martedì 4 maggio 2021

Il cacciatore di mine

Daniel aveva dieci anni quando un ordigno rimasto sepolto sulle alture del Golan gli dilaniò una gamba. Oggi che è maggiorenne si arruolerà per ripulire Israele da 250 mila bombe sparse su 92 milioni di chilometri. In Giordania ce ne sono ancora quasi 4 mila, in mezzo a 450 mila pellegrini in visita ogni anno

La neve lo spaventa ancora, anche la poca che cade su Israele. Otto inverni fa Daniel è andato in gita con la famiglia nel Golan, le montagne ospitano più militari che sciatori, qua attorno sono state combattute le battaglie contro l'esercito siriano, i due Paesi non hanno mai firmato un accordo di pace. Restano i campi minati, con i cartelli d'avvertimento e il filo spinato come un trauma bellico difficile da superare.

La missione

Daniel ha dieci anni, si avventura sui prati gelati perchè la neve non può far male e in quel punto non ci sono recinzioni. Il bianco sopra nasconde gli inneschi micidiali: anche il solo peso di bambino basta a far scattare l'esplosione, la gamba destra viene dilaniata, la sorellina Amit è vicina a lui e resta ferita da una scheggia. Da allora Daniel Yuval porta con sé una protesi e una missione. Ripulire le bombe piazzate dai conflitti: gli ordigni verso frontiere che sono sempre prima linea come con la Siria, quelli nascosti su confini che sono ormai di pace come le terre lungo il fiume Giordano. E' stato il suo sguardo sereno e deciso a convincere i parlamentari israeliani a votare nel 2011 una legge per smantellare le 260 mila mine sparse su 92 milioni di metri quadrati, una decisione sempre rinviata in una nazione che si sente sotto assedio. Adesso Daniel sta per indossare la divisa dell'esercito, ha scelto di arruolarsi volontario, non voleva sentirsi diverso dagli altri ragazzi israeliani, la leva obbligatoria dura tre anni per gli uomini e una ventina di mesi per le donne. «Prima di presentarmi in caserma – dice al quotidiano Israel Hayom – ho affrontato un'altra operazione in Australia per stabilizzare le protesi. Ormai è una parte del mio corpo come la testa o le mani». Da bambino sognava di entrare in una unità combattente, ma le mutilazioni lo ha reso impossibile: «Sono contento che l'esercito mi abbia voluto anche così». Le piene del fiume e le alluvioni (ormai un ricordo) hanno rimescolato la terra color ocra e confuso gli ingegneri militari che conservano le mappe di tutte le aree minate.

Luogo simbolico

A Qasr al Yahud cinque monasteri resistono come palazzi fantasma di una scenografia da film western, circondati da sentieri su cui non è possibile camminare e dalla speranza dei fedeli di poter tornare a pregare qui. Qui dove i Vangeli raccontano che Gesù fu battezzato da Giovanni Battista, quando il Giordano era più profondo e ricco d'acqua. Con il regno Hashemita gli israeliani hanno firmato un accordo di pace nel 1994 dopo averci combattuto almeno un paio di guerre che hanno lasciato sotto la sabbia 2600 mine anticarro e 1200 ordigni antiuomo, oltre alle trappole esplosive disseminate dai fedayn palestinesi, che negli anni Sessanta e Settanta s'infiltravano dalla Giordania per colpire i soldati e gli insediamenti in questa zona.
L'operazione per rendere l'area accessibile (già 450 mila pellegrini vengono in visita ogni anno) è portata avanti dall'organizzazione scozzese Halo Trust, che opera in tutto il mondo ed è stata sponsorizzata anche dalla principessa Diana. Ronen Shimoni, l'israeliano che guida la missione di Halo in Cisgiordania, ha dovuto mettere d'accordo le otto denominazioni cristiane proprietarie dei terreni e trovare un'intesa tra il governo a Gerusalemme e l'Autorità palestinese che considera queste aree parte di un futuro Stato. «Nei prossimi mesi avremo raccolto i fondi necessari – spiega Shimoni – lo sminamento dovrebbe durare un paio d'anni». Ne serviranno molti di più per realizzare il sogno di Daniel: «Nessuno in Israele dovrà più essere ferito o ucciso da una mina».


Di Davide Frattini

2 gennaio 2018

Fonte: Corriere della Sera

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