domenica 28 gennaio 2018

Frati in treno: Napoli, la stazione dell'Anima


DAL 1976 CINQUE VAGONI SI SONO TRASFORMATI IN CONVENTO. POVERTA', PREGHIERA, ASCOLTO: LI', OGGI, VIVONO OTTO FRANCESCANI.
«ANCHE SE FERMI SIAMO PERENNEMENTE IN VIAGGIO»


Un sediolino di legno, un tavolo e una branda. L'essenziale per pregare e lavorare è racchiuso dentro la cuccetta di un vecchio treno delle Ferrovie dello Stato che dal 1976 è il convento dei Frati minori rinnovati di Napoli. In quei vagoni degli anni '40 la comunità che vive tutt'intorno ha trovato l'interpretazione più autentica dei messaggi di papa Francesco. Nel convento su rotaie vivono otto frati, nessuno di loro ha mai conosciuto il Papa. Eppure nel marzo dell'anno scorso Francesco fu a Scampia, a soli 3 chilometri dai vagoni di via Marfella. «Se ritorna a Napoli lo ospitiamo, non c'è problema. Ma non so se qui riuscirebbe a dormire». Fra Carlo del Divino Amore è il guardiano superiore del convento che si trova nella periferia di Napoli. Cinque vagoni "parcheggiati" ai confini del parco di Capodimonte, in un luogo poco distante da quei quartieri difficili di Napoli dove la povertà ricorda proprio quella "fine del mondo" da cui è venuto papa Francesco.
Un grande cancello marrone consente l'accesso al convento: quattro vagoni che nel '76 sono stati sistemati paralleli a due a due su binari morti grazie all'aiuto di una grande gru. Sono immersi nel verde, d'estate diventano roventi e solo la frescura degli alberi regala un po' di sollievo. D'inverno invece sono freddissimi, così le coperte sui letti diventano anche cinque.
L'arredamento è scarno. Quei treni hanno appena l'essenziale e rappresentano quell'idea di provvisorietà che oggi sembra condizionare la vita, soprattutto dei giovani. «Noi cerchiamo di recuperare lo spirito di san Francesco e il treno rappresenta il cammino itinerante», spiega fra Carlo, «ma anche la semplicità e la precarietà. Con questi valori cerchiamo di recuperare la spiritualità e l'insegnamento di san Francesco. Anche se fermi siamo perennemente in viaggio, perché niente è nostro, non possiamo radicarci in nessuna cosa».
Il convento di via Marfella è la stazione dell'anima. Quella in cui i pellegrini partono per il viaggio in cui imparano a dare e ricevere. Ad amare ed essere amati. A superare quelle false esigenze che quotidianamente condizionano la vita. «Siamo qui ad ascoltare e siamo pronti a dare una mano quando serve». La pienezza del messaggio di papa Francesco si concretizza nei gesti più semplici come quello della carità e della misericordia. «Non usiamo soldi», puntualizza fra Carlo, «ma c'è una moneta più forte, si tratta del dono». Alla necessità di generi alimentari o di altro viene incontro la generosità di chi ha un poco in più. E tutto quel poco poi diventa tanto da poterlo addirittura donare ad altri. «I contadini della zona ci portano verdura, frutta, uova, altri ci portano coperte, ma a noi basta poco e tolto quello che ci occorre il resto lo doniamo. Qui intorno c'è la 167 (un rione fatto di palazzine costruite per gli sfollati del terremoto dell'80, ndr), ci sono le Vele di Scampia e molti hanno bisogno di essere aiutati».
Nel convento non c'è una vera cucina, i frati preparano i pasti cuocendo il cibo su una stufa a legna. E poi la mancanza di un frigorifero che impedisce di conservare gli alimenti diventa non la condizione, ma la scelta per poter condividere e donare il cibo a chi ne ha bisogno. Ed è così che il convento dei Frati minori rinnovati diventa quasi un osservatorio sulla povertà.
Quella stessa povertà a cui ha pensato Jorge Mario Bergoglio quando ha scelto il suo nome. «Papa Francesco ritorna al Vangelo così come ha fatto san Francesco, cercando di ripresentare quello spirito e di accogliere il prossimo, di aiutarlo». Un supporto che non è solo materiale. I frati, che collaborano anche con la parrocchia del rione 167 di Scampia, ormai sono un punto di riferimento per la comunità. «È un'attività che si è intensificata soprattutto negli ultimi dieci anni», puntualizza fra Carlo: «Qui arriva sempre gente, vengono, prendono quello che serve. Poi ci sono alcuni dei nostri frati che girano nel quartiere, conoscono la realtà della gente che viene qui. Noi cerchiamo di dare conforto e di parlare con loro. Soprattutto cerchiamo di ascoltarli e di portare le persone a guardare la vita con occhi più cristiani».
La pace che si avverte una volta entrati nell'originale convento è il primo segnale di benessere per l'anima. «Quando le persone vengono qui esclamano: "Oh, che pace" e l'avvertono indipendentemente da quello che dicono o che diciamo noi», dice ancora fra Carlo.
È un abbraccio costante quello dei frati con il quartiere. «È il coraggio di chi vuol ricominciare da capo adattandosi a realtà che chiedono sempre più sacrifici. Proprio come ci suggerisce papa Francesco». La barba lunga che copre le guance di fra Carlo non lascia capire se accenna un sorriso. Che dopo una piccola pausa s'avvia alla conclusione: «Non conosco papa Francesco, ma con il suo carattere, beh, credo proprio che qui si troverebbe bene».

di Maria Elefante

FONTE: Famiglia Cristiana N.31
30 lugio 2017


E' davvero sorprendente che in una società moderna, opulenta e razionale come la nostra, possano ancora esserci uomini che decidano di vivere in questo modo, con questo stile di vita così umile ed essenziale, sulle orme di San Francesco. Sorprendente ma bellissimo.... e non posso negare che, mentre leggevo e riportavo sulle pagine di questo blog questo articolo, un senso di grande "pace" mi abbia pervaso, quella stessa pace che avvertono le persone quando entrano in questi vecchi vagoni ferroviari e prendono contatto con i frati.
Eh sì, queste sono proprio quelle belle cose che portano tanta pace nella nostra anima, e di cui dovremmo "nutrirci" più spesso. Onore e merito quindi a questi umili, semplici, generosissimi frati, i quali ci insegnano che certi valori, che possono magari sembrare "fuori dal tempo", in realtà non passano mai. E questo è davvero meraviglioso. Un Grazie sentitissimo da parte mia a tutti quanti loro!

Marco

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