lunedì 29 settembre 2014

“Casa Martin”, la casa dell'Amore


Lui si chiama Eugenio Marrone, lei si chiama Paola Stocco, sono sposati da più di 30 anni, sono profondamente Cristiani e dal 1988 fanno parte del Cammino Neocatecumenale della Parrocchia S. Teresa del Bambino Gesù a Verona. Nella loro casa, “casa Martin” (che prende il nome dal cognome dei genitori di Santa Teresina del Bambin Gesù, di cui i coniugi Marrone sono devotissimi) un amena villetta circondata da fontanili e giardino a Castel d'Azzano, in provincia di Verona, l'Amore coniugale e familiare viene vissuto nel senso più autentico, genuino e Cristiano del termine.
La loro è una famiglia “speciale”, con ben 11 figli, 6 naturali e 5 adottivi, più altri 7 volati in Cielo prima ancora di venire alla luce Che ci attendono e ci preparano la Festa” dice Eugenio. Ma la loro, è bene sottolinearlo, non è una casa famiglia, né una struttura per l’affido.... è solamente un luogo in cui Eugenio e Paola hanno deciso di vivere in pienezza l'Amore matrimoniale e familiare e mettere a disposizione il loro affetto per i bambini che non ne hanno ricevuto.

La nostra è una famiglia Cristiana che grazie all'Amore di Dio, incontrato nei fatti dolorosi della vita, è potuta crescere prima nell'amore coniugale e poi come nucleo familiare - dice Paola -. Avevamo sei figli, tutti voluti, desiderati, cercati... ciò che ci interrogava e ci turbava, non era il pensiero di queste stupende creature, ma il fatto che oltre a questi sei doni, ce n'erano altri sette volati in Cielo senza vedere la luce
. Nella mia mente – prosegue Paola - si faceva sempre più certa l'idea che Dio, con questi fatti dolorosi, ci voleva mandare un messaggio.

La conferma è arrivata nel dicembre del 2000, quando le spoglie di Santa Teresina di Lisieux hanno visitato la Basilica a Tombetta (Verona).
In una notte intera di veglia, fruttuosa per tutta la nostra famiglia, durante la preghiera e l'intensa meditazione ho sentito che era veramente quanto dovevamo fare: aprirci all'adozione. Ne ho parlato con mio marito alla fine della veglia e, dopo aver ottenuto il consenso entusiasta e unanime dei nostri figli, abbiamo cominciato a pensare come realizzare questa "rivelazione". Ho pregato tanto S. Teresina e S. Rita, la "Santa dell'impossibile", perché sapendo che anche lei aveva provato il dolore della perdita dei suoi figli poteva ridonare al mio cuore la vera Pace, ha confessato Paola.
Così la famiglia Marrone, con Fede ed entusiasmo, si sono resi disponiobili per adottare altri figli:
Ci chiesero subito se non ne avevamo abbastanza di figli. Non volevamo togliere l’opportunità di adottare a chi non poteva averne, così rispondemmo di affidarci quelli che nessuno voleva.

Dopo i loro sei figli naturali (di cui uno sacerdote in Canada e una sposata a Bolzano), sono arrivati questi cinque bimbi, tutti con difficoltà cognitive e fisiche. Per ultimo, è arrivato un bimbo in affido, che non cammina.
Questa scelta è stata concordata con i nostri figli e abbiamo posto determinate condizioni
. A cominciare dalle regole. A Casa Martin tutto è ben organizzato: dalla stireria, dove c’è uno scaffale con il nome di ciascuno su cui posare gli abiti puliti e pronti, alla sala studio costellata di scrivanie. In due ampie stanze, con letti a castello o matrimoniali, dormono i ragazzi. Attorno alla villetta, molto funzionale (acquistata da un architetto con un mutuo trentennale), c’è un ampio giardino, dove gironzolano i loro cani. Si può anche percorrere un sentiero che corre lungo due risorgive, recuperate dai Marrone, dove vivono cigni, anatre, tacchini e animali da cortile.
Paola si alza alle 5.30 e tra terapie, visite, analisi, udienze, professori e catechismo, se ne va a dormire ben dopo la mezzanotte. La sveglia, poi, suona altre due volte: alle 6 meno dieci i ragazzi si alzano per andare a scuola a Verona. Alle 6.45 tocca ai più piccoli.
Tutto procede linearmente, come in una famiglia – dice Paola - Poi preghiamo insieme: se ce la facciamo è perché Qualcuno ci sostiene. Certo la nostra vita non è una passeggiata, ma a noi piace la montagna e sappiamo che dopo una dura e lunga salita, ci aspetta il panorama più bello del mondo. Ma la cosa più sbalorditiva è che, pur arrivando ogni notte a letto sfiniti, mai ci manca la forza per dire al Signore il nostro GRAZIE per l'Amore che ha messo nei nostri cuori e che ci accompagna sempre.

