Ha pedalato ininterrottamente per oltre 35 ore abbattendo il muro dei mille chilometri. Obiettivo: sostenere chi soffre di una malattia dimenticata. «Per me credere è mettersi in azione».
Una preghiera in silenzio, casco in testa, a occhi chiusi e in ginocchio accanto alla sua bicicletta. Davanti a lei, una battaglia di mille chilometri. Una sfida che Anna Mei ha vinto dopo 35 ore, 11 minuti e 6 secondi di pedalate. L’ultimo e il primo pensiero prima di conquistare il record mondiale di permanenza su pista? Sempre loro, i bimbi farfalla.
Perché la 48enne di Milano, che nella vita fa la maestra alle elementari Santo Stefano di Lecco, non ha mai avuto dubbi: «Se batterò il mio record sarà grazie ai bambini farfalla», piccoli affetti da una malattia genetica rara, la epidermolisi bollosa, che rende la loro pelle estremamente fragile come le ali di una farfalla, riempiendosi di bolle e staccandosi a un semplice sfregamento. Ed è per aiutare questi bambini che la ciclista ha deciso di trasformare la sua gara – iniziata il 31 ottobre e conclusa il 1° novembre al velodromo bresciano di Montichiari – in un’opera di sensibilizzazione: chiedere che le mille persone affette da questa malattia in Italia possano accedere a cure e servizi.
OLTRE I PROPRI LIMITI
Mille chilometri e 4.000 giri di pista sono una sfida che non era mai stata provata da nessuna donna. «Posso superare i miei limiti solo grazie alla forza spirituale che ho dentro», racconta Anna. «La fatica fisica riesco a vincerla pensando al dolore che ogni giorno devono sopportare i bimbi farfalla. Dio non ci mette mai sulle spalle una croce che non siamo in grado di portare, dobbiamo avere fiducia e pensare che ci sia stata messa per un motivo». Questo la ciclista l’ha scoperto guardando negli occhi i bambini affetti da epidermolisi. «Portano la loro croce sulle spalle con una tale dignità e forza di vivere: sono anime sensibili capaci di elevarsi sempre più vicino a Dio».
Mentre racconta dei “suoi” bambini farfalla, Anna ripensa al penultimo record su pista, nel 2013. Prima di salire in sella alla bici, un bimbo la ferma: «Grazie per quello che fai per noi», si sente dire quando ha già il caschetto infilato sopra i capelli biondi. «Loro non sanno di essere ben più forti e coraggiosi di tutti noi», ricorda di avere pensato in quel momento.
Ogni volta che scende in pista, la maestra-ciclista prega con un’Ave Maria. «Credo nella protezione di Dio. Nel 2012 ho fatto un brutto incidente: ricordo quando il neurochirurgo mi ha detto che ero a rischio di restare sulla sedia a rotelle... e invece sono tornata in sella dopo soli due mesi». Allora scatta il pensiero: «Credo di essermi salvata grazie a un’effigie della Madonna che ho sotto la sella». La sua devozione mariana è anche legata alla Madonna del Ghisallo, la protettrice universale dei ciclisti. «Il santuario del Ghisallo a Magreglio, in provincia di Como, era caro anche a Gino Bartali e Fausto Coppi. Dentro la chiesa ci sono biciclette e maglie di ciclisti importanti. Anch’io ho lasciato in quella chiesa la mia maglia. Ed è il luogo dove mi sono sposata».
A SANTIAGO E MEDJUGORJE
Anna non ha dubbi: «Dentro ogni sportivo c’è la ricerca di dare a quello che sta facendo un valore che vada oltre il gesto atletico». Un significato spirituale che ha voluto dare anche al Cammino di Santiago, compiuto nel 2013, sola e sempre rigorosamente in bici, o portando una piccola farfalla ai piedi della Madonna di Medjugorje. Nella mente, le parole della mamma di un piccolo affetto da epidermolisi che gliela aveva donata: «Portala là per i nostri bambini». E sono proprio loro che Anna cercava durante le brevissime pause che ha avuto lungo le 35 ore di pedalata da record: un abbraccio a bordo pista e poi via verso la meta.
Sono tre anni che Anna Mei si è liberata di tutti gli sponsor per dedicare la sua attività sportiva a fare conoscere l’epidermolisi bollosa e sostenere le associazioni Sport nel cuore e Debra. «Sono una cattolica che agisce invece che predicare, che preferisce mettere in pratica l’aiuto. A volte si fa fatica a credere che esista il bene fatto senza secondi fini. Eppure siamo in tanti a prenderci cura dell’altro». «Da ragazza», ricorda, «ero una scout dell’Agesci. Mi sono rimasti impressi i principi educativi della strada, il fatto che la strada è un cammino. E sono questi stessi principi che ho riscoperto nell’attività ciclistica e che ricerco con i record mondiali».
Quando non è in sella a una bici, Anna è dietro a una cattedra come insegnante delle elementari. «I miei studenti sono i miei più grandi fan». C’erano anche loro al velodromo, per otto ore a fare il tifo per la loro maestra. «Vorrei far capire loro l’importanza di aiutare l’altro attraverso la propria passione e raccontare una nuova idea di sport che concilia l’agonismo con l’impegno sociale e si basa su allenamento e sacrificio, e non su divismo e doping».
VERSO NUOVI RECORD
Ma perché scegliere di dedicare una carriera sportiva al sostegno dei malati? La ciclista da record racconta di come, la prima volta che ha visto questi bambini con ustioni e vesciche su tutto il corpo, sia rimasta scioccata dalla loro sofferenza. «Eppure non si lamentano e non dicono mai di stare male», racconta.
Ora il record è raggiunto. I mille chilometri sono ormai alle spalle. «Per un po’ mi riposerò». Poi gli occhi cambiano espressione. «Ma presto ripartirò». «Qualche progetto l’ho già in mente: naturalmente, con addosso la maglia con le farfalle e sotto la sella un’effigie della Madonna».
MALATTIA ORFANA: DEBRA ONLUS LOTTA CONTRO L’EPIDERMOLISI BOLLOSA
Per tutta la vita un malato di epidermolisi bollosa deve fare i conti con diverse ore di medicazioni e bendaggi quotidiani. Per loro può bastare anche solo una frizione a fare staccare la parte più superficiale della pelle, creando lesioni simili a ustioni di II e III grado. È una malattia genetica rara – che in Italia colpisce un bambino su circa 82.000 nati – orfana dal punto di vista degli investimenti per la ricerca, spesso rivolti a patologie più diffuse. Proprio su questo punto vuole intervenire Debra (www.debraitaliaonlus.org), associazione nata da un gruppo di genitori che da 25 anni non supporta solo malati e famiglie ma ha come obiettivo anche quello di fare conoscere la malattia e agevolare la ricerca medica per migliorare la qualità della vita dei bambini farfalla.
di Elisa Murgese
15 novembre 2015
FONTE: Credere N. 46
Una storia davvero splendida: quando la Fede, la Solidarietà, l'impegno per il Sociale, l'etica e lo sport si fondono in un tutt'uno, creando storie meravigliose come queste.
Cara Anna Mei, ti auguro di cuore di volare verso nuovi record mondiali, anche se il primato più bello lo hai già conquistato: l'affetto della gente, in particolar modo quella dei "tuoi" bambini farfalla.
Grazie di tutto!
Marco
Cara Anna Mei, ti auguro di cuore di volare verso nuovi record mondiali, anche se il primato più bello lo hai già conquistato: l'affetto della gente, in particolar modo quella dei "tuoi" bambini farfalla.
Grazie di tutto!
Marco
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