domenica 28 dicembre 2014

Il dono di una lunga vita

Si può affrontare il tempo della pensione in tanti modi. Tiziana e Adriano hanno scelto di donarlo ai malati dializzati. “Quello che riceviamo ogni giorno dà compimento alla nostra esistenza”

Il 28 settembre erano in Piazza San Pietro. La loro testimonianza è stata tra le prime ascoltate da Papa Francesco nella giornata della Benedizione della lunga vita. Parole chiare, semplici eppure dotate di una vitalità contagiosa, monito per altri anziani, ma anche per tantissimi giovani, a vivere il tempo che ci è donato senza riserve. Come ha detto Bergoglio, la vecchiaia deve essere considerata “un tempo di grazia, nel quale il Signore ci rinnova la sua chiamata: ci chiama a custodire e trasmettere la fede, ci chiama a pregare” ma, sopratutto, “ci chiama a essere vicino a chi ha bisogno”.

Tempo di grazia


Tiziana e Adriano, bolognesi, marito e moglie da trent'anni, testimoniano bene questa fase della vita in cui, finite le necessità lavorative, è ancora possibile sentirsi utili nel sociale. “La nostra attività di volontariato nasce all'interno dell'Anla (vedi sotto), associazione di cui facciamo parte in quanto ex dipendenti Sip”, racconta Adriano. “Ho incontrato Tiziana grazie al lavoro e ci siamo innamorati e sposati. Io mi occupavo della parte tecnica, lei era in un altro ambito. Siamo da sempre complementari. Io mi occupo degli aspetti pratici, mia moglie delle relazioni con gli altri. Lei è una donna dinamica. Le piace viaggiare, andare in palestra, avere mille interessi. Sta bene in mezzo agli altri, riesce sempre ad aggregare! Anche per l'Anla, nel giro di pochi mesi, è riuscita a creare un gruppo coeso di quasi cinquanta persone, tutte in pensione, pronte a mettersi a disposizione dei malati dell'ospedale Sant'Orsola Malpighi di Bologna”.

Colmare un vuoto


All'origine dell'attività Anla di Bologna c'è proprio Tiziana: “Nel 2007 un pulmino attrezzato era stato finanziato dalla banca per la nostra sezione regionale ma non si sapeva cosa farne di preciso. Il desiderio era aiutare, certo, mettendoci al servizio del prossimo, ma non sapevamo come. Ci siamo guardati intorno e ci siamo accorti che all'ospedale Sant'Orsola Malpighi di Bologna c'era un vuoto che riguardava proprio i trasporti. I malati anziani, senza famiglia e per di più dializzati, non avevano possibilità di muoversi né per recarsi in ospedale né tantomeno per tornare a casa una volta finite le visite. Il nostro pulmino era perfetto! E' andato a colmare quel vuoto. Abbiamo iniziato a fornire un servizio di accompagnamento di andata e ritorno dove l'assistenza prosegue anche oltre l'ospedale”.

Giorno dopo giorno

Fondamentale si rivela, per una buona ed efficiente organizzazione dell'attività, tenere conto dei carismi e delle predisposizioni di ognuno. “I turni li organizzo io”, dice Tiziana. “Coordino e mi occupo di tenere i contatti trasversali con l'ospedale e con i nostri volontari mentre mio marito Adriano si occupa fisicamente del pulmino. Dal lunedì al venerdì, dalle 6 del mattino fino alle 14, operiamo senza sosta. Non sempre è facile gestire i turni, ma in un modo o nell'altro riusciamo sempre a risolvere imprevisti e cambi. Ci vuole pazienza ed elasticità, ma la gioia che dà stare con i nostri amici malati è irrinunciabile. I loro occhi parlano: quando ci dicono "ci salvate la vita giorno dopo giorno" la commozione è inevitabile. Sono loro che ci riempiono il cuore, che ci fanno sentire realizzati momento dopo momento. Ci si vuol bene”.

Allegria d'evasione

Accompagnare i malati dializzati non è solo questione di trasporto. Adriano lo sa bene: “Entrano tristi, le loro giornate oltre a essere difficili fisicamente rischiano di essere monotematiche. Quando si ritrovano insieme nasce subito solidarietà, ma questo vuol dire anche che gli unici argomenti che vengono facili riguardano sempre e comunque la malattia. Si scambiano consigli, si rivolgono domande. Mi sono reso conto che accompagnarli vuol dire farli evadere. O almeno ci proviamo. Bastano poche battute, un pò di buonumore e subito si sposta il centro dei pensieri verso altro, verso qualcosa che possa far respirare l'anima”.