Ma la vita in casa Martin non si ferma qui: ora vuole diventare qualcosa di più, un vero e proprio progetto che si chiamerà "Dal bozzolo alla farfalla".
Un progetto per dare vita alla vita, per crescere i bambini in difficoltà e accompagnarli finché potranno spiccare il volo spiegano i coniugi Marrone.
La volontà infatti è quella di allargarsi ancora, sfruttando il Piano casa e recuperando nuovi spazi per accogliere altri bambini:
La casa è grande, ma se dovesse arrivare un "nuovo" figlio non abbiamo più stanze. E noi vorremo ancora accogliere bambini con disabilità o ragazzi più grandi che sono in istituto e vogliono una famiglia. Siamo anche in contatto con i tribunali di Firenze e Palermo e con i servizi sociali dell’Ulss che ci chiamano per affidarci ragazzi. Ma il progetto di ampliamento si farà solo se la Provvidenza arriverà.
Eugenio è consulente del lavoro, ma Casa Martin non si mantiene certo con il suo studio professionale:
A malapena ci serve per pagare il mutuo. Ci sono, soprattutto, tante persone che ci aiutano, dandoci alimenti o vestiario. E poi, quando serve, il denaro arriva. E questo è un segno che Qualcuno ci sostiene.

La missione della famiglia Marrone è del tutto gratuita e va ancora oltre. Perché Casa Martin vuole essere anche un esempio e un supporto a famiglie con bambini disabili che possano qui trovare un punto di riferimento: Non diamo nessun supporto terapeutico – spiega Eugenio – solo la nostra esperienza di vita.
Ma perchè tutto questo si compia, alla grande famiglia Marrone serve anche un aiuto, non tanto economico, quanto piuttosto "fisico": si cercano cioè persone di buona volontà che vogliano darsi da fare e abbracciare questa scelta di vita.
Il nostro progetto non è fine a se stesso, ma è utile anche alle famiglie e alla realtà che ci circonda. Non cerchiamo soldi, ma persone che si innamorino di questa casa e che possano rendersi utili se hanno tempo libero e non sanno come impiegarlo: qui si possono fare mille cose, dall’aiuto nelle faccende domestiche all’accudire i bambini. Vorremmo che questa realtà, che è una rete di amore, fosse conosciuta il più possibile perché chi ha bisogno o chi vuole darsi all’altro sappia dove venire.

Per conoscere meglio Casa Martin esiste il sito internet www.buongiornonelsignore.it. Per sostenere la famiglia anche economicamente si può versare un contributo all’Iban IT 30 K 03500 11700 000 000 015345. Causale: Donazione offerta libera per le spese di accoglienza di disabili della famiglia Marrone.

Non vi è alcun dubbio che la Fede profonda in Dio e nella "loro" Santa amatissima, Santa Teresina del Bambin Gesù, sia la vera "Forza Motrice" di questa straordinaria famiglia, e che il loro splendido esempio richiamerà tanta gente per aiutarli nella realizzazione di questo progetto d'Amore. Perchè dove ci sono Fede e Amore veri tutto può succedere.
Quando ci si rivolge a Dio con Fede e fiducia, le risposte non si fanno attendere - dice Eugenio - e sono cose molto concrete, fatti che si possono toccare con mano, come un postino che ti suona, come una lettera che ti arriva. Dio Provvede”.

