domenica 31 gennaio 2021

La storia di Giuseppe: clochard per 20 anni, ora ha una casa. I volontari gli fanno avere la pensione: «Era un suo diritto»

«Gli abbiamo chiesto che regalo volesse per la sua nuova casa e lui ci ha risposto: “Non lo vedete che ho già tutto?”». Il 68enne ha vissuto per due decenni tra le panchine e i marciapiedi di piazza Verga. Poi, con l'impegno di Arbor, la sua vita è cambiata

«Adesso non solo ha una casa, ma dentro quelle quattro mura si sente a casa. All'inizio, non è stato così». Ad accompagnare Giovanni (nome di fantasia) nel percorso degli ultimi mesi sono stati i volontari di Arbor, unione per gli invisibili. Dopo più di vent'anni tra le panchine, i marciapiede e i portici di piazza Verga a Catania, avere un'abitazione autonoma in cui cucinare, dormire, guardare la tv seduto sul divano, non era una situazione normale per il 68enne. Una vita di lavoro e famiglia fino a prima dei 50 anni; poi la separazione dalla moglie e la perdita dell'occupazione lo fanno finire per strada «dove, negli anni – spiega a MeridioNews Dario Gulisano, responsabile Politiche abitative della Cgil e tra i promotori di Arbor – è divenuto uno dei clochard più conosciuti della città».

Al netto di brevi periodi trascorsi in qualche struttura convenzionata per accogliere le persone senza fissa dimora, «ormai si era talmente tanto abituato che pensava davvero che piazza Verga fosse casa sua – riferisce Gulisano – Certe sere, però, vedevamo che il suo sguardo era più spento del solito». Anni fa, tra l'altro, Giuseppe ha pure subito una violenta aggressione in piazza Giovanni XXIII, nella zona della stazione centrale, che gli ha causato dei gravi problemi alla vista. «Una sera, guardando i suoi documenti, abbiamo visto che aveva raggiunto l'età pensionabile e, da quel momento, ci siamo impegnati per fare in modo che ottenesse quella indipendenza economica che gli spettava di diritto». Dopo interminabili file alla Posta e all'Inps i volontari riescono a sbloccare una situazione che, in effetti, era già stata avviata un anno prima. Salvo poi restare impantanata nella burocrazia della documentazione. «Addirittura – racconta – una parte della pensione gli era già stata erogata, pare senza che lui lo sapesse, e poi gli era stata revocata».

Risolta la trafila degli impedimenti burocratici, «abbiamo anche dovuto capire dove fare arrivare la carta». Ovvero, il problema della residenza di chi non ha casa. Per Giuseppe, sui documenti era rimasta in una struttura dove aveva vissuto per un breve periodo, prima che scadesse la convenzione con il Comune di Catania. Alla fine, i soldi sono arrivati – con tanto di arretrati – e della vita di Giuseppe è tornato a fare parte anche uno dei suoi fratelli. Un passo dopo l'altro. «Le prime notti le ha passate in un bed and breakfast racconta Gulisano – Adesso paga regolarmente un affitto e si sente a proprio agio in casa sua. Ma anche trovarla non è stato facile: non tutti sono disposti a concedere un immobile a una persona che ha vissuto gli ultimi vent'anni da clochard». Adesso Giuseppe comincia a muoversi nel suo nuovo quartiere «E, da credente, ha preso i primi contatti con le parrocchie della zona. Gli piace anche molto – aggiunge Gulisano – prendersi cura della casa che tiene pulita e in ordine». I volontari vanno a trovarlo almeno una volta a settimana e gli poratno ancora vestiti e qualcosa da cucinare. «L'ultima volta, gli abbiamo chiesto che regalo volesse per la sua nuova casa e lui ci ha risposto: “Non lo vedete che ho già tutto?”».


Di Marta Silvestre

10 gennaio 2021

FONTE: Meridionews edizione Catania

giovedì 28 gennaio 2021

La storia di Guido, il pensionato romano che ripara giocattoli per i bambini poveri

Sono ben 20mila i giocattoli riparati da Guido e che, ogni anno, vengono distribuiti ai bambini poveri di tutta Italia: modellini di aerei, automobiline, bambole e orsacchiotti.

RACCOLTA GIOCATTOLI USATI PER BENEFICENZA

Aggiustare i giocattoli non è un gioco. È questo il mantra di Guido Pacelli, un pensionato romano che ha deciso di dedicare il suo tempo a strappare un sorriso ai bambini meno fortunati. Per riuscirci ha deciso di salvare bambole decapitate o macchinina senza ruote, donandogli una seconda vita. In questo modo, ogni giorno, evita un incredibile spreco, perché come spiega: “Ogni giocattolo rotto è un insulto a chi non se lo può permettere”.

GUIDO AGGIUSTAGIOCATTOLI

Guido Aggiustagiocattoli, il nome con cui tutti lo conoscono, da diversi anni ormai, si impegna per far tornare a volare e correre modellini di aerei e automobili giocattolo e per tornare a far parlare e camminare bambole e orsacchiotti. Una vera e propria vocazione la sua, portata avanti durante tutto l’anno, dopo ben 37 anni trascorsi come caporeparto al controllo qualità di Alitalia. Migliaia i giocattoli riparati da Guido: a volte basta veramente poco per recuperare un giocattolo invece di buttarlo via. Basta sostituire un filo o i contatti ossidati per veder nuovamente in funzione i giochi elettrici. Basti pensare che di quest’ultimi riesce a recuperarne oltre l’80%.
L’ASSOCIAZIONE SALVAMAMME

Da anni Guido collabora con l’associazione Salvamamme, insieme alla quale si premura di far arrivare i giocattoli che aggiusta alle famiglie che non se li possono permettere. Un bel gesto che prende forma soprattutto sotto Natale, quando circa 20mila i giocattoli vengono distribuiti ai bambini poveri di tutta Italia. Per riuscire a raccogliere una tale mole di peluches e bambole, però, Guido ha bisogno di “aiutanti”, così insieme a Salvamamme invita chiunque abbia voglia di mettersi a disposizione a “venire a ritirare quanti più giocattoli possibili presso la nostra sede – Roma in via Ramazzini 15, a Roma – ce li riporterai dopo averli resi bellissimi e perfetti”.

GIOCATTOLI USATI DONATI

L’attività di Giudo è solo l’ultimo step di una bella catena di solidarietà. I giocattoli che ripara infatti arrivano nel suo laboratorio dopo essere stati donati e controllati da un gruppo di volontari che hanno il compito di verificare se siano recuperabili. Un processo che va avanti 12 mesi l’anno, perché per Guido e i suoi aiutanti Natale è tutti i giorni.


22 ottobre 2019

FONTE: Non sprecare

martedì 26 gennaio 2021

Roma. Prima perde il lavoro, poi i suoi ultimi 5 euro che servivano a fare la spesa: il quartiere si mobilita per aiutare un uomo e suo figlio

E’ una storia che mostra il cuore d’oro di Roma, quello sano e altruista, che si è stretto attorno a un giovane uomo e al suo bambino di appena due anni. Lui, Davide, non aveva chiesto assolutamente nulla. Aveva solo postato, questa mattina alle 10:00, un messaggio di ringraziamento nel gruppo di quartiere del Quadraro. “Poco fa ho perso gli ultimi 5€ che avevo per fare la spesa, mio figlio di 2 anni piangeva perché non avevo potuto comprargli il the, una signora bionda mi ha dato 10 € e ho potuto non solo prendere il the, ma ho potuto fare la spesa. Non so come si chiama ma spero lei sia sul gruppo, lei è stata un angelo, le voglio bene signora, grazie mille.

