E’ la storia, questa che raccontiamo, di un frate minimo, cioè di un religioso appartenente all’ordine fondato da San Francesco di Paola. Ed è una storia di fede, di amore, di preghiera e di sport. Già, anche di sport. Perché fra Giuseppe Laganà – il nome del protagonista-, 26 anni, siciliano, oggi presso il convento dei minimi di Catanzaro, ha come “segno particolare” quello di essere giocatore di rugby.
A soli 20 anni già in convento! Com’è nata la tua vocazione all’interno dell’Ordine dei minimi?
«Sinceramente non avrei mai pensato di finire né in un ordine religioso né in seminario, volevo fare altro. Però come si dice in questi casi “l’uomo propone e Dio dispone”. Iniziai a frequentare la parrocchia principale del mio bel paesino, nella mia bella terra di Sicilia anche se in modo inconsueto o - meglio ancora - anomalo perché cercavo semplicemente un posto al fresco, faceva troppo caldo fuori e lì si avvicinò un giovane di nome Pippo che iniziò a chiedermi chi fossi e che cosa facessi. Ad un certo punto mi chiese se volessi entrare a far parte del gruppo ministranti ed io - senza sapere cosa fosse - accettai. Forse già in quel momento dissi il mio sì che si sarebbe confermato a distanza di anni nella famiglia religiosa dei minimi. Il mio primo contatto con i minimi avvenne tra i banchi di scuola, tramite il mio professore di religione, oggi mio confratello, padre Giuseppe Ceglia, che spesso e volentieri mi assillava con la ferma volontà di mandarmi a studiare a Paola, al collegio, proposta che rifiutai inizialmente. Però in cuor mio la curiosità cresceva sempre più, per questo Santo della Conversione, curiosità che dovevo in qualche modo assecondare, saziare. Col passare del tempo conobbi sempre meglio la figura del santo Francesco di Paola, conobbi meglio i frati, certo in cuor mio ero combattuto (cosa faccio mi chiedevo… ne vale la pena?). Per un periodo questa curiosità scomparve, continuai con la mia vita normalmente, scuola, amici, allenamento, mi fidanzai come ogni ragazzo della mia età. Fin quando il Signore mi bussò alla porta».
Perché questa passione per il rugby? Riesci a conciliare la pratica sportiva con l’impegno pastorale in fraternità ed in parrocchia?
«Questa passione nacque grazie a mio zio Massimo, fratello di mamma. Fu lui a portarmi per la prima volta al campo da Rugby, anche lui ha praticato questo sport. Inizialmente non conoscendo le regole ero abbastanza impacciato poi pian piano contando su un grande allenatore e altri ancora, ho potuto amare sempre più questo sport. Impegnandomi al “mille per mille” senza fermarmi mai, anche quando sembrava tutto andare storto. Oggi da religioso minimo provo a continuare quest’attività sportiva senza però mancare ai miei impegni principali: studio, preghiera, vita comunitaria. Nel mio piccolo provo ad aiutare la mia comunità occupandomi dei giovani».
Tu fai parte del Catanzaro Rugby, una squadra che milita in Serie C. Come vivi in campo il tuo essere religioso? In che modo gli altri giocatori si rapportano con te quando vengono a sapere che sei un frate?
«Con i miei compagni di squadra ho instaurato un ottimo rapporto. All’inizio nascosi la mia identità religiosa per evitare condizionamenti o diffidenze, ne parlai solo con il Presidente e l’allenatore che ringrazio per la sua vicinanza e disponibilità, per giustificare la mia assenza ai match in trasferta. Il capitano fu informato a sua volta e i miei compagni non credevano che io fossi frate. Poi un giorno me lo chiesero personalmente e fu l’inizio di una lunga storia di amicizia e rispetto. I miei compagni si rapportano con me in maniera fraterna e calorosa. Evitano anche durante i match e non solo, di cadere nelle tentazioni linguistiche che potrebbero offendere la mia appartenenza all’Ordine ma soprattutto per la loro stessa dignità di persona e di cristiani. Infatti molti di loro hanno avuto, in molte parti del loro carattere, notevoli cambiamenti, ma sicuramente non per merito mio».
Quale dialogo, secondo te, tra sport e fede? Può lo sport essere strumento di formazione e di educazione alla fede per le giovani generazioni?