E di Grazia la famiglia Marrone ne ha ricevbuta tanta in questi anni, compreso il desiderio di Eugenio, concretizzato nel maggio del 2012, di diventare diacono, un vecchio sogno che è diventato realtà.

Grazie Eugenio, grazie Paola, grazie alla vostra splendida famiglia per tutto quello che fate e per l'esempio di vita che ci date. Che il buon Dio vi benedica e vi protegga !!!

Marco

mercoledì 24 settembre 2014

Il Cerchio della Gioia


Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente. Quando il frate portinaio aprì la porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d'uva.
"Frate Portinaio", disse il contadino, "sai a chi voglio regalare questo grappolo d'uva che è il più bello della mia vigna?".
"Forse all'abate o a qualche padre del convento".
"No, a te!".
"A me?". Il frate portinaio arrossì tutto per la gioia. "Lo vuoi dare proprio a me?".
"Certo, perchè mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo. Voglio che questo grappolo d'uva ti dia un po' di gioia". La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del frate portinaio illuminava anche lui.
Il frate portinaio mise il grappolo d'uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattina. Era veramente un grappolo stupendo. Ad un certo punto gli venne un'idea: "Perchè non porto questo grappolo all'abate per dare un po' di gioia anche a lui?".
Prese il grappolo e lo portò all'abate.
L'abate ne fu sinceramente felice. Ma si ricordò che c'era nel convento un vecchio frate ammalato e pensò: "Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco". Così il grappolo d'uva emigrò di nuovo. Ma non rimase a lungo nella cella del frate ammalato. Costui pensò, infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del frate cuoco, che passava le giornate a sudare sui fornelli, e glielo mandò. Ma il frate cuoco lo diede al frate sacrestano (per dare un po' di gioia anche a lui), questi lo portò al frate più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro. Finchè, di frate in frate, il grappolo d'uva tornò al frate portinaio (per portargli un po' di gioia).
Così fu chiuso il cerchio. Un cerchio di gioia.

Non aspettare che inizi qualche altro. Tocca a te, oggi, cominciare un cerchio di gioia. Spesso basta una scintilla piccola piccola per far esplodere una carica enorme. Basta una scintilla di bontà e il mondo comincerà a cambiare. L'amore è l'unico tesoro che si moltiplica per divisione: è l'unico dono che aumenta quanto più ne sottrai. E' l'unica impresa nella quale più si spende, più si guadagna; regalalo, buttalo via, spargilo ai quattro venti, vuotati le tasche, scuoti il cesto, capovolgi il bicchiere e domani ne avrai più di prima.

Autore: Bruno Ferrero - Libro: Quaranta Storie nel Deserto



Da questo momento ho intenzione di intervallare le varie storie che pubblicherò sulle pagine di questo blog, ogni tanto, con alcuni bei racconti come questo.
Questo racconto, nella fattispecie, lo trovai per caso sul retro di un foglio che mi venne dato..... mi piacque molto, ed ora eccolo qui. Naturalmente si può trovare anche in altri siti o blog sul web.
Penso che nella sua semplicità questo racconto insegni una lezione molto importante: cioè come condividere qualcosa a cui teniamo, con altre persone, non ci sottragga nulla, ma anzi, ci tornerà indietro moltiplicato in Bene e in Gioia. E questo Bene e questa Gioia non saranno solo per noi, ma per tutte quelle persone che avremo beneficato. Un grande insegnamento e una grande verità!

Marco

mercoledì 17 settembre 2014

«Ho ricevuto più di quanto ho dato». La storia di Nadia, l’infermiera che adottò Mario, il bimbo malato abbandonato dai genitori

Nato con un grave handicap nel 2011, il piccolo è morto il 26 gennaio scorso. «Mi dicevano che poi avrei sofferto. “Lo so, ma preferisco soffrire per sempre per averlo amato, piuttosto che non averlo mai accudito»

«Preferisco soffrire per sempre per averlo amato, anche per poco, piuttosto che non averlo accudito». Sono le parole di Nadia Ferrari, 46 anni, infermiera del reparto di patologia neonatale dell’ospedale di Grosseto, che adottò Mario, nato il 16 giugno del 2011 con un grave handicap e morto il 26 gennaio di quest'anno. Il piccolo, abbandonato alla nascita dai genitori, fu trasferito dal Mayer di Firenze, dove era già stato operato diverse volte, all’ospedale di Grosseto.

