mercoledì 28 dicembre 2016

E’ la più buona d’Italia perché ha amato oltre ogni limite


Nadia Ferrari ha ricevuto il premio della bontà 2016 per aver accudito un bambino con una grave malformazione abbandonato dai genitori

Grosseto, giugno 2016 – 
«Mi dicono che sono la persona più buona d’Italia, ma non dovevo essere io la premiata: il Premio della bontà è stato dato a me ma il vero esempio di bontà è stato il mio bambino che non c’è più, il mio angioletto, il mio Mario. Lui sì che lo meritava, ha dato amore a tutti quelli che ha incontrato nella sua breve e tormentata vita».

Nadia Ferrari, quarantanove anni, infermiera dell’ospedale della Misericordia di Grosseto, ha ricevuto il Premio nazionale della bontà Sant’Antonio di Padova 2016. Il riconoscimento, giunto alla quarantaduesima edizione, è consegnato a persone che si sono distinte per opere di generosità e altruismo. Nella motivazione del premio assegnato a Nadia Ferrari c’è scritto: “L’infermiera dell’amore materno”. Nadia infatti, quattro anni fa, si è presa cura di un bambino di origini orientali nato con gravi malformazioni fisiche e psichiche e abbandonato dai genitori. Mario è riuscito a vivere soltanto due anni e mezzo, ma nella sua breve vita non è stato solo: ha conosciuto l’amore che soltanto una mamma può dare. Questa mamma per lui è stata Nadia Ferrari.


«Anche se non sono stata la mamma che lo ha messo al mondo, sono stata la sua mamma infermiera
», dice con gli occhi umidi Nadia. «Mario mi ha ripagato con tanto, tanto amore». Nadia Ferrari non ha più lacrime. «Le ho versate tutte quando mi ha lasciato», dice. E poi si lascia cullare dai ricordi. «E’ tutto qui nella mia mente. Come se fosse accaduto ieri: il giorno in cui Mario e io ci siamo incontrati», dice: «Mario era stato ricoverato nel mio reparto, era un neonato di origini orientali nato a Siena. Dopo essere stato rifiutato dai genitori perché, per un parto difficile e prematuro, aveva avuto un’emorragia, era stato operato ed era diventato idrocefalo, un danno irreversibile che lo condannava a una vita breve e dolorosa. Me ne sono innamorata subito, al primo sguardo. Quando l’ho visto la prima volta coperto da tubicini era così indifeso con quel suo corpo così ferito dal destino. Ed è stato il destino a portarlo da me. Da Siena, Mario era arrivato a Grosseto proprio all’ospedale dove lavoravo. E io subito gli ho parlato, l’ho coccolato. L’ho sentito subito mio figlio, non so come dirle, non so come spiegarle».

Nadia già allora, divorziata e con una figlia di diciannove anni, non aveva una vita semplice. «Sì, vivevo in tante difficoltà», dice. «Ma quando Mario è entrato nella mia vita stavo più in ospedale che a casa. Se ero di riposo, tornavo in ospedale per coccolarlo, per farlo giocare. Un giorno, davanti a un assistente sociale, ho detto: “Che cosa darei per portarlo a casa con me. Conosce solo l’ospedale, vorrei fargli vedere il mare, una casa, una famiglia vera”. L’assistente mi ha detto che potevo chiedere l’affidamento e l’ho fatto subito, sicura che mia figlia avrebbe approvato, e infatti il premio lo devo dividere con lei che per questo fratellino è stata la più tenera delle sorelle».

«Come faceva a curarlo quando lavorava?».
«Ho preso un periodo di aspettativa dall’ospedale e mi sono dedicato completamente a lui, con l’aiuto di mia figlia. Abbiamo vissuto momenti bellissimi, ci ha dato tanto, mi vengono i brividi a ricordare la felicità di Mario quando ha visto il mare, il primo bagnetto, i giochi con la sabbia, era felice. Anche la salute migliorava, la fisioterapia lo ha aiutato tanto anche nei movimenti, e come era intelligente. Aveva imparato a mandare i bacini, quanto mi mancano…».
Nadia sorride mentre altre due lacrime le solcano il viso, non smette di piangerlo.
«Mi ero illusa davvero che la malattia potesse essere, se non vinta, almeno amministrata, avevo tanti progetti, avevo messo in vendita questa casa per comprarne una con l’ascensore, perché sognavo che Mario potesse andare a scuola e volevo che fosse indipendente, invece non c’è stato scampo. Improvvisamente un giorno si è aggravato e di nuovo è stato operato, ma non si è più ripreso e dopo qualche mese ci ha lasciato, e ci manca fisicamente ogni giorno di più. Ma Mario è sempre con me, sento le sue paroline dolci e gli parlo tutto il giorno
».