Le reazioni

Immediatamente sono arrivati i commenti, a decine: tutti si sono offerti di aiutare Davide. Lui ha spiegato di essere un operatore dello spettacolo che, a causa della crisi dovuta al Coronavirus, ha perso il lavoro e che l’unica cosa di cui ha bisogno è proprio di quello, un impiego.

Non potendo offrire un lavoro, gli utenti del gruppo hanno pensato di aiutare intanto Davide in un altro modo: fino a quando non riuscirà a trovare un impiego, è stato pensato di coinvolgere un supermercato della zona per una colletta alimentare dedicata, presso la quale il gruppo andrà a donare i vari alimenti della lista. Tantissimi, nel giro di due ore, i commenti e i suggerimenti per poter perfezionare le modalità di aiuto a Davide e al suo bambino. Decine e decine di persone si sono mosse, coinvolte emotivamente dalla sua storia e dal suo modo di essere. Altri si sono offerti di donare personalmente qualcosa, dal denaro alla frutta: gesti spontanei che fanno capire quanto, nonostante tutto, il cuore di questa città sia ancora grande.

L’offerta di lavoro

Ma c’è di più: anche se non nel suo campo, un utente ha anche offerto un lavoro a Davide.Ciao – ha scritto Francesco – io ho una ditta che fa impianti elettrici: se vuoi scrivimi in privato, provo a farti lavorare anche se il periodo e quello che è. Una soluzione la troviamo. Dai un abbraccio a tuo figlio”. Se non è generosità questa…


17 gennaio 2021

FONTE: Corriere Città

sabato 23 gennaio 2021

Usa, clochard mangia in un fast food: alla cassa ritrova la figlia perduta

La ragazza lo cercava da oltre 20 anni. Da mesi lo vedeva vagare davanti al negozio ma non sapeva chi fosse

Il destino è proprio strano. E lo si evince ancora di più dopo aver letto la storia di Shoshannah Hensley e di suo padre Brian Eugene Hensley. Lei, 23 anni di Post Falls, in Idaho, lo cercava da 20 anni. Lui era diventato un clochard. Per mesi aveva vagato davanti al fast food dove Shoshannah lavora ma solo domenica scorsa è entrato dentro per mangiare qualcosa e alla cassa lei lo ha riconosciuto.

Di lui aveva pochi ricordi, era una bambina quando il padre se ne era andato. Da adulta aveva anche tentato di ritrovarlo ma le sue tracce ufficiali a un certo punto si sono perse. Era il momento in cui Brian Eugene era diventato un senzatetto. Ma questa sfortuna è stata anche la sua salvezza. Domenica scorsa il clochard è entrato nella stazione di servizio Exxon di Post Falls per mangiare un panino. Per pagarlo ha usato la tessera che il welfare americano mette a disposizione dei bisognosi, pochi dollari al mese per potersi cibare.

Non poteva però sapere che alla cassa avrebbe trovato Shoshannah, sua figlia. E' stata lei che quando ha letto il nome sulla carta ha avuto un sussulto e quasi in lacrime ha chiesto il secondo nome dell'uomo. E lui ha risposto: "Eugene". Era la prova schiacciante, quello era suo padre. Il padre che ha cercato per 20 anni. Una storia d'amore che ha fatto subito il giro di tutte le tv locali, nazionali e grazie al web è arrivata in tutto il mondo.

Per loro è arrivato il momento di recuperare, per quanto possibile, il tempo perduto. Shoshannah ha anche deciso di togliere suo padre dalla strada, vivrà con lei. In un mondo pieno di storie brutte, ogni tanto una storia col lieto fine fa sempre piacere.

28 gennaio 2016

FONTE: Tgcom24


Che bellezza apprendere e poter pubblicare storie a lieto fine come questa.
L'Amore vi ha fatti rincontrare. Tanti carissimi Auguri per tutto Shoshannah e Brian Eugene!

Marco

venerdì 22 gennaio 2021

Gregoire Ahongbonon, l'uomo che ridona libertà e dignità ai malati mentali


Oggi voglio parlare di una persona davvero speciale, uno di quegli uomini che rendono veramente migliore il mondo in cui viviamo: Gregoire Ahongbonon.
Ho conosciuto brevemente la sua storia da una delle trasmissioni televisive che preferisco, “Sulla Via di Damasco”, e allora ho deciso di fare delle ricerche e scrivere un post su di lui, su quest' Uomo che tanto, tanto Bene ha fatto e fa tuttora nella sua amata Africa.

Gregoire Ahongbonon è nato nel 1953 a Ketoukpe, un piccolo villaggio del Benin al confine con la Nigeria, poi nel 1971 si è trasferito a Bouakè, in Costa d'Avorio, dove inizia un attività come riparatore di pneumatici e successivamente apre un agenzia di tassì. Gregoire non ha avuto la possibilità di studiare, «non conoscevo niente» ha ripetuto più volte, tuttavia, a soli 23 anni, grazie al suo lavoro aveva già la sua auto personale e ben quattro tassì: era diventato ricco in Costa d'Avorio! In Benin aveva avuto un rapporto molto forte con Dio «non potevo fare nulla senza Dio, era il mio unico riferimento, ed ero molto legato alla Chiesa. Sono arrivato in Costa d’Avorio e di fronte alla ricchezza e al successo, ho abbandonato Dio e la Chiesa». Gli affari di Gregoire, però, iniziano ad andare male, deve affrontare grossi problemi economici e la sua attività va sempre peggio fino a finire sul lastrico. A causa di questo fallimento vive un periodo di profonda depressione e smarrimento, tanto da arrivare a tentare persino il suicidio. «Ho iniziato una vita miserabile: quando avevo i soldi avevo molti amici, quando ho perso tutto, tutti mi hanno abbandonato. Sono rimasto solo con mia moglie e i due figli che avevo all’epoca. È stato il momento peggiore che abbia mai vissuto». Questa grande sofferenza fa maturare in Gregoire il desiderio di riavvicinarsi a Dio e alla Chiesa, e in questa situazione incontra Joseph Pasquier, un prete missionario che lo accoglie con grande affetto come il figliol prodigo. Questo sacerdote organizza un pellegrinaggio a Gerusalemme e, naturalmente, invita anche Gregoire a parteciparvi, pagandogli il biglietto del viaggio.
«Chi avrebbe mai creduto di ritrovarmi lungo i passi del Vangelo, a Gerusalemme! Al termine di questo pellegrinaggio posso dire che Dio mi ha donato tanto, così tanto che non sapevo come ringraziarLo. In una delle Messe del pellegrinaggio, durante l’omelia, il prete dichiara che ogni cristiano deve partecipare alla costruzione della Chiesa ponendo una pietra». Questa frase lo tocca nel profondo: «Ho compreso che la Chiesa non è soltanto dei preti e dei religiosi. E ho capito che tutti i battezzati devono partecipare alla costruzione della Chiesa e iniziai a chiedermi quale fosse la pietra che io dovevo porre».