UN DONO UNICO. Mario arrivò in condizioni terribili, ma per l’infermiera fu da subito un grande dono. «Ricordo che, quando lo vidi la prima volta, era piccolissimo, coperto da tubicini e drenaggi. Aveva assunto posizioni obbligate dall’ospedalizzazione. Fu un colpo di fulmine, mi catalizzava. Erano già arrivati prima di lui altri bambini malati e abbandonati, ma con lui fu diverso. Mario è unico».
Il bimbo passò il primo anno della sua vita fra le cure del personale dell’ospedale e di un gruppo di volontari, facendo avanti e indietro dall’ospedale di Firenze, dove fu rioperato. «Piano, piano, con la fisioterapia, riuscimmo a sbloccarlo e a fargli assumere posture più naturali. Arrivammo anche a dargli da magiare con il biberon, mentre prima si nutriva con la peg. Cominciai a lavorare su di lui da subito. Quando non ero di turno mi fermavo in ospedale e, quando andavo a casa, pensavo a lui, quindi tornavo per dargli da mangiare, fare la ginnastica o giocare».

PROGRESSI IMMEDIATI. Nadia avrebbe voluto adottarlo «ma non credevo si potesse. Fortunatamente un giorno confessai ad alta voce: “Magari lo potessi portare a casa con me!”. Al mio fianco c’era un assistente sociale: “Allora perché non lo fai?”, mi rispose. Non potevo crederci e cominciai subito le pratiche per la richiesta di affido». Era l’agosto del 2012, a marzo dell’anno successivo Mario fu affidato all’infermiera.
«In ospedale lo accudivamo tutti, ma non si poteva dargli il massimo, perché il tempo a disposizione del personale non bastava. Dovevamo curare anche gli altri bimbi». Nadia si mise in aspettativa: «A casa c’eravamo io e mi figlia, così potevo stimolarlo in continuazione. Lo portammo al mare e in montagna, in piscina. I progressi furono immediati: cominciò a mangiare da solo, imparò a tenere su la testa e a muoversi meglio». Dopo un anno e mezzo di calvario il piccolo cominciò ad avere una vita quasi normale, in cui c’era spazio per ridere, fare versi e giocare. «A giugno feci una grande festa per il suo secondo compleanno».

«CIO’ CHE HO RICEVUTO». Molti fra amici e colleghi sono rimasti colpiti dalla generosità di Nadia: «Mi dicevano che stavo facendo tantissimo, ma non capivano che era infinitamente più grande quello che mi dava lui. E non lo dico per dire: Mario mi ha dato gioia, pace, amore. È stato il regalo più bello della mia vita. Sentirlo piangere di rado e senza mai fare capricci, vederlo sereno, sorridente e dignitoso, nonostante la sua sofferenza, era ricevere continuamente speranza». Ma c’era anche chi diceva a Nadia che il suo ero uno slancio sospetto: «Alcuni parlavano di un vuoto che, secondo loro, cercavo di riempire. A dire il vero, ero contenta della mia vita prima di conoscere Mario, lui è semplicemente capitato. E il vuoto, semmai, lo sento ora. Mi manca tantissimo». Nadia si ferma, poi, con la voce strozzata, racconta di altre persone che le dicevano che non valeva la pena sacrificarsi per un bimbo che sarebbe morto: «Dicevano che poi avrei sofferto: “Lo so, soffrirò, ma gli voglio bene”, rispondevo. E poi preferisco soffrire per sempre per aver amato Mario anche per poco, piuttosto che non averlo mai accudito».