Più del dare

Sono sette anni di attività per Tiziana e Adriana. L'incontro con il Papa a settembre ha segnato una tappa fondamentale per loro sia come coppia che come componenti di un gruppo attivo di pensionati. “Questo Papa ci piace tantissimo!”, confida Tiziana. “Si avvicina a tutti, si fa lui stesso testimone di come è possibile vivere la vecchiaia con energia e vitalità. Lui si fa davvero "parola incarnata". Si può e si deve incidere nel sociale, lasciare un segno, dare una mano, anche essendo in pensione”. Restano ancora nitide le emozioni di quei momenti sul palco accanto a lui.
Questo invito personalmente mi ha travolto. Noi non facciamo nulla di speciale eppure posso dire con certezza: abbiamo ricevuto più di quanto diamo”. Anche la vecchiaia è un dono, come dono è la vita. L'augurio, valido per tutti, è di imparare a essere – come ha concluso il Santo Padre, accanto a Tiziana e Adriano - “alberi vivi, che anche nella vecchiaia non smettono di portare frutto”.


Anziani e impegno sociale


L'Anla, Associazione Nazionale Seniores d'Azienda, nasce in Italia nel 1949. Gli obiettivi principali sono la tutela della dignità degli anziani, la valorizzazione del loro ruolo nell'ambito della società e la diffusione dei valori etici e spirituali del lavoro quali fedeltà, esperienza e professionalità.
L'impegno di Anla nella valorizzazione dei diritti e della persona dei "più avanti di età" – dice Antonello Sacchi, responsabile della comunicazione – avviene su tutto il territorio nazionale e in ogni sede regionale. Questo impegno ci vede protagonisti nel dialogo con le associazioni affini su temi comuni di promozione del ruolo degli anziani”. Un ruolo che non è affatto marginale ma è trainante “per motivi economici, spesso in famiglia è l'unico reddito sicuro, per motivi pratici, i genitori lavorano e i nipoti vengono lasciati ai nonni, e per motivi di esperienza, la saggezza dei più avanti in età e la loro esperienza è valutata positivamente”.
Promotrice di un impegno concreto degli anziani nelle maglie del sociale, l'Anla si compone di numerose realtà di volontariato differenti da regione a regione: clownterapia nelle Marche e in Friuli, attività culturali in Toscana, assistenza fiscale e attività di promozione in Liguria, solo per citare qualche esempio.

Anla, concorso letterario

“Riconoscere il tesoro del vissuto proprio ed altrui” è il titolo della seconda edizione del Concorso nazionale di prosa e poesia proposto dall'Associazione nazionale seniores d'azienda. “Il tema è l'esperienza”, spiega il responsabile della comunicazione Antonello Sacchi.
Ognuno di noi, per quanto breve o lungo sia il tratto di strada compiuto, ha accumulato un tesoro di conoscenze, riflessioni, emozioni, nato dall'impegno sul luogo di lavoro, dalle relazioni amicali, dalle interazioni con gli altri. La nostra vita, proprio per la nostra peculiarità, è qualcosa di unico e irripetibile. Qualcosa di cui fare memoria e lasciare memoria nei fatti più significativi e nelle emozioni più grandi perchè siano strumento di progresso personale, di riflessione o di aiuto ad altri che percorreranno la nostra stessa strada”.
Per maggiori informazioni e per iscriversi www.anlablog.it

Laboratorio di cambiamento


Con l'allungarsi della vita e il sostegno del progresso medico, la realtà di un anzianità attiva si pone sempre più alla coscienza collettiva come una possibilità concreta. “Penso sia veramente urgente abbandonare ogni forma di egoismo e di individualismo per impegnarsi sempre più a tutti i livelli per diventare un laboratorio di cambiamento, rivalutando il senso della sensibilità per la necessità dell'altro, della disponibilità a condividere, dell'impegno per il prossimo, per quello vicino come quello lontano”, dice il presidente nazionale Ania, Antonio Zappi.