«Assolutamente sì. Lo sport è anche un’esperienza educativa oltre che uno strumento aggregativo. Mi viene in mente Don Bosco quando, intuendo la forza comunicativa del gioco, percepì che il gioco stesso oltre ad essere un elemento equilibrante e quindi necessario, sviluppasse aspetti importanti della formazione totale del ragazzo. Lo sport è capace di rappresentare un segno concreto dell’accoglienza e della vitalità giovanile. Bellissima, a proposito, l’invito di Papa Francesco ai giovani di non dimenticare di essere: il campo della fede, gli atleti di Cristo: “Calciate in avanti, costruite un mondo migliore, un mondo di fratelli, un mondo di giustizia, di solidarietà, di amore, di pace, di fraternità. Giocate in attacco, sempre!».
Il 23 novembre Papa Francesco ha canonizzato in Piazza San Pietro il Beato Nicola Saggio da Longobardi, il primo santo minimo dopo il fondatore San Francesco di Paola. E’ per tutti i minimi una grande occasione gioia. Come vi siete preparati all’evento?
«Ovviamente ci siamo preparati con spirito di preghiera e devozione verso questo nostro confratello Santo. Un esempio per tutti noi di carità e vicinanza ai più poveri e più bisognosi. Abbiamo costituito, per l’occasione, un gruppo di coordinamento finalizzato a formare i calabresi sulle virtù di questo figlio di Calabria, chiedendo la collaborazione di molti, tra cui frati, secolari e laici, creando vari settori. Tutto il 2015 sarà concentrato sulla figura di San Nicola, tra catechesi sia nelle nostre comunità che in altre realtà e per tutti che lo richiederanno, oserei definirlo un anno di grazia per l’Ordine e per le chiese di Calabria, per la terra di Calabria, terra, si dice, che è martoriata dalla delinquenza a dalla malavita organizzata, offrendo quasi solo questo come biglietto da visita. Quando abbiamo la possibilità di far emergere il lato migliore di questa terra eccoci tutti pronti e più uniti che mai».
di Luigi Mariano Guzzo
8 dicembre 2014
FONTE: http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/sport-sport-sport-fede-faith-fe-37951/
Bella testimonianza, bell'“intreeccio” tra Fede e sport. E non c'è da stupirsi al riguardo..... Dio è dappertutto e può essere portato dovunque, in qualsiasi luogo e situazione, campi da rugby compresi.
Buona fortuna e tanta Grazia per tutto, caro fra Giuseppe Laganà!
Marco
A soli 20 anni già in convento! Com’è nata la tua vocazione all’interno dell’Ordine dei minimi?
«Sinceramente non avrei mai pensato di finire né in un ordine religioso né in seminario, volevo fare altro. Però come si dice in questi casi “l’uomo propone e Dio dispone”. Iniziai a frequentare la parrocchia principale del mio bel paesino, nella mia bella terra di Sicilia anche se in modo inconsueto o - meglio ancora - anomalo perché cercavo semplicemente un posto al fresco, faceva troppo caldo fuori e lì si avvicinò un giovane di nome Pippo che iniziò a chiedermi chi fossi e che cosa facessi. Ad un certo punto mi chiese se volessi entrare a far parte del gruppo ministranti ed io - senza sapere cosa fosse - accettai. Forse già in quel momento dissi il mio sì che si sarebbe confermato a distanza di anni nella famiglia religiosa dei minimi. Il mio primo contatto con i minimi avvenne tra i banchi di scuola, tramite il mio professore di religione, oggi mio confratello, padre Giuseppe Ceglia, che spesso e volentieri mi assillava con la ferma volontà di mandarmi a studiare a Paola, al collegio, proposta che rifiutai inizialmente. Però in cuor mio la curiosità cresceva sempre più, per questo Santo della Conversione, curiosità che dovevo in qualche modo assecondare, saziare. Col passare del tempo conobbi sempre meglio la figura del santo Francesco di Paola, conobbi meglio i frati, certo in cuor mio ero combattuto (cosa faccio mi chiedevo… ne vale la pena?). Per un periodo questa curiosità scomparve, continuai con la mia vita normalmente, scuola, amici, allenamento, mi fidanzai come ogni ragazzo della mia età. Fin quando il Signore mi bussò alla porta».
Perché questa passione per il rugby? Riesci a conciliare la pratica sportiva con l’impegno pastorale in fraternità ed in parrocchia?