DOPO IL CALVARIO. Nadia spiega che avrebbe accolto il piccolo «anche se fosse diventato grande. Sinceramente ci speravo. Avevo già messo in vendita la casa perché non c’era l’ascensore. Avrei dovuto anche cambiare l’automobile. Ma purtroppo non è successo: volevo solo fargli assaggiare un po’ più di vita. Dopo il calvario in ospedale, qui era felice».
Ora a Nadia restano i ricordi e i dialoghi con Mario: «Gli parlo in continuazione anche se è dura non poterlo più accarezzare. Se c’è un paradiso, spero che stia correndo e giocando e di arrivarci». Nadia si ferma ancora, ma questa volta ride: «Così poi lì ci potremo organizzare meglio, che di tempo ce n’è un’eternità…». 

di Benedetta Frigerio

22 aprile 2014

FONTE: http://www.tempi.it/ho-ricevuto-piu-di-quanto-ho-dato-storia-di-nadia-l-infermiera-che-adotto-mario-il-bimbo-malato-abbandonato-dai-genitori#.VBnzMFeeKt_


Esiste al mondo un Amore più grande di quello di una madre? Solo l'Amore di Dio è più grande di questo! Ma dopo l'Amore di Dio penso proprio che non ci sia nulla di più grande e straordinario!
In questa storia meravigliosa, Nadia non è neppure la madre naturale del piccolo Mario, ma è come se la fosse sempre stata, perchè tra i due è stato Amore a prima vista, è scoccata subito quella scintilla che è divenuta immediatamente un vero e proprio incendio d'Amore. E ora il piccolo Mario non c'è più, "Nato al Cielo" poco meno di 5 mesi fa, ma l'Amore di Nadia per lui, c'è da scommetterci, non svanirà mai!
Grazie Nadia, per tutto..... e lasciatemelo dire, grazie a tutte le madri del mondo! Il vostro Amore è pura linfa vitale, che irrora ogni cosa e rende il mondo in cui siamo immensamente migliore. Grazie.

Marco

sabato 6 settembre 2014

Riccardo: “Ho trovato la mia oasi”

Lo chiamavano mastino napoletano, per alcune inchieste che aveva fatto. Era tosto e non mollava facilmente la preda. All’epoca viveva sempre con l’affanno alla ricerca di scoop, al servizio di chi poteva offrirgli una vita sfavillante, soldi e, soprattutto, potere. Una carriera in ascesa. Sì, ma in cambio di cosa? “Scrivevo – racconta – menzogne, solo quello che piaceva a loro, ai potenti”.

Riccardo Rossi, 44 anni, napoletano, era un giornalista affermato. A lungo ha gestito gli uffici stampa di politici, istituzioni, associazioni molto note.

Ho seguito – spiega – i Verdi, il presidente della commissione agricoltura alla Camera dei deputati, un Ministero, ho fatto basi giornalistiche per servizi alla vita in Diretta alla Rai. Insomma, ero un giornalista in carriera e non avevo nemmeno 30 anni. Ad un certo punto tutto mi è diventato stretto, soffocante. Un giorno ero davanti alla televisione e sentii le parole di Giovanni Paolo II, che esortava noi giornalisti a non essere complici della cattiva informazione. Io di quel meccanismo facevo parte. Ero responsabile. Tante volte andavo alla ricerca di notizie vuote, inutili, ma ad effetto. Altre volte, al contrario, non davo notizie. E solo per compiacere qualcuno. Era raro che raccontassi storie autentiche”.

Nel 1999 iniziò quello che Riccardo chiama percorso di conversione.Ero ateo, diventai cristiano. Tante cose in me cominciarono a cambiare. La svolta avvenne quando andai in missione all’estero in Kosovo, in Romania e in pellegrinaggio in Terra Santa. Fu nel viaggio in Romania che conobbi Giuseppe, un ragazzo missionario, che aveva una casa famiglia in Sicilia e che proprio in quei giorni salvò la vita ad un bimbo di strada romeno. Quel gesto mi scosse - ne fui testimone – e tornai in Italia. Decisi che avrei dato una svolta alla mia via e alla mia professione. Cominciarono i problemi. Fui messo da parte senza tanti complimenti e denigrato. Nel contempo ebbi anche un grande dolore familiare. Mio fratello, che aveva problemi di droga, scappò da una comunità terapeutica, senza lasciare traccia. Seguirono momenti di grande dolore. Io, che lo avevo sostenuto, mettendo anche da parte la mia carriera, non sapevo che fine avesse fatto. E’ stato il momento più buio della mia vita. Cacciato dai posti in cui avevo lavorato e senza sapere niente di mio fratello. Caddi in una profonda depressione. Mollai il mondo tante volte vuoto e ipocrita della stampa. Avevo perso quasi tutto. Un giorno mi accorsi, però, che una luce, seppure flebile di speranza, era ancora accesa dentro di me”.