«Consiglierebbe la sua esperienza ad altri? E lei lo rifarebbe nonostante la sofferenza per la perdita del suo bambino?».
«Lo consiglio a tutti: ho ricevuto più di quanto ho dato. Anche se Mario non c’è più il suo calore e il suo amore non mi lasciano, mi scaldano sempre il cuore, grazie a lui non sarò mai più sola. Sì, lo rifarei subito, è stata la cosa migliore che ho fatto in vita mia. Il Premio della bontà è suo, di Mario, io non ho alcun merito, sono stata solo la mamma più fortunata del mondo».

di Sveva Orlandini

FONTE: Di Più N. 24
20 giugno 2016


Bellissimo articolo che dimostra, semmai ce ne fosse ancora bisogno, quanto grande è l'Amore delle madri per i propri figli. In questo caso, poi, non stiamo neppure parlando di una madre naturale, anche se Nadia, nei confronti del piccolo Mario, si è sempre sentita come se fosse la sua vera madre.
Grazie Nadia e grazie a tutte le persone che, come te, si prendono cura con tutto questo Amore dei propri figli, o di figli altrui non voluti. Il vostro Amore è grande e motivo certamente di tanto, tanto Bene per loro e per tutti! Grazie di vero cuore!

Marco

mercoledì 21 dicembre 2016

Il Primo Regalo

Era l’ultimo incontro di Catechismo prima delle vacanze di Natale. I bambini di terza elementare, sotto la guida della catechista Monica, avevano ricevuto l’incarico di portare delle statuine per il presepe dell’Oratorio.

L’ultimo ad arrivare fu Federico, un ragazzino dall’aspetto serio, che raggiunse subito i suoi compagni al bar.


«Ehi, sapete che giorno è oggi?».


Rosa, sistemandosi gli occhiali, rispose: «Oggi... dovevamo portare le statuine del presepio!».

«E ciascuno di noi doveva portare un personaggio diverso!», le fece eco il suo gemello Giovanni.


«Tu cos’hai portato?», chiese Alberto alla sua amica Laura.

«Io ho la Madonna... Guardate com’è bella!».

«Mentre io ho San Giuseppe, tutto intento a guardare...». Agnese s’interruppe. «Ehi, chi ha portato il bambino Gesù?».

I bambini chiamarono gli altri compagni di classe, poi misero sul tavolo le loro statuine. C’erano i re Magi, il pastore con la pecorella, un vero e proprio gregge di pecore, il bue e l’asinello, un pastore dormiente, un mendicante... Mancava proprio Lui, il bambino Gesù!

Mentre si lamentavano, Monica entrò nel bar per chiamarli.

«Bambini, andiamo a fare il Presepio... Ehi, che succede?».

«ABBIAMO DIMENTICATO GESÙ!!!», gridarono insieme.

Monica si avvicinò al gruppo e chiese:

«Avanti, ditemi cos’è successo!».

«Oggi dovevamo portare le statuine del presepio, vero?», piagnucolò Teresina.

«Le vedo», rispose la catechista. «Ma... mi sembra che manchi qualcuno...», soggiunse.

«Appunto», ribatté Davide. «Abbiamo dimenticato la più importante: quella di Gesù!».

Monica sospirò, poi si sedette fra i bambini e disse:

«Non disperatevi. Spesso accade a molti di noi di dimenticarsi di Gesù, non inteso come statuina, ma come Figlio di Dio nato per tutti noi. A proposito, vi siete mai chiesti perché Dio abbia deciso di farlo nascere sulla Terra come un bambino?».

I piccoli rimasero in silenzio. Monica allora proseguì:

«E sapete perché a Natale ci facciamo i regali?».

«Perché ci vogliamo bene!», esclamò finalmente Serena.