di Maria Luisa Rinaldi

FONTE: A Sua Immagine N. 100
6 dicembre 2014


Una volta gli anziani erano molto più considerati che al giorno d'oggi..... essi erano il "fulcro" delle famiglie e godevano di grande rispetto e considerazione. Oggigiorno invece sono sempre meno considerati, spesso relegati in case di riposo, per tanti considerati come un "peso". E invece le persone anziane sono una grande risorsa, spesso ancora capaci di dare molto, alle famiglie, alla società, a tutti, come dimostrato chiaramente da Adriano e Tiziana, pensionati, ma dinamici e attivi nella loro preziosissima opera di volontariato e solidarietà all'interno dell'Anla. Ed anche se un anziano non è più in grado di svolgere un attività come la loro, essi sono comunque portatori di un carico d'esperienza insostituibile, a cui tutti possono attingere, e come ha detto Papa Francesco, se persone di Fede sono chiamate a custodire e rinnovare la propria Fede, a pregare, e a trasmetterla ai più giovani.
Abbiamo sempre molto rispetto dei nostri anziani..... loro hanno dato tutta la vita per noi, e ancora la darebbero..... noi li dobbiamo trattare con grande rispetto e Amore. Rendendoli partecipi della nostra vita li faremo felici..... e ne trarremo giovamento sia noi che loro.

Marco

martedì 23 dicembre 2014

Le scarpe di Natale


C'era una volta una città i cui abitanti amavano sopra ogni cosa l'ordine e la tranquillità. Avevano fatto delle leggi molto precise, che regolavano con severità ogni dettaglio della vita quotidiana. Tutte le fantasie, tutto quello che non rientrava nelle solite abitudini era mal visto o considerato una stranezza. E per ogni stranezza era prevista la prigione.
Gli abitanti della città non si dicevano mai “buongiorno” per la strada; nessuno diceva mai “per piacere”; quasi tutti avevano paura degli altri e si guardavano sospettosamente.
C'erano anche quelli che denunciavano i vicini, se trovavano un po' troppo bizzarro il loro comportamento.
Il commissario Leonardi, capo della polizia, non aveva mai abbastanza poliziotti per condurre inchieste, sorvegliare, arrestare, punire...
Già nella scuola materna, i bambini imparavano a stare ben attenti alle loro chiavi. E c'erano chiavi per ogni cosa: per le porte, per l'armadietto, per la cartella, per la scatola dei giochi e perfino per la scatola delle caramelle!
La sera, la gente aveva paura. Rientravano tutti a casa correndo e poi sprangavano le porte e chiudevano ben bene le finestre.
Erano rimasti tuttavia dei ragazzi che sapevano ancora scambiarsi qualche strizzata d'occhi e anche degli insegnanti che li incoraggiavano... Ma, soprattutto, c'era Cristiana.
Cristiana aveva i capelli biondi come il sole, gli occhi scintillanti come laghetti di montagna e non pensava mai: “Chissà che cosa dirà la gente”. Nella città si facevano molte dicerie sul suo conto. Perché Cristiana aiutava tutti quelli che avevano bisogno di aiuto, consolava i bambini che piangevano e anche i vecchietti rimasti soli, perché accoglieva tutti coloro che chiedevano un po' di denaro o anche solo qualche parola di speranza.
Tutto questo era scandaloso per la città. Non potevano proprio sopportare ulteriormente quel modo di vivere così diverso dal loro. E un giorno il commissario Leonardi, con venti poliziotti, andò ad arrestare Cristiana, o Cri-Cri, come l'avevano soprannominata gli amici. E per essere sicuro che non combinasse altre stranezze, la fece mettere in prigione.
Questo accadde qualche giorno prima di Natale. Natale era una festa, ma molti non sapevano più di chi o di che cosa. Sapevano soltanto che in quei giorni si doveva mangiare bene e bere meglio. Ma senza esagerare, per non prendersi qualche malattia... Soprattutto, la sera della vigilia di Natale, tutti dovevano mettere le proprie scarpe davanti al camino, per trovarle piene di doni il giorno dopo. Una cosa questa che, nella città, facevano tutti, ma proprio tutti.
Così fu anche quel Natale.
All'alba, tutti si precipitarono dove avevano messo le scarpe, per trovare i loro regali. Ma... che era successo? Non c'era l'ombra di un regalo. Neanche un torrone o un cioccolatino!
E poi... le scarpe!
In tutta la città, le scarpe risultavano spaiate. Il commendator Bomboni si trovò con una scarpina da ballo, una vecchia ottantenne aveva una scarpa bullonata da calcio, un bambino di cinque anni aveva una scarpa numero 43, e così di seguito. Non c'erano due scarpe uguali in tutta la città! Allora si aprirono porte e finestre e tutti gli abitanti scesero in strada. Ciascuno brandiva la scarpa non sua e cercava quella giusta. Era una confusione allegra e festosa. Quando i possessori delle scarpe scambiate si trovavano, avevano voglia di ridere e di abbracciarsi.
Si vide il commendator Bomboni pagare la cioccolata a una bambina che non aveva mai visto e una vecchietta a braccetto con un ragazzino.
Solo qualche finestra restava ostinatamente chiusa. Come quella del commissario Leonardi. Quando però il commissario sentì il gran trambusto che veniva dalla strada, pensò a una rivoluzione e corse a prendere le armi che teneva sul camino.
Immediatamente il suo sguardo cadde sulle scarpe che aveva collocato davanti al camino. E anche lui si bloccò, sorpreso. Accanto alla sua pesante scarpa nera c'era... una pantofola rossa di Cri-Cri.
Stringendo la pantofola rossa in mano, il commissario corse alla prigione.
La cella dove aveva rinchiuso Cri-Cri era ancora ben chiusa a chiave. Ma la ragazza non c'era. Ai piedi del tavolaccio, perfettamente allineate c'erano l'altra scarpa del commissario e l'altra pantofola rossa. Dal finestrino, protetto da una grossa inferriata, proveniva una strana luce. Il commissario si affacciò. Nella strada la gente continuava a scambiarsi le scarpe e ad abbracciarsi.
Con un insolita commozione, il commissario si accorse che la luce che veniva dal finestrino era bionda e calda come il sole e aveva dei luccichii azzurri, come succede nei laghetti di montagna.
E incominciò a capire.