Dopo un periodo travagliato, Riccardo decise di trasferirsi in Sicilia, nella casa famiglia “Oasi della Divina Provvidenza” del ragazzo missionario catanese, conosciuto in Romania. “Piano piano mi ripresi – racconta commosso – Dopo poco arrivò una ragazza che si drogava. Me ne presi cura ed era come se fossi accanto a mio fratello”.

E oggi? “Ora sono le braccia e le gambe di alcuni disabili – dice – sono io che li vesto, li lavo. Ho tante altre incombenze. Siamo più di quaranta nella casa famiglia e stiamo aumentando. Faccio le file negli uffici pubblici, mi occupo dell’accoglienza, di servire a tavola, di aiutare chi non ce la fa nei lavori pesanti. Per sei anni non ho scritto. Il giornalista era morto. Poi, un’ intuizione del mio amico missionario”.
Riccardo ha ripreso a scrivere, ma cose diverse, storie di speranza e coraggio e si è impegnato a far nascere percorsi solidali. Ora ha due giornali di buone notizie, uno a Palermo “La Speranza” - solo cartaceo – il notiziario della Missione Speranza e Carità, che è arrivato ad oltre 15 mila copie e “La Gioia”, che è anche nel web

Successivamente sono stato notato dal direttore di Golem Informazione - aggiunge – su cui ho una rubrica di buone notizie, scrivo recensioni e articoli. La cosa meravigliosa è che questa idea cresce ogni giorno. Tante persone danno il loro contributo di gioia, di belle notizie e nascono reti di solidarietà. Ogni giorno trovo nuova forza e rinasco. Ogni buona notizia, che trovo e divulgo, è rigenerante. I tempi bui sono ormai lontani. Ho trovato la mia strada. Le mie disavventure passate e le mie fragilità ora sono la mia forza. Quando intervisto e vengo a contatto con storie difficili ho la grande capacità di capire il dolore che mi viene raccontato e nel contempo di gioire per ogni piccola vittoria. Ho capito l’importanza delle piccole cose, di come sia più importante donare una mano ad un persona in difficoltà che fare un’interrogazione parlamentare o rilasciare mille interviste. Ora posso dirlo: la solidarietà, la bellezza della vita mi hanno indicato la via. Posso consigliare a chiunque abbia un momento no nella vita di non abbattersi e se occorre, di farsi aiutare. Lanciatevi nel servizio, cercate i veri valori e magari tornerete a fare quello che facevate prima, ma con prospettive totalmente diverse. Io ora mi occupo della vita vera, scrivo di chi lascia la droga e rinasce, di chi è nato disabile e ama la vita.

Ogni giorno aiuto disabili, cambiando loro il pannolino. So che le cose che faccio ora valgono molto di più di mille atti parlamentari. Scrivo di chi ha valori grandi e aiuto chi veramente ha bisogno e non ha nessuno nella vita. Sento di far parte di un progetto d’amore e che i miei sforzi vanno in una direzione importante. Come diceva San Paolo: "Sono forte nelle mie fragilità, la mia forza è questa". Non è stato un percorso semplice, ho sofferto molto, e ancora oggi capitano momenti difficili. Ma ho Aster (in foto), che soffre terribilmente, ma ha sempre una parola buona per tutti. E il sorriso di Nino (in foto), che imbocco e aiuto a vestirsi.

