L’incredibile forza di una donna rimasta vedova a 34 anni con due figli gravemente disabili, di cui uno poi deceduto, che riesce ad affidarsi a Dio: «chiedo al Signore di accettare, anzi, di amare la sua volontà»
Vedi alla voce “santi nascosti”. Lei riderebbe di questa definizione, ma è difficile trovarne una più azzeccata per descrivere il profilo umano e spirituale di Mariapia Ricotti: 75 anni, milanese trapiantata nell’hinterland di Legnano, è vedova da quando ne aveva 34, ha avuto due figli gravemente disabili (il maggiore dei quali è morto otto anni fa) e una forza interiore smisurata.
Facciamo un lungo passo indietro: siamo nel 1977 e il marito, Domenico, è un giovane e brillante consulente del lavoro con uno studio appena aperto tra mille sacrifici, a cui collabora anche Mariapia. Inseparabili da quando avevano 17 anni, custodiscono un dolore profondo: quello per i due figli affetti da una grave forma di tetraparesi spastica. Giorgio, nato nel 1966, nei primi anni cresce come tutti i bambini: c’è in effetti qualcosa di strano, ma parla, cammina, disegna, va in bicicletta. Poi il suo corpo inizia a “spegnersi”. Le conoscenze dell’epoca sulle malattie congenite sono scarse e nessun medico pensa di sconsigliare un secondo figlio; così, nel 1969, arriva Gianni.
Ben presto, Domenico e Mariapia intuiscono che il destino dei due figli sarà in tutto simile. Dall’età di 6-7 anni, di fatto, entrambi i fratelli vivono sdraiati o su una sedia a rotelle, e anche i movimenti delle mani e della bocca diventano via via più difficili, con frequenti crisi a carico dell’apparato respiratorio e della digestione. I genitori le provano tutte, chiedendo pareri a un’infinità di medici. Finché, come racconta Mariapia, è Giorgio stesso, un giorno, a costringerli ad aprire gli occhi: «Mamma, basta dottori…».
UN DOLORE TROPPO GRANDE
Poi, il 20 gennaio 1977, il cuore di Domenico si spezza: un infarto lo porta via in poche ore. La disperazione sarebbe dietro l’angolo, ma Mariapia sceglie una strada diversa. «Ero appena tornata dal funerale e c’era chi mi telefonava per chiedermi di rilevare lo studio. Dovetti decidere nel giro di poche ore. Io pensai che non poteva finire tutto così, dopo quello che entrambi avevamo fatto». Così Mariapia trova anche nel lavoro un’ancora di salvezza, ma non fa mai mancare amore e attenzione ai figli. «Ho capito che dovevo concentrare la loro attenzione su altre cose. Allora soprattutto il maggiore ha iniziato ad appassionarsi alla musica classica: aveva un’infinità di dischi, conosceva ogni autore e la sua storia. Quando li ascoltava andava in un altro mondo. Poi si è appassionato di poesia, narrativa, pittura... Per un certo periodo ha anche provato a dipingere grazie a un caschetto a cui avevamo applicato un pennello. E anche il fratello lo seguiva in queste cose».
Dove può trovare la forza una mamma in questa situazione? «La forza me l’hanno data anzitutto Giorgio e Gianni», spiega Mariapia. «Noi tre siamo cresciuti insieme, nella vita e nella fede. Mi hanno insegnato tutto: il valore della vita, la capacità di gioire per le piccole cose, l’importanza di dare il giusto peso ai problemi. Mi hanno insegnato soprattutto ad accettarsi e ad accettare. Questo ha prodotto in me una grande serenità. Vedo che spesso i figli o i nipoti delle mie amiche non sono mai contenti. Ai miei ragazzi è sempre bastato poco per esserlo: leggere un libro insieme, stare con loro, fare piccole cose».
Sbaglierebbe chi pensasse che questa serenità sia frutto di una mancanza di consapevolezza. «Giorgio, in particolare, ha sempre avuto ben chiara la sua situazione e non è che le cose fossero facili da accettare», spiega la madre. «Una volta confidò a una sua educatrice qual era l’unica cosa che davvero lo faceva soffrire: non potere avere figli. Insomma, capiva tutto».
LA CONDIVISIONE SALVA
«Non mi sono mai sentita sola», dice Mariapia, raccontando quanto preziosa sia stata anche la condivisione con altre persone nella sua situazione. Negli anni Settanta è stata infatti tra le prime animatrici dell’Associazione genitori della Fondazione Don Gnocchi (dove i figli hanno frequentato le scuole), diventandone presidente per 15 anni. Dopo il trasferimento fuori Milano, in una casa più adatta alle esigenze dei figli, Mariapia ha dato vita – insieme ad altre famiglie, al parroco e ai giovani volontari dell’oratorio – all’Associazione Pro disabili Arconate, che supporta una trentina di ragazzi e le loro famiglie nella gestione del tempo libero, nell’accompagnamento a scuola, nell’organizzazione di corsi di formazione, e che svolge anche un lavoro culturale sul territorio: «Ci sono famiglie che vivono queste problematiche in modo chiuso, timoroso. Ma isolarsi non è mai un bene».
E la fede, chiediamo, che ruolo ha avuto in tutto questo? «Per come la vedo io, avere fede significa vivere sapendo che Dio ci accompagna e ci ascolta. Il mio pensiero è sempre rivolto al Signore. Questa credo sia la mia fede: non è che Dio c’è solo se le cose vanno tutte bene. Io chiedo al Signore non solo di accettare la sua volontà, ma di amare la sua volontà. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per amore. E quando fai le cose per amore, la fatica si annulla. L’amore rende tutto più leggero».
Leggero e sorprendente, se è vero che oggi Mariapia e Gianni si trovano a vivere, di fatto, con un’altra famiglia: Sunali, una giovane dello Sri Lanka che nel 2009 − poco prima della morte di Giorgio − è stata assunta per aiutare Mariapia, è diventata così profondamente parte della famiglia da avere chiesto e ottenuto di continuare a vivere a casa Ricotti anche con il ragazzo che ha sposato pochi anni fa, e ora con Aneesh, nato nel 2017. «Così ora Gianni ha una “sorella”, Sunali, ed è diventato “zio”. Mentre io mi ritrovo a essere “nonna”. Chi l’avrebbe mai detto?».
LA PREGHIERA
Nel periodo in cui era presidente dell’Associazione genitori della Fondazione Don Gnocchi, Mariapia Ricotti ha composto una preghiera, da allora recitata da molti genitori di bambini e ragazzi disabili. La pubblichiamo qui sotto.
Signore, noi non sappiamo perché ci hai chiamato ad un compito così grande, ma sappiamo che con il tuo aiuto possiamo farcela. Per questo ti preghiamo e ti affidiamo il bene più grande, i nostri figli.
Donaci la capacità di dimostrare loro quanto sia grande il nostro amore.
Rendici capaci di cogliere tutti i loro bisogni, i loro desideri, il significato delle parole mai pronunciate, di tramutare i pianti in tenerezza e di gioire per i loro sorrisi così spontanei e sinceri.
Donaci forza, umiltà e pazienza nelle piccole e grandi cose di ogni giorno per essere loro sostegno morale e materiale.
Rendici capaci di cogliere come un tuo dono tutti i gesti di solidarietà che incontreremo nel nostro cammino e di fare nostra la tua volontà, anche quando il cuore e la ragione proveranno a ribellarsi. Amen.
di Stefano Femminis
8 febbraio 2018
FONTE: Credere
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