Autore: Bruno Ferrero - Storie di Natale


Posto con molto piacere questo racconto che descrive mirabilmente quello che dovrebbe essere, a parer mio, il vero spirito del Natale: quello della Condivisione, della Gioia e della Letizia.
E allora tanti carissimi Auguri a tutti per un S. Natale e un Anno Nuovo ricolmi di Pace, Gioia e Amore. E ricordiamoci sempre che, se lo vogliamo, Natale può essere non solo un giorno all'anno, ma tutti i giorni della nostra vita.
Augurissimi !!!

Marco

mercoledì 17 dicembre 2014

La vecchietta che aspettava Dio


C'era una volta, un'anziana signora, che passava in pia preghiera molte ore della giornata. Un giorno, sentì la voce di Dio che le diceva: “Oggi verrò a farti visita”.
Figuratevi la gioia e l'orgoglio della vecchietta. Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci. Poi, indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l'arrivo di Dio.
Dopo un pò, qualcuno bussò alla porta. La vecchietta corse ad aprire. Ma, era solo la sua vicina di casa, che le chiedeva in prestito un pizzico di sale. La vecchietta la spinse via: “Per amore di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini! Sto aspettando Dio, nella mia casa! Vai via!”. E sbattè la porta in faccia alla mortificata vicina.

Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo. La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire. Ma chi c'era? Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga, che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi. La vecchietta sbottò: “Io sto aspettando il buon Dio. Non ho proprio tempo. Torna un'altra volta!”. E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.

Poco dopo, bussarono nuovamente alla porta. La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese. “Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo... E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa”, implorò il povero.
Ah, no! Lasciatemi in pace! Io sto aspettando Dio! E stia lontano dai miei scalini!”, disse la vecchietta stizzita. Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.

La giornata passò, ora dopo ora. Venne la sera e Dio non si era fatto vedere. La vecchietta era profondamente delusa. Alla fine, si decise ad andare a letto. Stranamente, si addormentò subito e cominciò a sognare.
Le apparve in sogno il buon Dio che le disse: “Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto”.


Autore: Bruno Ferrero



Bella e semplice storia che ci insegna una grande Verità: che Dio lo possiamo trovare negli altri, nel nostro prossimo.
Cosa serve infatti pregare tanto o andare regolarmente in Chiesa, se poi siamo sgarbati con gli altri, gli chiudiamo la porta in faccia, o ci comportiamo male, senza comprensione e Carità persino con i nostri cari, tra le mura domestiche? La preghiera, certo, ci deve essere, rafforza la nostra unione con il buon Dio, ma deve essere vissuta con sentimento, ci deve portare alla Carità, deve essere un estensione stessa della Carità. Come ci ha detto il nostro Gesù: “Ogni volta che avete dato da mangiare a un affamato, da bere a un assetato, vestito un povero, visitato un malato, ospitato un forestiero, visitato un carcerato...... lo avete fatto a Me”.

Una semplice e bella storia quindi, perfetta per questo periodo di Avvento in avvicinamento al S. Natale. Ma ricordiamoci sempre che non bisogna "essere buoni" solo a Natale.... ma in ogni giorno della nostra vita. Sempre il Signore, nelle vesti del nostro prossimo, bussa alla nostra porta, e sempre dobbiamo essere pronti ad aprirgli, ad aprire il nostro cuore. E' questo quello che Lui ci chiede.