Anche i miei, che agli inizi non riuscivano a capire la mia scelta, ora sono dalla mia parte. E questo mi rende ancora più forte
”.

di Cinzia Ficco

3 maggio 2013

FONTE: http://www.magazine.tipitosti.it/articolo/la-storia-di-riccardo-rissi-giornalista/Giornalisti


Che storia meravigliosa questa di Riccardo Rossi, come meravigliosa è questa intervista che riporto integralmente sulle pagine di questo blog. Dicevo.... una storia meravigliosa, fatta di cambiamento, di conversione, di rinascita, fino a cambiare totalmente modo e stile di vita.
Riccardo con la sua storia ci insegna che anche in fondo al tunnel più buio c'è sempre una fiammella di speranza, ci insegna che non è mai troppo tardi per cambiare strada, per stravolgere anche completamente il proprio modo di pensare e di essere, ci insegna ancora che la vera Gioia è nel donarsi completamente agli altri e a Dio.  Certo, tutto questo non è facile, non accade dall'oggi al domani, bisogna superare ostacoli e difficoltà.... ma è possibile e la storia di Riccardo lo dimostra.
Riccardo è anche un valente giornalista, di buone notizie adesso, e credo che non mancherò di riportare qualche suo bell'articolo sulle pagine di questo blog..... per adesso però mi sento solamente di dire: Grazie Riccardo e auguri per tutto, per una vita sempre più gioiosa e ricolma di splendidi frutti !

Marco
 

martedì 2 settembre 2014

Lillian Weber, la nonnina americana dei bambini poveri dell'Africa


L'Amore si può manifestare in tanti modi, in tante forme, con 1000 varietà e sfumature diverse.... esso ha una moltitudine di possibilità. Spesso per Amare, quindi donare di sé, non occorre fare chissà che cosa, gesti eclatanti, altisonanti o cose del genere..... ma basta dare la propria goccia, piccola o grande che sia, in base alle proprie possibilità. E di goccia in goccia, come diceva la Beata Madre Teresa di Calcutta, si finisce per creare un oceano intero.

Questo è il caso di Lillian Weber, una signora statunitense nata quasi 100 anni fa (99 anni per la precisione), folta chioma bianca come la neve su di un corpo segnato dai tanti anni e dalle esperienze della vita, ma ancora in gamba e sopratutto con tanta buona volontà di fare del Bene verso coloro che hanno maggiormente bisogno, i bambini poveri dell'Africa. Tutto ha avuto inizio nel 2011, quando l'anziana signora vede un documentario che parla della povertà dei bambini nel mondo e decide di fare qualcosa di buono per loro..... perchè per fare del Bene non è mai troppo tardi.

La nonnina americana inizia a cucire abiti per questi bambini bisognosi, al ritmo di uno al giorno, e poi li dona ad un associazione cristiana no-profit che si occupa proprio di distribuire abiti ai bambini poveri dell'Africa, la Little Dresses For Africa Charity. Fino ad ora Lillian ha cucito 840 vestiti, con l'obiettivo di arrivare a 1000 prima del prossimo compleanno e poi di andare avanti ancora, se le forze e la salute lo permetteranno. “Quando arriverò a 1000 andrò ancora avanti se sarò in grado. Non c'è motivo di starsene con le mani in mano” ha detto la gagliarda signora all'emittente televisiva locale WQAD.
Non solo tanti abiti cuciti, ma anche uno diverso dall'altro, il che testimonia che la sua lucidità e creatività sono ancora vivissime.
Sono tutti personalizzati – ha raccontato sua figlia Linda alla tv locale – per lei non è sufficiente creare gli abiti, a ciascuno deve dare un tocco personale, qualcosa di speciale.

Chissà se questi bambini e bambine africani sanno che i loro vestitini sono stati preparati da un anziana signora dall'altra parte dell'oceano che pensa costantemente a loro e che potrebbe essere la loro bisnonna? Ma del resto l'Amore è proprio questo..... qualcosa che va oltre i limiti dello spazio e del tempo..... qualcosa che unisce tutti come in un unico grande abbraccio.

Marco

Agosto 2014