«Esatto! Dio ci ha voluto e ci vuole tanto bene da averci regalato il Suo Amore, nella persona di Gesù», concluse la ragazza.

«Ma allora è il Primo Regalo di Natale della Storia!», dissero tutti in coro.

«Avete detto bene. È per questo che noi festeggiamo il Natale: non dimenticatelo mai!».

In quel mentre, nel bar entrò un uomo. Aveva un cappotto consunto, con toppe qua e là; il suo volto era incorniciato da una barba ispida e nera, ma esprimeva una grande gioia. Si accostò a Monica e le chiese con voce roca:

«Mi hanno detto che vi manca Gesù Bambino per completare il vostro presepio...».

«Sì, ma... Come fa a saperlo?».

Senza rispondere, l’uomo estrasse da una delle tasche un piccolo involto azzurro.

«Tenete: ciò che cercate è qui!».

Così dicendo, mise fra le mani di uno stupefatto Federico il fazzoletto. Il bambino, sebbene titubante per lo strano aspetto di quella persona, fece come gli era stato chiesto: aprì il fazzoletto e...

«Guardate, Gesù è tornato!».

Nel fazzoletto, infatti, c’era il Gesù Bambino più bello che avessero mai visto, tanto che sembrava vero.

Finalmente, giunse il momento di sistemare le statuine nel Presepio allestito con l’aiuto di tutte le classi di Catechismo e dei ragazzi dell’Oratorio. Nella gioia generale, però, Rosa si ricordò:

«Bisogna ringraziare quel signore...».

«Ma dov’è andato?», le chiese Alberto.

«Forse è tornato da dove è venuto...», concluse Monica.

«Da dove?», domandò Laura.

La catechista, guardando il presepio, sorrise e ringraziò Dio in cuor suo, perché aveva fatto comprendere ai suoi bambini il mistero del Natale. Infine, non vista, aggiunse, proprio sulla capanna, un angelo.

Frattanto, fuori dall’Oratorio, il barbone che poco prima aveva consegnato ai piccoli il Bambino Gesù levò lo sguardo verso il cielo e disse:

«Padre, ho compiuto la mia missione».

Una Voce dall’alto gli rispose:

«Sono soddisfatto di te: come quel giorno a Betlemme, hai portato la Buona Notizia a qualcuno che già aspettava il Messia!».

«Spero solo che ora quei bambini riescano a dare il giusto spazio nella loro vita a Tuo Figlio...».

«Sarà senz’altro così: rendendosi conto da soli della Sua importanza, hanno fatto il primo passo, ma Lui era già nella loro vita. Ma ora vieni al Mio cospetto!».

Il barbone, a quelle parole, si tolse il cappotto e, spiegando le sue bianche ali, tornò da dove era venuto.




 
di Emilia Flocchini

FONTE: Qumram.net

mercoledì 7 dicembre 2016

La bambina che trascorse la notte coperta dal manto della Madonna


Una bambina di appena tre anni si perse nella città spagnola di Rojales. Arrivò la notte gelata, e i suoi genitori, distrutti dalla preoccupazione, ricorsero alle autorità. La notizia corse di bocca in bocca, e tutta la cittadina si mobilitò. I giovani percorsero tutte le strade della città e di quella vicina con delle torce, ma non c’era alcuna traccia della bambina. Era il 18 gennaio 1896.

Il giorno dopo, gli abitanti delle città limitrofe vennero avvisati dell’accaduto, e tutti cercarono la bambina con ansia. Le persone speravano di trovare almeno il suo cadavere, supponendo che non avesse resistito al freddo della notte precedente.

Alle 15.00 i suoi zii, che continuavano a cercarla, la videro accostata a una grande pietra, dietro la quale c’era un enorme precipizio. La bambina sembrava senza vita, ma sentendo la voce degli zii si alzò e corse verso di loro con le braccia alzate come se si stesse svegliando da un sonno profondo. La zia, abbracciandola forte e piangendo di emozione, le chiese: “Tesoro, non hai avuto freddo stanotte?

La bambina rispose sorridendo che non aveva sentito freddo perché con lei c’era una donna che la copriva con il suo manto. La zia, incredula, continuò a interrogarla:

Una donna ha passato la notte con te?
Sì, zia, una donna buona e affettuosa”, rispose la piccola.