Marco

venerdì 12 dicembre 2014

“Torino, la mia Africa”

Ha lasciato il lavoro per dedicarsi ai più bisognosi. Paolo guida l'associazione Amici di Lazzaro e fa il missionario nelle zone degradate del capoluogo piemontese

Sognava di andare in missione nel Terzo Mondo. Poi ha scoperto che la sua Africa, le sue favelas sono qui in Italia. A Torino, tra mendicanti, tossici, senza fissa dimora e prostitute: Paolo Botti è per tutti loro una piccola stella cometa. Attraverso la sua associazione Amici di Lazzaro dal 1997 fino a oggi ha avvicinato migliaia di persone che hanno conosciuto degrado, solitudine, perdita della propria dignità. Persone sfruttate o abbandonate a sé stesse, incamminate verso un destino infelice e rinate grazie all'impegno di Paolo e della sua squadra di volontari: “Sin da giovanissimo – racconta – sentivo dentro di me solo un desiderio: fidarmi di Dio e vivere per il bene e per il Vangelo. Volevo occuparmi dei poveri, dei giovani, e offrire loro una speranza, una prospettiva di vita”.

Fare il volontario

La sua storia, in tempi di crisi occupazionale può sembrare paradossale. A 18 anni abita da solo e inizia a lavorare alla Comau, un azienda del gruppo Fiat, come progettista elettronico. Intanto si iscrive alla facoltà di informatica. Dopo qualche anno, però, lascia gli studi e appena ottenuta una promozione e un aumento di stipendio, decide di licenziarsi per abbracciare la sua vocazione.
Quando lavoravo facevo una vita da povero in un alloggio spartano, non avevo la tv, né l'automobile, nessuna spesa superflua, Poi ho deciso di licenziarmi, ho regalato tutto quello che mi restava, mobili, dischi, libri”. A quel punto Paolo va a vivere in una piccola comunità gestita a Torino dai padri gesuiti con i quali è già in contatto da tempo. Lavora con loro all'accoglienza prima di famiglie e profughi della guerra di Bosnia, poi di vittime di tratta africane e dell'est. “E' in quel contesto che ho trovato l'Africa e i poveri senza lasciare l'Italia. La mia condizione di partenza – racconta – non era di infelicità o insoddisfazione, anzi era proprio il mio essere felice che mi incoraggiava a condividere il mio star bene, dentro e fuori, con gli altri
.

Quelle notti alla stazione centrale della città

In quegli anni l'attività di Paolo non è solo circoscritta al supporto dei gesuiti all'interno dell'istituto. Porta con sé la vocazione del volontario itinerante. Inizia, così, ad accompagnare un padre gesuita francese durante le sue "spedizioni" settimanali alla stazione Porta Nuova.
Ho cominciato ad andare alla stazione per stare con i barboni”, ricorda. “Eravamo in cinque o sei, guidati da padre Jean-Paul. Una sera la settimana andavamo a trovarli, parlavamo con loro, cantavamo e pregavamo insieme, e alla fine si distribuivano cibo, bevande calde e vestiti”. Quando padre Jean-Paul lascia Torino, Paolo decide di intensificare la collaborazione con i gesuiti e fondare, al contempo, un associazione che si occupi dei bisognosi, andandoli a cercare alla stazione centrale e nelle periferie torinesi più degradate. Nasce così, nel 1997, Amici di Lazzaro, associazione formata da un gruppo di ragazzi dinamici, energici. Subito concentrano la loro attenzione su uno dei drammi peggiori di Torino, il mercato delle vittime di tratta, sopratutto giovanissime e donne nigeriane. Ne studiano i movimenti, tentano più volte il dialogo con le prostitute. Paolo si reca persino in Nigeria per inquadrare meglio le origini del fenomeno.

Aiuto concreto alle donne vittime di tratta

Dal 1999 iniziano le uscite notturne: gruppi di volontari, a turno, incontrano le ragazze e, tra le altre cose, le informano sulla possibilità, prevista dall'articolo 18 della legge 286 del 1998, di usufruire di un programma di protezione nel caso in cui denuncino gli sfruttatori. Ma entrare nel loro mondo non è semplice ed è anche molto rischioso. Gli Amici di Lazzaro si organizzano in unità di strada. Man mano si stabiliscono rapporti di fiducia e alcune di esse denunciano i loro protettori.
L'associazione avvia collaborazioni con il Comune, la Caritas e il gruppo Abele per creare una sorta di rete contro lo sfruttamento della prostituzione su tutto il territorio torinese. L'intesa è fruttuosa e alcune delle ragazze che si avvicinano agli Amici di Lazzaro si ritrovano libere e inserite in contesti di lavoro come colf, baby sitter oppure badanti.