Il ritorno in Africa e la svolta

Dopo questo pellegrinaggio, ritornando in Africa, Gregoire si pone sempre più insistentemente la domanda di quale sia “questa pietra da porre” nella sua vita e all'interno della Chiesa. Assieme a sua moglie Leontine, ha l'idea di formare un gruppo di preghiera che si rechi in ospedale a visitare gli ammalati per pregare con loro. Fonda allora l'“Association Saint Camille de Lellis”, in onore al Santo protettore degli ammalati. Durante queste visite Gregoire scopre con grande amarezza che molti ammalati giacciono in grandi stanzoni dell'ospedale completamente abbandonati, e questo perchè in Africa non esiste alcuna previdenza sociale e se si è ammalati e non si dispone di soldi, non si ha diritto alle cure mediche. «Di fronte a questi ammalati abbiamo pensato che prima di iniziare a pregare con loro, occorreva manifestare loro la nostra amicizia e il nostro amore. Innanzitutto occorreva lavarli e provvedere per le medicine; a poco a poco questi malati riacquisiscono la loro salute e quelli che erano in procinto di morire almeno potevano morire con dignità, come uomini». Attraverso questa esperienza molto forte Gregoire inizia a comprendere perchè Gesù si è identificato nei poveri e nei malati, ed è stato proprio a partire da questo incontro che lui e il suo gruppo comprendono che dovevano trovare Gesù proprio in queste persone.

Al servizio dei malati mentali

Nel 1980 inizia per Gregoire una nuova storia: quella con i malati mentali. Qui è necessario dire che i malati mentali in Africa sono considerati meno di niente, i “dimenticati dei dimenticati” e questo a causa di assurde convinzioni che taccia queste persone come “possedute” da spiriti immondi e quindi additati come un'onta per la società e una vergogna per le proprie famiglie. Giacciono in uno stato di completo abbandono, spesso nell'immondizia, abbandonati da tutti come qualcosa di “immondo”. La gente passa loro accanto ma non li vede. «Anche io, come tutti, passavo accanto a loro senza vederli – racconta Gregoire -. Tutti hanno paura di loro, e anche io avevo paura di questi malati. Un giorno però, nel 1980, ho visto un ragazzo che rovistava nell’immondizia per cercare cibo, tutto nudo. Quel giorno, diversamente dalle altre volte in cui passavo avanti senza vederlo, improvvisamente mi sono fermato e ho iniziato a guardarlo e mentre lo guardavo mi sono detto: “Questo è Gesù che cerco nelle chiese, è Gesù che cerco nei gruppi di preghiera, è Cristo che incontro nei Sacramenti, è Gesù in persona che soffre attraverso questi ammalati! Sul momento ebbi paura ma una voce, dentro di me, mi rispose: “Se queste persone rappresentano per te il Cristo, perché aver paura di loro?”».

A partire da questo incontro Gregoire inizia a far visita la notte a questi ammalati per vedere dove dormono, e iniziando ad incontrarli e a conoscerli comprende che sono degli uomini, delle donne e dei bambini che desiderano soltanto essere amati. «Ne ho parlato con mia moglie, abbiamo comprato un frigorifero portatile dove mettevamo cibo e acqua fresca e passavamo di notte per le strade a scovare questi nostri amici. Subito si è creato un legame di amicizia. Ma un giorno mi sono chiesto a cosa servisse portare da mangiare per strada mentre io poi tornavo a casa, potevo lavarmi e dormire comodamente, a differenza di quell’ammalato, che rappresenta Gesù, che invece continua a vivere nell’indigenza». E' così che Gregoire decide di incontrare il direttore generale dell'ospedale dove aveva incominciato a visitare gli ammalati ed ottiene il permesso di utilizzare lo spazio della cappella per accogliere i primi ammalati ai quali elargisce cure mediche grazie alle quali molti di loro riniziano ad acquisire la salute.
Nel 1983 il direttore dell'ospedale riceve l'importante visita del Ministro della Salute, e tra le varie cose gli mostra anche l'esperienza di Gregoire all'interno della cappella ospedaliera. Il Ministro ne rimane entusiasta e augura a Gregoire che la sua opera si diffonda al più presto in tutti gli ospedali del Paese. Gregoire approfitta dell'incontro per chiedergli «se poteva donare il terreno adiacente all’ospedale per costruire un luogo che potesse accogliere gli ammalati» e poi, grazie alla Provvidenza, è sorto il primo centro. Dapprima il nuovo centro ha iniziato ad accogliere tutti gli ammalati psichici della città, poi però, a poco a poco, cominciano a chiedere aiuto anche le famiglie degli ammalati che vivevano nei villaggi.
I malati in catene

Nel 1984, alla vigilia della Domenica delle Palme, una donna chiede aiuto all'associazione di Gregoire per il fratello ammalato: «Siamo andati con questa signora nel villaggio e, una volta arrivati, quest’ultima chiama il padre che vuole mandarci via dicendo che il figlio è già in uno stato di putrefazione e che non sarebbe servito a nulla portarlo nel nostro centro. Io ho detto che desideravo comunque vederlo; tuttavia, il padre continuava a minacciarmi di chiamare la polizia e il capo villaggio, grazie alla cui mediazione si prende la decisione di aprire la porta del luogo in cui il malato si trovava». E qui che per la prima volta Gregoire scopre qualcosa di raccapricciante: c'è un giovane incatenato a un tronco come Gesù sulla croce, con i due piedi legati al legno e le due braccia anch'esse legate con il fil di ferro e con tutto il corpo in un tale stato di putrefazione da provare un senso di disgusto. «È stato difficilissimo togliere le catene, ma quando alla fine siamo riusciti a slegarlo e a lavarlo, una volta giunti al centro, il ragazzo risponde: “non so come dire, grazie a voi e a dire grazie a Dio, non so cosa ho fatto per meritare questa sorte da parte dei miei genitori”; e mi rivolge la domanda: “posso ancora vivere”? Era talmente putrefatto da morire subito dopo. “Per me è comunque morto in modo dignitoso come un uomo». Questo fatto indigna a tal punto Gregoire da spingerlo ad andare a ricercare i malati mentali nei villaggi, dove inizia a scoprire diversi metodi di incatenamento: al collo, talvolta con le due braccia legate, altre volte con le gambe incatenate. «Cose che non potevamo immaginare alla nostra epoca».

