A Rodero, una frazione di Olgiate Comasco, c’è una struttura dove medici, infermieri e volontari si prendono cura dei bambini gravissimi. È un modello di assistenza
Immaginiamo un piccolo, ordinato paese, un po’ in collina, nel verde, con vie strette che una grossa automobile fa anche fatica a percorrere. Immaginiamo una casa, non grande, ma ben tenuta, con un giardino attorno, altrettanto ben curato. Immaginiamo dei bambini verso i quali la vita è stata particolarmente difficile, "invisibili" al mondo, perché soffrono di gravi, gravissime disabilità. Ecco, il paese, la casa e i bambini esistono davvero. Il paese si chiama Rodero, una frazione di Olgiate Comasco, in provincia di Como, a ridosso del confine svizzero.
La casa è la Casa di Gabri, due piani, con il giardino dagli smorti toni invernali (quando l’abbiamo visitata) che confina con un piccolo parco-giochi per bimbi, con altalene e piccole casette di plastica, queste sì colorate e allegre. Anche i bambini ci sono e abitano in quella casa (Gabri, Gabriele, è il nome del primo, piccolo paziente, che lì ha trovato rifugio): non sono come i loro coetanei del parco accanto, non potranno mai andare in altalena perché le loro malattie sono troppo gravi, li costringono a letto o su una carrozzina, con pochissimi contatti con il mondo, anche se, con la bella stagione, in giardino ci vanno. Sono nati così, le famiglie non sempre possono accoglierli e, in qualche caso, vengono abbandonati. Ma qui hanno trovato dove stare, dove essere accuditi.
«Sono dieci in tutto - commenta il pediatra e genetista Angelo Selicorni che lavora all’Ospedale Sant’Anna di Como (con cui Casa di Gabri ha una convenzione) e qui è l’"anima" dell’assistenza medica - quelli che ospitiamo al momento. Molti soffrono di malattie genetiche rare, accompagnate da malformazioni e con pesanti deficit intellettivi, disturbi comportamentali e psichiatrici. Alcuni hanno crisi epilettiche ricorrenti, difficili da controllare. Sono i più gravi fra i gravi, quelli che, paradossalmente, vengono salvati alla nascita proprio grazie ai progressi della medicina. Noi ci prendiamo cura di loro».
Quasi tutti richiedono un supporto alla respirazione, molti sono alimentati in maniera artificiale, con la Peg (cioè con una sonda inserita nello stomaco attraverso la parete intestinale, ndr), uno, al momento, è in terapia con la morfina: «Alcuni non ce la fanno a sopravvivere e noi li accompagniamo verso il loro destino», dice ancora Selicorni. Tutti i bambini sono "dipendenti" dalla tecnologia, sono seguiti minuto per minuto, e 24 ore su 24, grazie a un sistema di monitoraggio che registra costantemente i loro "segni" vitali, come la frequenza del respiro o il battito cardiaco oppure i loro comportamenti che possono rivelare se stanno provando dolore. Il sistema avverte anche quando qualcosa va storto e, grazie alla telemedicina, i medici "collegati" possono valutare, a distanza, che cosa sta succedendo. E intervenire, fermo restando che nei casi complicati si chiama il 118.
La Casa di Gabri è nata dieci anni fa da un’idea di don Angelo Epistolio, presidente della cooperativa sociale onlus Agorà 97 (che gestisce nel comasco servizi residenziali per persone con disabilità), da allora ha ospitato 42 bambini ed è supportata dalla Regione Lombardia (dalla quale ha ottenuto l’accreditamento nel 2011). Le persone che assistono questi bambini potrebbero essere personaggi usciti dal libro Cuore di Edmondo de Amicis, ma anche loro sono veri, sono lì in carne e ossa, giorno e notte. Un nome fra gli altri: Stefano Besseghini, che si occupa della gestione degli infermieri, organizza il loro lavoro e si sobbarca, anche lui, i turni. Suo fratello Sergio coordina la Cooperativa Agorà e gestisce la casa. E poi ci sono i volontari, molti del posto.
«Dov’è la nonna Emma, dov’è la nonna Emma, dov’è la nonna Emma», chiede Richi (lui viene addirittura dalla Sardegna, via Genova) ed è felice quando arriva una signora dai capelli bianchi, per fargli compagnia. Anche lui è grave, ma forse un po’ meno degli altri. Ha un certo senso del ritmo, così tenta di suonare una specie di chitarra ed è in grado anche di leggere quei simboli, alla base della cosiddetta comunicazione aumentativa, che aiutano chi ha problemi con quella verbale. In altre parole, riconosce simboli collegati alle cose (per esempio il disegno di un cibo) e attraverso questi si può esprimere. Alcuni bambini, nonostante le gravissime disabilità, sono lì da molto tempo: Fabio ha 17 anni, ha una tetraparesi spastica con gravi malformazioni cerebrali ed era stato abbandonato; poi ha trovato una famiglia affidataria che a un certo punto non è riuscita più a gestirlo e, infine, è arrivato qui, nel 2013.
Quale che sia la loro malattia, tutti i piccoli inquilini della Casa vengono vestiti ogni mattina con abiti "normali", nessuno è in pigiama: sono cresciuti come bambini prima che come malati. Spiega Besseghini: «Cerchiamo di coinvolgere, nell’assistenza, anche i genitori, quando ci sono. E, in un terzo dei casi, riusciamo a restituire questi bimbi alle famiglie. Ma prima, spesso, dobbiamo risolvere con gli psicologi i problemi delle coppie che vanno in crisi». Ci sono anche storie a lieto fine, insomma: Emma, per esempio, è nata con la sindrome di Larsen che le ha distrutto lo scheletro e le ha tolto la capacità di sentire. È stata nella Casa di Gabri otto mesi e, nel frattempo, hanno insegnato alla mamma come gestirla: adesso è ritornata in famiglia .
La Casa di Gabri è un piccolo, speciale, modello di assistenza, come fa notare il professor Selicorni: «Questi bambini, di solito, rimangono in ospedale, nelle terapie intensive, dove non solo occupano un posto, togliendolo ad altri che ne avrebbero bisogno, ma costano molto. Con questo tipo di assistenza, invece, i costi sono molto inferiori». La Regione Lombardia dà contributi che servono a coprire l’assistenza primaria. Per il resto intervengono donazioni private: sono queste che hanno permesso di costruire i programmi di telemedicina e di comperare macchinari sofisticati. Il modello Casa di Gabri è in evoluzione: ora si sta perfezionando una convenzione con il Sant’Anna per garantire una sorveglianza pediatrica, capace di intercettare eventuali problemi prima che diventino guai seri.
di Adriana Bazzi
5 marzo 2020
FONTE: Corriere della Sera
Quando vengo a conoscenza di Opere meravigliose come questa, il mio cuore si riempie di Commozione e Gratitudine nei confronti delle persone che hanno realizzato tutto questo, di chi ci lavora o presta opera come volontario.
Grazie, grazie veramente di cuore a tutti quanti voi!
Marco
Nessun commento:
Posta un commento