Dio è accanto a lui

Col tempo i numeri crescono e ormai centinaia di donne ogni anno dialogano con i volontari dell'associazione. Sono aumentate le unità d'azione, rivolte anche ai senza dimora e ai bambini di strada costretti all'accattonaggio o a lavare i vetri ai semafori. Un avventura che per Paolo è diventata una ragione di vita e nella quale ha un compagno speciale, il Signore, che lo affianca quotidianamente.
Prego spesso e durante la giornata cerco di non far mancare letture spirituali, decine del rosario dette qua e là e tante preghiere brevissime che riempiono i momenti tra le tante cose da fare e da vivere. Ho avuto tante difficoltà, tanti problemi superati che ora mi sembrano piccoli, perchè vedo che mai sono stato abbandonato da Dio. Ora, quando mi si presenta davanti un dubbio o una difficoltà, mi chiedo: "Ti è mai mancato qualcosa? Ti ha mai lasciato solo Dio?" E la risposta è "No, non sono mai stato solo, mai mi è mancato qualcosa". Quindi vado avanti con fiducia”.

La Fede profonda di bisognosi e prostitute

Per Paolo “la Fede dei poveri in genere è più forte della nostra. Spesso si pensa che i poveri preghino o credano perchè hanno bisogno, in realtà credono e hanno Fede nonostante i loro bisogni. E tante volte io stesso e i nostri volontari siamo colpiti dalle preghiere di ringraziamento a Dio fatte dalle ragazze sfruttate, che in strada intonano i loro canti di grazie per la vita, per le cose che hanno, per l'Amore che ricevono... e noi sappiamo che hanno poco, che soffrono tanto, che vengono maltrattate e sfruttate, eppure ringraziano e sanno vedere il bene che c'è intorno a loro”.

Il dono della catechesi tascabile

La Fede, dunque, è punto in comune, un punto d'incontro tra l'azione di Paolo e chi vive sulla strada. La condivisione della Parola di Dio è un momento per avvicinarsi, per tendersi la mano reciprocamente.
Noto che i poveri hanno un idea di Dio semplice e nel mio piccolo cerco di dare loro strumenti per approfondire come preghiere o catechesi semplici di Benedetto XVI o di Papa Francesco nella loro lingua, dal cinese all'inglese, dall'arabo al francese. A tutti – conclude – dico di pregare per me e per l'associazione, perchè credo davvero che Dio ascolti il grido dei poveri”.

A SCUOLA DI INTEGRAZIONE

Dal giugno 2000 gli Amici di Lazzaro hanno avviato un corso gratuito di italiano per donne straniere di ogni provenienza e livello culturale. Oltre alle lezioni vengono proposte anche iniziative di aggregazione (gite, cene e incontri tra giovani italiani e stranieri), e di formazione culturale (diritti e doveri, visite a musei, mostre e monumenti) e spirituale (incontri con le comunità etniche torinesi, catechesi, la World's Prayer, preghiera collettiva mensile promossa dall'associazione).

GRUPPO STAZIONI, NON SOLO AIUTO MATERIALE

PortaNuova-binari. PortaSusa. PortaNuova-centro: sono questi i tre gruppi che operano tra i senzacasa nelle stazioni ferroviarie di Torino. E' qui che gli Amici di Lazzaro hanno iniziato ad ascoltare, parlare, cantare con chi vive senza una casa. Nelle due più importanti stazioni di Torino sono centinaia i senza dimora che ogni giorno chiedono aiuto. A loro si offre una coperta, un sacco a pelo, un vestito pulito.
Il nostro carisma – spiegano i volontari – non è offrire il semplice aiuto materiale, quanto il dare prima di tutto amicizia, preghiera, ascolto e attenzioni. E' poi dall'amicizia che si arriva anche all'aiuto materiale”.

