Due anni dopo il trapianto, la famiglia Marin di Monfumo ringrazia tutte le persone che hanno dato aiuto
Lei gli ha ridonato la vita. Lei è la persona che, sempre, lui avrà dentro di sè. È il 15 settembre 2017 quando Mattia si ammala. I primi esami. I primi accertamenti. La speranza che non sia quello. E invece. Invece la diagnosi: leucemia. Una malattia molto più diffusa in età infantile che in quella adulta, per la quale in Italia vengono diagnosticati circa quindici nuovi casi ogni centomila persone l’anno. Mattia che quei giorni avrebbe dovuto cominciare la seconda elementare, quel giorno lo passa a Padova in ospedale. Ricoverato al reparto di Oncoematologia Pediatrica. Un duro colpo. Un colpo al cuore, una vita che cambia nel giro di mezzo secondo per quella famiglia di Monfumo di Treviso. Per la mamma, Debora Pandolfo; per il papà, Mauro Marin; per la sorella, Asia. La mamma, di 42 anni, quando ci parla usa sempre il verbo al plurale: se Mattia stava male, stava male anche lei, se Mattia viene ricoverato, è come se venisse ricoverata anche lei. Un dolore dentro che senti, quando la creatura a cui hai dato la vita si ammala. «Mi ricordo ancora – dice la madre al Giornale – era di venerdì. La mattina abbiamo fatto gli esami del sangue e alle dieci e mezzo eravamo già ricoverati a Padova. In quel momento ci hanno detto che era leucemia».
Da lì parte un calvario. Mattia inizia a fare i cicli di chemioterapia e a ottobre 2017 i medici dicono ai genitori che c’è bisogno di un trapianto. «Abbiamo fatto gli esami io, mio marito e Asia – racconta la mamma -; a novembre ci dicono che Asia era compatibile. Lì abbiamo iniziato a pensare positivo. Era dura. Ci sono stati momenti difficili perché ti trovi in un posto che mai vorresti conoscere». Così il 16 febbraio 2018 Mattia viene sottoposto al trapianto. «Ci hanno ricoverato per 43 giorni. A marzo 2018 ci hanno dimesso». Da lì Mattia inizia ad andare in ospedale: per i primi tre mesi, due tre volte a settimana, ora ci va una volta ogni tre mesi. Una cosa che fa rendere i genitori orgogliosi e fieri che i loro figli siano stati forti. «Anche più di noi – dice la madre – Asia all’inizio era spaventata – racconta – chi non lo sarebbe, ma ora è felice, quando ha visto che il fratellino iniziava a star bene, era contenta. Con i medici le abbiamo fatto capire il gesto che stava per fare. E vogliamo dare e ringraziare tutti quelli che ci hanno dato una mano, dagli incontri di preghiera a chi ha donato dei soldi».
Una raccolta fondi era partita e con la squadra di calcio di Monfumo, la Asd, è stata organizzata una partita, il cui ricavato è andato alla Città della Speranza. «Che sia un messaggio di speranza – dice la mamma – per le famiglie che stanno passando questo calvario». Ora Mattia va a scuola, e della squadra di calcio è diventato la mascotte.
Lei gli ha ridonato la vita. Lei è la persona che, sempre, lui avrà dentro di sè. È il 15 settembre 2017 quando Mattia si ammala. I primi esami. I primi accertamenti. La speranza che non sia quello. E invece. Invece la diagnosi: leucemia. Una malattia molto più diffusa in età infantile che in quella adulta, per la quale in Italia vengono diagnosticati circa quindici nuovi casi ogni centomila persone l’anno. Mattia che quei giorni avrebbe dovuto cominciare la seconda elementare, quel giorno lo passa a Padova in ospedale. Ricoverato al reparto di Oncoematologia Pediatrica. Un duro colpo. Un colpo al cuore, una vita che cambia nel giro di mezzo secondo per quella famiglia di Monfumo di Treviso. Per la mamma, Debora Pandolfo; per il papà, Mauro Marin; per la sorella, Asia. La mamma, di 42 anni, quando ci parla usa sempre il verbo al plurale: se Mattia stava male, stava male anche lei, se Mattia viene ricoverato, è come se venisse ricoverata anche lei. Un dolore dentro che senti, quando la creatura a cui hai dato la vita si ammala. «Mi ricordo ancora – dice la madre al Giornale – era di venerdì. La mattina abbiamo fatto gli esami del sangue e alle dieci e mezzo eravamo già ricoverati a Padova. In quel momento ci hanno detto che era leucemia».
Da lì parte un calvario. Mattia inizia a fare i cicli di chemioterapia e a ottobre 2017 i medici dicono ai genitori che c’è bisogno di un trapianto. «Abbiamo fatto gli esami io, mio marito e Asia – racconta la mamma -; a novembre ci dicono che Asia era compatibile. Lì abbiamo iniziato a pensare positivo. Era dura. Ci sono stati momenti difficili perché ti trovi in un posto che mai vorresti conoscere». Così il 16 febbraio 2018 Mattia viene sottoposto al trapianto. «Ci hanno ricoverato per 43 giorni. A marzo 2018 ci hanno dimesso». Da lì Mattia inizia ad andare in ospedale: per i primi tre mesi, due tre volte a settimana, ora ci va una volta ogni tre mesi. Una cosa che fa rendere i genitori orgogliosi e fieri che i loro figli siano stati forti. «Anche più di noi – dice la madre – Asia all’inizio era spaventata – racconta – chi non lo sarebbe, ma ora è felice, quando ha visto che il fratellino iniziava a star bene, era contenta. Con i medici le abbiamo fatto capire il gesto che stava per fare. E vogliamo dare e ringraziare tutti quelli che ci hanno dato una mano, dagli incontri di preghiera a chi ha donato dei soldi».
Una raccolta fondi era partita e con la squadra di calcio di Monfumo, la Asd, è stata organizzata una partita, il cui ricavato è andato alla Città della Speranza. «Che sia un messaggio di speranza – dice la mamma – per le famiglie che stanno passando questo calvario». Ora Mattia va a scuola, e della squadra di calcio è diventato la mascotte.
16 febbraio 2020
FONTE: Papaboys
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