Gregoire non attribuisce la colpa di queste cose alle famiglie degli ammalati. «Le famiglie non sanno cosa fare, talvolta è con grande sofferenza che legano i loro figli, i loro parenti, perché i malati mentali rappresentano l’ultimo pensiero delle nostre istituzioni. La Costa d’Avorio, la cui superficie supera quella italiana, ha solo due ospedali psichiatrici in tutto il Paese; in Benin c’è un solo ospedale psichiatrico. In entrambi gli Stati, come per la stragrande maggioranza dei paesi africani, privi di welfare, se non si ha la possibilità economica non si può accedere alle cure». «Non è colpa delle famiglie: quello che è peggio di tutto sono le sette religiose che promettono miracoli alle famiglie. Siccome questi malati vengono considerati come posseduti dal demonio, le sette rassicurano i genitori affermando di avere il potere di scacciare il demonio e creano dei centri dove le famiglie portano i loro ammalati e pagano anche! Li incatenano agli alberi sostenendo che occorre far soffrire il corpo affinché il demonio possa fuoriuscire dal corpo, li privano di acqua e di cibo e li bastonano per scacciare il diavolo». «Abbiamo chiesto di parlare con i responsabili di questi centri, ma non abbiamo ottenuto nulla, siamo andati fino al tribunale per denunciare, abbiamo mandato la polizia che ha asserito che si tratta di folli e che non c’è nulla da fare».
Dal momento che le rimostranze di Gregoire e della sua associazione non sortiscono alcun effetto, si è arrivati alla conclusione che l'unica soluzione possibile per combattere questa orribile piaga sia quella di costruire altri centri. Grazie alla Provvidenza e alla buona volontà di tanti uomini, l'associazione Saint Camille de Lellis conta oggi (2020) in Costa d'Avorio quattro centri d'accoglienza e sei centri di lavoro, in Benin quattro centri di accoglienza e tre centri di lavoro, in Togo tre centri di accoglienza e un centro di lavoro e in Burkina Faso solo un centro. Fino ad oggi Gregoire e la sua associazione hanno accolto più di 60 mila persone con problemi psichici in 25 anni di aiuto e interventi, e 25 mila malati di mente sono attualmente ospitati nei Centri di cura. Ma la cosa sorprendente, da sottolineare grandemente, è che sono i malati stessi i responsabili di questi centri: infatti queste persone, una volta guarite, vengono inviate a scuola per diventare infermieri e ritornano nei centri per curare a propria volta altre persone.

Gregoire nel corso della sua vita ha ricevuto numerosi premi e onoreficenze. L'Italia non fa eccezione in questo, avendolo insignito nel 1998, del Premio Internazionale Franco Basaglia con la seguente motivazione: “per aver dimostrato con la sua pratica di liberazione dalla contenzione e di emancipazione dei pazienti psichiatrici quanto la dignità e il rispetto degli uomini e delle donne sia alla base di ogni intervento di salute mentale”.

La testimonianza di vita e di Fede di Gregoire, uomo sposato e con sei figli, è veramente meravigliosa. il Bene che quest'uomo ha fatto, e continua a fare, assieme alla sua associazione, nel recupero e nel reinserimento delle persone malate in Africa è straordinario. Lui però non si attribuisce alcun merito perchè, come lui stesso afferma «Quello che vivo non viene da me, è più forte di me. Dio è venuto a prendermi da un fosso».
Grazie di tutto Gregoire!

Marco


FONTI: Jobel Onlus, Camilliani.org, Genova.it


mercoledì 20 gennaio 2021

Il miracolo di Giorgia: guarisce da una malattia rara e si sveglia dalla sedazione. Valanga di doni per lei

Lunedì (6 aprile 2020) sulla sua torta ci saranno cinque candeline. Compleanno speciale per Giorgia, una bambina di Trieste colpita da una malattia misteriosa che le impediva di camminare e di muovere le braccia, rimasta in sedazione profonda per 5 mesi all'ospedale di Padova, poi sottoposta a tracheotomia. Tre settimane fa la piccola è stata trasferita al centro di riabilitazione "La nostra famiglia" di Conegliano (Treviso), dove in queste ore sono arrivati decine di pacchi-regalo spediti dai follower della sua pagina Facebook, e consegnati dai corrieri Amazon.

La bambina e il papà stanno pubblicando un video di ringraziamento per ogni scatolone ricevuto: «Volevo tenerli nascosti fino a lunedì, ma sono arrivati tutti insieme e Giorgia li ha visti, così abbiamo dovuto dirle che erano per lei - racconta il padre - Oltre ai regali ci sono tante persone che scrivono per sapere come sta mia figlia, ci fa molto piacere». Nella stanza dove la bimba è degente sono adesso ammucchiati decine di scatoloni e confezioni regalo. Ci sono mattoncini Lego dedicati a personaggi e cartoon popolari, come Harry Potter e i Troll, peluche, tanti album da disegno, penne e matite colorate. Il papà e la sua compagna hanno potuto seguire la bambina più facilmente in questi mesi grazie ad un'abitazione vicina alla struttura sanitaria messa a disposizione gratuitamente da un benefattore.

Il male, una patologia rara, che tormentava la piccola sembra svanito: «Gli esami al midollo non hanno trovato nulla, l'infiammazione si è sgonfiata e i medici ci hanno detto che qualunque cosa fosse probabilmente se n'è andato via - spiega il padre - Ora le braccia e il cervello sono a posto, il problema principale restano le gambe; Giorgia sta facendo esercizi di fisioterapia e logopedia ma è rimasta a letto per tanto tempo, per riprendere la mobilità le serviranno almeno un paio di mesi». La routine della famiglia è condizionata dalle restrizioni anti-coronavirus: «Giorgia - continua il papà - è immunodepressa e può uscire dalla stanza solo per andare nella palestra della struttura, con l'obbligo di indossare la mascherina; ci sarebbe anche un giardino con gli scivoli, ma lei non ci può andare. Io e la mia compagna non possiamo portarle cibo confezionato, dobbiamo misurarci la febbre prima di ogni accesso e possiamo visitarla uno alla volta, quindi ci alterneremo anche domani».

4 aprile 2020

FONTE: Il Messaggero


Girando un pò per il web, sono venuto a conoscenza quasi per caso della storia della piccola Giorgia Kus, di cui l'articolo sopra, anche se non recentissimo, ne riporta la vicenda.
Per chi volesse approfondire ulteriormente la storia della piccola Giorgia, rimando tutti al suo sito internet
"Giorgia's world", al suo canale You Tube e alla sua pagina Facebook "La Forza di Giorgia Kus". Dalla sua pagina Facebook, tra l'altro, ogni tanto vengono filmate delle carinissime dirette nella quale si vede Giorgia con i suo genitori fare tante cose, molto carine, giocose e divertenti. E' un modo anche questo per poter conoscere meglio la bambina e la sua famiglia.
La piccola Giorgia, dopo tutto quel che ha passato, ha bisogno di fare molta fisioterapia per recuperare l'uso delle gambe e della schiena. Anche ora, nonostante siano passati diversi mesi, la bimba non ha ancora la DIAGNOSI della malattia che l'ha colpita. La famiglia della piccola Giorgia deve sostenere molte spese tra esami, spostamenti, fisioterapia ecc... per cui, per chi volesse aiutarli, lo può fare donando un offerta libera alle seguenti coordinate:


TRAMITE PAYPAL: https://paypal.me/pools/c/8j16x0YTi5

IBAN: IT34R0307502200CC8500704859 Intestata a Francesca Doretto

POSTPAY: 5333171058468196 Intestata Kus William CF: KSUWLM85P30L424G

Un grazie come sempre di vero cuore a chi vorrà e potrà aiutare la piccola Giorgia e la sua famiglia.

Marco

lunedì 18 gennaio 2021

Valsesia. Imprenditore dona un milione per i malati di Alzheimer

Il regalo di un industriale per un progetto della Comunità montana del suo territorio. Unica condizione: sia realizzato subito

Dona alla Comunità montana del suo territorio un milione di euro, purché siano destinati a un progetto sociale che si concretizzi in breve tempo.

Un milione. Tanto l’imprenditore metalmeccanico valsesiano Achille Burocco ha voluto offrire all’inizio dell’anno in corso in memoria della sorella Lidia, preferibilmente per un’iniziativa rivolta a pazienti affetti da Alzheimer o altre malattie neurodegenerative. Ma soprattutto con una condizione inderogabile: che il progetto potesse avere una ricaduta rapida ed evidente sui settori a cui è indirizzato.