CON I POVERI DI TRE CONTINENTI


Da aspirante missionario, Paolo Botti non poteva che dedicare una serie di progetti ad alcune delle zone più sofferenti del mondo. Gli Amici di Lazzaro sostengono iniziative in Europa, Asia e Africa. In Romania, a Timisoara, fanno da supporto a una casa per ragazzi abbandonati fondata dalla Caritas locale. In Iraq, a Baghdad, lavorano con una parrocchia che da aiuto materiale ai poveri del quartiere. In Egitto a ElMinia, aiutano Casa Letizia che si occupa di orfani e famiglie povere. Nel Sudan, a Rumbek, operano in progetti che mirano a portare l'acqua a piccoli ospedali e un progetto pastorale per l'educazione dei giovani. In Nigeria, a Lagos, è in cantiere un progetto di prevenzione della tratta, reinserimento di ragazze rimpatriate e appoggio a famiglie vittime di minacce.


Di Gelsonimo Del Guercio

FONTE: A Sua Immagine N. 99
29 novembre 2014


Una storia bellissima, che si commenta da sola.
Ragazzi, pensiamoci un attimo..... avere un buon lavoro (cosa al giorno d'oggi, tutt'altro che scontata), belle prospettive, una vita soddisfacente..... e nonostante questo lasciare tutto, per inseguire un sogno, un ideale, una vocazione..... e dedicarsi al prossimo, quello più disagiato, quello dei poveri, dei barboni, delle donne sfruttate. Ma l'Amore è anche questo, una forza irresistibile che ti porta a fare scelte anche radicali, lasciando la sicurezza per l'incertezza, la stabilità per l'incognita. Ma è grazie a persone come Paolo che la nostra società si regge ancora in piedi, a lui e quell'innumerevole stuolo di volontari, di cui si parla così poco, che dedicano tempo, energia e passione, laddove c'è bisogno, al prossimo bisognoso. E se non è Amore questo, allora cos'è?
Un grazie sentito a Paolo allora, alla sua splendida Associazione, e a tutti coloro che dedicano di loro stessi al prossimo e a Dio. Che mondo sarebbe questo senza di loro? Ma ci sono, grazie a Dio ci sono.... e sono molti di più di quanto si possa immaginare. Non dimentichiamocelo mai!

Marco

lunedì 8 dicembre 2014

La storia dell'asino nel pozzo


Un giorno l’asino di un contadino cadde in un pozzo. Non si era fatto male, ma non poteva più uscire. Il povero animale, disperato, continuò a ragliare sonoramente per ore.
Il contadino era straziato dai lamenti dell’asino, voleva salvarlo e cercò in tutti i modi di tirarlo fuori ma dopo inutili tentativi, si rassegnò e prese una decisione crudele. Poiché l’asino era ormai molto vecchio e non serviva più a nulla e poiché il pozzo era ormai secco e in qualche modo bisognava chiuderlo, chiese aiuto agli altri contadini del villaggio per ricoprire di terra il pozzo.
Il povero asino imprigionato, al rumore delle palate e alle zolle di terra che gli piovevano dal cielo capì le intenzioni degli esseri umani e scoppiò in un pianto irrefrenabile. Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l’asino rimase quieto.
Passò del tempo, nessuno aveva il coraggio di guardare nel pozzo mentre continuavano a gettare la terra.
Finalmente il contadino guardò nel pozzo e rimase sorpreso per quello che vide. Ad ogni palata di terra che gli cadeva addosso, l'asino se ne liberava, scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e salendoci sopra. Man mano che i contadini gettavano le zolle di terra, saliva sempre di più e si avvicinava al bordo del pozzo.
Zolla dopo zolla, gradino dopo gradino l’asino riuscì ad uscire dal pozzo con un balzo e cominciò a trottare felice.



Questa semplice storiella, facilmente reperibile sul web, ci da degli importanti spunti di riflessione: il contadino è la vita, il pozzo rappresenta le difficoltà della vita che tutti, chi più chi meno, dobbiamo affrontare... e l'asino rappresenta noi stessi.
Tutti noi, presto o tardi, finiamo col finire dentro a un pozzo, ovvero ci troviamo ad affrontare le difficoltà della vita che, talvolta, ci possono sembrare persino superiori alle nostre possibilità. Queste poi, spesso e volentieri, non ci risparmiano affatto "badilate di terra" addosso, non di rado anche dalle persone più care.
Ma questa semplice storia ci insegna che queste difficoltà, che le prove della vita, possono essere per noi un motivo di crescita, di "elevazione", come lo sono state per l'asinello che, badilata dopo badilata, si è sempre più innalzato fino a giungere fuori dal pozzo in cui era caduto. Le difficoltà insomma non devono sempre essere viste come una disgrazia, ma bensì come una prova, come un opportunità per crescere in noi stessi.
Del resto la vita è proprio questo: una corsa ad ostacoli dove ogni ostacolo, se affrontato col piglio giusto, costituisce un motivo di crescita, di maturazione personale, fino a quella completezza umana e spirituale che il Signore chiede ad ognuno di noi.
Crediamolo fermamente.

