PROGETTO CUAMM – MEDICI PER L’AFRICA
ENZO PISANI E’ DA TRE ANNI IN SUDAN. GIORNO E NOTTE IN OSPEDALE PER SALVARE VITE E FARNE NASCERE: COSI’ A YIROL I PARTI ASSISTITI SONO TRIPLICATI. COME SI STA FACENDO ANCHE IN ETIOPIA, UGANDA, ANGOLA E MOZAMBICO
La piatta, arida, immobile savana del Sud Sudan è un immagine che assomiglia molto alla realtà del sistema sanitario del giovane paese africano: è all’anno zero. Così nel 2010 era anche a Yirol – 400 chilometri e quasi sette ore di macchina da Juba (capitale del Sud Sudan) – quando un bel giorno vi arrivarono Enzo Pisani e la moglie Ottavia Minervini, per conto della Ong Cuamm – Medici per l’Africa. Compito? Gestire il piccolo ospedale, che doveva servire una contea di 350 mila abitanti e un territorio privo di strutture sanitarie. Famiglia Cristiana giunse a Yirol un mese dopo i due coniugi medici: «Riguardo alla sanità, è tutto da ricostruire. E non parlo solo delle strutture fisiche», spiegava all’epoca Pisani. «Dopo 20 anni di guerra, la gente non esprime nemmeno più il bisogno di cure mediche. Ha dimenticato pure di avere il diritto alla salute».
NIENTE TURNI, NE’ RIPOSO. Enzo, chirurgo, igienista, specializzato in malattie tropicali, è ancora lì, in Sud Sudan; come pure Ottavia, specializzata in chirurgia d’urgenza e anestesia. Oggi come allora non ci sono turni, né fine settimana di riposo. Si passa in ospedale il giorno intero, spesso anche la notte. La differenza è che i reparti semivuoti di tre anni fa (pronto soccorso, chirurgia, pediatria e maternità) ora sono sempre pieni, nonostante i posti letto siano passati da una quarantina a 120, e i ricoveri da 1800 a 8000 l’anno. «La morte da parto è quella che indigna di più», diceva allora Pisani. «E’ moralmente inaccettabile. In Italia i casi sono 10 su 100 mila. Qui 2243. Nella sola contea di Yirol in un anno saranno morte 350 donne per dare alla luce un figlio». Oggi, non è più così, almeno in quel piccolo fazzoletto dell’immenso Paese.
In Sud Sudan si muore anche di malaria, di ernia, di una frattura scomposta, di bronchite, di appendicite. Non ci sono strade, industrie, infrastrutture. Un’intera generazione ha conosciuto solo la guerra. Ma a Yirol in tre anni sono stati triplicati i parti assistiti e sicuri (1000 nel 2012, saranno 1200 a fine 2013), con l’arrivo di una nuova ambulanza si riesce a intervenire in fretta nei casi d’emergenza, e le unità mobili girano per tutto il territorio, per visitare e vaccinare.
I coniugi Pisani hanno alle spalle 40 anni d’Africa: Mozambico, Angola, Tanzania, Sud Sudan, l’hanno girata con 5 figli. Presto si sposteranno in Sierra Leone. «Negli anni 70 siamo partiti per cambiare il mondo. Non ci siamo riusciti. In Africa la gente oggi soffre come allora. Si continua a morire di parto. Perciò, come Cuamm, diciamo “Prima le mamme e i bambini”. Perché non deve accadere più».
In un convegno all’Università Cattolica di Milano, l’Ong ha dato conto dei primi due anni del progetto “Prima le mamme e i bambini” in quattro Paesi africani, Etiopia, Uganda, Angola e Mozambico: quattro ospedali principali, 22 centri di salute periferici, per un totale di 1 milione 300 mila abitanti coinvolti. L’obiettivo: passare da 16 mila a 33 mila parti assistiti all’anno in cinque anni. Al secondo anno, ecco i risultati: oltre 84.700 vite salvate di mamme e bambini, oltre 42 mila parti assistiti nei distretti di riferimento, quasi 91 mila visite prenatali effettuate. Tutto questo grazie all’impegno costante dei medici e operatori sanitari: silenziosi eroi quotidiani, che spendono le loro vite per farne nascere altre ai confini del mondo.