Detto fatto: l’Unione Montana Valsesia, nonostante la pandemia che ha dilatato un po’ i tempi, si è messa in moto per dare concretezza alla straordinaria donazione di cui l’ente è beneficiario e grazie alla dirigente ai Servizi sociali Renata Antonini e ai suoi collaboratori ha elaborato "La pagina bianca", un programma del quale è prevista la partenza già il 1° gennaio.

Articolata in tre parti, corrispondenti ad altrettante tranches di erogazione economica da circa 300mila euro ciascuna, l’iniziativa prevede nella fase iniziale la ricerca e formazione di personale medico e paramedico specializzato in problematiche neurodegenerative, quindi varie azioni per sostenere i pazienti e le loro famiglie sia nei centri diurni dell’Unione Montana in Valsessera e Valsesia, sia a livello domiciliare.

«Insieme al presidente Pierluigi Prino, sono onorato e ringrazio Achille Burocco per il significativo gesto di grande altruismo – commenta Francesco Nunziata, assessore ai Servizi socio-assistenziali – che premia tra l’altro il lavoro dei nostri operatori a favore dei soggetti più deboli del territorio. Da parte nostra, abbiamo voluto dare una risposta di grande serietà alla donazione con l’impegno immediato per redigere una proposta che potesse offrire le garanzie giustamente richieste dal benefattore».

Diversi soggetti hanno lavorato in sinergia per rendere concreto il progetto: in particolare, oltre allo staff dei Servizi sociali, la vice-sindaca di Coggiola Pierangela Bora Barchietto. «La donazione Burocco è un grande gesto d’amore per il territorio – conclude Nunziata – che darà grande sollievo a tante famiglie afflitte dal senso di impotenza che si percepisce quando si assistono persone affette da malattie neurodegenerative. Grazie a questi cospicui fondi riusciremo ad offrire supporto in diversi modi e a molti più pazienti di quelli che seguiamo attualmente. Un grande ringraziamento dunque a un imprenditore il cui amore per la sua terra e i compaesani si è espresso attraverso un gesto capace di cambiare tante vite».


di Paolo Usellini

24 dicembre 2020

FONTE: Avvenire

Milano: ordina due pizze fatte dai ragazzi autistici di PizzAut e paga 10 mila dollari.

Un gesto di generosità da parte di un manager dell’azienda statunitense Eaton a Milano, ordina due pizze fatte dai ragazzi autistici e lascia come pagamento 10 mila dollari

E’ successo poche settimane fa in provincia di Milano, a Cassina De Pecchi dove i ragazzi autistici che lavorano per PizzAut in attesa di poter aprire ed inaugurare il loro locale, sfornano pizze in un food truck attrezzato.

In un giorno di dicembre come tanti altri, a mezzogiorno si presenta davanti al truck un cliente, all’apparenza come tanti altri, chiede due pizze da portare via, per se e sua figlia, ricevuto il cibo, al posto di pagare con 10 euro, tira fuori un assegno da 10 mila dollari (8200 euro), da regalare ai ragazzi per sostenere il loro progetto.

I ragazzi rimangono a bocca aperta, nessuno si sarebbe aspettato quel bel gesto e increduli sorridono davanti all’assegno che utilizzeranno per continuare a finanziare la loro pizzeria.

Un bellissimo gesto di generosità natalizio, per sostenere l’apertura del locale di PizzAut che sarà la prima pizzeria italiana gestita da persone autistiche dove quando si potrà i ragazzi forniranno servizio ai clienti e prepareranno buonissime pizze e lievitati in nome dell’integrazione.

Mauro, il generoso benefattore, è un dirigente dell’azienda americana Eaton, che ha una sede a Bornago, non lontano da dove si trova il truck dei ragazzi.

Per festeggiare questo bellissimo dono, i ragazzi hanno organizzato un piccolo momento in cui si sono trovati tutti insieme, in cui è stato raccontata a tutti la notizia e l’importanza della donazione e i giovani camerieri e pizzaioli hanno risposto in maniera entusiasta.

Nico Acampora, il presidente di PizzAut ha ringraziato il manager e la società per l’inaspettato gesto di solidarietà che dimostra una grande sensibilità nei confronti del tema dell’inclusione sociale e delle persone autistiche.

Nico Acampora spiega: “È importante che le persone capiscano che i ragazzi autistici possono lavorare e devono essere inclusi nel mondo del lavoro. La nostra pizzeria ne è l’esempio lampante”.

In italia vivono 600.000 persone autistiche, negli Stati Uniti nasce un bimbo con autismo ogni 52 nati… è ora di iniziare sul serio a fare qualcosa per costruire un mondo più inclusivo pensando anche al futuro, alla formazione al lavoro dei nostri figli. C’è chi crede nell’inclusione, crede nelle persone, crede in PizzAut. Bisogna brindare alle aziende che investono nel sociale e nei nostri ragazzi”.

Un gesto che raccontato sui social si è diffuso e ha raccolto moltissimi commenti positivi e lodi verso il manager, per il bellissimo gesto!


13 gennaio 2021

FONTE: Positizie.it

sabato 16 gennaio 2021

Lino Banfi: “Prego la Madonna di poter morire insieme a mia moglie”

Una vita intera vissuta assieme e, ora che la malattia ha colpito uno dei due, c’è il desiderio di andare in Cielo insieme. La preghiera di Lino Banfi.
“Prego la Madonna di poter morire insieme a mia moglie”. Una frase che fa commuovere, ma che allo stesso tempo, racconta il calvario di Lino Banfi.


Lino Banfi: “La mia devozione a Maria”

Più di 50 anni di vita passati insieme, mai un tradimento, mai una discussione. Ma ora la malattia c’ha messo il suo zampino. Lino Banfi si racconta e, in particolare, sceglie di spiegare perché la sua devozione alla Madonna è così forte e radicata.

Appena ti svegli, prima di tutto devi pregare e ringraziare la Madonna. Perché parlare proprio con la Madonna? Perché lei parla col Padreterno” – spiega l’attore. La sua fede particolare inizia all’età di 5 anni, quando suo nonno Giuseppe comincia a parlargli di Gesù e di Maria. Il pregare prima di andare a scuola ma, soprattutto, pregare come prima cosa da fare ogni giorno. Lei mi ha guarito quando avevo il tifo”.

Ma c’è stato un episodio particolare grazie al quale Lino Banfi ha capito che Maria aveva steso la mano sulla sua testa: “A dieci anni stavo morendo, avevo il tifo e la malaria […] Il medico veniva a visitarmi tutti i giorni e mi faceva delle iniezioni. Non mangiavo più, ero magrissimo, pieno di croste. Quando la malattia si aggravò, giacevo nel letto e non riuscivo più a parlare. All’improvviso, una mattina mi svegliai e chiesi a mia madre la gazzosa. Nella notte, le croste erano cadute”.

Un miracolo? Assolutamente sì: “Mia madre mi raccontò che quella notte avevo sognato una donna con un bambino in braccio ed ero guarito […] Penso fosse la Madonna di Canosa” – continua.