Marco

martedì 2 dicembre 2014

Dopo 17 anni fa la cosa giusta e rimedia ai suoi errori


Non è mai troppo tardi per rimediare ai propri errori
e lo dimostra la storia di un uomo tormentato dal senso di colpa per aver derubato la sua scuola quando aveva solo 12 anni: e così, dopo 17 anni, ha deciso di inviare alla scuola una lettera di scuse e una busta piena di soldi.
E’ successo in California, a Nevada City, dove James Berardi – preside della Grizzly Hill Elementary School – si è visto recapitare una lettera scritta a mano, firmata e accompagnata da 300 dollari. Nella lettera, il mittente spiegava che 17 anni fa, quando frequentava la scuola ed aveva solo 12 anni, aveva rubato dei soldi che dovevano essere destinati ad una gita scolastica o alla festa di fine anno.

Ho fatto irruzione a scuola”, ha scritto l’autore della lettera, di cui non è stato reso noto il nome, “poco prima della fine dell’anno scolastico. Ho rubato il denaro di alcune classi (che lo avevano messo da parte per una gita o per la festa di fine anno) e, dall’ufficio del preside, ho rubato alcuni oggetti che erano stati confiscati. Ho rotto qualche serratura e i telai di alcune finestre. Non so esattamente quant’è costato riparare i danni, né quanti soldi avevo rubato. Secondo i miei calcoli, dovrebbero essere 300 dollari. Ho allegato alla lettera questa cifra per rimediare a ciò che ho fatto, per cercare di risarcire i danni e riparare ai miei errori”.
La bella missiva, infine, si chiudeva con questa frase: “Se, a scuola, lavora ancora qualcuno che si ricorda di questo episodio e ritiene che 300 dollari non siano sufficienti a coprire i danni, non esitate a contattarmi”.

Il preside Berardi ha subito contattato l’ex allievo per ringraziarlo del bellissimo gesto e per comunicargli che i soldi inviati erano più che sufficienti. Ed ha commentato, visibilmente commosso: “Mi auguro che questo gesto gli abbia dato la serenità che stava cercando. Forse l’ha fatto per liberarsi da un grosso peso o dal senso di colpa”.

Secondo gli insegnanti della Grizzly Hill School la lettera vale molto più del denaro che conteneva, perché ha dato agli studenti un’importante lezione di vita. “Questa persona ha fatto una cosa sbagliata”, ha sottolineato Willow De Franco, “E forse si è sentita così male e così in colpa per aver fatto scelte sbagliate, che alla fine ha deciso di rimediare al suo errore”.

di Laura Pavesi

22 luglio 2014

FONTE: Buonenotizie.it



Non è mai troppo tardi per rimediare ai propri errori! Questa vicenda è molto semplice nel suo svolgimento, ma molto significativa, per il gesto, l'atto, il pentimento dell'uomo che sa di aver commesso un errore (fatto peraltro compiuto quando era un ragazzino) e sopratutto la sua voglia di riparare. In questo caso si è trattato di restituire una somma di denaro..... ma il pentimento e l'atto riparatorio si può esplicare in mille modi diversi: la prima e più importante è quella di chiedere semplicemente e con molta umiltà.... "SCUSA".
Riconoscere i propri errori, chiedere perdono, è segno di grande Umiltà..... e chi possiede questa bellissima dote, questa splendidà Virtù, possiede molto, direi persino che possiede TUTTO! Chiedere scusa non significa essere deboli, anzi..... vuol dire essere forti, forti nel capire di essere nel torto, riconoscersi tali nei confronti di chi abbiamo danneggiato (forse la cosa più difficile) e infine, se possibile, voler riparare al torto o ai torti compiuti. Beati, beati coloro che lo fanno! E beati coloro che accettano il perdono della persona pentita...... anch'essi sono Beati.
Chissà in quante parti del mondo avvengono gesti come questi.... e anche di ben più grande portata. Questo è uno, un esempio che è uscito dall'anonimato ed è stato riportato dai giornali..... ma chissà quante volte accadono cose come queste. E meno male dico io..... e peccato, aggiungo, che non succeda sempre. Se l'uomo sapesse sempre chiedere scusa e volesse sempre, tenacemente, voler riparare, per quanto è possibile, agli errori compiuti...... ah, quanto sarebbe migliore il mondo in cui viviamo!
Facciamolo, facciamo sempre.... impariamo a chiedere scusa.

Marco