensione, era la miglior notizia possibile, in una gerarchia dettata dalla vicinanza al fuoco, perché il coraggio, l’altro giorno sotto quel viadotto, l’hanno avuto in tanti. A riprova del fatto che i miracoli sono spesso un’opera collettiva.

Il racconto

«Con il mio collega eravamo impegnati nel servizio di Volanti sulla via Emilia. Quando abbiamo visto cosa era successo, io ho solo capito la situazione, e quel che sarebbe successo. Sapevo di avere poco tempo, perché ero certo che ci sarebbe stata un’altra esplosione. Sono sceso dall’auto e proprio sotto il ponte, lungo la via, era pieno di persone che facevano foto e riprese. Erano all’altezza del viadotto, addirittura si sporgevano per inquadrare meglio il camion, che da sotto mandava già piccole fiamme, era evidente che stava per saltare in aria. Io mi sono limitato a urlare, a fargli paura, a strattonare per mandare lontano quelli che non mi ascoltavano, mentre il mio collega bloccava la via con la Volante, e anche quella è stata una cosa importante. Davvero, non ho meriti particolari, e neppure ricordi da offrire, perché rivivo tutta quella scena in adrenalina, ho frammenti che scorrono veloci e non riesco a isolarne nessuno. Credo solo di aver usato bene quei quattro minuti tra la prima esplosione e quella pazzesca che è arrivata dopo».


Le ferite

Se l’è presa sulla schiena, mentre si sbracciava come per mandare ancora più lontano la gente che stava facendo fuggire. «Ho sentito un vento bollente che mi sollevava. Sono caduto, e mentre mi rialzavo mi sono accorto che la polo della mia uniforme aveva preso fuoco, ho sentito un dolore pazzesco su tutta la schiena e le fiamme che mi avvolgevano. Ho cominciato a correre urlando a chi vedevo di seguirmi. Appena ho raggiunto la macchina il collega mi ha buttato addosso dell’acqua, sentivo che gridava “acqua, serve acqua”. Finché ce l’ho fatta ho dato una mano ai carabinieri che stavano prestando soccorsi ai feriti, eravamo tutti insieme. Poi ho ceduto, avevo troppo dolore».

Altri eroi

La Polizia chiama, l’Arma dei Carabinieri risponde, o viceversa. Ma questa non è una gara. L’unica competizione è quella solita, tra le nostre due istituzioni. Questi sono solo uomini, persone normali dalle vite normali, gente semplice che quasi si sorprende di essere mostrata in pubblico per aver fatto quello che molti, si spera, avrebbero fatto. Come i militari della caserma di Borgo Panigale, duecento metri in linea d’aria dalla zona dell’esplosione, tutti i vetri infranti. «Abbiamo fatto quel che dovevamo e volevamo, abbiamo dato l’anima» dice sovrappensiero il maresciallo maggiore Arturo Guidoni, che lunedì mattina era appena rientrato dalle ferie, mentre guarda la batteria di telecamere davanti a lui, ed è una frase bellissima. Ha la testa e altre parte del corpo fasciati da garze, ha un racconto diverso solo nei dettagli dagli altri, ma con lo stesso significato. «Abbiamo sgomberato la strada. In ogni modo possibile. Meno male. Perché davvero, è stato tremendo. A un passante davanti a me si sono anneriti gli zigomi all’improvviso. Il calore era intollerabile, mi stava per scoppiare la testa, così mi sono salvato sfondando la vetrata di un bar».


Il maresciallo ordinario Fabio D’Alessio, romano del quartiere Laurentino, padre di un bimbo di otto mesi, ha anche le orecchie coperte da medicazioni, che non riescono a coprire del tutto le piaghe. Il suo pari grado Emanuele Manieri si è bruciato anche i gomiti e appare intimidito da questa esposizione mediatica. «Nessuno poteva immaginare la violenza dell’esplosione». Il comandante della compagnia Elio Norino, con ustioni di secondo grado al cuoio capelluto, racconta come abbia aperto la caserma per dare riparo a chi fuggiva, poi si schermisce alla richiesta di informazioni personali. «Siamo tutti insieme, le singole storie non contano».

Intanto all’ospedale di Cesena l’agente Muci ha ricevuto la telefonata del padre. «Bravo» gli ha detto. E si sono commossi entrambi. La sua convalescenza sarà lunga. «Ma basta con questa cosa che siamo stati coraggiosi. Abbiamo fatto il nostro dovere. E avere paura non è certo un male. Anzi, la paura ci permette di tornare a casa»

di Marco Imarisio

7 agosto 2018

FONTE: Corriere.it

mercoledì 25 maggio 2016

Regalano le ferie al collega che ha figli disabili. "Il più bel dono ricevuto"

Una bella storia di di solidarietà: succede a San Giorgio a Cremano, città metropolitana di Napoli. Quarantuno agenti della Polizia Municipale hanno deciso di rinunciare ad 82 giorni di ferie totali per donarli ad un collega in difficoltà

ROMA - Una bella storia di solidarietà. Succede a San Giorgio a Cremano, città metropolitana di Napoli. Quarantuno agenti della Polizia Municipale hanno infatti deciso di rinunciare ad 82 giorni di ferie totali per donarli ad un collega con figli disabili. Al sindaco di San Giorgio a Cremano, Giorgio Zinno, ha infatti ricevuto la richiesta, da parte degli stessi poliziotti, di cedere, a titolo gratuito, due giorni di congedo a favore di un collega per dargli la possibilità di assistere i due figli minori, affetti da grave disabilità. Una grande dimostrazione di soliderietà, nata dalla volontà da parte del corpo dei Vigili Urbani di offrire un aiuto concreto al collega che lavora a San Giorgio a Cremano da oltre 14 anni, un quarantenne, residente a Soccavo, che assiste i suoi due figli minori, affetti da un ritardo psicomotorio che non li rende autosufficienti.

I bimbi necessitano di terapie continue, oltre a cure costanti anche relativamente ai loro bisogni primari. "Il gesto di solidarietà dei miei colleghi - fa sapere l'agente - è il più bel regalo che abbia ricevuto. Gli agenti del Comando di Polizia di San Giorgio sono per me una vera comunità, quasi una famiglia, con la quale condivido le soddisfazioni lavorative ma anche i momenti complessi che vivo al di fuori del lavoro. Ringrazio anche il sindaco Giorgio Zinno, sempre sensibile a tematiche come queste e pronto a porgere una mano per alleviare situazioni di difficoltà".

La cessione di giorni di riposo e ferie a favore di altri colleghi è prevista dalla legge n. 183 del 10 Dicembre 2014 e in questa specifica circostanza, ha rappresentato un'opportunità per offrire un sostegno concreto a chi ne ha più bisogno.
"Ho accolto con favore - afferma il sindaco Giorgio Zinno - la richiesta dei 41 agenti di Polizia di cedere le proprie ferie a favore del collega che conosco come gran lavoratore, poliziotto attento e persona sempre disponibile. Mostrare solidarietà verso gli altri vuol dire partecipare ai problemi di chi fa parte della nostra comunità e, in senso più ampio, significa sentire un legame affettivo altruistico che ci unisce ai nostri simili. Essere solidali significa, quindi, sacrificare anche il proprio tempo per aiutare chi ne ha più bisogno. Sono orgoglioso del Corpo di Polizia Municipale che ha sacrificato il proprio bene personale con un gesto tanto semplice quanto indispensabile".


28 dicembre 2015

FONTE: Redattoresociale.it