Ma cosa ti diceva quella donna? Non vedevi le luci delle nostre lanterne, non sentivi le nostre grida?

”, disse la bambina, “ma la donna mi ha detto: 'Non muoverti, figlia mia, verranno a prenderti'”.

Gli abitanti della cittadina, entusiasti per quello che sentivano, gridavano al miracolo. Il giorno dopo venne celebrata una Messa solenne in azione di grazie. La bambina venne portata davanti all’immagine di Nostra Signora del Carmelo, e quando la vide disse alla madre:

Mamma! Mamma! È questa la donna che mi ha coperto stanotte!

La bambina stava per cadere nel precipizio, perché era notte e non si riusciva a vedere nulla. Per questo la Madonna, da brava madre, rimase con lei accanto a quella pietra, perché la bambina non si sbagliasse e non si dirigesse verso l’abisso.

Per questo, quando la bambina sentiva le grida e vedeva le torce accese, la Madonna le diceva di non muoversi e che a breve sarebbero venuti a prenderla, perché essendo al buio e vicina al precipizio se si fosse mossa sarebbe sicuramente caduta.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

20 giugno 2016

FONTE: Aleteia.org 



Domani, 8 dicembre, è la Solennità dell'Immacolata Concezione, e per questa importante Festa Mariana ho pensato che sarebbe stato bello postare sul mio blog qualcosa che avesse come tema proprio Lei, la Vergine SS., Madre di Dio e di tutti quanti noi.
Girando sul web, quasi per caso, mi sono imbattuto in questa storia meravigliosa e, senza stare a pensarci troppo, ho capito che era proprio quello che volevo.
Che dolcezza e delicatezza in questa splendida storia..... quanta premura e quanto Amore ha la nostra tenera Madre per tutti quanti noi!
Amiamo, amiamo questa tenera e amorevolissima Madre, cerchiamo di amarLa con tutto il nostro cuore di figli. AmiamoLa e stiamo sicuri che anche Lei ci ama, di un Amore unico e illimitato, così come ha amato e ama il Suo Figlio e Signore Gesù Cristo.
Lode e Gloria a Te o Vergine Benedetta per tutti i Secoli dei Secoli. Amen!

Marco

sabato 3 dicembre 2016

Italiani, aiutateci a far rifiorire Haiti


Cura 80 mila bimbi l’anno e coltiva la terra per produrre cibo. Ma ora padre Rick ha un emergenza particolare: «Ci servono chirurghi pediatrici»


È quasi impossibile convincerlo ad allontanarsi da Haiti, dove le sue giornate iniziano all’alba con la celebrazione della Messa e finiscono a notte fonda in ufficio, tra conti da far tornare e progetti da organizzare. Ma questa volta padre Rick Frechette, medico americano e direttore, per il Paese caraibico flagellato dal terremoto che nel 2010 fece 230 mila vittime, delle attività dell’associazione Nph (Nuestros pequeños hermanos, i nostri piccoli fratelli), rappresentata in Italia dalla Fondazione Francesca Rava, ha fatto uno strappo per essere a Milano. Per raccontare a noi tutti quanto sia urgente il progetto di chirurgia pediatrica del Saint Damien, l’ospedale che assiste 80 mila bambini l’anno, cui sarà devoluto il ricavato della serata ideata dalla Fondazione Rava il 2 ottobre, protagonista l’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala diretta da Christoph Eschenbach.
«In Haiti ci sono solo tre chirurghi pediatrici su oltre 10 milioni di abitanti», dice padre Rick. «In partnership con la Società italiana di chirurgia pediatrica, Fondazione Rava sta inviando laggiù chirurghi italiani volontari per triplicare il numero di bambini operati all’anno e per formare nuovi chirurghi pediatrici». Rispetto al dopo-terremoto, quando i riflettori del mondo erano accesi sull’isola, le cose non vanno granché meglio, spiega padre Rick, che ogni mattina fa il giro delle baraccopoli per visitare i bambini nelle cliniche mobili e nel pomeriggio torna in ospedale, dove una lunga fila di persone lo attende per chiedergli aiuto. «Oggi il Paese è un disastro, sia economicamente sia politicamente, la moneta ha subito una pesante svalutazione negli ultimi 18 mesi, non c’è un governo e gli studi e i report ufficiali dimostrano quel che sappiamo». Che gli aiuti internazionali per Haiti dopo il terremoto non hanno risolto nulla. Del milione di sfollati di allora restano 65 mila persone ancora senza un tetto, ammassate in tendopoli sempre più affollate per via dei rimpatri forzati da parte della Repubblica Domenicana di migliaia di haitiani senza documenti.