Lino Banfi: “Il mio incontro con Papa Francesco”

La fede, la preghiera, il suo sentirsi "il nonno d’Italia", ma anche un attaccamento particolare a Papa Francesco: “Quando ho incontrato Papa Francesco, gli ho fatto notare che abbiamo la stessa età. E, presentandomi come il nonno d’Italia, lui candidamente, in spagnolo, mi ha risposto: “Lei è il nonno del mondo” – ha raccontato, con gioia, l’attore pugliese. “Oggi prego Maria per mia moglie. Le chiedo di farci morire insieme

Oggi, la preghiera a Maria di Lino Banfi è per sua moglie, malata di Alzheimer: “In questo periodo le chiedo di aiutarmi con mia moglie Lucia […] Nessuno ti dice quello che devi fare con le persone care che non stanno bene. Alla Vergine imploro: “Se tu e Gesù mi amate, fatemelo sentire” […]
Ditemi la verità: quanti anni di vita mi date ancora? Se possibile, cercate di far morire insieme mia moglie e me perché l’uno senza l’altro non riusciremmo a stare” – conclude.

Un amore indissolubile, quasi come se fossero nati per stare sempre l’uno accanto all’altro. Ed ora, davanti alla sofferenza, Lino prega sì, ma chiede soprattutto di non staccarsi mai da sua moglie, neanche in punto di morte.


di Rosalia Gigliano

8 gennaio 2012

FONTE: la luce di Maria

mercoledì 13 gennaio 2021

Papà di due bambini ha la leucemia, nel suo paese la fila per donargli il midollo: "Gesto d'amore che non sarà inutile"

Accade ad Aradeo, in provincia di Lecce, dopo l'appello lanciato dalle sorelle del 44enne Fabrizio e ripreso anche da Emma, Après la Classe, Cesko e altri artisti salentini

Un'intera comunità si candida come donatore di midollo per salvare la vita a un uomo. E' la straordinaria gara di solidarietà che da settimane sta coinvolgendo Aradeo, piccolo comune di oltre novemila anime nel Sud Salento, che tra i suoi abitanti sta cercando attraverso il test della 'tipizzazione' di trovare il donatore compatibile al trapianto del midollo osseo per poter salvare la vita a Fabrizio, un uomo di 44 anni molto conosciuto in paese, padre di due bambini, colpito l'estate scorsa dalla leucemia.

Una corsa contro il tempo che questo pomeriggio ha visto l'arrivo nel Poliambulatorio di via Scalfo di decine di volontari, provenienti anche da altri comuni. Una sorta di chiamata alla armi per uomini e donne in buona salute, di età compresa tra i 18 e i 36 anni non compiuti, avviata sui social dalle sorelle di Fabrizio e diventata in breve virale, con il coordinamento di Admo Puglia, grazie agli appelli lanciati da numerosi artisti salentini tra cui tra cui Cesko, gli Après la Classe, ed Emma che ad Aradeo è nata e cresciuta, e dove abita ancora la sua famiglia.

"Ringrazio tutti questi ragazzi - dice commossa Maria, sorella di Fabrizio - perché il loro gesto d'amore non sarà inutile. Anche se magari non riuscirà a salvare la vita a mio fratello, potrà servire a ridare la speranza di vita ad altre persone in attesa di trapianto. Il loro nome sarà infatti inserito nel Registro Italiano Donatori Midollo Osseo, dove rimarranno fino all'età di 56 anni".


9 gennaio 2021

FONTE: la Repubblica

Ascoli Piceno, ragazzi disabili regalano calze solidali ai bimbi bisognosi

Calze solidali per i bambini più bisognosi. Si tratta della nobile iniziativa della "Locanda del terzo settore centimetro zero" di Ascoli Piceno, una locanda sociale completamente gestita da ragazzi disabili. Come raccontato a "Mattino Cinque", il loro ristorante, come gli altri, è attualmente chiuso in rispetto delle norme sanitarie vigenti.

Per questo, i ragazzi di Pagliare del Tronto hanno deciso di rimboccarsi le maniche per regalare comunque un sorriso ai bambini in difficoltà della loro zona, decidendo di preparare biscotti e regali da donare.

6 gennaio 2021

FONTE: Tgcom 24

lunedì 11 gennaio 2021

La romantica serenata di Antonio Lamera per la sua Serafina, che è in casa di riposo

ROMANTICISMO SENZA ETA'

Lo storico di Stezzano ha organizzato un concerto di baghèt per la moglie, che è un’appassionata e che da un po' non è più a casa con lui per via del ricovero. Un bel regalo per tutti gli ospiti

Una serenata a suon di cornamuse orobiche per l’amata moglie Serafina ricoverata alla casa di riposo “Villa della Pace”. È questo il romantico pensiero balenato nella mente dello storico Antonio Lamera che mercoledì 16 dicembre alle 15 ha organizzato un concerto natalizio alla Rsa, arruolando alcuni rinomati musicisti.

«L’idea mi è venuta quando ho visto sul giornale un articolo relativo alla cerimonia che si è svolta in Episcopio, il giorno dell’Immacolata. Ho letto che aveva partecipato “La banda dei baghet”. Ho ricercato gli estremi per contattarli, ho scritto una mail, ma dopo tre giorni nessuno mi aveva risposto. Allora ho fatto alcune ricerche in internet e ho trovato un trio di Treviglio formato dal bagheter Luciano Carminati che guida l’associazione di promozione e tutela dello strumento, Francesco De Chiara (gaita galiziana/flauti) e Carlo Pastori (fisarmonica). Dai miei ricordi affiora che fin dal 1500 il baghét era in uso nella Bergamasca. Mi pare che ci sia anche un museo in valle Seriana. Mi è sembrato un bel regalo di Natale, sia per gli ospiti della Rsa che per mia moglie».

Questi tre musicisti sono dei veri e propri esperti di musiche suonate nelle strade, nelle piazze e nei cortili. Spazi a cielo aperto che, ora più che mai, in questo periodo di emergenza sanitaria, si stanno trasformando in una valida alternativa a teatri e luoghi d’intrattenimento al chiuso. «Per il concerto mi era stata chiesta una cifra che non potevo permettermi – prosegue Lamera – ho chiesto il contributo di amici e conoscenti. Il raccolto è stato più che positivo, in tanti hanno collaborato e li ringrazio moltissimo. Cifre piccole ma anche di un certo rilievo, come quella del Mercatino dell’usato. Mio figlio Giovanni poi, mi ha telefonato dicendomi che pagava tutto lui. Insomma, dopo l’amore coniugale, l’amore filiale… Allora mi sono mosso per fare un secondo spettacolo, questa volta con tre bagheter bergamaschi studenti universitari, che si terrà il 19 di gennaio, sempre alla casa di riposo Villa della Pace».

Antonio e Serafina si sono conosciti settant’anni fa, quando ancora erano molto giovani. Si sono sposati nel 1961 e l’anno successivo è venuto alla luce il loro primo figlio Giovanni, seguito dalla secondogenita Silvia nel 1963.


di Laura Ceresoli

21 dicembre 2020

FONTE: Prima Bergamo

domenica 10 gennaio 2021

I nipoti di Babbo Natale che spediscono regali agli anziani soli delle Rsa: "Così mi sembra di avere ancora mio nonno"

Da tre anni una onlus di Como pubblica i desideri degli anziani ospiti delle case di riposo per Natale e chi vuole può esaudirli. Con il Covid l'iniziativa si è ampliata: già quasi 6 mila regali consegnati in 228 Rsa in tutta Italia: "La solitudine quest'anno pesa di più"

Silvietto ha 78 anni e ha chiesto una coperta per ritrovare in parte "il calore di mia moglie Maria, che mi manca tanto. La sento al telefono, ma non è la stessa cosa". Roberto, che di anni ne ha 86, desiderava un tagliacapelli personale perché "i parrucchieri in questo periodo non possono entrare nelle Rsa e voglio fare bella figura con i miei parenti quando mi videochiamano". Apollonia, un secolo tondo di vita, sognava invece una bella sorpresa per sentirsi meno sola e ha ricevuto un pacchetto accompagnato dalla videochiamata della 33enne Debora, che è diventata la sua "folletta personale". Giuseppina, 86 anni, scrive: "Nonostante la mia età, sono ancora una tifosa sfegatata del Milan, proprio come mio marito che purtroppo non c'è più. Sarei davvero felice di ricevere la maglia del Milan. Mi piacerebbe poterla indossare e portare fortuna alla mia squadra quando gioca". Detto, fatto: Anna e Salvatore le inviano la maglia con un biglietto di auguri.