«Questa passione nacque grazie a mio zio Massimo, fratello di mamma. Fu lui a portarmi per la prima volta al campo da Rugby, anche lui ha praticato questo sport. Inizialmente non conoscendo le regole ero abbastanza impacciato poi pian piano contando su un grande allenatore e altri ancora, ho potuto amare sempre più questo sport. Impegnandomi al “mille per mille” senza fermarmi mai, anche quando sembrava tutto andare storto. Oggi da religioso minimo provo a continuare quest’attività sportiva senza però mancare ai miei impegni principali: studio, preghiera, vita comunitaria. Nel mio piccolo provo ad aiutare la mia comunità occupandomi dei giovani».
Tu fai parte del Catanzaro Rugby, una squadra che milita in Serie C. Come vivi in campo il tuo essere religioso? In che modo gli altri giocatori si rapportano con te quando vengono a sapere che sei un frate?
«Con i miei compagni di squadra ho instaurato un ottimo rapporto. All’inizio nascosi la mia identità religiosa per evitare condizionamenti o diffidenze, ne parlai solo con il Presidente e l’allenatore che ringrazio per la sua vicinanza e disponibilità, per giustificare la mia assenza ai match in trasferta. Il capitano fu informato a sua volta e i miei compagni non credevano che io fossi frate. Poi un giorno me lo chiesero personalmente e fu l’inizio di una lunga storia di amicizia e rispetto. I miei compagni si rapportano con me in maniera fraterna e calorosa. Evitano anche durante i match e non solo, di cadere nelle tentazioni linguistiche che potrebbero offendere la mia appartenenza all’Ordine ma soprattutto per la loro stessa dignità di persona e di cristiani. Infatti molti di loro hanno avuto, in molte parti del loro carattere, notevoli cambiamenti, ma sicuramente non per merito mio».
Quale dialogo, secondo te, tra sport e fede? Può lo sport essere strumento di formazione e di educazione alla fede per le giovani generazioni?
«Assolutamente sì. Lo sport è anche un’esperienza educativa oltre che uno strumento aggregativo. Mi viene in mente Don Bosco quando, intuendo la forza comunicativa del gioco, percepì che il gioco stesso oltre ad essere un elemento equilibrante e quindi necessario, sviluppasse aspetti importanti della formazione totale del ragazzo. Lo sport è capace di rappresentare un segno concreto dell’accoglienza e della vitalità giovanile. Bellissima, a proposito, l’invito di Papa Francesco ai giovani di non dimenticare di essere: il campo della fede, gli atleti di Cristo: “Calciate in avanti, costruite un mondo migliore, un mondo di fratelli, un mondo di giustizia, di solidarietà, di amore, di pace, di fraternità. Giocate in attacco, sempre!».
Il 23 novembre Papa Francesco ha canonizzato in Piazza San Pietro il Beato Nicola Saggio da Longobardi, il primo santo minimo dopo il fondatore San Francesco di Paola. E’ per tutti i minimi una grande occasione gioia. Come vi siete preparati all’evento?
«Ovviamente ci siamo preparati con spirito di preghiera e devozione verso questo nostro confratello Santo. Un esempio per tutti noi di carità e vicinanza ai più poveri e più bisognosi. Abbiamo costituito, per l’occasione, un gruppo di coordinamento finalizzato a formare i calabresi sulle virtù di questo figlio di Calabria, chiedendo la collaborazione di molti, tra cui frati, secolari e laici, creando vari settori. Tutto il 2015 sarà concentrato sulla figura di San Nicola, tra catechesi sia nelle nostre comunità che in altre realtà e per tutti che lo richiederanno, oserei definirlo un anno di grazia per l’Ordine e per le chiese di Calabria, per la terra di Calabria, terra, si dice, che è martoriata dalla delinquenza a dalla malavita organizzata, offrendo quasi solo questo come biglietto da visita. Quando abbiamo la possibilità di far emergere il lato migliore di questa terra eccoci tutti pronti e più uniti che mai».
di Luigi Mariano Guzzo
8 dicembre 2014
FONTE: http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/sport-sport-sport-fede-faith-fe-37951/
Bella testimonianza, bell'“intreeccio” tra Fede e sport. E non c'è da stupirsi al riguardo..... Dio è dappertutto e può essere portato dovunque, in qualsiasi luogo e situazione, campi da rugby compresi.
Buona fortuna e tanta Grazia per tutto, caro fra Giuseppe Laganà!
Marco
Nessun commento:
Posta un commento