«La maggior parte delle persone vive in povertà assoluta, gli ospedali sono stati in sciopero per quattro mesi su nove quest’anno, la criminalità è cresciuta dappertutto». Padre Rick sa di che cosa parla: si occupa di persona di trattare con i capi-gang per assicurarsi un po’ di tranquillità quando deve portare servizi e aiuti alle comunità più difficili, come è appena accaduto nello slum di Wharf Jeremy, dove esiste una scuola di Nph e presto ci sarà una clinica mobile. Quando non è una sparatoria o una lotta tra bande, l’emergenza è il colera, che dal sisma a oggi ha colpito 730 mila persone e fatto 9 mila vittime. «Resta endemico, con picchi massimi a ogni stagione delle piogge», dice il responsabile del Saint Damien che dispone di un centro per curare 20 mila pazienti l’anno e di un forno crematorio per chi non ce la fa. Un Paese a pezzi, solo in parte a causa del terremoto.
«L’unica vera ricostruzione è quella resa possibile da milioni di micro-iniziative della gente più semplice. Piccole attività che aiutano le persone a vivere, perché quel che resiste è lo spirito degli haitiani, il loro desiderio di farcela». E su questo conta padre Rick, convinto che gli unici a poter salvare Haiti siano gli haitiani. «Prendiamo le api, per esempio, che stanno diminuendo anche da noi come nel resto del mondo. Non possiamo per ora produrre abbastanza miele e derivati da essere autosufficienti e guadagnare dalla vendita, ma possiamo arrivare a soddisfare il 60 per cento del fabbisogno. Ma ci piacerebbe industrializzare il processo per riuscire a fare profitti. E questo vale per tutto». Per le 14 mila palme da cocco, le coltivazioni di canne da zucchero, gli alberi di pane, papaya, banane, lime, ciliegie, mandarini piantati grazie a un programma sostenuto da Nespresso, per esempio. Ma vale anche per gli allevamenti di pesci tilapia, le 1000 galline ovaiole che danno 600 uova al giorno, e tutte le altre attività che consentono a donne e giovani di portare a casa un salario per sfamare le famiglie.
Padre Rick ci crede, anche se magari non ha tempo per raccontarlo. Ma la domenica, quando riesce finalmente ad avere qualche ora libera per sé, sale sul trattore e prepara nuovi terreni da coltivare.




di Rossana Linguini

11 ottobre 2016

FONTE: Gente N. 40


Non se ne parla molto nel nostro paese, ma l'isola di Haiti, colpita da un terribile terremoto nel 2010, a distanza di quasi 7 anni dal disastroso evento tellurico versa tutt'ora in pessime condizioni, per la povertà che c'è, per le malattie, per tanta gente che è ancora senza casa, per la mancanza quasi assoluta di assistenza medica e persinio di generi di prima necessità.
Per chiunque volesse sostenere la Fondazione Francesca Rava, che porta tanto aiuto e speranza in questa terra così martoriata, vedi link: https://www.nph-italia.org/cosafacciamo/haiti/ lo può fare donando un proprio contributo libero, oppure acquistando un regalo solidale, o anche soltanto con una condivisione o un passaparola sulla situazione drammatica cui versa la popolazione di questa isola caraibica. Naturalmente, fondamentale è anche la preghiera di tutti per il bene di queste popolazioni.

Ancora una volta, lasciatemelo dire, onore e merito a tutti coloro che mettono tempo, sudore, cuore e vita per aiutare popolazioni così martoriate come quella Haitiana.... che cosa sarebbe il mondo senza queste persone? Ma ciascuno, ricordiamocelo sempre, può fare la sua parte, fosse anche soltanto con la donazione di un obolo o con una preghiera "lanciata" al Cielo con Amore. Ciascuno, senza eccezioni, può contribuire a creare una società migliore, un mondo nuovo basato sull'Amore.

Marco