Sono solo alcuni dei 5.700 desideri esauditi quest'anno dai Nipoti di Babbo Natale, ovvero gli aderenti al progetto della onlus comasca "Un sorriso in più" che consente di realizzare i sogni degli ospiti delle case di riposo italiane attraverso il sito www.nipotidibabbonatale.it.

"L'iniziativa è nata in Repubblica Ceca e in Italia siamo arrivati alla terza edizione - spiega Laura Bricola di 'Un sorriso in più' - Dimostrare affetto e vicinanza agli anziani è ancora più importante quest'anno a causa dell'emergenza sanitaria. Basti pensare che nel 2019 avevano aderito 90 case di riposo e quest'anno siamo arrivati a 228, sparse in tutta Italia".

Con le Rsa chiuse ai visitatori per evitare i contagi, figli e nipoti sono infatti costretti a stare lontani dai loro cari. Una condizione particolarmente difficile da sopportare durante il periodo delle feste natalizie ormai imminente. Così gli operatori delle case di riposo hanno trovato modalità alternative per far sì che gli ospiti non si sentano isolati: c'è chi ha scelto di pubblicare i loro desideri sul sito dei Nipoti di Babbo Natale e chi ha pensato di collocare una speciale cassetta della posta sul cancello della struttura, come è successo alla Rsa "La Risaia" di Marcignago (nel Pavese). "Chiunque può lasciare un messaggio, un pensiero, un disegno o una poesia per i nostri anziani - racconta Ilaria Cipolla, una delle educatrici - Questo sarà un Natale diverso e forse un po' malinconico, ma noi speriamo che questa idea contribuisca a far entrare qui un'ondata di affetto da parte di chi per forza di cose deve rimanere all'esterno".

Proprio a chi lavora nelle case di riposo va il pensiero di Laura Bricola: "In questo periodo così difficile, garantire le consegne dei regali agli anziani ha richiesto un impegno maggiore rispetto agli altri anni, ma gli operatori delle Rsa non si sono tirati indietro - sottolinea - Per questo è bello che tanti dei Nipoti di Babbo Natale abbiano scritto messaggi per loro, ringraziandoli per tutto quello che stanno facendo".

Esaudire il desiderio di qualcuno fa stare bene chi fa il dono almeno quanto chi lo riceve: "Specie quest'anno. Tanti degli aderenti alla nostra iniziativa sono ragazzi giovani che ci scoprono sui social - conclude Bricola - Alcuni hanno perso i nonni negli ultimi mesi a causa del Covid e ci hanno detto che per loro il più grande regalo è stato sentirsi ancora una volta nipoti, impacchettando i regali per i nonni acquisiti trovati sul nostro sito. Mi hanno fatto commuovere".


di Lucia Landoni

22 dicembre 2020

FONTE: la Repubblica

venerdì 8 gennaio 2021

Don Alberto “star del web”: in rete seguendo il Concilio

Don Alberto Ravagnani, sacerdote ambrosiano diventato in pochi mesi un fenomeno mediatico con i suoi video su YouTube, spiega quanto sia decisivo oggi annunciare il Vangelo in rete. “Attenzione al linguaggio, dobbiamo parlare a tutti, non solo a chi viene in parrocchia”.

Città del Vaticano - Lo scorso 20 giugno, durante l’udienza ad alcune delegazioni della Lombardia, la regione italiana più colpita dal Covid-19, Papa Francesco ha voluto evidenziare lo “zelo pastorale e la sollecitudine creativa” dei tanti sacerdoti che, durante i mesi più difficili della pandemia, “hanno aiutato la gente a proseguire il cammino della fede e a non rimanere sola di fronte al dolore e alla paura”. Un esempio di creatività “digitale” è giunto sicuramente in quel periodo da un giovane sacerdote ambrosiano, don Alberto Ravagnani, che presta servizio pastorale presso l’oratorio di San Michele Arcangelo di Busto Arsizio, in provincia di Varese. Nel mese di marzo, all’inizio della quarantena, come tanti altri preti, per restare vicino ai suoi ragazzi don Alberto ha utilizzato la rete. Ha aperto una pagina su YouTube e ha iniziato a condividere video dove con linguaggio rapido e un montaggio vivace rispondeva a dubbi di fede relativi alla pandemia e più in generale alla vita cristiana.

Risposte ai dubbi di fede, in una pagina con 72mila iscritti.

L’iniziativa ha avuto, com’è noto, un grande riscontro, tanto che la sua pagina ha oggi più di 72mila iscritti e i suoi video raggiungono di media le 60mila visualizzazioni, mentre alcuni hanno superato quota 100mila (ora, gennaio 2021, i numeri sono ben superiori n.d.r.). “È stato un grande esperimento. Ho voluto provare ed è andata bene a quanto pare”, ha spiegato con semplicità don Alberto ai microfoni di Radio Vaticana Italia. Il sacerdote 26enne racconta di non essersi preparato in modo particolare per comunicare attraverso i social, ma di aver fatto esperienza sul campo, con l’unica certezza che come evangelizzatori oggi nel web bisogna proprio esserci.

Don Alberto - Usare YouTube per me è stato come imparare a parlare una lingua nuova. Sono sbarcato in una terra straniera di cui più o meno sapevo qualcosina e ho fatto pratica sul campo, senza avere tanta esperienza, un po' alla volta, tentando di apprendere qualche segreto dagli altri youtuber o da altri preti che avevano già pubblicato qualcosa sui social. Così ho trovato un po' la mia strada, il mio stile e poi basta, sono partito.

Molti osservatori della blogosfera cattolica la hanno considerata uno dei fenomeni più interessanti tra le novità digitali prodotte nel mondo ecclesiale durante la pandemia. Che impressione le ha fatto?

Don Alberto - Mi ha molto colpito, sinceramente. Trovare il mio nome sui giornali è stato un colpo, perché non me lo sarei mai aspettato. Ma mi fa piacere essere stato apprezzato nel mio tentativo di trovare dei modi per poter parlare del Vangelo in questo mondo, in questo tempo, sui canali e sui mezzi che oggi i giovani utilizzano. Quindi queste critiche positive sono state per me una conferma e un invito ad andare avanti ancora.

Lei è anche insegnante di religione presso il Liceo scientifico Tosi di Busto Arsizio. Che reazioni hanno avuto i suoi studenti a questa improvvisa notorietà del loro prof?