Tujube Dilba Jira ha il viso splendente. E’ la prima volta che arriva in Europa, per partecipare al convegno di Milano. Ha scelto di indossare l’abito della festa, per raccontare la storia delle donne della sua Etiopia. Tujube ha 36 anni, lavora come infermiera e ostetrica all’ospedale di Wolisso, gestito dalla Ong di Padova. E’ sposata e ha due figli, un maschio e una femmina. Racconta di non aver mai smesso di lavorare, neppure durante le sue due gravidanze. La sua missione è aiutare i bambini a venire alla luce. «Ogni giorno vivo anche un’altra sfida: accrescere la consapevolezza nelle donne, diffondere informazioni, incoraggiare la comunità ad aver cura dei bambini».
IL CAMBIAMENTO A PICCOLI PASSI. Lei, Tujube, è stata fortunata: «Nella mia famiglia ho ricevuto fin da piccola un’educazione. Mia madre lavorava come tecnico di laboratorio per varie Ong. Io sono cresciuta con il suo esempio davanti agli occhi. Grazie a lei, anni fa ho deciso che sarei diventata infermiera». Il suo motto: «Pian piano l’uovo comincia a camminare». In Africa bisogna avere pazienza. I cambiamenti sono piccoli passi. Basta non perdere la perseveranza.
Peter Lochoro, dal canto suo, ha scelto di diventare medico guardando il lavoro dei medici italiani nella sua terra, la Karamoja, regione arida, poverissima nel Nord-est dell’Uganda, al confine col Kenya e Sud Sudan, dove vivono i gruppi tribali seminomadi dei karamojong. «I medici italiani sono stati la mia ispirazione. Quando io ero ragazzo non c’erano dottori ugandesi in Karamoja. Nella mia famiglia sono stato l’unico a studiare, mio padre volle che almeno qualcuno dei figli avesse un’educazione». Peter ha 45 anni, una moglie infermiera e sei figli: oggi è responsabile-Paese del Cuamm per l’Uganda. «La Karamoja è conosciuta come “territorio italiano”», spiega Peter, «fin dagli anni 70 vi hanno sempre lavorato i medici del vostro Paese». Lui è cresciuto a pochi chilometri da Metany, il villaggio dove ha sede l’ospedale del Cuamm, fiore all’occhiello dell’assistenza sanitaria nella regione.
Peter ha studiato medicina a Kampala: «A quel tempo in tutta l’università c’erano solo tre studenti karamojomg». In Uganda il Cuamm opera in 11 distretti per un totale di 2,5 milioni di persone assistite. Ma è nella Karamoja che si concentra il grosso dei progetti: «A livello nazionale l’aspettativa di vita è 50,4 anni, tra i karamojong scende a 47,7». L’impegno italiano ha dato i suoi frutti: «Tra il 2006 e il 2011 la regione Nordorientale ha registrato livelli di cambiamento molto più evidenti che nel resto del paese». I progressi arrivano, se si ha la forza di aspettarli. «Nel mondo sviluppato l’Africa è nota per la guerra, la povertà, l’ignoranza, le malattie. Ma in mezzo a questi problemi ci sono la vita, la speranza, la dignità del popolo africano».
Di Giulia Cerqueti e Luciano Scalettari
FONTE: Famiglia Cristiana N. 48
1° dicembre 2013
Cosa sarebbe il nostro mondo se non ci fossero persone come Enzo Pisani e Ottavia Minervini, se non ci fossero medici, missionari, infermieri e volontari che vanno a prestare la loro opera in paesi come L'Africa (e non solo), a vantaggio di popolazioni dove la povertà, la miseria, l'ignoranza, le guerre e le malattie falciano migliaia e migliaia di persone tutti i giorni? Onore e merito allora a tutte queste persone che dedicano il loro tempo, i loro talenti, la loro passione.... in una parola: la loro vita, a favore del prossimo, sopratutto quello più povero e bisognoso dei paesi del Terzo Mondo. Onore e merito a loro, che rendono veramente migliore la terra in cui viviamo. Ma onore e merito, sempre e comunque, a tutti coloro che si dedicano al Bene del prossimo, fosse anche il proprio vicino di casa o la persona bisognosa che abita dietro l'angolo.... sì, perchè per fare del Bene non occorre andare chissà dove, ma si può fare sempre e ovunque, a incominciare, aggiungo io, dalla propria famiglia. Che sia a migliaia di Km di distanza, che sia all'interno della propria abitazione, ognuno di noi può dare il proprio prezioso contributo per rendere migliore la società in cui viviamo. Facciamo di questo ideale di Bene la nostra priorità di vita, impegnamoci veramente a vivere ogni istante della nostra vita con purezza d'intenzioni e Amore vicendevole.
Se lo facessimo tutti, quanto sarebbe migliore il mondo in cui viviamo?
Marco
Nessun commento:
Posta un commento