Don Alberto - Sono stati molto colpiti, anche perché hanno scoperto che anche i loro amici di altre classi e di altre scuole facevano lezione di religione con i miei video. Quindi erano contenti di poter dire che io sono il loro insegnante! Ma soprattutto debbo dire che sono stati loro ad aiutare me. Più volte consultandoli ho cercato di capire quale tematica dovevo affrontare nei miei video o di avere qualche altro consiglio. Insomma li ho utilizzati come veri e propri “tester” per alcuni video che ho poi pubblicato.

Il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha appena pubblicato un nuovo Direttorio per la Catechesi in cui si parla a lungo di digitale e si afferma l'importanza di garantire nella rete una presenza che testimoni i valori del Vangelo. Come commenta questa affermazione?

Don Alberto - Devo dire che essere presenti sul web per testimoniare il Vangelo è secondo me oggi fondamentale. Io me ne sono reso conto adesso, perché non appena mi sono affacciato in questo mondo, in maniera così decisa e convinta, ho raccolto subito tanto e non solo in termini virtuali, ma anche in termini reali. Questa mia esposizione mediatica ha avuto cioè dei risvolti interessanti non solo nella mia vita on-line, ma anche nella mia vita off-line. E questo sia per quanto riguarda ragazzi e persone di Busto Arsizio, sia per quanto riguarda nuovi rapporti che sono nati in Italia o altrove o anche l’intervista che stiamo facendo in questo momento. Credo che oggi il web, la rete, sia un polo che raduna tante persone, tante relazioni, tante istituzioni. Tutto il mondo passa attraverso il web per cui “starci” credo che sia oggi decisivo. Io non ho ancora approfondito i testi del nuovo Direttorio, ma posso dire che in questi mesi a guidarmi è stato proprio l’intento principale del Concilio Vaticano II. Papa Giovanni XXIII proprio in apertura del Concilio aveva indicato come suo obiettivo quello di riuscire a dire in maniera nuova le cose di sempre, e cioè il Vangelo e la Tradizione della Chiesa. Io penso che oggi il web sia il territorio più adatto per poter dire in maniera nuova le cose di sempre.

C'è anche un lato oscuro del web che bisogna temere?

Don Alberto - Ovviamente, come dovunque. Io penso che i pericoli che sono presenti in rete sono in fin dei conti gli stessi che sono presenti nella vita reale. Alcuni certamente amplificati, altri potenziati, però fondamentalmente sono gli stessi. Quindi credo che con lo stesso atteggiamento, la stessa disposizione d'animo, le stesse virtù con cui evangelizziamo nella vita reale, in oratorio, in parrocchia, al lavoro, dobbiamo evangelizzare anche su web. L’importante è mantenersi coerenti con le proprie posizioni, i propri valori, la propria vocazione, puntando lo sguardo sempre sul bene, su Gesù e sul magistero della Chiesa. Poi è chiaro che ci sono delle insidie, ma penso che se questi punti rimangono fissi allora è più facile districarsi.

Quale consiglio daresti a chi volesse utilizzare YouTube o i socialnetwork per evangelizzare?

Don Alberto - Consiglierei soprattutto di prestare attenzione al linguaggio che si utilizza. Con linguaggio non intendo solo le parole che si pronunciano, ma anche il modo con cui si sta davanti alla telecamera o dietro lo schermo. Cioè quello che comunichiamo attraverso il nostro corpo, le nostre espressioni, il nostro modo di vestire… Perché la sfida oggi si gioca sulla comunicazione, sul linguaggio. Dobbiamo capire che in rete non abbiamo di fronte l'assemblea della Santa Messa o i ragazzi dell'oratorio, che sono già predisposti ad ascoltarci. Qui abbiamo davanti gente che magari è lontanissima da noi e dalla Fede. Per cui per intercettarli dobbiamo trovare un modo che sia convincente, affascinante, credibile e che possa suscitare poi un’ulteriore frequentazione virtuale, attraverso internet e poi magari reale.

Come tutte le star della rete anche lei ha i suoi “haters” e cioè i suoi odiatori. Che impressione le fa questo fenomeno?

Don Alberto - Credo sia normale quando ci si espone sul web ricevere attestazioni di disistima o addirittura manifestazioni di odio. Normalizzando la questione penso che sia il segno che in questo momento mi sono esposto e la mia voce è stata raccolta e sentita. Non mi scandalizzo. Mi dispiace molto, ma non mi scandalizzo.

di Fabio Colagrande

5 luglio 2020

FONTE: Vatican News


Sono venuto a conoscenza di don Alberto Ravagnani dalla trasmissione televisiva "A Sua Immagine" e da quel momento ho approfondito la cosa. Sono entrato sul suo canale You Tube e ho visto alcuni dei suoi video. Devo dire che sono rimasto molto colpito dal linguaggio "moderno" e "al passo coi tempi" di questo giovane sacerdote, un linguaggio che credo dovrebbe piacere molto ai giovani d'oggi. Mi sento quindi d'invitare i giovani a vedere qualcuno di questi video.... così che ciascuno si possa fare la propria idea.
Comunque è bello constatare come ci siano ancora dei giovani che sentono il "richiamo" di Dio e vogliono dedicare a Lui e al prossimo tutta la propria vita. Perchè, come lo stesso don Alberto dice: "Vivere con Dio la propria vita è la sola cosa che ti può rendere veramente FELICE. La vita con la Fede è molto più BELLA!"

Marco

lunedì 4 gennaio 2021

Mario, 12 anni, dona i suoi risparmi alla Croce Rossa: «Spero aiutino chi è meno fortunato di me»

Il ragazzino ha deciso di donare i suoi risparmi. In una lettera le motivazioni. Il presidente della Cri di Caltanissetta: «Donare è più bello che ricevere»

Una storia di umanità e solidarietà dalla Sicilia centrale. Anche se sembra un film o una fiction tv di Natale, quella che raccontiamo è una vicenda reale. Il protagonista è un ragazzino di 12 anni, il suo nome è Mario, che ha deciso di donare i suoi risparmi alla Croce Rossa di Caltanissetta. E lo ha fatto a suo modo, in maniera formale, accompagnando il gesto con una lettera.

«In occasione delle festività natalizie considerato il momento particolare in cui ci troviamo - scrive il ragazzino - ho pensato di devolvere alle persone più bisognose, da voi assistite, questa somma frutto dei miei risparmi. Spero che magari possa servire ad aiutare qualche mio coetaneo non fortunato come me. Vi ringrazio e vi auguro buone feste». Il dodicenne, che frequenta la seconda media in una scuola di Caltanissetta - accompagnato dai suoi genitori - è quindi andato nella sede della Croce Rossa ed ha consegnato i suoi risparmi e la lettera al presidente della Cri nissena Nicolò Piave.

I soldi verranno utilizzati per l’acquisto di giocattoli per delle famiglie che la Croce Rossa locale ha già individuato. «Questo è il nostro Natale - ha commentato il presidente Piave - Donare è più bello che ricevere. Mario rappresenta simbolicamente tutti i volontari che in questo periodo hanno donato il loro tempo, i loro risparmi, la propria competenza per gli altri».

Fra tante storie drammatiche che segnano la cronaca di questi mesi, l’azione di solidarietà natalizia di Mario, compiuta lontana dalle luci dei riflettori, è un esempio concreto e costruttivo, di attenzione verso il prossimo. E di speranza per tutti noi.


di Salvo Fallica

26 dicembre 2020

FONTE: Corriere della Sera